CINA

Enciclopedia Italiana - IX Appendice (2015)

CINA.

Michele Castelnovi
Giuseppe Smargiassi
Guido Samarani
Anna Irene Del Monaco
Nicoletta Pesaro
Simone Emiliani

– Demografia e geografia economica. Demografia. Il territorio. La ‘sinosfera’: la Cina al centro dell’ecumene. Rivendicazioni territoriali della Repubblica Popolare Cinese. La questione del Mar Giallo Meridionale. La diga delle Tre gole. Beijing consensus. Politica economica e finanziaria. Il nuovo ruolo della Cina nell’economia mondiale. La Cina alla ricerca di un nuovo modello di sviluppo. Storia. Stabilità, sviluppo, armonia (2005-10). Tra passato e futuro: il ‘sogno cinese’. Bibliografia. Architettura. Bibliografia. Letteratura. Bibliografia. Cinema. Bibliografia

Cina

Demografia e geografia economica di Michele Castelnovi. – Stato dell’Asia centro-orientale. Terzo Paese per estensione, con 9.562.911 km2, e primo per popolazione, con 1.393.783.836 ab., secondo una stima UNDESA (United Nations Department ofEconomic and Social Affairs) del 2014, la C. ha visto sancito il suo nuovo ruolo, come protagonista in ambito diplomatico ma soprattutto economico, anche agli occhi dell’opinione pubblica mondiale grazie alle Olimpiadi di Pechino del 2008.

Demografia. – La demografia propone immediatamente alcuni problemi. La normativa riguardo la ‘politica del figlio unico’, introdotta nel 1979 e parzialmente abolita nel 2013, ha contratto in maniera drastica le giovani generazioni, che – prive della consueta rete di fratelli e cugini – vivono questa insolita condizione come problema sociale: sia nell’educazione dei cosiddetti piccoli imperatori, sia per le ricadute su genitori e nonni, che per la penuria di figli e nipoti vedono ridurre le risorse per le cure parentali (il cosiddetto fenomeno 4-2-1), con il timore che un’eventuale morte prematura dell’unico discendente li privi di ogni sostegno. Per contrastare tale fenomeno, la riforma del 2013 ha consentito anche alle coppie composte da figli unici di procreare due volte senza sanzioni.

Indicatori economico-sociali

La maggioranza maschile ha indotto alcuni studiosi a considerare problematica la gestione dei matrimoni, rendendo possibile anche l’immigrazione femminile da Stati limitrofi. D’altro canto, è possibile che negli anni alcune famiglie abbiano deciso di non registrare all’anagrafe figli successivi al primo, inficiando la credibilità delle statistiche ufficiali. La popolazione della C. è cresciuta negli ultimi dieci anni con un tasso medio dello 0,56%, nonostante la politica del figlio unico, la quale, però, non si applicava ai membri di una qualsiasi delle 55 minoranze etniche ufficialmente riconosciute. Alcune di queste etnie minori (tra cui i Dongxiang, i Qiang e gli Uiguri o Uyghur) sono aumentate del 30% e anche del 40% tra il 1990 e il 2010, sia per le maggiori nascite, sia perché molti individui hanno effettuato ricerche genealogiche per farsi riconoscere l’appartenenza a una minoranza e godere dei vantaggi conseguenti. Gli Hui, di religione islamica, sono aumentati del 18%, superando i mancesi come terza etnia, dopo Han e Zhuang. Le uniche minoranze in netto calo sono quelle che emigrano per ricongiungersi all’etnia di appartenenza nelle Repubbliche ex sovietiche: per es., gli uzbechi e i tatari, che registrano in venti anni cali superiori al 20%, nonostante le nascite e l’allungamento della vita media.

La distribuzione della popolazione sul territorio presenta forti disomogeneità, non soltanto per il divario tra città e campagna. La densità è altissima nella cosiddetta C. propria, che corrisponde alle quindici province dell’epoca Ming (di cui la prima rappresentazione cartografica fu resa disponibile agli europei nel 1655 dall’italiano Martino Martini con un grande atlante in latino). Invece, gli ampi territori periferici, come la Mongolia Interna a Nord, il Quinghai montano, la Regione autonoma dello Xizang (un tempo nota come Tibet) o la Regione autonoma uigura dello Xinjiang (già Turkestan Orientale) presentano ancora larghi margini di sviluppo, anche se si discute se la massiccia immigrazione interna costituisca una minaccia per l’identità delle minoranze etniche già presenti in loco.

Il territorio. – Negli ultimi vent’anni, il territorio cinese è aumentato sotto più punti di vista: con i ricongiungimenti di Macao e Hong Kong, con la colonizzazione di aree che in precedenza erano disabitate, e con la costruzione di gran di interventi antropici. Fin dalla più remota antichità, la civiltà cinese si è sempre distinta per l’altissimo grado di antropizzazione del paesaggio, con opere come il Grande Canale o la Grande Muraglia. La C. odierna ha mostrato nell’ultimo decennio di poter intervenire in maniera intensiva sul territorio, anche con la costruzione di nuovi centri urbani, utilizzati in particolare per incentivare l’emigrazione interna in modo da mescolare le etnie e – con una sapiente gestione che i critici potrebbero sospettare non scevra da gerrymandering (una strategia mirata che utilizza l’aumento di popolazione proveniente dalla Cina continentale, spesso di etnia Han, come strumento per ottenere la maggioranza dei voti in singole circoscrizioni o perfino nell’intero territorio) – popolare le Regioni autonome con masse di coloni Han più vicini a Pechino rispetto agli autoctoni in Tibet, Xinjiang, Hong Kong. Anche nell’11° Piano quinquennale si parla di enormi nuove città, progettate per ospitare mezzo milione di persone ciascuna. Ci sono anche casi di città già grandi che ampliano la propria popolazione in maniera repentina, come la città di Chengdu, capoluogo della Provincia di Sichuan, aumentata da 10.392.531 ab. nel 2000 a 14.047.625 nel 2010 (oltre il 35%). Altre aree interessate da una fortissima crescita sono le quattro municipalità: Beijing, Shanghai, Tianjin e Chongqing.

La ‘sinosfera’: la Cina al centro dell’ecumene. – Negli anni più recenti, il pensiero geopolitico cinese è stato caratterizzato dalla riscoperta della tradizione dei secoli precedenti, con la riproposizione del ruolo egemone della C. all’interno di una visione dell’ecumene come Tianxia, ossia «tutto-sotto-il-cielo». Secondo la tradizione, infatti, la civiltà mondiale avrebbe un suo centro (in C.), circondato da popoli che ne condividono la tradizione anche senza far parte del territorio cinese (l’attuale ‘sinosfera’), a loro volta circondati da cornici concentriche di popoli sempre meno civilizzati, avidi e arroganti. Per i diplomatici pechinesi, quest’ultima definizione sembra particolarmente adatta per riassumere il comportamento tenuto dalle potenze europee durante i secoli dell’imperialismo coloniale, soprattutto quando, come ambasciatori politici o economici, si sono rivolte ai popoli del Terzo Mondo. In questo modo, infatti, essi possono presentare la C. come vittima anch’essa del-l’avidità occidentale, unica potenza che – secondo quella particolare ricostruzione storiografica – non avrebbe mai invaso territori d’oltremare, come dimostrerebbe, tra l’altro, l’esperienza (descritta come assolutamente irenica) della ‘flotta d’oro’ guidata dall’ammiraglio Zheng He tra il 1421 e il 1436.

Rivendicazioni territoriali della Repubblica Popolare Cinese. – Il tema dell’espansione territoriale della Repubblica Popolare Cinese consente di affrontare la questione delle rivendicazioni attualmente in corso, sia lungo i confini terrestri sia oltremare. I confini terrestri hanno catalizzato l’attenzione dei cinesi per secoli: si può affermare che l’intera storia dell’impero non sia altro che una lunga sequenza di espansioni e contrazioni per vie di terra. Nel nostro secolo, la Repubblica Popolare Cinese è lo Stato del mondo con la maggiore estensione di confini terrestri, condivisi con ben 14 altri Stati. Quasi con ciascuno è in corso una disputa più o meno accesa attorno ai confini territoriali: sono note le rivendicazioni cinesi sulla provincia dello Arunachal Pradesh (in cinese: Zangnan), facente parte dell’Unione Indiana. Nel 2005 un trattato ha stabilito lievi modifiche al confine con la Russia; nel 2008 un trattato è stato stipulato con il Vietnam e un altro con il Tagikistan, seguiti da un ulteriore trattato nel 2011. La pacifica restituzione di Macao e Hong Kong è stata spesso utilizzata come argomento per convincere l’opinione pubblica mondiale che un’eventuale reintegrazione di Taiwan avrebbe potuto seguire modalità analoghe, con il mantenimento delle libertà individuali, del pluripartitismo e del livello di capitalismo già presente.

