NEOLITICA, CIVILTÀ

Enciclopedia Italiana (1934)

NEOLITICA, CIVILTÀ

Ugo Antonielli

Generalità e caratteri. - La civiltà neolitica appartiene interamente ai tempi geologici attuali, e la sua diffusione abbraccia tutti i continenti; anzi in alcune parti del globo (Melanesia, Polinesia, Micronesia, ecc.) essa perdurò pura ed esclusiva fino alla conquista europea sullo scorcio del sec. XVIII.

All'età che la comprende fu dato il nome di periodo neolitico, o della pietra levigata, per distinguerla nettamente dal Paleolitico, o età della pietra scheggiata. Ma va osservato subito che la denominazione, e quindi la distinzione, semplicemente nominale, non ha valore assoluto, in quanto che l'impiego di armi e strumenti di selce scheggiata non cessò affatto con i tempi dell'Olocene, ma largamente perdurò nella prima fase di essi, continuando poi anche nelle fasi successive con l'industria metallica. Ne consegue che se la levigazione della pietra, già iniziatasi in forma limitata e in modo primitivo in qualche ambiente del Paleolitico superiore (Willendorfiano), costituisce una dote essenziale della nuova civiltà, non basta peraltro da sola a caratterizzarla in modo compiuto.

Comunemente dai paleoetnologi si riconoscono come caratteri distintivi del Neolitico, oltre all'uso delle pietre dure levigate: la fabbricazione dei vasi di terracotta, cioè la prima industria ceramica, l'allevamento del bestiame (cani, cavalli, buoi di più razze, ovini), il culto dei morti ben fissato col rito dell'inumazione e con l'accompagnamento di funebre corredo, l'uso di abitazioni fisse, non solo in caverne naturali, ma anche a livello del suolo o seminterrate (capanne straminee), o sopraelevate su pali (abitazioni lacustri o palafitte), la prima industria tessile, e, oltre all'esercizio della caccia e della pesca, giammai caduto in disuso, la coltivazione dei campi.

Secondo le vecchie idee ancora rispettate nei manuali, i materiali per lo studio di questa civiltà sono forniti dai seguenti deposit archeologici, oltre che dalle sepolture: 1. fondi di capanne; 2. stazioni all'aperto od officine; 3. grotte naturali e artificiali; 4. palafitte o stazioni lacustri; 5. monumenti megalitici.

Essenzialmente caratteristici sono i primi. S'intende dai paleoetnologi per fondo di capanna la parte dell'abitazione incavata nel suolo, generalmente in forma concoidale, dove fra il terriccio grasso e nerastro si è raccolto il materiale abbandonato dall'uomo. La prima scoperta di siffatto deposito avvenne in Italia, nella Valle della Vibrata (Teramo), per opera di Concezio Rosa nel 1871 (v. abruzzo: Preistoria). Seguirono i rinvenimenti fatti nell'Emilia da G. Chierici, cui ben presto e continuatamente altri numerosissimi se ne aggiunsero, in tutte le regioni d'Italia e in quasi tutti i paesi d'Europa. Dopo le scoperte italiane, le più fruttifere avvennero nel Belgio (Hesbaye) per opera di M. De Puydt, di Davin-Rigot, e più recentemente di J. Hamal-Nandrin e J. Servais, con la messa in luce di una speciale cultura alla quale A. Rutot ha dato, dal villaggio di Omal, il nome largamente accettato di Omalien. Per la Francia i più interessanti reperti sono quelli fatti a Champde-Chassey (Saône-et-Loire).

Le abitazioni, incavate nel terreno per qualche decimetro, erano capanne di forma circolare o ellittica, con un diametro variante da uno a quattro metri, costituite da pali infitti all'ingiro e connessi con un rivestimento di fango e di frasche o simili, sorreggenti il tetto stramineo, conico o a più spioventi. La terra estratta per formare la cavità veniva ammucchiata all'ingiro per innalzare le sponde e meglio proteggere dall'acqua il piano del fondo che, ricoperto talvolta di terra battuta o anche pavimentato di legno, conteneva il focolare. Un declivio, una specie di piccolo atrio, ovvero dei gradini, qualche volta un vero pozzo, costituivano l'accesso alla dimora seminterrata. Raramente isolate, talvolta unite a due in comunicazione fra loro, queste capanne neolitiche erano raggruppate fino a comporre veri villaggi, che per lo più sorgevano su dossi elevati e in prossimità di corsi d'acqua. Accanto alla forma circolare ed ellittica, più tipica, si è ritrovata in uso anche quella quadrata (v. capanna).

Delle stazioni all'aperto, o a fior di terra, i resti troppo scarsi non permettono ricostruzioni efficaci, ma autorizzano ad ammetterne l'esistenza. Le cosiddette "officine" consistono in depositi abbondanti di oggetti litici, sparsi o ammassati, finiti o in via di lavorazione, rinvenuti per lo più uniti ai villaggi o ad essi vicini.

