CECOSLOVACCHIA

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1948)

CECOSLOVACCHIA (IX, p. 602; App. I, p. 390)

Elio MIGLIORINI
Massimo BRUZIO
Wolfango GIUSTI
Angelo Maria RIPELLINO
Corrado MALTESE
Attilio PODESTA'

La Repubblica Cecoslovacca si estendeva nel 1938 su un territorio di 140.493 kmq. e contava una popolazione di 14.730.000 ab. Tra le minoranze non slave le più notevoli erano rappresentate dai Tedeschi e dagli Ungheresi, che, secondo una statistica ufficiale del 1930, ammontavano a quasi 4 milioni (3,2 milioni di Tedeschi e 700 mila Ungheresi).

Variazioni territoriali 1938-45. - A seguito dell'accordo (29-30 settembre 1938) di Monaco (per gli eventi storici qui citati, v. Storia), la Germania occupò la fascia di frontiera della Boemia e della Moravia verso nord, ovest e sud (28.193 kmq. e 3.595.000 ab.; densità 127 per kmq.) con le città di Usté n. L. (Aussig), Liberec (Reichenberg), Opava (Troppau, Jablonec (Gablonz), Karlsbad, ecc. Il territorio annesso, venne suddiviso in tre parti, di cui una venne aggregata all'Austria, un'altra alla Baviera e la terza, con capoluogo Reichenberg, costituì la regione sudetica (Sudetengau). Poco dopo alla Polonia fu ceduto, mediante accordi (10 novembre 1938) il distretto di Těšín (Cieszyn) sulla sinistra dell'Olza, e il comune di Javorina negli Alti Tatra (1050 kmq. e 250.000 ab.). Successivamente all'Ungheria (arbitrato di Vienna del 2 novembre 1938) fu assegnata una fascia lungo il confine meridionale della Slovacchia e della Rutenia o Russia Subcarpatica (11.915 kmq. e 1.041.000 ab.), con le città di Košice (Kassa), Užhorod (Ungvár) e Mukačevo (Munkács). La Cecoslovacchia risultò così ridotta ad un territorio di 99.335 kmq., con circa 10 milioni di ab. Gli inconvenienti strategici della sua figura, stretta e allungata, ne risultarono accresciuti: Praga era a pochi km. dalla frontiera tedesca, che ora non correva più sulla linea spartiacque, ma era posta nel bacino boemo, mentre l'Ungheria premeva sulla Russia Subcarpatica. Dal lato economico la Cecoslovacchia veniva mutilata di alcune tra le zone industriali più notevoli, con l'unico vantaggio che era molto diminuito il numero degli alloglotti.

Con la proclamazione (14 marzo 1939) dell'indipendenza della repubblica slovacca (v. slovacchia, in questa App.) furono sottratti al territorio cecoslovacco 38.356 kmq. con 2.450.000 ab. Contemporaneamente, le truppe tedesche entravano in Boemia e il 15 marzo un decreto annunciava la creazione del protettorato di Boemia e Moravia (49.362 kmq. e 6.805.000 abitanti).

Il decreto stabiliva che i territorî dell'ex-repubblica cecoslovacca occupati dalle truppe tedesche fossero aggregati al Reich tedesco e posti sotto la sua protezione come "Protettorato di Boemia e Moravia"; che il protettorato fosse autonomo, possedesse un'amministrazione propria ed esercitasse i diritti di sovranità che gli spettavano in ordine alla sua posizione giuridica internazionale, in armonia con gli interessi politici, militari ed economici del Reich. Il capo dell'amministrazione autonoma aveva i diritti e le prerogative di un capo di stato, ma doveva godere, per esplicare il suo ufficio, della fiducia del capo dello stato germanico, il quale, d'altronde, nominava un Reichsprotektor che lo rappresentava, che nominava i membri del governo ed aveva diritto di veto alla proclamazione di leggi e decreti che potessero recar pregiudizio al Reich. Inoltre gli affari esteri e la difesa militare del protettorato venivano assunti dal Reich.

Quanto all'assetto economico esso era determinato, per Boemia e Moravia, da un'unione doganale che le inseriva completamente, sia pure con qualche cautela destinata a limitare le ripercussioni di così bruschi cambiamenti, nella vita economica del Reich; per la Slovacchia, da accordi di carattere preferenziale che la portavano a gravitare, sia economicamente che politicamente, nell'orbita della Germania.

Il 16 marzo la Russia Subcarpatica (11.085 kmq. e 552.000 abitanti) passò a far parte dell'Ungheria come distretto autonomo e per di più, con il protocollo stipulato tra Slovacchia e Ungheria il 4 aprile successivo, questa ottenne di poter spostare il confine ruteno-slovacco (che non era stato mai fissato nel passato in forma definitiva) a occidente del fiume Ung, acquistando altri 1056 kmq. (con 41.000 ab.).

La Slovacchia ottenne poi (21 novembre 1939) a suo favore alcune rettifiche della frontiera settentrionale (600 kmq. e 45.000 ab.) nel distretto di Orava, nella zona di Spiš e ad oriente del passo di Jablunkov.