La questione del Mar Giallo Meridionale. – Negli ultimi anni l’attenzione è stata concentrata soprattutto sul Mar Cinese Orientale, e in particolare sul possesso delle isole Tiaoyu (note anche sotto la denominazione giapponese Senkaku), sulle quali i cinesi vantano un dominio plurisecolare, avvalorato anche da carte geografiche di fabbricazione occidentale. La tensione con il Giappone si è acuita più volte: in alcune occasioni, le simboliche ‘prese di possesso’ effettuate da navi cinesi sono state accompagnate dalla contestuale approvazione della Repubblica Cinese di Taiwan – suggerendo ad alcuni commentatori che la posta in palio non sia soltanto il controllo del piccolo arcipelago, ma anche il riavvicinamento tra Pechino e Taipei, confermato persino dalla presenza di una delegazione taiwanese alle Olimpiadi del 2008.

Ulteriori epicentri di tensione geopolitica nel Mar Cinese Meridionale riguardano altri gruppi di piccole isole, rivendicate dalla C., come Spratly (in cinese: Nansha Qundao) e Paracelso (Xisha Qundao). Sulla base delle convenzioni internazionali, in particolare della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS,UN Convention on the Law Of the Sea), cui aderisce anche la Repubblica Popolare Cinese, la ZEE (Zona Economica Esclusiva) si estende per 200 miglia dal territorio nazionale: pertanto, se la C. ottenesse il riconoscimento del possesso di tutte le isole attualmente rivendicate, potrebbe allargare la propria ZEE alla totalità del Mar Giallo, non soltanto per la pesca ma anche e soprattutto per lo sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi.

Composizione etnica della Cina

La diga delle Tre gole. – L’antropizzazione cinese del territorio, attraverso i secoli, si è sempre espressa principalmente attraverso il controllo delle acque. Nel 2006 è stata inaugurata la diga delle Tre gole sul corso del Chang Jiang (Fiume azzurro), dopo appena tredici anni di lavori. La diga (lunga 1980 m e alta 185 m) costituisce un esempio dell’approccio cinese verso il territorio, capace di modificare gli elementi della geografia fisica a seconda delle esigenze umane. Si calcola che l’area coperta dalle acque raccolte dalla diga si estenda per oltre 22.000 km2, vale a dire quasi l’estensione dell’intera Lombardia. L’immensità dell’opera (che ha costretto a sfollare quasi un milione e mezzo di persone, per non parlare dei beni archeologici sommersi) ha suscitato numerose obiezioni da parte degli ambientalisti, che però non hanno fermato l’azione del governo. La riuscita del progetto (effettivamente concluso nel 2009) dimostra che nel prossimo futuro saranno possibili ulteriori interventi, in grado di modificare in maniera sensibile l’ambiente: in particolare, rendendo abitabili nuove aree geografiche oppure irrigando nuove porzioni di terra coltivabile. Il fabbisogno energetico è stato una delle principali motivazioni di questa grande opera: la diga, infatti, dal 2012 mantiene in funzione 32 generatori idroelettrici, in grado di assicurare una produzione annua di 104 terawattora. In futuro si prevede che il fabbisogno delle industrie e dei consumatori cine si aumenterà molto rapidamente, sollecitando il governo a investire ancora nella produzione di ulteriori risorse energetiche alternative rispetto al carbone. In ambito internazionale, la realizzazione del progetto della diga delle Tre gole è stata utilizzata per mostrare l’efficacia dell’approccio cinese (anche al di là delle istanze ecologiche) sui temi delle risorse idriche ed energetiche, particolarmente sentiti nei Paesi del Terzo Mondo: pertanto può essere considerata tra le concause del successo del cosiddetto Beijing consensus.

Beijing consensus. – Nelle analisi sulle relazioni internazionali di fine Novecento era abituale riferirsi al cosiddetto Washington consensus, ossia all’adeguamento di singoli Stati ai criteri imposti dal FMI (Fondo Monetario Internazionale). Tra questi figuravano non solo istanze economiche (su inflazione e debito pubblico) ma anche morali, come libertà di stampa, pluripartitismo, giustizia, rispetto dei diritti umani (tra cui salute e alfabetizzazione). I critici obiettavano che quei criteri costituissero un nuovo colonialismo, esportando valori ‘occidentali’ in realtà sociali diverse (con accuse di ipocrisia concentrate sulla pena di morte e sulla tortura).

Con l’ascesa geopolitica della C., si rileva una netta tendenza da parte di alcuni Stati a rifiutare i parametri imposti dal FMI, preferendo piuttosto l’adeguamento alla visione geopolitica pechinese. Nel 2004 l’economista Joshua Cooper Ramo ha coniato l’espressione Beijing consensus, per descrivere l’adesione di molti governi dei Paesi del Terzo Mondo alla geopolitica pechinese, che permette di accedere a ingenti prestiti anche senza rispettare gli stringenti parametri occidetali sul rispetto dei diritti umani, della libertà di voto e di espressione. Il successo economico della C. attuale (a cominciare dal paradigmatico esempio della diga delle Tre gole) appare come un modello alternativo di sviluppo. Contribuisce a rafforzare questa valutazione la percezione degli occidentali – compresi i russi e gli statunitensi – come gli eredi dei colonizzatori, mentre i cinesi sono visti come vittime dell’età dell’imperialismo, ricordando le sconfitte inflitte al celeste impero dalle coalizioni nelle guerre dell’oppio e le pesanti ricadute economiche e sociali sancite dai trattati diseguali e dal successivo secolo delle umiliazioni (nei libri di scuola cinesi si usa questa espressione per indicare il periodo tra il 1839 – con l’inizio della prima, disastrosa guerra dell’Oppio – e il 1949, con la rivoluzione e il definitivo allontanamento dell’occupazione nipponica).

Politica economica e finanziaria di Giuseppe Smargiassi. – A partire dalla svolta verso il capitalismo, avviata nel 1978 da Deng Xiaoping, la crescita della C. ha conosciuto un’accelerazione senza precedenti nella storia economica moderna. Tale sviluppo, che ha migliorato, pur con molte contraddizioni, il tenore di vita di centinaia di milioni di persone, è stato possibile innanzitutto grazie alla piena integrazione della C. nel sistema degli scambi internazionali, ma anche grazie all’adozione di un inedito modello basato su un mix paradossale di capitalismo controllato, rigida direzione politica, concessione di libertà economiche e apertura ai capitali esteri (‘sistema socialista di mercato con caratteristiche cinesi’). Nel corso dei primo decennio del 2000, il PIL cinese ha superato quello di Italia, Regno Unito, Francia, Germania e Giappone ed è secondo al mondo dopo quello degli Stati Uniti. Nel 2011 è diventato il primo Paese manifatturiero, con una quota di produzione industriale pari a circa il 25% mondiale, sottraendo agli Stati Uniti un primato che detenevano da 110 anni. In un solo decennio la ricchezza pro capite si è più che quintuplicata, passando dai 1270 dollari del 2003 ai 6800 del 2013. All’inizio degli anni Dieci del 21° sec. la C. è diventata il primo esportatore al mondo e il secondo per volume di importazioni. Questi straordinari risultati hanno generato ripercussioni da un lato dando origine a una nuova configurazione delle relazioni commerciali e finanziarie mondiali e prefigurando un nuovo ruolo della C. non solo rispetto alle economie industrializzate, ma anche e soprattutto nei confronti dei Paesi in via di sviluppo. Dall’altro lato, però, hanno messo la C. di fronte alla necessità di affrontare nuove sfide inedite.

Evoluzione dei principali aggregati economici

Il nuovo ruolo della Cina nell’economia mondiale. – A partire dai primi anni Duemila il consolidamento della partecipazione delle aziende cinesi all’interno delle catene globali del valore si è tramutato in una crescita esplosiva delle esportazioni, che hanno raggiunto nel 2013 il valore di oltre 2200 miliardi di dollari (erano 250 solo dieci anni prima). Come conseguenza la C. ha mantenuto regolarmente un attivo commerciale (in particolare con gli Stati Uniti e con l’Europa, che sono i suoi principali partner commerciali) che, sommandosi all’afflusso di investimenti esteri, ha consentito l’accumulazione di ingenti riserve di valuta estera per un valore che nel 2013 è stato di quasi 3900 miliardi di dollari (di cui circa un terzo composto da titoli del Tesoro statunitensi come contropartita finanziaria dei prolungati avanzi commerciali verso gli Stati Uniti). Questa immensa disponibilità finanziaria è stata utilizzata per effettuare investimenti diretti all’estero, con il duplice obiettivo di acquisire know-how, tecnologie, capacità manageriali e marchi di prestigio dai Paesi avanzati da un lato, e di garantire l’approvvigionamento di materie prime necessarie per alimentare l’apparato produttivo del Paese dall’altro. Sotto il primo aspetto sono cresciuti gli investimenti diretti compiuti da aziende di Stato e fondi sovrani (v.) che hanno acquisito partecipazioni azionarie in imprese straniere o rilevato intere aziende, come è accaduto nei casi della divisione dei personal computer dell’IBM (International Business Machines corporation) da parte dell’azienda informatica Lenovo, delle banche statunitensi Blackstone e Morgan & Stanley, acquistate dal fondo sovrano CIC (China Investment Corporation), o, più di recente, della Pirelli, la cui quota di maggioranza azionaria è stata ceduta al colosso petrolchimico China national chemical corporation in seguito a un accordo da 7,1 miliardi di dollari raggiunto nel marzo del 2015. La ricerca di nuove fonti di approvvigionamento è invece proseguita attraverso l’intensificazione di rapporti commerciali e finanziari soprattutto con i Paesi economicamente meno sviluppati, ma ricchi di risorse naturali, dai quali la C. acquista grandi quantità di petrolio, gas naturale, derrate alimentari e altre risorse minerarie in cambio di finanziamenti destinati al trasferimento tecnologico, alla realizzazione di infrastrutture e a programmi di assistenza e aiuto.