Per le grotte naturali, in tutte le età usate per dimora dall'uomo, e più volte, secondo il vecchio costume paleolitico, anche per deposizioni funebri, v. caverna. Le grotticelle artificialmente scavate per uso di sepolcro costituiscono un capitolo assai importante della preistoria soprattutto mediterranea, perché in esse giustamente si scorge il principio di un' architettura funebre; ma ormai i paleoetnologi sono quasi concordi nel riconoscere che esse appartengono a tempi avanzati, e non possono risalire al di là dell'Eneolitico. Per le palafitte e per i monumenti megalitici, si rimanda alle voci particolari.

I materiali raccolti nei fondi di capanne, analoghi a quelli delle caverne e delle palafitte più antiche, permettono di ricostruire un quadro abbastanza completo della vita materiale delle popolazioni neolitiche.

La scheggiatura della selce è sempre in uso, anzi in alcuni particolari ambienti o culture è prevalente. Oltre ai nuclei e ai percussori, si contano lame, coltelli, punte di freccia, giavellotti, punteruoli, raschiatoi, strumenti denticolati come seghe, pugnali, che nell'età eneolitica diventeranno veri modelli di perfetta lavorazione con la finezza del ritocco. In alcuni gruppi culturali, quali il Campignano e le stazioni italiane dei Monti Lessini e del Gargano, argomento di discussione per l'esatta posizione cronologica, si ritrovano anche strumenti caratteristici, picchi e tranchets, analoghi a quelli dei kjökkenmöddinger (v.) danesi.

Sul finire dei tempi neolitici e soprattutto nell'età eneolitica, in grande uso sarà l'ossidiana. Ma la levigazione delle pietre piuttosto dure, tra cui spiccano le rocce verdastre (serpentino, nefrite, diorite, giadeite, cloromelanite), costituisce la grande nota dominante della nuova civiltà. Asce dalle numerose fogge, piatte e spesse, allungate e corte, dal taglio ben affilato e l'estremità appuntita o rettangolare, dal contorno triangolare, rettangolare, cilindrico, servivano come arma e come strumento di lavoro, immanicate in corna di cervo, in osso, in legno. Quanto alle asce, talora voluminose, sarebbe impossibile elencare i tipi, data la grande varietà; si contano inoltre: asce-martelli, teste di mazza forate, anelli o dischi forati d'incerta destinazione. La tecnica della levigazione ha anche per documento le coti o lisciatoi (piccoli per essere maneggevoli, o fissi), rinvenuti in gran numero.

L'osso è grandemente usato come nei tempi paleolitici e miolitici; anzi la sua lavorazione si accresce per foggiare spatole, punteruoli, pugnali, frecce, aghi. Scarsi invece o poverissimi sono gli oggetti d'ornamento, che in massima parte si riducono a semplici conchiglie forate per collane.

Un'altra nota dominante è data dalla ceramica. Nonostante si debba più giustamente scorgere la sua prima invenzione nel Paleolitico superiore, essa rappresenta la più grande conquista della civiltà neolitica. Riservandoci di parlarne ancora alla fine, si noti qui che la prima ceramica è di terra non depurata, lavorata a mano e non cotta regolarmente, dato l'uso del fuoco libero. Dalle spesse pareti, inegualmente indurite dal fuoco, essa si limita quasi alle forme più semplici o più facilmente plasmabili, quali le cilindriche e le tronco-coniche, con manichi pur semplici a ciambella o con modeste linguette di presa. Ma ben presto l'abile mano del vasaio, divenuto esperto, affinerà i prodotti e li decorerà con impressioni o con graffito.

Quanto all'agricoltura, alle copiose testimonianze fornite dalle abitazioni lacustri si aggiunse, per il grano, l'importante osservazione fatia dal naturalista danese G. Sarauw, durante gli scavi dei villaggi del Hesbaye: nelle impronte cave rimaste nell'impasto dei frammenti vascolari, egli poté riconoscere che gli abitanti neolitici del Belgio coltivavano il triticum dicoccum. Le palafitte svizzere, poi, preziosi archivî, hanno rivelato la presenza di tre specie di frumento, due di orzo, due di miglio, della segala, dell'avena, delle fave, dei piselli, delle lenticchie: in complesso, oltre un centinaio di piante. Gli uomini neolitici si nutrivano anche con ghiande di quercia, nocciole, corniole, susine, pere, mele, fragole, castagne d'acqua, semi, ecc. Il grano veniva conservato in recipienti di terracotta, e anche in veri e proprî granai.

Per l'industria tessile, il lino (una specie dalle foglie strette, e non quella attualmente coltivata) forniva la materia principale; sconosciuta era la canapa.

