COMBUSTIBILE

Enciclopedia Italiana (1931)

COMBUSTIBILE (fr. combustible; sp. combustible; ted. Brennstoff; ingl. fuel)

Giorgio Roberti

Combustibili si chiamano le sostanze capaci di bruciare all'aria, fornendo energia termica (v. combustione). Vi sono combustibili solidi, liquidi e gassosi, naturali e artificiali.

Fra i combustibili solidi naturali sono: il legno, la torba, la lignite, il litantrace, l'antracite, gli scisti bituminosi, i calcari bituminosi, il cannel coal, il boghead coal, l'ozocherite; fra i combustibili solidi artificiali: il carbone di legno, il coke, il semicoke.

Fra i combustibili liquidi naturali: il petrolio e il bitume; fra quelli artificiali: le benzine e gli olî distillati dal petrolio, dal catrame, dai calcari e dagli scisti bituminosi; gli olî vegetali, l'alcool etilico, l'alcool metilico, il petrolio artificiale, il sintolo, la sintina.

Fra i combustibili gassosi naturali: i gas naturali; fra quelli artificiali: il gas illuminante, il gas d'alto forno, il gas dei forni a coke, il gas aria, il gas acqua, il gas doppio, il gas d'olio, l'acetilene, l'ossido di carbonio, l'idrogeno.

I combustibili sopra elencati costituiscono le principali sorgenti di energia di cui dispone l'uomo: specialmente i carboni, il petrolio e i loro derivati. Ammesso che, agli effetti utili, 1,25 kilowattora equivalgano a 1 kg. di carbone oppure a 0,5 kg. di petrolio, nel 1927 il carbone aveva contribuito per il 75%, il petrolio per il 18,7%, e le forze idrauliche per il 6,3% alla produzione mondiale dell'energia.

Oltre a quelle sopra elencate, molte altre sostanze sono capaci di combinarsi con l'ossigeno dell'aria svolgendo calore, ma il loro alto costo non permette di adoperarle come combustibili se non in processi speciali e in limitata misura: così, per es., lo zolfo nei calcaroni siciliani, l'alluminio nell'alluminiotermia.

Uso dei combustibili.

Lo stato fisico dei combustibili ha un'influenza decisiva sulle condizioni del loro uso.

Combustibili gassosi. - Possono bruciare in due modi diversi: mescolandoli all'aria prima dell'accensione, o facendo avvenire la mescolanza progressivamente durante la combustione. Il primo metodo è quello usato nei bruciatori del tipo Bunsen, nei motori a gas, e nella combustione superficiale. Il secondo metodo si pratica in due modi: sia facendo arrivare un getto di gas combustibile nell'aria, sia facendo arrivare l'aria e il gas combustibile mediante tubi separati nella camera dove avviene la combustione.

Il primo modo si adopera nell'illuminazione e negl'impianti di utilizzazione domestica; il secondo si adopera industrialmente.

La combustione è tanto migliore, quanto più intimamente il combustibile è mescolato all'aria; ciò si realizza molto più facilmente con i combustibili gassosi anziché con quelli solidi o liquidi.

I vantaggi che derivano dall'uso di combustibili gassosi si possono così riassumere: 1. i combustibili possono essere prodotti in un centro conveniente e distribuiti sopra un'area considerevole in condizioni tali da assicurare in ogni punto un rifornimento di gas costante per composizione e pressione; 2. possono essere bruciati con una quantità d'aria che si avvicina assai alla quantità teorica; 3. la corrente gassosa può essere facilmente regolata a piacere in modo da assicurare l'intensità di riscaldamento necessaria con una spesa minima di mano d'opera; 4. la combustione avviene praticamente senza produzione di fumo; 5. sono particolarmente agevolati i procedimenti di ricupero di calore.

Combustibili liquidi. - Sono quelli che hanno il maggior potere calorifico riferito all'unità di volume. A parità di peso il loro potere calorifico supera quello dei combustibili solidi e a parità di energia termica un olio pesante occupa 2/3 dello spazio occupato da un combustibile solido. I combustibili liquidi possono essere adoperati nei motori endotermici o bruciati nei focolari. Nei motori endotermici essi vengono prima della combustione mescolati intimamente all'aria allo stato di vapore o allo stato di goccioline minute: questo processo si dice carburazione.

Si distingue la carburazione esterna, quando avviene nei carburatori posti all'esterno del cilindro motore, dalla carburazione interna, quando avviene nel cilindro stesso. La carburazione esterna si pratica nei motori a scoppio, adoperati generalmente nelle automobili e negli aeroplani; la carburazione interna, nei Diesel e nei semidiesel. I combustibili liquidi che vengono bruciati sotto le caldaie presentano dal punto di vista della regolazione gli stessi vantaggi che i gas, ma il loro uso presenta difficoltà speciali. I combustibili liquidi che hanno un prezzo abbastanza basso per essere bruciati nei focolari, sono i residui di petrolio e di catrame che sono costituiti da carburi molto condensati ad elevato rapporto,

i quali bruciano più difficilmente degl'idrocarburi leggieri. Perciò si adoperano camere di combustione molto voluminose nelle quali i gas soggiornano un certo tempo, oppure, nel caso di focolari poco voluminosi, si polverizza finemente il liquido combustibile in modo da avere al momento della gassificazione delle bolle di piccolo volume. Ciò esige l'uso di polverizzatori ad aria compressa o a vapore nei quali le pressioni utilizzate raggiungono circa 20 atmosfere.