PIL cinese

Lo sviluppo di relazioni basate sui principi del rispetto della sovranità (non interferenza negli affari di altri Paesi) e dell’interesse comune (finanziamenti e aiuti allo sviluppo concessi senza condizioni ma solo in base a vantaggi reciproci) ha consolidato l’affermazione del Beijing consensus (v. sopra) presso i leader di molti Stati africani, sudamericani e asiatici, che hanno visto nel modello cinese un riferimento più appropriato per l’identificazione di percorsi di sviluppo applicabili ai propri contesti economici, politici e sociali rispetto alle politiche di aggiustamento strutturale imposte dal Washington consensus. L’approccio cooperativo e lo sviluppo di relazioni di mutuo vantaggio hanno favorito in questo modo una massiccia presenza di investimenti e di imprese cinesi in numerosi Paesi in via di sviluppo (v. anche agricoltura: Land grabbing), cui ha fatto seguito una crescita sensibile degli scambi commerciali. Nell’arco di poco più di dieci anni il valore complessivo di importazioni ed esportazioni tra la C. e l’insieme dei Paesi africani si è decuplicato, passando dai 20 miliardi di dollari nel 2003 agli oltre 200 miliardi del 2014, mentre quello con i Paesi dell’America Latina ha raggiunto nello stesso anno i 250 miliardi di dollari. Il cambiamento di scala della partecipazione cinese alle dinamiche dell’economia mondiale si è accompagnato inoltre all’affermazione di un nuovo protagonismo della C. in termini di sfida all’egemonia finanziaria statunitense, aggiungendo nuovi tasselli alla strategia del Beijing consensus. Nel luglio del 2014 la C. si è fatta promotrice, in occasione del sesto vertice BRICS (v.), della creazione della Nuova banca per lo sviluppo (New developing bank) e nel novembre dello stesso anno ha istituito la Banca asiatica di investimento per le infrastrutture (AIIB, Asian Infrastructure Investment Bank), alla cui fondazione hanno partecipato 37 Paesi (tra cui 16 europei, inclusa l’Italia), con una dotazione iniziale di 50 miliardi di dollari destinati a finanziare progetti infrastrutturali nei Paesi asiatici in via di sviluppo. La creazione di queste nuove istituzioni economiche, in diretta concorrenza con il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale e la Banca asiatica per lo sviluppo, si connette a una strategia di investimento in cui si combinano esigenze di sicurezza nell’approvvigionamento di materie prime e di prodotti alimentari, con l’obiettivo di contendere agli USA zone di influenza geoeconomica in Asia. Tra le iniziative volte a contenere o sostituire l’influenza statunitense nella regione, rientra infatti anche lo stanziamento di 40 miliardi di dollari, attraverso l’intermediazione finanziaria dell’AIIB, per la realizzazione dell’ambizioso progetto di collegamento ferroviario della C. con l’Europa attraverso l’Asia centrale (la cosiddetta nuova via della seta, v. asia: Le nuove vie della seta), che si affianca e integra la ‘strategia del filo di perle’ finalizzata al controllo delle rotte marine verso il Mar Cinese Meridionale.

La Cina alla ricerca di un nuovo modello di sviluppo. – Il processo di espansione dell’economia cinese ha subito un punto di svolta dopo la crisi che ha colpito i principali Paesi industrializzati nel 2008-09: allo scopo di compensare il crollo delle esportazioni nel 2009 (−10,2%) le autorità politiche cinesi hanno adottato un insieme di misure di sostegno ai consumi interni e agli investimenti, soprattutto nel settore delle infrastrutture, che ha consentito di contenere il calo della crescita (tra il 2009 e il 2011 mantenutasi intorno al 9-10%), ma che allo stesso tempo ha portato anche alla formazione di un debito dei governi locali di notevole entità (stimato intorno al 60% del PIL), paventando il rischio dell’insorgere di una bolla speculativa nel mercato immobiliare.

Nel biennio 2012-14 la crescita dell’economia è rallentata ulteriormente, scendendo (prima volta dopo 20 anni) sotto l’8% in conseguenza dell’effetto combinato del calo della domanda mondiale e delle politiche di deflazione programmata adottate dalle autorità di governo per contrastare l’espansione di nuove bolle speculative. Malgrado tali interventi, e anche in conseguenza di un ulteriore rallentamento della crescita economica (scesa al 7% nei primi sei mesi del 2015), a partire dal 12 giugno 2015 le principali piazze finanziarie cinesi hanno fatto registrare pesanti flessioni che in poco più di un mese hanno provocato la perdita di oltre il 30% della capitalizzazione di borsa. Inoltre, la decisione presa ad agosto dalla Banca Popolare cinese di svalutare per ben tre volte il renminbi, a poco più di un mese dall’inizio della crisi, ha provocato pesanti ripercussioni sui mercati finanziari internazionali, determinando la caduta degli indici delle principali borse mondiali. In ogni caso, la-nuova dirigenza politica, insediatasi alla fine del 2012, ha espresso l’intenzione di modificare il vecchio modello di sviluppo dell’economia cinese, eccessivamente sbilanciato sugli investimenti e sulle esportazioni, a favore di una crescita più contenuta, ma più sostenibile, incentrata sui principi dello sviluppo scientifico, della tutela dell’ambiente e della promozione di una società più prospera e più equa. La trasformazione da economia basata prevalentemente sulla crescita delle esportazioni e degli investimenti interni a economia sorretta dai consumi interni, rappresenta per la C. un passaggio indispensabile per affrancarsi dalla dipendenza dal ciclo economico internazionale e per consolidare il suo ruolo di potenza economica mondiale, ma allo stesso tempo costituisce anche una sfida il cui esito non è affatto scontato. In primo luogo, infatti, vi è consapevolezza che nel breve periodo i consumi interni cinesi non potranno sostituirsi a quelli dei Paesi industrializzati (la domanda interna cinese rappresenta solo il 33% del PIL rispetto al 71% degli Stati Uniti). Inoltre la C. continua a mantenere al suo interno disomogeneità rilevanti: a causa della polarizzazione dei processi di crescita economica dovuta alla differenza fra le zone costiere sviluppate e l’entroterra delle campagne fortemente arretrate, e quella tra zone rurali e zone urbane, la forbice tra la parte più ricca e quella più povera della popolazione rimane ancora elevatissima (meno dell’1% delle famiglie controlla più del 60% della ricchezza nazionale e più dell’11% della popolazione soffre la fame). Infine, le riforme indispensabili per attuare la transizione verso il nuovo modello di sviluppo, a partire dagli obiettivi prioritari della liberalizzazione del sistema bancario (posto sotto uno stretto controllo politico), della riorganizzazione del sistema del welfare (attualmente quasi inesistente) e dell’apertura di nuovi spazi di mercato nei settori monopolizzati dalle aziende di Stato, possono generare un effetto potenzialmente rischioso per la stessa classe dirigente, che si fa in questo modo promotrice di interventi che rischiano di indebolire le leve di controllo tradizionalmente a disposizione del governo.

Storia di Guido Samarani. – Nel decennio 2005-14 la C. continuava a perseguire, spesso aggiornandola e integrandola, l’agenda politica essenziale che era stata alla base dell’avvio e dello sviluppo, sin dagli anni Ottanta del 20° sec., del processo di ‘modernizzazione’ e di ‘apertura al mondo esterno’, coniugato con l’esigenza da parte del Partito comunista cinese (PCC) di mantenere e consolidare la guida e il controllo di tale processo. Fattori interni e internazionali ponevano, periodicamente, l’esigenza di modificare o perfezionare funzioni e strutture del sistema di governance e di potere, al fine di garantire una maggiore efficacia nell’azione di governo, rispondere il più possibile ai crescenti bisogni materiali e spirituali del popolo cinese, affrontare e risolvere problemi storici (per es., il divario tra città e campagna) così come contraddizioni emerse quale effetto del boom economico degli ultimi decenni (per es., le diseguaglianze sociali e territoriali, il rapporto tra crescita economica e compatibilità ambientale, la diffusione dei fenomeni di corruzione ecc.). In un Paese caratterizzato da un sistema politico autoritario e monopartitico, l’agenda strategica è essenzialmente segnata da alcuni momenti chiave: in particolare, i congressi nazionali e le sessioni plenarie degli organismi dirigenti del PCC (rapporti ufficiali e documenti vari approvati, rinnovamento della leadership ecc.), le sessioni più importanti degli organismi istituzionali (esecutivo, legislativo, giudiziario) e i discorsi dei principali leader.