Il culto dei morti, regolarmente praticato, indice di una concezione spiritualistica che l'umanità paleolitica già possedeva, si esplica con una grande varietà di forme di sepoltura. Rito funebre esclusivo è l'inumazione col cadavere disteso o rannicchiato, senza che tale differenza possa legittimare ipotesi sulla differenza etnica; la deposizione è accompagnata da corredo funebre, che varia grandemente secondo i luoghi o i gruppi culturali. Le sepolture vengono generalmente distinte in: 1. grotte naturali, talvolta, come nel Paleolitico, le stesse servite per abitazione; 2. grotte artificiali; 3. fosse terragne; 4. case-sepolcri, cioè con l'inumazione fatta nel fondo della capanna, forse abbandonata; 5. dolmen; 6. casse o ciste. Ma se tale è la classificazione possibile, non si può passare sotto silenzio che i tipi 2 e 6 appartengono in realtà a tempi avanzati, all'Eneolitico; al quale anche risalgono le speciali pratiche chirurgiche e rituali (trapanazione cranica, amuleti cranici, scarnitura e colorimento delle ossa), che generalmente i trattati di preistoria considerano sotto la troppo lata dizione di Neolitico.

Così pure i segni più certi di una religiosità, manifesta per mezzo d'idoletti d'argilla e d'incisioni figurative su determinati monumenti, vanno riferiti all'età eneolitica; ma naturalmente presuppongono la formazione di concetti religiosi ben definiti nella civiltà di cui qui si tratta.

Origini e natura. - Considerata così nel suo complesso, sulla base di tali riconoscimenti, date le superiori conquiste dell'attività umana, comprovanti, insieme alle pratiche d'indole religiosa, un affinamento dell'istinto sociale, la civiltà neolitica appare realmente la base del più fecondo e progressivo incivilimento umano. Non è quindi da stupirsi se, all'inizio degli studî preistorici, il passaggio dal Paleolitico al Neolitico fosse concepito, dal punto di vista antropico, come una catastrofe.

La scomparsa quasi improvvisa della civiltà magdaleniana (v.), con le sue mirabili produzioni artistiche in scultura e pittura, aveva indotto i paleoetnologi a supporre che, col mitigarsi del clima, e quindi col cessare delle condizioni favorevoli alla vita di animali come la renna e il mammuth, anche gli uomini fatalmente fossero stati trascinati verso il nord con gli animali; o peggio si fossero estinti. Si veniva così a supporre un passaggio rapido e senza transizioni, un vero e proprio iato; a riempire il quale e per spiegare il nuovo corso della vita umana, neolitica, si faceva intervenire una potente immigrazione di genti, sciamanti secondo i più dall'Asia, secondo altri dall'Africa settentrionale. Come prove di siffatta grandiosa ondata di genti immigranti si citavano, fra l'altro, le accette di pietre verdi levigate, che si ritenevano orientali, ma i cui giacimenti naturali vennero poi riscontrati in più parti d'Europa, e la presenza in alcuni strati neolitici (es., capanne dell'Emilia, caverne liguri, ecc.) di conchiglie perlifere, proprie dei mari d'Oriente, la cui presenza però il solo fenomeno commerciale basta a spiegare. E di fronte alle orde invadenti, le tribù paleolitiche, se non sospinte a emigrare con gli animali prediletti dalle mutate condizioni ambientali, si sarebbero ritirate verso settentrione, mentre altre più meridionali sarebbero state respinte verso il centro dell'Africa.

Alcuni studiosi vollero perfino scorgere negl'Iperborei attuali, esercitanti l'arte glittica e una primitiva scultura in osso, gli eredi dei magdaleniani cacciatori della renna; ma le analogie, non mai profonde, fra l'arte naturalistica degl'Iperborei europei, comune inoltre a tutte le tribù viventi nelle regioni artiche d'Europa, d'Asia e d'America, si spiegano più logicamente con l'uguaglianza culturale, cioè delle condizioni di vita materiale.

Ma il progresso degli studî e la scoperta di sicuri strati archeologici di transizione, soprattutto per merito della scuola francese, chiarirono ben presto questo punto oscuro e tanto discusso della preistoria europea, togliendo ogni credito all'ipotesi della inverosimile migrazione. Riempiendo lo iato si venne anche a stabilire una perfetta armonia fra i risultati archeologici o di scavo, cioè fra la vicenda umana, e gli avvenimenti naturali.