I combustibili adoperati nei motori a carburazione esterna hanno proprietà diverse da quelle richieste ai combustibili per motori a carburazione interna, i quali a loro volta differiscono da quelli che vengono bruciati nei focolari. Distinguiamo quindi i combustibili liquidi in tre categorie: carburanti, olî carburanti, olî combustibili.

a) Carburanti. - Si adoperano o si possono adoperare come carburanti le benzine di petrolio e di catrame, il benzolo, l'alcool etilico e l'alcool metilico e miscele di queste sostanze. La proprietà più preziosa per un carburante è un elevato potere calorifico, anzi un elevato potere calorifico della cilindrata, in quanto determina la potenza ricavabile da un motore. Una volta si annetteva grande importanza alla densità, poiché i carburanti erano di solito benzine provenienti da uno stesso tipo di petrolio e la loro volatilità era in relazione con la densità. Ora, a causa della diversa provenienza dei carburanti, la minor densità non è indice di maggiore efficienza del prodotto; ma spesso, piuttosto, del contrario.

La volatilità d'un carburante deve essere tale da assicurare una facile messa in moto del motore; questa necessità sarà più o meno sentita a seconda del servizio che dovrà fare il motore in questione; così per un motore di automobile che viene frequentemente arrestato si dovrà adoperare un carburante di accensione più facile che non quello che si potrà usare in un motore p. es. di autobus facente un servizio continuato.

È pure importante per un carburante il non avere tendenza a dare depositi catramosi che possono portare all'ostruzione delle valvole nei motori a scoppio: pare che questa proprietà sia impartita alle benzine dagl'idrocarburi diolefinici.

L'analisi elementare d'un carburante interessa specialmente nei riguardi dello zolfo; quest'elemento è nocivo poiché con l'ossidazione dà anidride solforosa, di cui una parte anziché sfuggire per il tubo di scappamento, penetra tra i segmenti del pistone e le pareti del cilindro e finisce nel carter: a contatto con le polveri metalliche che catalizzano l'ossidazione e con l'acqua proveniente dalla combustione, forma acido solforico, che poi, insieme con il lubrificante, penetra nei cilindri ed esercita la sua azione corrosiva. Anche la presenza di acqua emulsionata è dannosa in quanto può essere causa di mancata accensione e anche di ritorni di fiamma dovuti all'impoverimento della miscela.

Un dato assai importante per considerazioni che abbiamo già svolte è il potere antidetonante. Può essere espresso come rapporto massimo di compressione che la miscela dei vapori del carburante con l'aria può tollerare senza dar luogo al battito, oppure come indice di toluolo, riferendo il potere antidetonante a quello del toluolo preso uguale a 100.

b) Olî carburanti. - Sono quelli adoperati nei motori Diesel. Sono le frazioni medie e pesanti del petrolio, del catrame e degli olî di scisto. Anche per questi è importante la determinazione del potere calorifico e delle curve di distillazione: dal primo dato risulta l'energia che se ne può ricavare e dal secondo la regolarità di funzionamento del motore.

Gli olî carburanti non devono avere un punto d'infiammabilità troppo basso, perché altrimenti dànno luogo a combustione non uniforme e spesso esplosiva; la loro viscosità non deve essere troppo elevata affinché non si verifichi che un motore non possa, nei primi momenti di marcia, consumare un olio a causa della scarsa fluidità che ne ostacola il movimento nelle piccole tubazioni. Per la determinazione del punto d'infiammabilità si adopera in Italia l'apparecchio di Martin Pensky (fig.1); per quella della viscosità il viscosimetro di Engler (fig. 2); negli Stati Uniti si adopera invece il viscosimetro Saybolt e in Inghilterra quello di Redwood.

La presenza d 'acqua nei carburanti è dannosa per le ragioni esposte. Altri dati che interessano sono il contenuto in ceneri, in carbonio libero, e in prodotti asfaltici, specie asfalto duro, che dànno per ossidazione residui solidi: queste impurezze ostruiscono le valvole; le ceneri possono anche rigare le pareti dei cilindri. Lo zolfo è meno dannoso che nei carburanti, venendo l'anidride solforosa espulsa con i prodotti della combustione.

c) Olî combustibili. - Sono le frazioni pesanti e i residui della distillazione del petrolio e del catrame. Anche per questi olî le determinazioni più importanti sono il potere calorifico, il punto d'infiammabilità, che se troppo basso potrebbe essere causa di disgrazie, e la viscosità in quanto questi olî debbono fluire attraverso i tubi con sufficiente velocità. I limiti per le ceneri e per le impurezze sono molto più ampî, essendo i danni che ne possono derivare minori che per gli altri tipi di olî considerati.

Combustibili solidi. - Si trovano in maggior copia e per lungo tempo furono i soli usati nei processi di combustione. Anche oggi, pur essendovi la tendenza a trasformarli in combustibili gassosi e liquidi, s'adoperano direttamente in quantità preponderante.

La combustione di tali prodotti può aver luogo in due modi del tutto diversi: a iniezione di carbone polverizzato; su graticola.

La combustione del carbone polverizzato consiste nell'iniettare nel forno il carbone in polvere con una corrente d'aria. I vantaggi del sistema sono: 1. la combustione completa sia di combustibili ricchi sia di combustibili poveri con la minima quantità d'aria necessaria; 2. la possibilità di bruciare tutt'una gamma di combustibili inferiori, la cui utilizzazione non si potrebbe fare per altra via; 3. la facilità di regolazione e l'elasticità di marcia simile a quella che si ha per i combustibili liquidi o gassosi. Gl'inconvenienti che hanno ritardato l'estensione dell'uso di questo processo sono: il costo della polverizzazione, il pericolo d'incidenti, e il danno che possono causare le ceneri sulle pareti del corpo riscaldato.