Stabilità, sviluppo, armonia (2005-10). – L’ascesa di una nuova leadership emersa dal XVII Congresso nazionale del PCC (2007), guidata dal segretario generale Hu Jintao e dal premier Wen Jiabao (la cosiddetta quarta generazione), rappresentava per diversi aspetti il segno dell’esigenza di modificare – pur nel solco delle grandi linee strategiche tracciate e dell’esigenza di mantenere l’unità del partito – una serie di priorità e di orientamenti definiti negli anni precedenti dalla cosiddetta terza generazione di Jiang Zemin e Zhu Rongji. Questi ultimi, infatti, formatisi nel ‘laboratorio politico’ di Shanghai, bastione dell’industria di Stato, avevano fatto tesoro a Pechino della propria esperienza formativa (ingegneria) e amministrativa (gestione economica) per porre l’accento sulla necessità di un nuovo orientamento del processo di riforma, imperniato sull’obiettivo di una crescita accelerata del PIL, sulla ricentralizzazione, sulla scarsa attenzione per le campagne e sullo sviluppo prioritario delle aree costiere. In tale ottica, Shanghai veniva proposta come esempio per il Paese intero: un esempio centrato sul grande sviluppo dell’area di Pudong (nata nei primi anni Novanta), simbolo dello sforzo di recuperare il ritardo tecnologico della C., dell’importanza degli investimenti stranieri, della presenza delle grandi multinazionali. Tale strategia, accanto agli indubbi successi, provocava tuttavia crescenti squilibri regionali e sociali, indebolimento della prosperità nelle campagne, massicci licenziamenti causati dalla ristrutturazione delle aziende statali, diffusione del malcontento e delle proteste sociali.

Avendo accumulato una parte importante della propria esperienza politica e amministrativa in quelle regioni dell’interno maggiormente penalizzate dalle strategie della terza generazione, Hu Jintao e Wen Jiabao misero in evidenza la necessità di sviluppare quelle aree e di affrontare in modo più attento le distorsioni sociali prodotte dallo straordinario sviluppo degli anni precedenti, nonché di vigilare sui rischi politici insiti nella crescita del malessere sociale. Perno di questo nuovo orientamento strategico fu lo ‘sviluppo scientifico’, il cui obiettivo era di portare a una crescita meglio rispondente ai bisogni della popolazione. A essa si accompagnava l’idea di creare una ‘società armoniosa’, con un chiaro richiamo a valori della C. legati alla tradizione confuciana ma, soprattutto, finalizzata a indebolire la forte influenza ‘occidentalizzante’ insita nella strategia di Jiang Zemin.

Nel biennio 2008-10 la C. saliva alla ribalta internazionale soprattutto per due eventi: le Olimpiadi di Pechino (2008) e l’Expo di Shanghai (2010). Un tema chiave delle Olimpiadi del 2008 era l’idea della ‘Cina culturale’ (in cinese wenhua Zhongguo), intesa come perno di un soft power che mirava a costruire un’immagine positiva del Paese in campo internazionale e a sviluppare un dialogo con il mondo esterno. Vennero così valorizzati temi e simboli culturali (per es., la dinastia Tang) più che politici (per es., la rivoluzione comunista). A sua volta l’Expo (1 maggio-31 ottobre), imperniata sullo slogan Better city, better life, vedeva la partecipazione senza precedenti di ben 192 Paesi con oltre 70 milioni di visitatori, rafforzando l’immagine di una C. che ambiva a una presenza sempre più globale e capace di superare qualsiasi traguardo. Come sottolineò Wu Siegfried Zhiqiang, responsabile della progettazione dell’Expo e con un passato di studi in Germania, l’idea della H-city (Harmony city) quale linea guida per la progettazione e realizzazione ai vari livelli del tema dell’esposizione di Shanghai si richiamava al concetto, già proposto negli anni precedenti, di una ‘armonia su tre piani’ nel campo della pianificazione urbana: tra uomo e natura, tra uomo e società, tra storia e futuro. A parere di Wu, la C. aveva bisogno di nuovi tipi di città per contrastare il frenetico sviluppo che aveva segnato gli ultimi decenni, con effetti spesso penalizzanti per certe fasce sociali (migranti, famiglie a basso reddito). Occorreva insomma correggere certe distorsioni portate dalla pura logica di mercato: in tal senso, l’Expo venne concepita come un’opportunità per la C. di valutare le esperienze altrui, in modo che la spinta – comprensibile – da parte dei cinesi per recuperare quanto non era stato fatto in passato in tema di sviluppo e modernizzazione urbanistici si coniugasse con i valori della razionalità e della sostenibilità.

Il 2010 vedeva altresì lo svolgimento del censimento nazionale della popolazione (1-10 novembre; il sesto dal 1949): la popolazione totale risultava pari a poco meno di 1 miliardo e 340 milioni (oltre 1 miliardo e 370 milioni se si includono Hong Kong, Macao e Taiwan), con una crescita rispetto all’ultimo censimento (2000) del 5,84%, circa 74 milioni di persone. I nuclei familiari erano oltre 400 milioni, con una media familiare di 3,10 (−0,34 rispetto al 2000); le donne rappresentavano il 48,73% del totale. Dal punto di vista della composizione per età, il 16,6% del totale aveva tra 0-14 anni (−6,29% rispetto al 2000), il 70,14% aveva tra 15-59 anni (+3,36%), il 13,36% era classificato tra 60 anni e oltre (+2,93%). E nel rapporto tra aree urbane e rurali si confermava la tendenza all’inversione di un processo storico, con la popolazione urbana che aveva ormai raggiunto quasi il 50% del totale (+13,46% rispetto al 2000).

Nell’ultima parte del 2010, vanno altresì segnalati alcuni eventi legati a temi centrali. Ai primi di novembre, il Politburo del PCC dedicò una sessione speciale di studio e di lavoro proprio alla questione sociale. Nel suo intervento Hu Jintao mise in luce come fosse indispensabile nel nuovo periodo, riprendendo una parola d’ordine sollevata negli anni Cinquanta da Mao Zedong, ‘gestire correttamente le contraddizioni in seno al popolo’, in modo da migliorarne il livello di vita, proteggerne i diritti e gli interessi, minacciati dalle disparità di reddito e di accesso al welfare e al lavoro. Molte proteste e incidenti di maggiore rilievo – veniva posto in evidenza nell’intervento – continuavano a verificarsi in aree a forte sviluppo economico, spesso al livello locale: tra questi, la protesta di oltre 1000 lavoratori migranti nel Sichuan, causata da salari non pagati, i quali si scontrarono con la polizia con il bilancio di un lavoratore morto e un altro ferito; l’ennesima strage di minatori, nello Henan (37 morti); le proteste e gli scioperi in imprese straniere (fabbriche Honda) e i suicidi tra gli addetti del Foxconn techonology group di Shenzhen, legato al gruppo Hon Hai di Taiwan.

La lotta alla corruzione, definita dalla stessa leadership come ‘un nemico mortale’, riceveva nuovo impulso dalla pubblicazione del primo ‘libro bianco’ (white paper) dedicato al tema del buongoverno. Negli stessi anni, numerosi casi di processi e di esecuzioni vennero resi noti: il direttore dell’Ufficio giudiziario della municipalità di Chongqing, messo a morte per corruzione e crimini vari; il segretario della Commissione per la disciplina delle province del Zhejiang e Guangdong condannato a morte (pena poi sospesa per due anni) per possesso illecito di denaro e di titoli azionari; il sindaco della città di Shenzhen, rimosso dalla carica ed espulso dal partito per gravi violazioni della disciplina e della legge, senza dimenticare i diversi casi di manager di aziende arrestati e condannati a pene varie per tentata corruzione.

Particolari proteste e tensioni provocò inoltre a Pechino il conferimento, nell’ottobre 2010, del premio Nobel per la pace al dissidente Liu Xiaobo, allora in prigione per una condanna a 11 anni. La C. dipinse come ‘farsesca’ la cerimonia di consegna del premio a Oslo, in cui venne lasciata vuota la sedia destinata a Liu.