La trasformazione del clima e dell'ambiente fisico, tra Paleolitico e Neolitico, non fu fenomeno rapido, né tanto meno catastrofico: senza contare la notevole differenza che alla fine del Pleistocene esisteva tra l'Europa continentale e la mediterranea. Al freddo secco si sostituì lentamente, quasi insensibilmente, una temperatura più mite, che causò per naturale conseguenza una ancor lenta trasformazione nella flora e nella fauna. Vaste torbiere si formarono nelle vallate, mentre le montagne si coprivano di conifere. La successione delle vegetazioni arboree, caratteristiche dei periodi successivi, fu studiata specialmente dai naturalisti scandinavi nello Jütland, nelle isole danesi, e nella Germania settentrionale, dove le numerose torbaie formatesi nelle depressioni prodotte dai fenomeni glaciali, rivelarono un'istruttiva stratificazione con la successiva sostituzione del pino silvestre (età della pietra), del rovere (età del bronzo), del faggio (1ª età del ferro). Si costituì così una base sicura di riferimento per la valutazione dei reperti archeologici. I grandi mammiferi dell'era quaternaria, durante il lungo periodo di trasformazione, emigrarono o si estinsero; qualche specie è ritenuta quasi la diretta discendente delle pleistoceniche, come il bove dalle grandi corna che discenderebbe dal "primigenio"; l'animale più ricercato dall'avidità umana, la renna, trovò larga sostituzione nei numerosi cervi, e nei caprioli e cinghiali.

È quindi assurdo ritenere che l'uomo, il più adattabile degli esseri creati, non abbia resistito alle nuove condizioni ambientali, in realtà più favorevoli che in passato. Archeologicamente, ripetiamo, non c'è più discussione, dopo la scoperta degli strati aziliano-tardenoisiani e affini, che costituiscono la fase più propriamente finale del Paleolitico, e ai quali succedono le industrie asturiana, maglemosiana o di Ertebölle, dei kjökkenmöddinger, campignana, e affini, nelle quali giustamente si riconosce l'aurora del Neolitico.

Queste civiltà di transizione, in cui si nota chiaramente la derivazione dal Paleolitico superiore, presentano anche qualche fatto nuovo, che in certo modo le congiunge al Neolitico vero e proprio: per esse si vedano le voci particolari (asturiana, civiltà; aziliana, civiltà; campignana, civiltà; kjökkenmöddinger; ecc.).

Queste culture di transizione, che sono state studiate e raggruppate dai paleoetnoiogi con qualche lieve diversità di vedute, costituiscono il cosiddetto Mesolitico, da altri chiamato Epipaleolitico: un lungo stadio di transizione, che la scuola italiana, unendovi anche le culture degli albori neolitici, preferisce chiamare Miolitico (v. miolitica, civiltà), senza pericolo di cadere in equivoci facilmente generabili usando altre generiche definizioni, quali protoneolitico o preneolitico.

In sostanza, nelle culture di transizione sopra ricordate possiamo scorgere in germe o già notevolmente sviluppati alcuni aspetti che in passato si ritenevano peculiari della civiltà neolitica: in primo luogo il culto dei morti, che ha già le sue prime attestazioni nel Paleolitico moustériano, e che appare ritualmente praticato con l'inumazione nel Miolitico (v. inumazione e incinerazione). Per la levigazione delle pietre è stato detto: nei depositi willendorfiani della Bassa Austria si raccolsero le prime accette verdi polite; anche per l'abitazione in capanne seminterrate le prime tracce si scorgono nel Miolitico, nel Solutréano francese, e rappresentazioni, interpretate non ingiustamente per capanne, si trovano nelle incisioni parietali di caverne franco-cantabriche (es., Font-de-Gaume a Les Eyzies: Périgord). I cosiddetti fondi di capanna sono poi d'uso normale nel Campignano. Per la ceramica, nonostante taluni pareri discordi, sono indubbie le prove di un'iniziale attività fittile raccolte nel Magdaleniano francese, nel Belgio, e nella caverna di Equi in Lunigiana.

Più oscure invece rimangono le questioni relative alla coltivazione delle piante e all'addomesticamento degli animali: per la prima sussiste l'incertezza derivante dal fatto che i dati per lo studio sono forniti dalle abitazioni lacustri, rappresentanti uno stadio culturale già progredito, se non anche stratigraficamente malsicure; per la seconda questione mancano assolutamente appoggi, a meno che non si voglia dar valore a vaghe probabilità fondate su certi segni dell'arte magdaleniana, e solo può affermarsi che il cane fu compagno certamente dell'uomo nelle culture nordiche, maglemosiane e dei kjökkenmöddinger, all'alba dei tempi attuali.

In ogni modo, anche se dobbiamo riconoscere latenti o già sviluppati nel Miolitico parecchi degli elementi che prima si ritenevano essenzialmente caratteristici della civiltà neolitica, non per questo essa, guardata nel suo complesso e nel suo sviluppo, viene a mancare di caratteri distintivi.