La combustione su graticola, che è di gran lunga la più usata, presenta parecchi inconvenienti di cui alcuni comuni a tutti i combustibili solidi, gli altri specifici per alcuni tipi soltanto. Tra i primi sono da ricordare principalmente la combustione incompleta, l'irregolarità del passaggio dell'aria e la fusibilità delle ceneri. Fra i secondi, la formazione di fumi densi e l'agglomerazione.

La combustione incompleta si verifica quando lo strato di combustibile è troppo spesso. Infatti l'aria che traversa uno strato di carbone rovente forma in un primo tempo anidride carbonica, la quale in un secondo tempo tende a scomporsi secondo la reazione studiata da Boudouard:

Mentre la formazione dell'anidride carbonica sviluppa calore, la scomposizione, che dà ossido di carbonio, è endotermica; quindi in uno strato di carbone sufficientemente spesso, la temperatura cresce dal punto in cui entra l'aria, raggiunge un massimo nella zona di combustione completa e quindi diminuisce quando comincia a formarsi ossido di carbonio. Dal punto di vista delle proprietà chimiche possiamo distinguere una zona ossidante, all'entrata dell'aria, una zona neutra, corrispondente alla combustione completa e una zona riducente dovuta all'ossido di carbonio. La formazione di questa zona è assai utile in certi apparecchi: p. es., negli alti forni; ma quando si brucia un combustibile unicamente per produrre calore, è molto dannosa per l'abbassamento di temperatura e per il fatto che il carbone nel dare ossido di carbonio, sviluppa un terzo del calore che dà nell'ossidazione completa ad anidride carbonica. Risulta quindi assai importante il determinare l'altezza dello strato di combustibile che corrisponde alla combustione completa, cioè alla zona di temperatura massima; è una grandezza che varia con la temperatura, combustibilità e pezzatura del combustibile e con la velocità dell'aria comburente. È chiaro che tanto più veloce è la combustione tanto più piccola sarà l'altezza ottima. Al di sopra di 1200° la combustione del carbone si compie con una rapidità tale da renderla indipendente dalla velocità della corrente d'aria; all'ingrosso si può dire che a questa temperatura la distanza della zona di combustione completa dalla graticola è 10 volte il diametro medio dei pezzi di coke adoperati. A temperature inferiori la corrente d'aria può invece esercitare una notevole influenza sulla posizione della zona a temperatura massima: p. es., nella fabbricazione del gas d'acqua al disotto di 1000° e con pezzi di coke di 5 cm. di diametro, si arriva ad allontanare la zona di combustione completa fino a 2 m. dall'entrata dell'aria.

Il passaggio dell'aria è più facile lungo le pareti del forno perché le angolosità dei pezzi di combustibile contribuiscono a lasciare degli spazî vuoti mentre nell'interno della massa i pezzi s'incastrano, lasciando dei passaggi più stretti; ma anche qui per cause occasionali si possono produrre dei vuoti. Dove l'aria passa più facilmente, la combustione procede più speditamente e quindi i passaggi si allargano sempre più fino a formare come dei camini. L'irregolarità del passaggio dell'aria ha come effetto d'aumentare la quantità d'aria necessaria per assicurare la combustione completa e di rendere non uniforme la distribuzione della temperatura, per cui la zona di combustione completa non si trova più su un piano orizzontale normale alla corrente d'aria. Inoltre l'aumento di temperatura lungo le pareti dei forni può nuocere al materiale refrattario.

La fusibilità delle ceneri è inconveniente comune a tutti i combustibili solidi. Le ceneri non solo diminuiscono il potere calorifico del combustibile, ma scorificano dando per raffreddamento una massa compatta che aderisce tenacemente alla graticola, ostacolando il passaggio dell'aria. Non tutte le ceneri fondono alla stessa temperatura. Essendo per lo più costituite da allumina e silice con aggiunta d'altre sostanze, quali ossido di calcio, di ferro, ecc., il punto di fusione del sistema allumina-silice varia col variare di questi componenti e diminuisce per la presenza di sostanze estranee.

Particolarmente pregiati sono i carboni le cui ceneri fondono a temperatura elevata. In taluni gassogeni invece per impedire gl'inconvenienti che derivano dalle scorie, si arriva a fondere completamente le ceneri in modo che colino via dalle graticole.

I combustibili solidi naturali, legno, torba, lignite e carbone, per riscaldamento sviluppano sostanze volatili delle quali alcune sono gassose anche a temperatura ordinaria, mentre le altre sono prodotti catramosi. Quando si brucia uno di questi combustibili, si produce la distillazione delle sostanze volatili, che è un fenomeno endotermico; l'abbassamento di temperatura, la natura dei prodotti catramosi (v. sopra, Combustibili liquidi) e l'insufficienza di aria che viene a determinarsi per l'improvviso sviluppo di questi gas, fanno sì che la combustione risulti incompleta e si ha quindi formazione di fumi densi.

La formazione di fumo è dannosa per la perdita di sostanze combustibili che ne risulta e per i danni che il fumo causa a uomini e piante.

Il male è particolarmente sentito in Inghilterra, dove si bruciano abitualmente, per il riscaldamento domestico, carboni ad alto contenuto di materie volatili. Si è determinato che la perdita di calore dovuta al fumo può in certi casi rappresentare fino al 20% del potere calorifico del combustibile usato. Le nuvole di fumo che si spandono nell'atmosfera assorbono una parte dei raggi attinici e ritardano particolarmente la crescita delle piante; depositandosi poi le particelle di nerofumo sulle foglie, ostacolano ancora più la funzione clorofilliana. Il rimedio, che si tende ad applicare in Inghilterra, consiste nel diminuire il contenuto delle materie volatili nei carboni grassi mediante la distillazione a bassa temperatura.