Tra passato e futuro: il ‘sogno cinese’. – Il secondo decennio del 21° sec. iniziava in C. sulle tracce della memoria storica: centenario della Rivoluzione del 1911 che pose fine al millenario sistema imperiale; centenario della nascita della C. repubblicana (1912); novantesimo della fondazione del PCC (1921); centodecimo anniversario del Protocollo che pose fine alla insurrezione dei Boxer e inferse una delle più grandi umiliazioni alla C. moderna (1901); ottantesimo anniversario dello scoppio dell’incidente di Mukden (attuale Shenyang), che diede l’avvio all’occupazione giapponese della Manciuria (1931). In particolare, intervenendo alla cerimonia di commemorazione della rivoluzione del 1911, Hu Jintao mise in risalto come il patriottismo fosse l’anima della nazione cinese: una potente forza in grado di mobilitare e unire l’intera nazione al fine di rivitalizzare la Cina. A parere del segretario generale del PCC, la rivoluzione del 1911 aveva dato avvio a un percorso di lotte e di sacrifici per il popolo cinese culminati in grandi successi, rinnovati e rafforzati grazie al ‘socialismo con caratteristiche cinesi’ e al ruolo centrale del Partito comunista cinese.

La memoria storica, imperniata sul superamento politico, ma anche psicologico, del cosiddetto secolo delle umiliazioni (1840-1947), è strettamente legata al concetto secondo cui solo il PCC era stato in grado di condurre il Paese e il popolo a superare i drammi e le umiliazioni della ‘Cina semicoloniale e semifeudale’ e solo il PCC era nel presente in grado di condurre l’intera comunità nazionale lungo il percorso del ‘socialismo con caratteristiche cinesi’, in cui la C. era moderna e sviluppata all’interno quanto protagonista e attore chiave nel mondo esterno. Questo nesso tra passato e presente rappresentava il cuore della legittimazione politica e ideale del partito e del sistema di governo e di potere su di esso imperniato. Tuttavia, più che l’ideologia era la rivitalizzazione della coscienza e dell’orgoglio nazionali la fonte prima della legittimità: crescenti richiami alla tradizione cinese (Confucio, l’Imperatore Giallo, i Tang ecc.) e in particolare al confucianesimo, visto oggi come antidoto ai fenomeni di ‘occidentalizzazione’ legati al processo di ‘modernizzazione’, nonché al suo ruolo centrale nella definizione dell’identità nazionale e nell’affermazione dell’idea di una civiltà – quella cinese – che poco o nulla ha da invidiare a quella occidentale.

Il legame, sopra ricordato, tra passato e presente è andato assumendo, in particolare negli ultimissimi anni, una chiara proiezione futura in seguito alla formulazione della parola d’ordine del ‘sogno cinese’ (Chinese dream) lanciata dal nuovo leader del PCC, Xi Jinping a cominciare dal XVIII Congresso nazionale del partito del novembre 2012. Uno degli atti di maggiore rilievo del Congresso e della successiva sessione (marzo 2013) dell’Assemblea nazionale popolare (il massimo organo legislativo cinese) era quello di formalizzare l’avvento della cosiddetta quinta generazione della leadership, imperniata sulle figure del segretario generale del partito (nonché presidente della Repubblica), Xi Jinping, e del premier Li Keqiang. Il nuovo organigramma politico-istituzionale portò all’elezione di un Politburo costituito da 25 membri, di cui 7 facenti parte del Comitato permanente e altri 18 membri regolari (2 erano donne, nessuna delle quali membro del Comitato permanente). In generale, i membri del nuovo Politburo avevano maturato la propria esperienza politica in seno all’apparato centrale o provinciale del partito e/o dello Stato nonché nel settore militare e della sicurezza, ma nessuno, per es., nel campo specifico della politica estera.

Xi Jinping diede avvio, come si è detto, ai primi passi della ‘quinta generazione’ mettendo in luce come l’obiettivo futuro fosse la realizzazione del Chinese dream. Esso consisteva essenzialmente nel raggiungimento del proposito di edificare una società socialista moderatamente prospera in tutti i campi (l’appuntamento era al 2021, centenario della fondazione del PCC) e su questa base creare un moderno Paese socialista forte, democratico, culturalmente avanzato e armonioso (l’appuntamento era qui al 2049, centenario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese). Nei due anni circa successivi alla sua ascesa al potere, Xi evidenziò costantemente la sua forte fiducia nel futuro del proprio Paese e l’importanza di rafforzare il senso di appartenenza alla nazione, non nascondendo allo stesso tempo la necessità di migliorare il sistema, sviluppare appieno la superiorità del sistema socialista con caratteristiche cinesi, osservare una stretta disciplina e porre fine alla corruzione e ai comportamenti edonisti e stravaganti che rischiavano, se irrisolti, di portare al collasso il partito.

Nell’ampio dibattito interno e internazionale seguito all’enunciazione del ‘sogno cinese’, venivano sollevate diverse possibili interpretazioni di tale concetto, sottolineando alcuni elementi essenziali quali: un modello di sviluppo basato sull’efficienza, un’equa distribuzione dei benefici della crescita, riforme politiche, riduzione delle interferenze governative nel mercato, stabilità sociale, urbanizzazione ecologica e così via. Sul tema del possibile processo di ‘democratizzazione’ quale parte delle riforme politiche insite nel ‘sogno cinese’, vari articoli da parte cinese mettevano in luce la portata limitata della possibile riforma, in evidente contrasto con le diffuse analisi e aspettative in Occidente. In generale, il tema del ‘sogno’ da realizzare in futuro era collegato idealmente ai ‘sogni’ costruiti, ma poi alla fin fine non realizzati, nella storia della C. moderna e contemporanea, tra cui l’imitazione indiscriminata del modello sovietico (anni Cinquanta), il manifestarsi di ‘errori di sinistra’ (leggi Mao Zedong) in seno all’ideologia guida del partito, la tragedia della grande rivoluzione culturale e così via.

Nell’ultima parte del 2013 e nei primi mesi del 2014 la stampa cinese diede particolare risalto all’avvio dei preparativi relativi al tredicesimo piano quinquennale per il periodo 2016-20. In particolare, le prime prospezioni e valutazioni da parte della Commissione nazionale per lo sviluppo e le riforme mettevano in luce come il piano fosse chiamato a verificare se esistessero o meno i presupposti per la realizzazione dell’obiettivo di dare vita a una società armoniosa e caratterizzata da un moderato benessere entro il 2020, di cui uno dei target più importanti era il raddoppio del reddito pro capite sia per i residenti urbani sia per quelli rurali.

Dopo la condanna all’ergastolo nel 2013 di Bo Xilai, fino all’anno precedente segretario del partito nella municipalità di Chongqing, l’ultima par te del 2014 vide emergere un nuovo gravissimo scandalo politico in C., che coinvolgeva Zhou Yongkang, già membro del Comitato permanente del Politburo nonché ministro in vari dicasteri (tra cui quello della Pubblica sicurezza). Zhou, accusato di gravi violazioni della disciplina e di corruzione, fu condannato all’ergastolo nel giugno 2015. Si trattava del dirigente di più alto grado coinvolto in uno scandalo, e le indagini su di lui dimostravano – a parere di numerosi osservatori – la determinazione della nuova leadership di stroncare a fondo la corruzione.

Bibliografia: Contemporary Chinese society and politics, ed. A. Kipnis, L. Tomba, J. Unger, 4 voll., London-New York 2009; Reclaiming Chinese society. The new social activism, ed. Youtien Hsing, Ching Kwan Lee, Abingdon-New York 2010; M.-C. Bergére, Chine. Le nouveau capitalisme d’État, Paris 2013; Cheng Li, A biographical and factional analysis of the post-2012 politburo, «China leadership monitor», 2013, 41, pp. 1-17; A. Miller, The new party Politburo leadership, «China leadership monitor», 2013,40, pp. 1-15; «Mondo cinese», 2014, 154, nr. monografico: Le città proibite.

Architettura di Anna Irene Del Monaco. – L’architettura cinese nelle ultime due decadi ha attraversato un periodo di radicali cambiamenti. Malgrado la faticosa ricerca di un moderno stile ‘nazionale’ abbia impegnato gli architetti cinesi prima, durante e dopo il periodo maoista e malgrado l’emergere di alcune grandi figure di progettisti sin dal periodo repubblicano, l’architettura cinese fu sostanzialmente esclusa per lungo tempo dalla critica e dal dibattito occidentali sull’architettura moderna persino quando si iniziò a discutere di ‘regionalismo critico’. La C., come territorio di sperimentazione architettonica avanzata, ha iniziato a richiamare seriamente l’interesse internazionale solo all’inizio del terzo millennio, al culmine del processo politico-economico iniziato nel 1978 con le riforme di Deng Xiaoping. I compiti dell’architettura in C. erano e sono immensi. A una fase nella quale l’architettura ha dovuto organizzare le proprie strutture professionali e formative per affrontare con efficienza il compito politico e culturale di contribuire alla diffusione massiccia di standard abitativi urbani decorosi in un Paese sostanzialmente povero, è seguita una fase, la più recente, in cui gli architetti cinesi sembrano partecipare con maggiore consapevolezza al compito di migliorare la qualità dell’edilizia e degli spazi urbani e di contribuire progettualmente a gestire i problemi del consumo energetico e dell’inquinamento.