In fatto di arte il divario dal Paleolitico superiore è immenso. La genialità fresca e vivace, con quella sorprendente espressione naturalistica dell'arte aurigno-magdaleniana, cessa, per dar posto, e tardi, a manifestazioni puramente decorative legate all'industria. Né per tale scomparsa, per cui sembrò possibile applicare all'arte paleolitica il detto ovidiano: "... prolem sine matre creatam, mater sine prole defuncta...", bisogna ridursi a supporre catastrofi umane; nell'arte magdaleniana stessa, specie nelle ultime fasi, si notano già i segni di un mutamento nello stile e nello spirito informatore, quei segni che volgarmente si dicono di decadenza. Tendenza alla schematizzazione delle figure, stilizzazioni geometrizzanti, con la perdita dell'espressione realistica prima imperante, sono i fondamentali caratteri dell'ultima arte miolitica. Cambia dunque la mentalità artistica, in una col mutare delle condizioni di vita: umanissimo fenomeno che potrebbe paragonarsi a quello verificatosi nel mondo egeo-mediterraneo sul declinare e con la fine della civiltà cretese-micenea.

Ma la civiltà neolitica, come oggi si può meglio individuare, in seguito alle scoperte degli strati di transizione dal Paleolitico e all'esatta valutazione dell'Eneolitico, si presenta sempre problematica non solo riguardo alla sua origine, ma anche nella sua entità, o meglio nella sua estensione nel tempo e nello spazio, specie se si concepisca come una vera unità culturale. Le civiltà paleolitiche e miolitiche hanno una posizione stratigrafica sicura, o abbastanza certa talvolta; non altrettanto può dirsi della civiltà neolitica.

I vecchi trattati di preistoria, ancora seguiti dai più, ne tracciavano un quadro completo, in base allo studio dei fondi di capanna, dei villaggi e stazioni all'aperto, delle caverne naturali abitate e di quelle artificiali funerarie, delle abitazioni lacustri su pālafitte, infine dei monumenti megalitici. Ma, a dire il vero, lo studio si è basato in massima parte su strati appartenenti alla fine dell'età della pietra, quando il metallo viene primamente impiegato, cioè all'età eneolitica; e quindi il quadro tracciato rispecchia una fase di progresso, un periodo avanzato. Oggi, nello studiare il puro Neolitico, non si potrebbero più comprendere stazioni come quella bosniaca di Butmir, o come le caverne sepolcrali del Petit-Morin nella Valle della Marna, né il complesso delle abitazioni lacustri, e tanto meno i monumenti megalitici (v. megaliti). Può ritenersi, in generale, per tutta l'Europa ciò che è stato detto per l'Italia (v. italia: Preistoria), e cioè che gli strati neolitici puri sono pochi o sfuggono alla nostra indagine, data la sovrapposizione immediata dei successivi eneolitici, testimoni per lo più di un unico sviluppo culturale.

Ben lungi, quindi, dal comporre un'unità, la civiltà neolitica presenta un'imbarazzante varietà di aspetti, non solo se considerata complessivamente, ma anche nell'ambito di uno stesso paese. Varietà che si spiega già con le differenziazioni notevoli sorte in seno alla civiltà miolitica stessa, da cui in parte la neolitica procede, e più con le naturali cause d'ambiente favorevoli a sviluppi particolari, non esclusa anche, talvolta, la diversità etnica. Ma, come non sarebbe dimostrabile un semplice e graduale evolversi della civiltà paleolitica, attraverso gli strati di transizione, nella neolitica; così, nonostante il ripudio della vecchia ipotesi catastrofica, non potrebbe negarsi che qualche corrente etnica nuova, proveniente dalla "vagina gentium", l'Asia, o fors'anche dall'Africa, sia penetrata nel continente europeo durante il lungo assestamento climatico e ambientale. In realtà, spostamenti più sensibili di umane famiglie sono più ammissibili nei tempi in cui gli scambî e le relazioni commerciali dovettero farsi più vivi, cioè dopo la scoperta del metallo e con l'impiego di esso.

Partizione. - Le varie suddivisioni proposte per il Neolitico confermano la sua problematica valutazione. La scuola paleoetnologica scandinava (v. archeologia: L'archeologia preistorica), cui spetta il primato della classificazione tratta da abbondanti ritrovamenti e da un attento metodico esame, vi riconobbe con J. A. Worsaae due grandi fasi, l'una antica, l'altra recente.

O. Montelius concepì una suddivisione più complessa, in quattro periodi, esclusa la cultura dei kjökkenmöddinger, da lui fatta rientrare nel Paleolitico:

1° periodo: caratterizzato da asce scheggiate, e anche da asce levigate di forma triangolare e la cui sezione presenta due estremità ogivali; privo di sepolture in dolmen, anzi senza tombe rintracciate, ché queste forse erano scavate semplicemente nel terreno;

2° periodo: asce levigate di forma tendente alla rettangolare, con margini squadrati; sepolture in dolmen semplici;

3° periodo: asce voluminose e con margini ben squadrati; coltelli di selce scheggiata tipici dell'industria nordica; sepolture in dolmen sviluppati, allungati (allées couvertes);

4° periodo: asce-martelli perforate e bellissimi coltelli con manico, di selce, e dalla lama larga; sepolture in ciste o casse di pietra.