Un altro inconveniente che risulta dall'uso diretto di carboni grassi è dato dalla facoltà che hanno i pezzi di detto combustibile di agglomerarsi. L'agglomerazione è dovuta a certi costituente dei carboni, i quali fondono e colando vanno a permeare i pori, quindi per ulteriore riscaldamento si decompongono solidificandosi e facendo rapprendere in una massa compatta i pezzi di carbone. L'uso di combustibili di questo genere presenta parecchie difficoltà e diviene impossibile in certi casi, come per il riscaldamento dei forni a calce e degli altiforni.

Si rimedia a questo inconveniente carbonizzando i carboni grassi e adoperando il residuo solido o coke, il quale ha perduto la proprietà di fondere parzialmente essendo la trasformazione delle sostanze, cui è dovuta l'agglomerazione, irreversibile.

I saggi più usati che si eseguiscono sui combustibili solidi sono: la determinazione del potere calorifico, l'analisi immediata e l'analisi elementare. Della determinazione del potere calorifico abbiamo già parlato; con l'analisi immediata si determinano le percentuali di umidità, di ceneri, di carbonio fisso e di materie volatili; con l'analisi completa, si determina il tenore in carbonio, idrogeno, zolto e azoto direttamente, e l'ossigeno per differenza.

Oltre queste determinazioni generali, altre se ne devono fare per i diversi tipi di combustibili solidi. Così per i combustibili agglomerati è importante conoscere la quantità di pece che è servita come legante e la resistenza sia allo schiacciamento sia all'azione del calore. Per il coke, il peso specifico, la resistenza allo schiacciamento e la reagibilità. Per i carboni che devono servire alla fabbricazione del coke, è interessante stabilire il rendimento che potranno dare e la bontà del coke che se ne potrà ottenere. Per i carboni da gas, la quantità di gas e il suo potere calorifico. Per i combustibili che verranno distillati a bassa temperatura, il rendimento in catrame e la natura del semicoke.

Per avere un'idea su queste proprietà, due sono le vie che seguono gli studiosi; stabilire quale dei costituenti del carbone ha influenza sulla proprietà in esame e determinarne la quantità; o tentare di riprodurre in piccolo le condizioni a cui il carbone sarà assoggettato nella pratica.

Diamo nella tabella in calce le proprietà di alcuni esemplari tipici di combustibili.

Per quanto poi riguarda il carbone polverizzato si richiede che non debba contenere più del 2% d'acqua; che la polvere sia impalpabile.

Circa il primo requisito, si noti come i carboni americani siano più adatti di quelli inglesi per essere meno igroscopici. Circa il secondo requisito si richiede generalmente che il 95% del carbone polverizzato passi per uno staccio di 1600 maglie al cmc. e che l'85% passi allo staccio di 6400 maglie per cmc. Se consideriamo un cubo di 25 mm. di lato, la superficie sarà di 3750 mmq.; dopo polverizzazione la superficie sarà di 1 mq. Ciò spiega la rapidità della combustione in polvere.

Trasformazione dei combustibili.

I processi di trasformazione hanno come scopo di migliorare le proprietà d'un dato combustibile e di trasformarlo in un altro le cui proprietà lo rendono atto ad usi per cui non era possibile utilizzare il combustibile originario.

Combustibili solidi. - I processi di trasformazione di questi combustibili si possono dividere in due classi, a seconda che intervengano modificazioni fisiche o modificazioni chimiche.

Processi fisici. - a) Lavaggio del carbone. - Il lavaggio del carbone ha come scopo di diminuire le ceneri e quindi porta a una utilizzazione più completa del carbone che viene estratto da una miniera, a un'economia di trasporto in relazione con il suo contenuto calorifico e a una riduzione del lavoro necessario per bruciarlo convenientemente.

I processi di lavaggio si applicano alle pezzature troppo minute per essere scelte a mano. Si dividono in tre categorie: lavaggio con acqua, lavaggio per fluttuazione, lavaggio a secco.

I processi di lavaggio con acqua sono i più antichi e i più usati; consistono nel provocare mediante una corrente d'acqua, una separazione del carbone puro dalle ceneri, profittando della maggior densità di queste. Tale è, ad es., il processo Rheolaveur. I processi di lavaggio per fluttuazione si basano sullo stesso metodo usato nell'industria mineraria per separare i solfuri dalla ganga. Nel caso del carbone, le particelle galleggiano mentre le ceneri vanno a fondo. I processi di lavaggio a secco utilizzano, come nel lavaggio con acqua, la diversa densità delle sostanze che si vogliono separare, ma invece che con correnti d'acqua, la separazione si attua a mezzo di correnti d'aria. Il vantaggio di questi procedimenti è di non richiedere dopo l'operazione l'essiccamento del combustibile trattato, essiccamento che nel caso di pezzature assai fini non si può ottenere altro che per riscaldamento.

b) Agglomerazione. - L'agglomerazione dei combustibili ha per scopo di ottenere da detriti troppo piccoli per essere adoperati su graticole usuali, un combustibile compatto che si possa immagazzinare nel minor spazio possibile e sia di comodo uso. Mescolando carboni di diverse caratteristiche si può ottenere un tipo di carbone che abbia le qualità richieste dalle esigenze industriali.

