COMECON

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1991)

COMECON

Giovanni Graziani

(App. IV, I, p. 493)

Il ''Programma complesso per l'integrazione economica socialista'' approvato alla 25ª sessione del C. nel luglio 1971 rappresenta uno spartiacque nella sua storia. Mentre N. Chruščev aveva perseguito l'integrazione dall'alto attraverso una pianificazione sovranazionale e aveva fallito per l'opposizione di vari paesi minori gelosi della propria sovranità nazionale, L. Brežnev, più realista e paziente, cercò l'integrazione dal basso attraverso un intreccio sistematico degli elementi di base delle varie economie nazionali.

Per quattro anni non avvenne alcun cambiamento di rilievo. Poi, alla 29ª sessione (giugno 1975), fu adottato il ''Piano concertato quinquennale delle misure di integrazione multilaterali per gli anni 1976-80''. Esso indicava le grandi linee della specializzazione nella produzione, necessarie alla costruzione di grandi opere nelle industrie energetiche, chimiche e dei metalli. Furono però attuati solo dieci grandi progetti, concentrati per la maggior parte nel settore dell'energia e delle materie prime in territorio sovietico.

Nel 1976 vennero elaborati i cosiddetti ''programmi finalizzati'', volti a concretizzare un approccio globale e a lungo termine ai problemi economici d'importanza strategica per lo sviluppo. Si trattava di programmi particolareggiati fino al 1990 per cinque settori: 1) energia, combustibili e materie prime; 2) costruzioni meccaniche; 3) agricoltura e prodotti alimentari; 4) prodotti industriali di consumo; 5) trasporti.

Tuttavia, sia i ''programmi finalizzati'' che il coordinamento delle pianificazioni nazionali trovavano un'applicazione pratica assai lenta per disaccordi di fondo tra i partecipanti. Alla base di tale insuccesso si ritrovavano le caratteristiche strutturali presenti sin dal nascere dell'organizzazione e i conflitti da esse generati. Innanzitutto la composizione merceologica dell'interscambio, costituita essenzialmente da materie prime e prodotti energetici sovietici contro macchinari, attrezzature e prodotti di consumo dell'Est europeo, di difficile smercio sui mercati mondiali per il loro standard tecnologico relativamente basso.

Agli inizi degli anni Settanta tale struttura veniva indicata come sfavorevole dall'URSS, in quanto il prezzo delle materie prime sovietiche esportate verso l'Europa orientale era più basso di quello mondiale, mentre il prezzo dei macchinari est-europei era relativamente più alto. L'URSS spinse sempre più i paesi minori − che, a eccezione della Romania, erano quasi completamente dipendenti dall'URSS per gli approvvigionamenti energetici − a rifornirsi sui mercati mondiali. Essa infatti doveva sopportare costi crescenti nell'estrazione del petrolio, a causa dello spostamento geografico dei giacimenti verso regioni inospitali, oltre al mancato guadagno di valuta pregiata sui mercati occidentali. I sei paesi est-europei, d'altro canto, incontravano crescenti difficoltà a comprare petrolio altrove in valuta pregiata, ottenibile solo aumentando le esportazioni in Occidente, impresa difficile per le ragioni sopra viste.

La prima crisi petrolifera si ripercosse poi anche sul Comecon. A partire dal 1975, infatti, i prezzi intra-C. si basavano su una media mobile dei prezzi mondiali degli ultimi cinque anni, revisionata ogni anno, e da questa data quindi anche il prezzo del petrolio sovietico cominciò a salire per i partner est-europei. Un grande ostacolo al cambiamento era inoltre costituito dal quadro essenzialmente bilaterale dell'interscambio. In regime di inconvertibilità delle monete nazionali, i saldi commerciali bilaterali venivano contabilizzati con un sistema di clearing in un'unità di conto, il rublo trasferibile, ma il surplus verso un paese non poteva essere utilizzato per compensare un deficit con un altro partner. Infine i partner minori soffrivano di una vulnerabilità crescente alle fluttuazioni dell'economia mondiale.