A parte la considerazione dell'insufficienza che tutte le classificazioni del Montelius comportano, perché fondate sostanzialmente sulla tipologia degli oggetti, ben s'intende che in ogni modo queste suddivisioni possono valere per i soli paesi nordici, dove le età preistoriche si attardano rispetto al Bacino Mediterraneo, e anche di fronte alla stessa Europa occidentale.

G. De Mortillet nel suo famoso sistema comprese dapprima tutto il Neolitico sotto la generica denominazione di Robenhausien, dal nome della palafitta svizzera scoperta sul lago di Pfäffikon: denominazione troppo lata e abbracciante relitti di culture successive. Solo in seguito (2ª ediz. del suo Musée Préhistorique, 1903) divideva l'età della pietra polita in due sezioni (époques), la tardenoisienne, ora dai più considerata meglio di transizione, e la robenhausienne, mantenendo per questa il disagio accennato.

Senza citare altre suddivisioni, o illogiche come quella di Ph. Salmon, che univa strati di natura troppo diversa, o complicate e particolariste, come quella del belga A. Rutot, ricorderemo quelle proposte dai paleoetnologi tedeschi, basate sullo studio dell'evoluzione della ceramica. Per opera prima di A. Götze, poi di K. Schumacher, infine di P. Reinecke, si riconobbero quattro tipi di ceramica, caratteristici almeno per i paesi germanici del sud-ovest (Pfahlbaukeramik, o ceramica delle palafitte, o del tipo di Michelsberg; Schnurkerarnik, o ceramica a cordicella; Glockenbecher, o ceramica del bicchiere a campana; Bandkeramik, o ceramica con decorazione a nastro, rubanée dei Francesi). Ma poiché, tolto il primo, gli altri tipi coincidono con l'apparizione del rame e con lo sviluppo della prima metallurgia, è chiaro che il sistema non si può prendere in considerazione.

Maggior valore assumono le classificazioni adottate dai paleoetnologi svizzeri, perché lo studio delle palafitte, nonostante qualche particolare d'incertezza, ha realmente dimostrato l'esistenza di una cultura schiettamente neolitica, separata in modo netto da quella del bronzo. Dapprima V. Gross, e poi meglio J. Heierli suddivise la civiltà lacustre svizzera in tre periodi (primitivo o iniziale; medio; recente), l'ultimo dei quali appartiene totalmente all'età eneolitica, e però qui non lo consideriamo, mentre gli altri così si distinguono:

1° periodo: tipicamente rappresentato dalla stazione di Chavannes sul lago di Bienne; con asce di piccole dimensioni e di rocce locali, ascemartelli, oggetti d'osso e di corno lavorati senza finezza; mancanza assoluta di decorazione anche sulla ceramica, prima apparizione di lavori tessili; prevalenza di resti di animali selvatici sui domestici; scarsa densità di popolazione;

2° periodo: tipicamente rappresentato dalla stazione di Moosseedorf; con abbondanza di asce di pietre verdi finemente levigate e perforate anche per l'immanicatura; maggiore finezza di lavorazione in tutti gli strumenti; resti di animali domestici in pari numero a quelli selvatici; popolazione più densa, con prevalenza di brachicefali.

Un'altra classificazione proposta da Th. Ischer, meglio fondata, contava cinque gruppi o periodi, di cui appena i primi tre appartengono al vero Neolitico (tipo di Burgäsch, di Egolzwil, di Gerolfingen).

Studî più recenti e fruttiferi hanno dimostrato come le suddivisioni del Gross e del Heierli si fondassero su osservazioni superficiali o incomplete.

In base a dati stratigrafici numerosi e più sicuri ottenuti con metodiche esplorazioni delle palafitte di Auvernier, Treytel, Port-Conty, ecc., P. Vouga ha potuto constatare l'esistenza di quattro strati archeologici nettamente distinti, che gli hanno permesso di suddividere tutto il Neolitico lacustre in due grandi periodi:

antico: costituito da un unico strato poggiante direttamente sulla ghiaia lacustre, e quindi rivelante lo stanziamento di abitazioni a una certa distanza dalla riva originaria;

recente: composto di tre strati appartenenti a una sola stazione, per tre volte distrutta e poi ricostruita, e che solo nell'ultima fase coincide con l'apparizione del rame.

Mentre il primo strato di questo periodo recente (Neolitico medio) è separato dai successivi da un letto di sabbia, gli altri due (Neolitico recente ed Eneolitico) si succedono senza alcuna interruzione.