L'agglomerazione dei carboni si effettua adoperando come legante la pece; invece per certi tipi di ligniti basta esercitare una pressione di circa 1500 kg. senza l'intervento di altre sostanze.

c) Polverizzazione. - L'ottenimento di combustibile polverizzato comporta un certo numero di operazioni e cioè una prima frantumazione che renda possibile un efficace essiccamento, l'essiccamento e infine la polverizzazione vera e propria. La polverizzazione si effettua con apparecchi di tre tipi: frantoi a mola, che polverizzano per azione abrasiva, mulini a palle, che utilizzano la densità, e infine frantoi a percussione.

Processi chimici. - I primi processi di trasformazione chimica dei combustibili sono i processi di carbonizzazione o distillazione di combustibili solidi. Distillando un combustibile solido, legno, torba, carbone, scisto bituminoso, ecc., si ottengono prodotti gassosi, prodotti liquidi acquosi, prodotti catramosi e infine un residuo solido. La natura e le proporzioni relative di questi prodotti variano entro limiti vastissimi, a seconda della materia prima adoperata e delle condizioni in cui si attua l'operazione.

a) Carbonizzazione del legno. - Il più antico di questi processi è la carbonizzazione del legno, cui ricorrevano gli antichi per avere un combustibile a maggior potere calorifico e che ancora oggi si pratica per la stessa ragione e per evitare le spese di trasporto di un combustibile a scarso contenuto energetico.

b) Distillazione del carbone. - La distillazione del carbone si pratica in maniere diverse a seconda dello scopo che si ha in vista. Un fattore decisivo sulla natura e relative proporzioni dei prodotti è la temperatura di distillazione. Infatti distillando un carbone noi osserviamo che lo sviluppo gassoso cresce man mano che la temperatura aumenta; la produzione di catrame invece prima cresce, passa per un massimo situato di solito intorno ai 500°, per poi diminuire. Riassumiamo i risultati ottenuti nella seguente tabella, avvertendo che le cifre servono semplicemente per fissare l'ordine di grandezza poiché i risultati esatti dipendono dalla natura del combustibile.

Praticamente si distinguono i processi di distillazione ad alta temperatura, in cui il carbone è portato rapidamente alla temperatura di 1000°, e i processi di distillazione a bassa temperatura in cui il carbone si riscalda progressivamente a 500°.

Nella distillazione ad alta temperatura, si ottengono in media 300 mc. di gas, acque ammoniacali, da cui si ricavano 10-12 kg. di solfato di ammonio, 30 a 40 kg. di catrame e 650-750 kg. di residuo detto coke.

Nella distillazione ad alta temperatura si tende alla produzione di gas illuminante ovvero a quella di coke metallurgico. Nel primo di questi processi si realizza la trasformazione d'un combustibile solido in un combustibile gassoso, di comodo impiego per usi domestici e per l'illuminazione stradale (v. gas illuminante). Nel secondo si trasformano i carboni naturali in un tipo di combustibile che non ne presenti alcuni inconvenienti, come la proprietà di agglomerarsi e la produzione di forti quantità di materie volatili (v. coke).

Nella distillazione a bassa temperatura si ottengono per tonnellata di fossile distillato in media da 100 a 150 mc. di gas ad alto potere calorifico, 70 a 120 kg. di catrame e 600-800 kg. di residuo detto semicoke; i liquidi ammoniacali sono di solito troppo diluiti per giustificare il ricupero dell'ammoniaca.

La temperatura a cui si opera è quella che corrisponde alla massima produzione di catrame, che si chiama primario per distinguerlo dal catrame ottenuto ad alta temperatura; per questa ragione e per il fatto che il catrame primario si avvicina come composizione al petrolio più che il catrame di alta temperatura, il processo di distillazione a bassa temperatura è stato da molti considerato come mezzo per ottenere succedanei del petrolio in quei paesi dove il petrolio fa difetto e sono invece abbondanti i carboni e le ligniti. Bisogna però ricordare che fra i prodotti ottenuti il residuo solito, semicoke, rappresenta l'80% in peso. Il semicoke resta sempre il prodotto principale e quindi, affinché i processi di distillazione a bassa temperatura abbiano successo dal punto di vista economico, bisogna trovargli un impiego rimunerativo.

Nei processi di distillazione a bassa temperatura si tende a ottenere un semicoke che abbia determinate proprietà, ovvero si . cerca di valorizzare combustibili inferiori. In Inghilterra si sono sviluppati i processi del primo tipo, nell'intento di produrre un combustibile particolarmente adatto per usi domestici. Nella Gran Bretagna il consumo di carbone per riscaldamento domestico è asceso in questi ultimi anni (1928-29) a 40 milioni di tonnellate. Il popolo inglese ricorre ancora ai caminetti a fuoco aperto per il riscaldamento domestico. I carboni che si trovano in Inghilterra in maggior quantità, carboni grassi, presentano l'inconveniente di dar luogo a una combustione incompleta e conseguente produzione di fumo. D'altra parte il coke non si presta ad essere bruciato su graticole aperte per le difficoltà di accensione e di combustione. La distillazione a bassa temperatura permette di ottenere, a partire dai prodotti grassi, un semicoke agglomerato il cui tenore in materie volatili è sufficiente per rendere facile l'accensione e la combustione, ma insufficiente per causare fumi.