Distretto Luijiazui

Prima della fine del secolo scorso, tra le riforme in favore della città e dell’architettura fu promulgato (1994-95) un sistema di registrazione professionale individuale per gli architetti che permise l’attuale coesistenza fra i tradizionali istituti di progettazione (di proprietà statale o mista) e gli studi professionali privati. Fu un passo indispensabile verso la ridefinizione moderna della professione dell’architetto che procedette in parallelo con l’affermarsi, sin dai primi anni Novanta, di una nuova classe borghese e imprenditoriale. Ciò stimolò l’emergere di architetti cinesi indipendenti, alcuni dei quali raggiunsero ben presto un alto grado di stima internazionale. Fra i pionieri di questa stagione si annoverano Yung Ho Chang e Lija Lu (Atelier Feichang Jianzhu), Liu Jiakun (Jiakun architects), Wang Shu (Amateur architecture studio) e Zhang Lei (Aterlier Zhang Lei), impegnati con la propria architettura nel tentativo di esprimere il portato critico e sociale di una nuova architettura radicalmente cinese, radicalmente moderna, raffinata e colta. Parallelamente è proseguita l’attività degli istituti di progettazione di matrice statale (BIAD, Beijing Institute of Architectural Design, SIADR, Shanghai Institute of Architectural Design & Research, per citarne alcuni), mentre le università hanno debuttato sul mercato professionale in forma di agenzie professionali di progettazione (Tsinghua di Pechino, Tongji di Shanghai, Università dello Zheijiang, Università di Nanjing, per annoverare solo le maggiori).

Il 2001 è stato una data significativa per l’architettura cinese: a dicembre la C. è entrata nella WTO (World Trade Organization) diventando così, ufficialmente, un soggetto economico e politico in grado di influenzare il mercato globale; pochi mesi prima i Giochi della XXIX Olimpiade del 2008 erano già stati assegnati a Pechino (v.). Ha avuto così inizio una fase di grande esposizione mediatica della C. che ha scelto di considerare la rinnovata architettura delle sue città come uno dei più efficaci mezzi di propaganda per diffondere l’immagine della propria ambizione nazionale. A partire dall’opportunità dei Giochi olimpici del 2008 e dall’Expo di Shanghai 2010 si è avviato un processo di investimenti di lungo termine nell’architettura. Nella fase preparatoria immediatamente precedente le Olimpiadi e l’Expo, la mobile costellazione dei grandi architetti internazionali si è concentrata in particolare su Pechino, su Shanghai (v.) e sulle maggiori città cinesi per realizzare memorabili opere che hanno focalizzato nella C., per un significativo periodo, il primario territorio della loro sperimentazione: Herzog & De Meuron (Pechino, Bird’s nest, 2003-08), Rem Koolhaas (Pechino, CCTV, China Central TeleVision, 2003-08; Shenzhen stock exchange, 2013), Steven Holl (Pechino, Linked hybrid, 2003-09; Nanjing Si Fang art museum, 2011-13; Shenzhen Vanke center, 2006-09), Zaha Hadid (Pechino, Galaxy Soho, 2009-12; Guang zhou opera house, 2006-10), David Chipperfield (Hang zhou, Liangzhu culture museum, 2003-07), Morphosis (Shanghai giant campus, 2006-10), Coophimmelb(l)au (Dalian international conference center, 2008-12).

Puijiang Brilliance Twin Tower

La presenza di molti dei più famosi architetti contemporanei d’Occidente ha fortemente stimolato l’emergere di un numero ingente di giovani personalità cinesi ancora in corso di maturazione, tra le quali tuttavia si è distinto già qualche nuovo caposcuola, come Ma Yansong (MAD architects), particolarmente proiettato verso l’elaborazione figurativa digitale dell’architettura. L’architettura del paesaggio, che affonda le sue radici nell’alta cultura tradizionale della C. e la cui sapienza fu custodita a lungo soltanto nelle scuole dall’organizzazione forestale statale, è oggi di nuovo al centro dell’attenzione delle istituzioni universitarie che si sono aggiudicate, tra l’altro, il grande progetto paesaggistico della città olimpica di Pechino 2008 e molti altri progetti di pianificazione del paesaggio a grande scala, spesso con la partecipazione di agenzie specializzate occidentali. La collaborazione con le grandi firme dell’architettura internazionale e anche soltanto la loro presenza, in questa fase, sono ancora considerate lievito indispensabile alla crescita e all’affermazione dei nuovi architetti cinesi e all’educazione del gusto delle potenti amministrazioni cittadine; a volte ha generato inediti modelli insediativi, capolavori rari, come l’elegantissima città satellite Pujiang nell’isola di Pudong, Shanghai, progettata da Gregotti associati international. Il rapporto dialettico fra i concetti fondamentali di «essenza» (ti) e «forma» (yong), cioè tra gli stabili e profondi significati della cultura ancestrale e la perenne ricerca sperimentale dell’architettura, così ben indagato nel saggio di Peter Rowe e Seng Kuan (2002), ha propiziato alcune sintesi luminose nelle opere dei migliori architetti cinesi, come in quelle di Wang Shu, vincitore del Pritzker prize nel 2012; sintesi che riaffermano la rinnovata continuità con la più eroica generazione dei primi architetti moderni di C., i maestri Liang Sicheng (1901-1972), Yang Tingbao (1901-1982) e Wu Liangyong (n. 1922).

Bibliografia: P.G. Rowe, S. Kuan, Architectural encounters with essence and form in modern China, Cambridge (Mass.)-London 2002 (trad. it. Essenza e forma. L’architettura in Cina dal 1840 a oggi, Milano 2005); L.V. Barbera, Il linguaggi della Cina, «L’industria delle costruzioni», 2006, 389, pp. 4-11; R. Xing, Allegorical architecture. Living myth and architectonics in Southern China, Honolulu 2006; C.Q.L. Xue, Building a revolution. Chinese architecture since 1980, Hong Kong 2006; J. Zhu, Architecture of modern China. A historical critique, London-New York 2009; Chinese architecture and the beaux-arts, ed. J.W. Cody, N.S. Steinhardt, T. Atkin, Honolulu 2011.

Letteratura di Nicoletta Pesaro. – Le più recenti teorie sfidano il concetto di letteratura cinese ridefinendola in termini linguistico-culturali piuttosto che nazionali: i confini di analisi sono più ampi e vaghi e sfumano nel concetto di ‘letteratura sinofona’, elaborato da Shu-mei Shih (2007, p. 4) in senso centrifugo, includendo solo fenomeni di una geografia letteraria marginale, come Taiwan, Hong Kong e la diaspora (scrittori attivi negli Stati Uniti, in Europa e nel Sud-Est asiatico), e antitetica al discorso monologico della C. popolare. Riequilibrando i margini di questa ‘eteroglossia’, Jing Tsu e David Der-wei Wang (Global Chinese literature, 2010) analizzano la letteratura sinofona dialetticamente, come pluralità di fenomeni transnazionali inclusivi di tutti gli spazi letterari in vario modo collegati alla cultura sinica in un complesso intreccio identitario multietnico e multi-culturale. Per conciliare le due posizioni si propone il concetto di ‘sinosfera letteraria’ che intercetta sia la pulsione sinocentrica, ma in sé polifonica, della C. continentale sia le realtà periferiche che con essa interagiscono o collidono, ivi inclusi scrittori che pur cinesi per origine e cultura scrivono ormai in inglese, francese, giapponese (Ha Jin, Yang Yi ecc.) o gli autori delle minoranze etniche. La tensione tra globale e locale, tra cultura del margine e neocentralismo cinese, ridisegna il valore della letteratura della Repubblica Popolare, inserendola in un contesto più interattivo e globale. Stato e mercato interagiscono nel medesimo perimetro culturale in funzione più sinergica che competitiva, mentre si è ampliato il ruolo dell’individuo come autore e come materia d’indagine tanto in prosa quanto in poesia. Le strategie governative di soft-power si sono rivolte sia verso l’interno sia verso l’esterno, tramite eventi internazionali di prestigio quali la partecipazione come Paese ospite alla Fiera del libro di Francoforte (2009), festival cinematografici, incentivi alla traduzione e premi letterari culminati con il Nobel conferito a Mo Yan nel 2012.