Il Neolitico antico si distingue, fra l'altro, per una ceramica superiore a quella recente, perché ben cotta e dalle pareti sottili; esso nel complesso si mostra come il prodotto di genti già progredite, in possesso di animali domestici, escluso il cavallo, e di piante coltivate, la cui origine non può che supporsi straniera, benché non sia possibile indicarne la provenienza. Una catastrofe, forse l'innalzamento del livello lacustre, distrusse queste stazioni antiche, che sono separate dalle altre più recenti da strati di fango e sabbie sterili spessi mezzo metro e più, indicanti un lungo periodo di abbandono del luogo. Anche la scelta degli oggetti tipici per la distinzione degli strati e per la comparazione è fatta dal Vouga con criterio più efficace, e non limitatamente al solo aspetto formale, ma dando valore a particolarità sostanziali, con l'aggiunta di altri elementi prima trascurati, quali i minuti oggetti del modesto abbigliamento. L'importanza di tale ultima classificazione è veramente capitale, se si tiene conto che un identico aspetto culturale viene riconosciuto nelle stazioni di terraferma.

O. Menghin, non più basandosi sulla tipologia e su altri elementi formalisti, ma interpretando intimamente le varie facies culturali, e applicando alla paleoetnologia la moderna concezione "storica" della scuola etnologica di Saint-Gabriel-Mödling capeggiata da W. Schmidt (v. culturali, cicli), ha distinto nell'età neolitica mondiale due grandi fasi: protoneolitica e mixoneolitica.

Alla prima egli ascrive le culture "derivate medie", cioè le agricole recenti e anche pastorali, direttamente dipendenti dalle "antiche", totemistiche, del Miolitico e già in possesso di una rudimentale agricoltura e del primo allevamento del bestiame; alla seconda le culture "derivate recenti", rurali, urbane, delle steppe.

Tipiche per la fase protoneolitica sono:1. le culture europee attorno al Mediterraneo, fabbricanti le asce levigate cilindriche e allevanti il maiale; 2. le culture earatterizzate dalla ceramica impressa con motivi tratti dalle stuoie, dell'Asia orientale; 3. le culture con l'allevamento di bestiame cornuto (Anan I, nella Transcaspia); 4. le culture degli allevatori di cavalli tra l'Asia centrale e il deserto di Gobi.

Tipiche per la fase mixoneolitica sono: 1. le culture rurali del Tauro, Nilo, Meditenaneo orientale, Siria, Africa meridionale, Bacino Danubiano, Europa occidentale e nordica; 2. le culture urbane dell'Asia centrale, Tauro, Mesopotamia, Nilo, India, Mediterraneo orientale, Siria; 3. le culture delle steppe attorno al Mar Nero e al Lago d'Aral, della Siria, Arabia, Africa oiientale.

Valore complessivo. - La molteplicità di aspetti della civiltà neolitica, la sua ineguale durata nelle diverse regioni, la sovrapposizione degli strati eneolitici, più numerosi, che rendono difficile lo studio delle fasi iniziali, sono la causa prima per cui i varî tentativi di classificazione non hanno raggiunto finora risultati definitivi.

La tipologia degli oggetti più caratteristici, quali le asce levigate, pur se rende possibile una distinzione fra tipi più antichi e tipi più recenti, non può assolutamente servire di base sicura. Gli studî del Vouga, ad es., hanno dimostrato che nelle palafitte svizzere tutti i tipi di asce s'incontrano fin dagl'inizî; ma se ciò è ammissibile per la Svizzera, dove, come è stato detto, la civiltà lacustre appare già progredita nella sua prima fase, tanto da legittimare la supposizione di un'origine straniera, non egualmente potrebbe ripetersi per tutti i paesi.

Anche lo studio della ceramica non fornisce dati di certezza. Benché, come si è detto, si debbano riconoscere i primi tentativi dell'arte del figulo nel Paleolitico superiore, non si può negare che la ceramica costituisce realmente la più grande conquista della civiltà neolitica.