In altri paesi si sono sviluppati invece processi del secondo tipo; così in Germania si distillano a bassa temperatura ligniti di scarso valore e si ottiene un semicoke in polvere che si può bruciare come combustibile polverizzato, o trasformare in mattonelle, e un catrame primario che si presta all'estrazione di benzine, di olî combustibili e paraffine. Nella Sarre dove il carbone è troppo grasso per dare un coke metallurgico di buona qualità, la carbonizzazione a bassa temperatura si pratica nell'intento di produrre un semicoke che mescolato al carbone grasso formi un buono materiale di partenza per ottenere il coke.

La distillazione a bassa temperatura presenta difficoltà tecniche di realizzazione, di cui la più grave deriva dalla cattiva conducibilità termica dei carboni e delle ligniti; questa proprietà negativa ha come effetto di rendere il riscaldamento lento e costoso e causa un inizio di pirogenazione del catrame, perché quando il catrame comincia a svolgersi dal centro della massa di carbone, le pareti si trovano già a una temperatura superiore. Si è cercato di rimediare a questo inconveniente trattando il combustibile in strati non troppo spessi o rimescolandolo o eseguendo il riscaldamento con gas che lambiscono tutta la massa. Distinguiamo 5 classi di forni e accanto a ciascuno indichiamo i tipi che presentano il maggior interesse.

Oltre a questi vi sono alcuni tipi speciali tra i quali ricordiamo il forno Hereng in cui il combustibile viene distillato prima di essere bruciato sotto una caldaia, e il forno italiano Bianchi-Guardabassi la cui particolarità essenziale consiste nel far passare i vapori di catrame prima dell'uscita del forno su catene di ferro che provocano il cracking e quindi l'ottenimento di prodotti liquidi leggieri.

c) Distillazione di scisti e calcari bituminosi. - Gli scisti bituminosi sono combustibili assai mediocri per il loro elevato contenuto di ceneri che supera sempre il 33%. La distillazione conduce ad ottenere, come sempre, un residuo solido, prodotti liquidi oleosi, prodotti liquidi acquosi, e dei gas. Il residuo solido contiene una piccola percentuale di materia combustibile e quindi l'unica utilizzazione consiste nella gassificazione che di solito viene operata nello stesso forno di distillazione. L'olio costituisce invece il prodotto principale, a differenza dei processi di distillazione del carbone.

La distillazione degli scisti si pratica o si è praticata su scala industriale in Scozia, in Francia (Autun), in Estonia e in Italia in misura limitata e generalmente per ottenere degli olî speciali (ittiolo). Maggiore interesse presenta per noi la distillazione delle rocce asfaltiche che si trovano in grandi quantità a Ragusa (Sicilia) e a S. Valentino (Abruzzi). Anche per questo materiale una distillazione a bassa temperatura rappresenta un processo di valorizzazione d'un combustibile per sé scadente; le rocce asfaltiche hanno però un altro impiego, quello della pavimentazione stradale che le contende agl'impianti di distillazione.

La distillazione delle rocce e scisti bituminosi presenta la stessa difficoltà che quella dei carboni e delle ligniti, a causa della debole conducibilità termica di questi materiali.

I forni sono a riscaldamento interno e a riscaldamento esterno. I forni usati in Scozia, Pumpherston, Henderson, ecc., sono a riscaldamento esterno e la produzione giornaliera è relativamente piccola, aggirandosi intorno a 4-41/2 tonn. La distillazione viene facilitata dall'iniezione di vapore che diminuisce il cracking degli olî, regolarizza la temperatura dell'interno della massa, e aumenta il rendimento d'ammoniaca. Il riscaldamento viene fatto con i gas di distillazione.

A Ragusa vengono adoperate delle camere di distillazione a riscaldamento interno (forno De Bartolomeis) capaci di trattare 50 tonn. al giorno di materiale asfaltifero. Il funzionamento è continuo, e il riscaldamento avviene per combustione d'una parte della sostanza organica; il gas all'uscita del forno è troppo diluito per essere usato e non si ricuperano i prodotti azotati che sono in quantità troppo piccola.

d) Gassificazione dei combustibili solidi. - La gassificazione consiste nel far passare acqua o vapor d'acqua su un combustibile solido (carbone, torba, coke, ecc.) rovente. Nel primo caso si ottiene il gas d'aria, miscuglio di ossido di carbonio e di azoto, a basso potere calorifico (900 - 1000 calorie); nel secondo, il gas d'acqua, miscuglio d'idrogeno e ossido di carbonio, a potere calorifico piu elevato (2300 - 2600 calorie); nei due casi non si riesce a impedire la formazione di una piccola quantità d'anidride carbonica.

La reazione che porta alla formazione del gas d'aria si può riguardare come una semicombustione del carbone, e avviene con svilupp0 di calore. Questo calore non si perde in quanto rimane come calore sensibile nel gas, se questo viene adoperato appena prodotto.

La reazione che porta alla formazione del gas d'acqua, è una riduzione dell'acqua con carbone; la reazione assorbe calore; bisogna quindi ogni tanto riscaldare il carbone, insufflando aria. Siccome durante questa operazione si forma ossido di carbonio, per non perderlo, si possono incorporare nel gas d'acqua, i gas provenienti da questa combustione, sia parzialmente (gas doppio), sia totalmente (gas triplo). Per maggiori particolari v. gas poveri.

e) Liquefazione dei combustibili solidi. - La distillazione a bassa temperatura dei carboni, ligniti, scisti e calcari bituminosi fornisce un mezzo per ottenere olî che si prestano, più o meno bene, a sostituire il petrolio. Ma nella distillazione del carbone e delle ligniti, la percentuale dei combustibili liquidi è piccola rispetto alla massa di materia che bisogna trattare. Perciò si è cercato di ottenere dal carbone una maggiore quantità di olî, con processi diversi i quali, con parola espressiva, sono stati detti di liquefazione del carbone.