Da un lato si è confermata l’ipertrofia della letteratura zhuxuanlü (leitmotiv), opere nazional-popolari, spesso cross-mediali (già pensate per approdare al piccolo e grande schermo, o al teatro), che riflettono nuove aspirazioni e tendenze della società realizzando la ‘grande narrazione nazionale’; dall’altro, gli autori mainstream, in buona misura riconosciuti dal sistema politico, ma artisticamente indipendenti, hanno conservato uno spazio d’influenza contribuendo, con caratteristiche distinte, a una narrativa d’impatto più locale (Jia Pingwa, Chi Zijian) o internazionale (Mo Yan, Yu Hua, Liu Zhenyun). Al realismo tradizionale che continua a caratterizzare molte scritture si è affiancato uno stile definito da Yan Lianke (n. 1958) shenshizhuyi («mito realismo»), una visione grottesca e immaginifica del reale. Ne sono esempi i romanzi di critica sociopolitica dello stesso Yan, Dingzhuang meng (2005; trad. it. Il sogno del villaggio dei Ding, 2011), corrosiva denuncia dell’epidemia di AIDS provocata dal traffico di sangue fra i contadini dello Henan, e Sishu (2010, I quattro libri), che ha infranto il silenzio sulla persecuzione contro gli intellettuali e la disastrosa carestia durante il ‘Grande balzo in avanti’ (195961). Oscillante tra il grottesco e il reale è anche Yu Hua (n. 1960) in Di qi tian (2013, Il settimo giorno), dove una voce suggestiva, ma straniante, narra i primi sette giorni dalla propria morte. Sembra il ritorno dello scrittore agli esordi dell’avanguardia, benché il tono dissacrante rimandi alle sue più recenti e controverse prove narrative, come l’epopea satirica in due volumi Xiongdi (2005-2006; trad. it. Brothers, 2008, e Arricchirsi è glorioso, 2009). La complessa architettura e le tecniche sofisticate di queste opere segnalano la maturità del romanzo cinese contemporaneo, definitivamente consacrata dall’assegnazione del Nobel al ‘cantastorie moderno’ Mo Yan (v.), che in Wa (2009; trad. it. Le rane, 2013), una retrospettiva storica sulle politiche demografiche in Cina, esibisce una strepitosa versatilità metanarrativa e transgenerica, sfiorando quasi tutti i temi più scabrosi della storia recente. Ge Fei (n. 1964), un altro autore emerso durante la stagione dell’avanguardia (anni Ottanta del 20° sec.), completata la trilogia sulle fallite utopie cinesi del Novecento con Chunjin Jiangnan (2011, Fine primavera nel Jiangnan), ha proseguito la sua riflessione sull’irriducibile iato fra individuo e società nel romanzo Yinshenyi (2012, Il mantello dell’invisibilità), adottando il punto di vista del cinese medio in una dolente critica ai modelli di sviluppo odierni.

Toni più violenti e politici percorrono i romanzi di Ma Jian (n. 1953), esule a Londra: i suoi ‘umiliati e offesi’ sono il corpo inerme di un sopravvissuto, epitome dell’oblio imposto ai tragici eventi di piazza Tienanmen, in Zhiwuren (2008; trad. it. Pechino è in coma, 2009), e il corpo, represso e seviziato nella sua maternità ‘illegale’, di una contadina in fuga con il marito perché «trasgressori della pianificazione familiare» in Yin zhi dao (2012; trad. it. La via oscura, 2015).

A opere come queste, ancora intrise dell’‘ossessione per la Cina’ tipica dello scrittore novecentesco, in buona parte ‘altre’ rispetto al romanzo occidentale per la struttura stratificata e disomogenea e gli innesti lirici tradizionali, si contrappongono traiettorie narrative più pacate: il realismo psicologico di Bi Feiyu (n. 1964), che con i massaggiatori ciechi di Tuina (2008; trad. it. I maestri di tuina, 2012) rilegge il tema della disabilità come ironica e inattesa sensibilità verso un mondo in frenetico cambiamento; o i fremiti urbani di Paobu chuanguo Zhongguancun (2010; trad. it. Correndo attraverso Pechino, 2014) tra disagio sociale e sopravvivenza, del più giovane Xu Zechen (n. 1978). In una visione più decentrata si colloca anche l’eredità dell’esperienza duanlie («rottura»), con le recenti prove di autori quali Han Dong, Li Er, Dongxi che tentano di elevare l’individualità del quotidiano a primo oggetto del discorso letterario.

Analogamente distante dal potere mediatico-politico e incline all’essenzialità dell’ordinario, la poesia si è orientata, come nel caso di Yi Sha (n. 1966), verso un linguaggio colloquiale e anti-intellettualistico. Malgrado la scarsa visibilità economica, essa mantiene un forte capitale simbolico liberando istanze estranee tanto alle logiche del mercato quanto ai condizionamenti politici, in una grammatica esistenziale dell’individuo così declinata in ‘Xiang pi kongjian’ (2008, Spazio di gomma) di Zhai Yongming (n. 1955): «La vita è quiete e il mondo umano puro / il cuore di un uomo non si può salvare / al cuore delle masse non puoi credere / l’Altro è come un cigno in volo / che non riesce a uscire da questo spazio di gomma impenetrabile». Autrice di alta ispirazione, Zhai conferma, insieme alla giovane Li Cheng’en (n. 1983), l’autorevolezza acquisita dalle donne nel ruolo di poeta, tradizionalmente egemonizzato dal genere maschile.

A fronte di queste voci elitarie, si staglia una fiorente produzione culturale per le ‘masse’, intese più come soggetto consumatore che come oggetto ideologico, un pubblico eterogeneo di classe media e giovane età, che pretende intrattenimento piuttosto che educazione o elevazione morale. Si tratta di un processo innescato sia dall’alto, dall’establishment per formare e orientare l’opinione pubblica e dal mercato per determinarne i gusti, sia dal basso come variegata espressione di esigenze edonistiche che si manifestano attraverso nuovi canali, soprattutto il web. Realtà incomparabile per vastità e capillarità di diffusione, per dinamismo e interattività, la wangluo wenxue intreccia grossi interessi commerciali e autentiche sperimentazioni, costituendo uno spazio relativamente libero in un Paese dove la censura editoriale resta decisiva.

Alimentata dalla rete, dal mercato delle riviste e dei premi letterari, e tipicamente cross-mediale, la letteratura giovanile restituisce il mondo competitivo e materialista degli adolescenti, riflettendone ansie e desideri come nel best seller di Guo Jingming (n. 1983), Xiao shidai (2008, Piccoli tempi), adattato poi per il cinema (2013). Ad altre coordinate della sinosfera letteraria, più riflessiva sul naufragio dei rapporti personali è l’opera originale di una giovane scrittrice di Hong Kong, Han Lizhu (n. 1978) che, in totale controtendenza, si è spinta in un terreno di pura affabulazione finzionale, tra corpi obesi e donne-aquilone in fuga dall’angusta dimensione urbana. Ben incarna la natura globale della letteratura cinese Yan Geling (n. 1958), emigrata negli Stati Uniti nel 1989, i cui romanzi e racconti, popolari sia tra i cinesi d’oltremare sia nella madrepatria e tradotti in diverse lingue, interpretano la condizione dell’emigrante come dislocazione psicologica e culturale più che geografica, metafora di un universale spaesamento umano.

Tornando nei labirinti editoriali della C. continentale, il caso di Hu Fayun (n. 1949) è emblematico dei percorsi ibridi che il testo letterario ha imboccato nell’ansia di libertà espressiva: nel 2007 il suo Ruyan@sars.come è stato dapprima pubblicato a puntate in rete, quindi censurato dopo il boom di vendite in forma cartacea. Ruyan è una vedova di mezza età che grazie al PC regalatole dal figlio scopre nel mondo parallelo della rete i più assurdi e sottaciuti mali della C. d’oggi. Una società divisa tra il culto della tecnologia e l’arretratezza endemica di alcuni settori ha favorito la letteratura di genere sia come proiezione critica sia come pura evasione, con un filone fantasy talora ispirato ai manga giapponesi, le detective stories e, soprattutto, la fantascienza, che interpreta epocali e apocalittici timori sull’ambiente e sul destino di un’economia bulimica. Casi letterari sono stati Shengshi: Zhongguo 2013 nian (2009; trad. it. Il demone della prosperità, 2012) di Chen Guanzhong (n. 1952), distopia sul lato oscuro del successo economico cinese, nonché i thriller matematici di Mai Jia (pseud. di Jiang Benhu, n. 1964).

Arcipelago di contraddizioni, piattaforma linguistico-espressiva che unisce postmodernismo, etnicità e suggestioni autorientalistiche, la sinosfera letteraria ha l’anima ibrida e tesa fra tradizione e globalizzazione tipica di molte culture asiatiche.