Si è visto come la scuola paleoetnologica tedesca abbia cercato di fondarsi sui varî tipi di stoviglia per stabilire una classificazione; si aggiunga che M. Hoernes ancor più rigidamente compose un quadro cronologico dei cocci neolitici suddividendoli in quattro tipi (ceramica a spirali e meandri, o a zone, il più antico; ceramica "punzonata" o delle palafitte; ceramica a cordicella; vasi caliciformi o a campana). Ma la ceramica non può assumersi come "fossile indicatore", perché nell'oscurità rimangono sia l'origine dei varî tipi d'ornamentazione, sia il loro tempo, sia le vie della loro propagazione. In generale, nel vero Neolitico, si nota la coesistenza di due tipi fondamentali di stoviglia, fabbricata sempre senza l'uso del tornio: l'uno grossolano, d'impasto non depurato e per lo più malcotto e dalle spesse pareti; l'altro più progredito, di terra più fine e meglio cotta, con pareti anche sottili e con ornamenti incisi o scalfiti. Esclusi i vasi caliciformi, detti anche campaniformi o bicchieri a campana, i quali si accompagnano con le prime armi di rame, ed esclusi i primi prodotti di ceramica cromica sicuramente eneolitici (v. eneolitica, civiltà), i sistemi d'ornamentazione si riducono a due fondamentali, da cui risultano: la ceramica a cordicella (Schnurkeramik) e quella a nastro o a zone (Bandkeramik). La prima è decorata per impressione avanti la cottura, per mezzo di cordicelle a linee orizzontali; la seconda per incisione o graffito e con varî motivi, triangoli, rombi, ondulazioni, spirali, ecc., disposti in serie continuata, cioè in fasce avvolgenti il corpo del vaso, talora interrotte da riquadri, anch'essi ornati di punti o linee variamente disposti.

Quale dei due sistemi è il più antico? La domanda fu posta, e taluno, come il Reinecke, riteneva che la ceramica a zone fosse il prodotto più recente, data la presenza dei motivi spiraliformi. Ma non si conosce ancora il vero centro originario di questa Bandkeramik, per la quale il Hoernes per primo additò, quale "patria primitiva il bacino danubiano; rispetto alla sua posizione cronologica gli studî ulteriori hanno messo in chiato che essa invece precede gli altri tipi: qualche paleoetnologo anzi la considera la base degli altri sviluppi ornamentali. Dalla valle del Danubio essa sarebbe penetrata nei paesi europei del centro e del nord-ovest, diventando ad esempio nel Belgio caratteristica dell'Omalien; ma, mentre nei paesi più lontani dal suo centro originario essa scompare, come nel Belgio, con il cessare della particolare cultura con cui si accompagna, per essere sostituita da un altro tipo, in certe contrade più prossime alla sua patria primitiva, quali l'Ungheria, la Boemia, la Polonia ecc., essa continuerà a svilupparsi per suo conto per tutta l'età del bronzo (v. danubiane, civiltà).

Benché sia accettabile l'idea corrente che nella diffusione della ceramica a zone si debbano scorgere le prove di una corrente etnica migratoria nell'Europa nord-occidentale, oggi peraltro non possono più assolutamente accettarsi le vecchie ipotesi della scuola tedesca, secondo cui l'esistenza e l'espansione dei diversi tipi ceramici erano strettamente legate a movimenti etnici. Anche se un popolo migrando trasporta la sua ceramica come dote precipua, ciò non vuol dire che poi, lungi dal luogo originario e sotto l'influsso di nuove circostanze ambientali e storiche, quella dote non perda le sue qualità caratteristiche, cioè non si trasformi allontanandosi dal tipo primigenio. Inoltre, la ceramica non sembra sottostare alle più rigide leggi che regolano, ad esempio, la litotecnica, quasi obbligata a mutare con le trasformazioni della civiltà: i suoi diversi aspetti possono indicare fenomeni regionali, evoluzioni stilistiche particolari nell'ambito perfino di uno stesso gruppo culturale. In conclusione, diversità e analogie, in fatto di ceramica, costituiscono assai deboli basi, per non dire fallaci, all'impostazione in via comparativa di un quadro classificatore generalizzante.

Concludendo, data l'enorme varietà di aspetti che la civiltà neolitica presenta, data la sua durata ineguale nelle varie parti del mondo, perfino in uno stesso paese, date le indubbie relazioni di dipendenza che essa ha con le ultime culture del Quaternario, pur se dette relazioni debbano intendersi senza esagerazione, tutto esclude l'idea di una sola potente immigrazione di genti produttrici. Neppure i dati antropologici, tratti dalla differenza e dalla proporzione fra dolicomorfi e brachimorfi, sono sufficienti, a causa della varietà dei tipi, per una classificazione di razze determinate.

Recentemente si è voluto scorgere nel Campignano una prima ondata di genti neolitiche diffusasi lungo le coste marine, soprattutto le nordiche, ben distinguibile per l'uso di strumenti silicei scheggiati; si è quindi cercato di stabilire due tipi fondamentali di civiltà neolitica: l'una scheggiante la selce, l'altra levigante la pietra. Queste due diverse correnti, in Europa, si sarebbero incontrate variamente, secondo i luoghi e il tempo, con reciproci influssi.

Ma, ogni determinazione resta incerta, come inutili furono gli sforzi per valutare esattamente la probabile durata, fra 4000 e 2000 anni a. C., dell'età, e quindi della civiltà neolitica: la quale, variatissima e multiforme, sostanzialmente dinamica per le alte conquiste raggiunte, è fondamento primo dell'ulteriore progresso sotto tutti gli aspetti.

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