Gl'idrocarburi, come in generale tutti i composti organici d'una determinata serie, aumentano di densità con l'aumentare del numero di atomi di carbonio. I primi termini sono gassosi, i termini successivi liquidi leggieri, poi si hanno liquidi man mano più densi e infine sostanze solide. I prodotti liquidi leggieri sono tra i combustibili più pregiati.

Si è cercato di produrre questi ultimi artificialmente con due metodi diversi: per pirogenazione di sostanze a peso molecolare maggiore avendo cura di arrestare la decomposizione per non giungere ai termini gassosi; oppure per sintesi a partire da sostanze gassose in cui è facile trasformare il carbonio.

Un processo del primo tipo è quello che va sotto il nome di idrogenazione del carbone. Berthelot aveva dimostrato che scaldando in un tubo chiuso un prodotto carbonioso con acido iodidrico a 275°, temperatura a cui l'acido iodidrico si scompone dando iodio e idrogeno nascente, si otteneva un peso di sostanze liquide da 12 a 15 volte maggiore che nella distillazione normale. Ipate′v aveva indicato i vantaggi che derivano nell'idrogenazione di sostanze organiche dall'uso di forti pressioni. Infine Bergius trovò che trattando il carbone con idrogeno a pressione elevata (fig. 3), una certa quantità d'idrogeno veniva fissata e si ottenevano forti rendimenti di idrocarburi liquidi.

Riportiamo nella seguente tabella la composizione d'un carbone trattato col metodo Bergius e i pesi e la natura dei prodotti ottenuti.

Comprendendo fra i combustibili i fenoli e le basi, si hanno 150 kg. di benzina non molto volatile, 25 kg. di olî lubrificanti, e 301,5 di olî combustibili contenenti 25% di prodotti fenolici.

Il processo Bergius è stato oggetto di tentativi d'applicazione industriale in Germania e di studî in altri paesi. La conclusione che se ne può trarre è che esso, per l'elevato costo e per la natura degli olî ottenuti, che sono per lo più di qualità inferiore, non è un processo economico e può rappresentare un mezzo per ottenere combustibili liquidi del carbone, solo in casi in cui il prezzo degli olî salisse a cifre molto alte.

I brevetti Bergius sono stati acquistati dalla Interessen Gemeinschaft für Farbenindustrie, e il processo, modificato, è stato avviato industrialmente a Leuna. Sembra che le modificazioni introdotte consistano nell'uso di catalizzatori e nello sdoppiamento del processo d'idrogenazione in due fasi: una prima idrogenazione verte sul combustibile solido, una seconda sul catrame risultante dalla prima trasformazione.

La materia prima adoperata è lignite che costa appena un marco la tonnellata. La produzione annua si stima in 100.000 tonnellate di olî.

I processi del secondo tipo (processi sintetici) si distinguono secondo che si parta da: 1. miscele d'ossido di carbonio e idrogeno; 2. acetilene; 3. metano; 4. etilene.

Il più interessante è il primo, perché è il solo che condurrebbe a una liquefazione integrale del carbone. Facendo reagire miscele d'ossido di carbonio e idrogeno a 150 atm. tra 400 e 450° su catalizzatori a base di ferro a cui si aggiunge un alcale, si ottiene un miscuglio complesso di liquidi organici di varia natura, idrocarburi, alcoli, aldeidi, chetoni, acidi, ecc. Fischer chiamò il miscuglio così ottenuto sintolo. Il sintolo con opportuni trattamenti tra i quali il riscaldamento in autoclave sotto pressione d'azoto si trasforma in gran parte in una miscela di idrocarburi naftenici che Fischer chiamò sintina. Operando sempre sotto pressioni dello stesso ordine, ma a temperature inferiori a 300-400° e impiegando catalizzatori selettivi, i chimici della Badische in Germania e Patart in Francia riuscirono ad ottenere esclusivamente alcool metilico.

Nel 1926 Fischer operando tra 230° e 290° con catalizzatori composti di cobalto in miscela con altri metalli come rame, manganese, ecc., riuscì a trasformare una miscela d'ossido di carbonio e idrogeno in un miscuglio d'idrocarburi, dal metano ai prodotti solidi che costituiscono le paraffine.

Di questi processi l'unico entrato nella pratica industriale è la sintesi dell'alcool metilico la cui produzione è già notevole in Germania, e che è pure avviata in Italia (Terni), Francia, Inghilterra e Statì Uniti.

Il miscuglio gassoso adoperato è per lo più gas d'acqua arricchito d'idrogeno. I catalizzatori usati sono generalmente costituiti da ossido di zinco e ossido di cromo; solo in Francia Audibert e Raineau hanno studiato i catalizzatori a base di rame, più delicati, ma più attivi. L'alcool metilico viene per ora venduto per usi chimici, ma si è studiato come carburante, e in questo senso se ne vorrebbe sviluppare l'uso.

La fabbricazione del sintolo non è conveniente per la natura complessa del prodotto stesso che si potrebbe frazionare solo a mezzo di operazioni costose; quella del petrolio artificiale, è un'operazione estremamente delicata e dà rendimenti troppo bassi in idrocarburi liquidi per essere conveniente.

Nel processo sintetico realizzato partendo dall'acetilene, questa sostanza scaldata fra 500-700° si polimerizza dando dei prodotti liquidi che contengono una certa percentuale di benzolo. Inviando l'acetilene mista a idrogeno su catalizzatori a base di nichel e di cobalto a 250° si ottengono miscugli d'idrocarburi a catena aperta.