La stagflazione post-1973 causò, nel suo aspetto inflazione, rincari delle materie prime e dei macchinari acquistati in Occidente; nel suo aspetto recessione, rafforzò le difficoltà a vendere i prodotti manifatturati est-europei. I debiti crescenti verso l'Occidente provocarono subito dopo la metà del decennio una brusca sterzata nella politica economica est-europea. Per gradi diversi vennero adottate drastiche politiche di stabilizzazione, con la riduzione delle importazioni e il taglio degli investimenti a spese dell'espansione globale, soprattutto industriale. Tali decisioni s'inserivano in un quadro in cui il modello estensivo di sviluppo, basato sull'aumento quantitativo dei fattori produttivi, pur mostrando la corda, non riusciva a trasformarsi in un modello intensivo, fondato sul miglioramento della produttività. Il risultato fu una decelerazione generalizzata della crescita del reddito nazionale, che si protrasse fino a oltre la metà degli anni Ottanta. Nemmeno l'URSS restò immune dalle influenze del mercato mondiale: le successive diminuzioni del prezzo del petrolio a partire dal 1982 hanno ridotto la quantità di valuta pregiata che essa può ottenere e la spingono di conseguenza ad aumentare la quantità di petrolio esportata sui mercati occidentali.

Fino al 1985 le istituzioni del C. mostrarono un'estrema passività, ma un nuovo soffio di vita sembrò arrivare con l'avvento al potere in URSS di Gorbačëv quello stesso anno. A dicembre fu approvato il ''Programma per il Progresso Scientifico-Tecnologico'' fino al 2000, con l'obiettivo di un'applicazione accelerata della cooperazione congiunta al settore in cui il C. era notoriamente più debole, quello della scienza e della tecnologia. Vennero individuati cinque settori prioritari d'intervento: elettronica, automazione, energia nucleare, nuovi materiali e tecnologie, biotecnologia. Ma il programma è restato una lista di buone intenzioni.

La politica sovietica di ristrutturazione (perestrojka) presto favorì un atteggiamento più realistico, efficiente e innovativo anche nel Comecon. Alla 43ª sessione dell'ottobre 1987 vennero aboliti organi inefficienti e pletorici, soprattutto molte Conferenze e Commissioni Permanenti e venne avviata l'elaborazione di un meccanismo preciso di ''integrazione economica socialista'' più strettamente connesso con lo sviluppo delle riforme. Alcuni paesi cominciarono a sperimentare l'uso di monete nazionali nei rapporti diretti tra imprese. Vennero altresì discussi il ruolo dei movimenti di capitale e l'espansione delle joint-ventures, insistendo sul nuovo ruolo dei rapporti diretti tra le imprese e sul loro diritto a fissare i prezzi dei beni scambiati. Fu infine ridefinita la politica multilaterale di assistenza ai paesi meno sviluppati del C., che dal 1978 includeva anche il Vietnam, oltre alla Mongolia e a Cuba.

Tutte queste misure trovavano un comune denominatore nell'accordo a elaborare un nuovo ''concetto collettivo della divisione internazionale socialista del lavoro'' e nel progetto di formare anche all'Est un mercato unificato, comune. Entrambi questi progetti strategici vennero approvati alla 44ª sessione, nel luglio 1988. Nel frattempo si faceva sempre più forte l'attrazione verso l'''altro'' mercato comune, la CEE, e il tentativo di non venire esclusi dall'accesso al mercato unico del 1992. È del 25 giugno 1988 la dichiarazione congiunta in cui CEE e C. stabiliscono rapporti ufficiali. Pochi mesi dopo Ungheria e Cecoslovacchia firmarono con la CEE accordi commerciali e di cooperazione. La Romania aveva già firmato un tale accordo precedentemente.

Nel corso del 1989 le tensioni fra i paesi membri del C. sono divenute via via più forti: riunioni previste per la prima metà dell'anno vennero cancellate perché i contrasti di opinione sul processo di riforma del C. erano troppo profondi. Allo stesso tempo la CEE si impegnava ad accelerare e sviluppare le relazioni con i vari paesi, cercando di favorire il loro processo di democratizzazione. La crisi politica che ha sconvolto i vari paesi nel 1989 si è associata a una profonda crisi economica: una virtuale stagnazione della produzione e degli interscambi sia all'interno del C. che con i paesi occidentali. Solo l'URSS espanse notevolmente gli scambi con l'Occidente.

Nel gennaio 1990, i ministri delle finanze dei paesi C. chiesero la graduale introduzione di valute convertibili negli scambi intra-C.; l'URSS, dal canto suo, annunciò che, dal 1991, gli scambi con i paesi del C. sarebbero avvenuti in valuta forte. Le pressioni in favore di un'ulteriore liberalizzazione sono divenute sempre più forti e vari paesi hanno chiesto esplicitamente lo scioglimento del C., mentre la CEE, di fronte al progressivo disintegrarsi del C., ha puntato a siglare accordi bilaterali con i singoli paesi.

Il 28 giugno 1991 i rappresentanti dei nove paesi membri hanno firmato il protocollo di scioglimento del C., da attuarsi entro tre mesi dalla firma.

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