Bibliografia: S. Shih, Visuality and identity. Sinophone articulations across the Pacific, Berkeley 2007; New perspectives on contemporary Chinese poetry, ed. C. Lupke, New York 2008; Chen Xiaoming, Zhongguo dangdai wenxue zhuchao (Le principali tendenze della letteratura cine se contemporanea), Beijing 2009, 20132; Global Chinese literature. Critical essays, ed. J. Tsu, D.D. Wang, Leiden-Boston 2010; J. Lovell, Finding a place. Mainland Chinese fiction in the 2000s, «The journal of Asian studies», 2012, 71, 1, pp. 7-32.

Cinema di Simone Emiliani. – Ci sono due elementi apparentemente contrastanti che hanno caratterizzato il cinema cinese nell’ultimo decennio. Da una parte, nel corso degli anni, è sensibilmente aumentato il numero dei film prodotti. Secondo i dati ufficiali della State administration of press, publication, radio, film and television, nel 2014 sono stati prodotti 618 lungometraggi, in calo rispetto ai 638 dichiarati per il 2013 e ai 745 del 2012. Ci sono stati però un incremento sostanzioso del box office (+36,2%) e una quota di mercato dei film locali del 54,5% (nel 2013 era 58,7%). La C., quindi, assieme agli Stati Uniti e all’India, è stata il Paese dove si sono realizzatipiù film al mondo. È aumentato poi, di anno in anno, il numero delle sale aperte con una media di circa 4000 l’anno. E si sogna già lo storico sorpasso nei confronti del cinema hollywoodiano. Secondo Wang Jainlin, presidente e fondatore del gruppo Wanda che ha il progetto di realizzare gli studios più grandi del mondo con un investimento di circa 6 miliardi di euro, questo potrebbe avvenire già nel 2018, e nel 2023 il numero potrebbe essere addirittura il doppio rispetto ai film prodotti negli Stati Uniti. Malgrado il successo che sta rafforzando l’industria nazionale, è stata però spesso contestata la mancanza di contenuti in buona parte delle opere realizzate, alle quali partecipano anche star di richiamo.

Dall’altra parte però c’è un’altra realtà rappresentata dai riconoscimenti ottenuti nei maggiori festival internazionali. Dal 2005 a oggi, i registi cinesi si sono aggiudicati un Leone d’oro (Sanxia haoren, 2006, Still life, di Jia Zhang-ke) e un Leone d’argento (Ren shan ren hai, 2011, People mountain people sea, di Cai Shangjun) al Festival di Venezia, un premio della giuria (Qing hong, 2005, Shanghaidreams, di Wang Xiaoshuai) e due per la sceneggiatura (Chun feng chen zui de ye wan, 2009, Spring fever, assegnato a Mei Feng e diretto da Lou Ye; Tian zhu ding, 2013, Il tocco del peccato, di Jia Zhang-ke) al Festival di Cannes, due Orsi d’oro (Tuya de hun shi, 2006, Il matrimonio di Tuya, di Wang Quan’an; Bai ri yan huo, 2014, Black coal, thin ice, di Yinan Diao), e un Orso d’argento Gran premio della giuria (Kong que, 2005, di Gu Changwei) alla Berlinale e due Pardi d’oro consecutivi (She, a Chinese, 2009, di Guo Xiaolu; Han Jia, 2010, Winter vacation, di Li Hongqi) al Festival di Locarno. Alcuni di questi titoli però sono risultati invisibili in patria, come, per es., Tian zhu ding. Questo è dovuto al forte potere della censura che ha riguardato sia i film di produzione cinese sia i film internazionali distribuiti nel territorio. Nel migliore dei casi ci sono stati tagli consistenti e modifiche a livello di trama e di dialoghi: è il caso di Se, jie (2007, Lussuria. Seduzione e tradimento), di Ang Lee, una coproduzione Cina-Stati Uniti ambientata nella Shanghai del 1942 occupata dalle truppe giapponesi, vincitore del Leone d’oro a Venezia, circolato in patria in versioni prive delle scene di sesso. Nei casi peggiori, invece, i film non sono usciti e i registi messi all’indice, come è accaduto a Lou Ye che a Cannes, in concorso, aveva presentato nel 2006 Yihe yuan (Summer palace) sui fatti di piazza Tienanmen, uno degli avvenimenti che non possono essere mostrati sul grande schermo.

Scena di Tian Zhu Ding

Dall’inizio degli anni Novanta, in Italia i registi più famosi distribuiti in sala sono Zhang Yimou e Chen Kaige. Ed è stato proprio Man cheng jin dai huang jin jia (2006, La città proibita), un wuxia ambientato nella C. del 10° sec., l’ultimo film di Zhang a essere circolato nel nostro Paese. Successivamente, dopo aver diretto la cerimonia di apertura della XXIX Olimpiade di Pechino (2008), ha diretto tra gli altri, San qiang pai an jing qi (2009, Sangue facile), remake di Blood simple (1984) di Joel Coen, e l’ottimo Jin ling shi san chai (2011, noto con il titolo The flowers of war), film bellico con il respiro del melodramma incentrato sul massacro di Nanchino avvenuto in C. nel 1937, con Christian Bale nel ruolo di un becchino statunitense che si finge missionario per difendere alcune ragazze dalle violenze dei giapponesi. Chen Kaige ha a sua volta diretto il wuxia Wu ji (2005, The promise), seguito da Mei Lanfang (2008, Forever enthralled), commistione tra biopic e kolossal storico, Zhao shi gu er (2010, Sacrifice) e dal thriller d’ambientazione moderna Suo suo (2012, Caught in the web) dove, dietro l’imponente impianto figurativo, rispetto al passato affiora un’evidente mancanza d’ispirazione.

Scena di The flowers of war

Il nome più interessante del cinema cinese impostosi in quest’ultimo decennio è quello di Jia Zhang-ke che ha saputo mostrare gli effetti del progresso e l’alienazione individuale, in un cinema continuamente sospeso tra finzione e documentario. Dopo Shi jie (2004,The world), ha firmato lo straordinario Sanxia haoren, esempio di rapida e incessante trasformazione del paesaggio, con la cittadina cinese di Fengjie che sta ormai per scomparire a causa della costruzione della diga delle Tre gole, seguito, tra gli altri, da Er shi si cheng ji (2008, 24 city), Hai shang chuan qi (2010, I wish I knew), documentario su Shanghai, e Tian zhu ding. Il film, definito «uno dei più bei film cinesi di tutti i tempi» da «Le Monde», ha segnato un cambiamento nello stile del regista, con una velocità che richiama King Hu e Johnny To, una rappresentazione secca della violenza e la capacità di mostrare gli effetti del mutamento della metropoli nella C. contemporanea sui quattro protagonisti.

Tra le star impostesi a livello internazionale vi sono le attrici Gong Li (protagonista anche di Miami Vice, 2006, di Michael Mann), Zhang Ziyi e Zhao Tao (che in Italia ha vinto il David di Donatello come miglior attrice per Io sono Li, 2011, di Andrea Segre). Tra i cineasti che si sono imposti sia in patria sia a livello internazionale, oltre ai già citati Wang Xiaoshuai (Zuo you, 2007, In love we trust; Wo 11, 2011, 11 flowers; Chuang ruzhe, 2014, Red amnesia), Lou Ye (Love and bruises, 2011; Fu cheng mi shi, 2012, Mistery; Tui na, 2014, Blind massage), Yinan Diao (Ye che, 2007, Night train) e Wang Quan’an (Fang zhi gu niang, 2009, Weaving girl; Tuan yuan, 2010, Apart together; Bai lu yuan, 2011, White deer plain), da segnalare è anche Feng Xiaogang (Ye yan, 2006, The banquet; Tang shan da di zhen, 2010, After shock; Si ren ding zhi, 2013, Personal tailor).

Scena di San Zimei

Documentarista di punta è invece Wang Bing. Nei suoi film la realtà viene riprodotta con uno stile essenziale nel mostrare spazi spesso claustrofobici, con un’invidiabile lucidità, ma anche con intensa partecipazione emotiva. Dopo aver riportato alla luce l’odissea di un’anziana dissidente politica nella C. del dopoguerra in He Fengming (2007, A Chinese memoir), la sua indagine si è spostata sui cittadini condannati alla fine degli anni Cinquanta a un campo di lavoro nel deserto dei Gobi in Jiabiangou (2010, The ditch), sulla difficile quotidianità di tre sorelline cinesi abbandonate che vivono nello sperduto villaggio dello Yunnan in San Zimei (2012, Tre sorelle, vincitore del premio Orizzonti al Festival di Venezia) e sulle vicende dei pazienti internati in un ospedale psichiatrico in Feng ai (2013,Til madness do us part).

Bibliografia: Y. Braester, Painting the city red. Chinese cinema and the urban contract, Durham (N.C.) 2010; Global Chinese cinema. The culture and politics of hero, ed. G.D. Rawnsley, M.Y.T. Rawnsley, London 2010; C. Attanasio Ghezzi, Cinema, la Cina alla conquista del mercato: “In dieci anni superiamo Usa”, «Il fatto quotidiano», 23 febbraio 2014.

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