Si è studiato a lungo per migliorare i rendimenti di queste reazioni e per ottenere l'acetilene più a buon mercato che partendo dal carburo di calcio: per es., trattando il metano dei forni a coke con scariche elettriche; ma i risultati non hanno incoraggiato le applicazioni industriali.

Nel processo sintetico in cui s'adopera il metano come materia prima, si fa passare questo gas in tubi scaldati a 950-1000° con determinate velocità di corrente; si sono ottenute piccole quantità di benzolo e dei suoi omologhi, ma i rendimenti sono assai piccoli.

Dall'etilene che si trova nei gas dei forni a coke ed in quelli provenienti dal cracking del petrolio si può ottenere alcool etilico, basandosi sulla reazione:

Il solfato acido alchilico così formato dà per idrolisi l'alcool e si genera acido solforico. Questa reazione è utilizzata industrialmente a Béthune (Francia) dove si producono 4 t. al giorno di alcool.

Diamo qui sotto (tabella VI) un quadro riassuntivo dei processi di trasformazione dei combustibili solidi.

Combustibili liquidi. - Distinguiamo i processi fisici, da quelli che comportano trasformazioni chimiche.

Processi fisici. Distillazione. - La distillazione serve a frazionare i diversi prodotti contenuti nel petrolio, catrame, olio di scisto, ecc., secondo il loro punto di ebollizione, poiché gli usi dei combustibili liquidi variano a seconda della volatilità.

Come abbiamo visto i carburanti sono più volatili degli olî carburanti e questi, alla loro volta, più degli olî combustibili.

Processi chimici. - a) Cracking. - Il rapporto tra benzine e olî pesanti consumati, non corrisponde al rapporto tra benzine e olî pesanti che si potrebbero ottenere per semplice distillazione degli olî prodotti nel mondo intero. Infatti se si dovessero produrre per distillazione i prodotti leggieri richiesti dal mercato, si avrebbe corrispondentemente una sovraproduzione di prodotti pesanti, e d'altra parte proporzionando la produzione di prodotti grezzi alla domanda di prodotti pesanti, la produzione di benzine risulterebbe insufficiente. Onde la necessità economica di trasformare gli olî pesanti in benzine.

I processi che realizzano questa trasformazione si dicono processi di cracking.

Si possono distinguere in quattro classi:

1. processi in cui l'olio sottoposto al cracking si trova allo stato liquido. Sono i più usati: ricordiamo il processo Burton, il Dubbs, di cui esistono impianti a Spezia, a Napoli e a Porto Marghera, il processo Cross, il Holmes Manley (impianto di Fiume);

2. processi : in cui l'olio sottoposto al cracking si trova allo stato gassoso: il processo Gyro, di questo tipo, si va sviluppando presentemente negli Stati Uniti;

3. processo in cui si ricorre a un catalizzatore: processo McAfee, in cui il catalizzatore usato è il cloruro di alluminio anidro;

4. processi in cui il cracking viene accompagnato da idrogenazione: processi Bergius e dell'I. G. Farbenindustrie. In ambedue si ricorre a pressioni molto elevate e nel secondo all'uso di catalizzatori. Sono forse i processi dell'avvenire.

b) Purificazione. - I prodotti che si ottengono dalla distillazione e dal cracking degli olî di varia provenienza, devono subire una purificazione più o meno intensa a seconda della natura del prodotto e dello scopo a cui devono servire. Il metodo di purificazione generale consiste in lavaggi alternati con acido solforico e soda. Per diminuire il tenore in zolfo di taluni prodotti, oltre che a questi trattamenti, si ricorre a diversi processi dei quali i più notevoli sono la distillazione o il passaggio di vapori su ossido di rame (processo Frash), la distillazione su cloruro d'alluminio, e i lavaggi con piombito sodico e con ipoclorito sodico.

c) Gassificazione. - Scaldando un olio a temperatura elevata avviene un cracking profondo per cui si ottiene un residuo solido e un gas ad alto potere calorifico. La formazione di residuo solido si può evitare gassificandolo a sua volta.

La gassificazione dell'olio è effettuata o per arricchire un gas di basso potere calorifico, o in paesi dove si ha l'olio più facilmente del carbone, o in piccoli impianti che devono produrre il gas sul posto e nei quali i vantaggi speciali che presenta la gassificazione dell'olio di fronte a quella del carbone compensa il maggior costo della materia prima.

Dal punto di vista delle reazioni chimiche si possono concepire tre tipi di processi di produzione: 1. processi di cracking puro e semplice: il gas che risulta consiste interamente d'idrogeno e idrocarburi; 2. processi di cracking in cui il calore necessario viene fornito bruciando una parte del gas: il gas è formato da idrocarburi, ossido di carbonio, idrogeno e azoto; 3. produzione di gas per azione del vapor d'acqua sui vapori d'olio: si ottengono idrocarburi, ossido di carbonio e idrogeno.

I processi moderni industriali sono del primo tipo, quali il Pintsch e il Mansfield e del secondo quali il Harol Zwicht, il Dayton e il Goldsborough. Goldsborough ha però studiato anche un processo del terzo tipo, ma il metodo non ha raggiunto lo stadio di applicazione industriale.

Dal gas d'olio per compressione si possono separare allo stato liquido gl'idrocarburi più pesanti. Questo liquido per evaporazione fornisce il gas Blau (così chiamato dal nome dell'inventore) che è usato nella carburazione dei motori a scoppio.

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