La capitolazione dell'armata tedesca di Boemia e la sconfitta della Germania su tutti i fronti, resero possibile nel maggio 1945 la ricostituzione della Cecoslovacchia entro i limiti del 1938. Ma il 29 giugno di quello stesso anno la Russia Subcarpatica (12.617 kmq. e 725.000 ab. nel 1930) fu congiunta all'Ucraina, che in tal modo, superato lo spartiacque costituito dai Carpazî, venne ad affacciarsi sull'estremo lembo nord-orientale del bassopiano pannonico ed a confinare con l'Ungheria, mentre la Cecoslovacchia, con la perdita della sua provincia più orientale, poté correggere alquanto quella sua anormale figura di stato eccessivamente allungato nel senso dei paralleli. Ancora insoluta è invece la questione di Těšín (ted. Teschen), zona che ha notevole importanza economica per il possesso del bacino carbonifero di Ostrava-Karvinná. Una parte di essa era stata attribuita nel 1918 alla Polonia, che nel 1938 era riuscita ad allargare in tale regione i suoi confini, approfittando della crisi cecoslovacca.

La Repubblica cecoslovacca attuale. - La Cecoslovacchia costituisce ora una repubblica (Republica Česko-Slovenská), che ha per capo un presidente. Il potere legislativo viene esercitato da un parlamento di 300 membri, eletti in 28 circoscrizioni elettorali, con scrutinio proporzionale di lista. Essa si suddivide come è indicato nella tabella a pagina seguente.

La popolazione è diminuita rispetto al 1930 di circa mezzo milione di unità, soprattutto a causa delle perdite subìte durante la guerra. Secondo altre fonti ("Bollettino mensile di statistica delle Nazioni Unite"), la popolazione supererebbe di poco i 13 milioni, ma se si tien conto che sono partiti circa 3 milioni di Tedeschi (contadini, operai specializzati, industriali, ecc.) e mezzo milione di Ungheresi, anche questa cifra è da ritenere troppo alta. La perdita della Rutenia Subcarpatica e la partenza dei Tedeschi hanno reso più omogenea la Cecoslovacchia sia dal punto di vista etnico, sia da quello religioso.

Condizioni economiche (IX, p. 606; App. I, p. 390). - L'economia della Cecoslovacchia non ha subìto modificazioni radicali rispetto al 1938, per quanto l'occupazione tedesca abbia causato gravi danni e la partenza dei Tedeschi dalle zone industriali periferiche della Boemia e della Moravia renda difficile la loro sostituzione con personale adatto, specie nelle industrie chimiche. Per colonizzare i distretti rimasti spopolati si è provveduto con profughi, con abitanti delle città, con contadini delle zone sovrapopolate. La perdita della Russia Subcarpatica ha fortemente diminuito le risorse forestali. La Slovacchia, che è stata occupata dai Tedeschi solo nel 1944-45, ha subìto minori danni delle altre regioni. Il suo inquadramento nello stato cecoslovacco, dopo un quinquennio di vita indipendente, ha dovuto vincere qualche ostacolo che era stato fomentato dai Tedeschi e dagli Ungheresi, ma ora lo stato va sempre più consolidandosi. Esiste effettivamente tra Boemia e Slovacchia una sensibile differenza nell'evoluzione economica, nel livello di vita e nel grado di cultura, e poiché la Slovacchia è scarsa di capitali e deve ricorrere per questi alla Boemia, si è anche parlato di colonizzazione del paese. Tuttavia i contrasti si vanno attenuando.

Allo scopo di dare un assetto organico all'economia del paese è stato predisposto un piano biennale (v. appresso) che s'ispira per alcuni punti ai piani sovietici ed è destinato ad aumentare la produzione industriale del 10% rispetto all'anteguerra ed a portare l'agricoltura al livello del 1937.

L'agricoltura si basa principalmente su 4 gruppi di coltivazioni: patate, cereali, piante industriali e piante da foraggio (per l'allevamento). Le patate costituiscono per peso il principale prodotto. Se ne raccolgono 80-90 milioni di q., specie nelle terre granitiche di Boemia e nelle alte valli dei Carpazî. Tra i cereali il frumento (14-15 milioni di q.) vuole i terreni migliori (ricche terre del Polabí, a est di Praga, dove s'alterna con la barbabietola; pianura di Bratislava; varie zone dell'altipiano di Boemia e delle colline settentrionali di Moravia), mentre sui poveri suoli granitici e sulle pendici dei Carpazî slovacchi prevale la segala (12-13 milioni di q.), ma la tendenza è ora di aumentare la coltura del frumento, mediante l'impiego di concimi potassici. Di poco al di sotto (10-11 milioni di q.) rimane la produzione dell'orzo, utilizzato per la fabbricazione della birra. Minor importanza hanno l'avena e il mais, diffuso quest'ultimo nelle regioni meridionali della Slovacchia e della Moravia. Nell'insieme, mentre la Slovacchia è in grado di nutrire i suoi abitanti e di esportare anche una parte del raccolto, la Boemia deve far fronte al fabbisogno alimentare con l'importazione.

Le colture industriali sono rappresentate dalla barbabietola (45-50 milioni di q., specie nel Polabí, in Moravia, nella Slovacchia meridionale), dal luppolo (specie nella Boemia di NO.), dal lino e dalla canapa, sparsi un po' ovunque. L'allevamento razionale, specie quello bovino in stalle, si basa sull'alta produzione di foraggi artificiali e naturali (50-60 milioni di q.) e trova le condizioni più favorevoli in Slovacchia. Ma la carne ed i grassi non bastano al fabbisogno interno ed il piano biennale ha rivolto la sua attenzione a questo settore. A tal fine è previsto un aumento delle superfici destinate alle piante da foraggio, a spese dei seminativi, che alla loro volta dovrebbero venire intensificati mediante l'impiego di macchine agricole (anche per far fronte alla scarsezza di manodopera) e della energia elettrica. È prevista pure la riorganizzazione dei territorî nelle zone di frontiera, dove saranno create alcune stazioni sperimentali (ivi le piccole proprietà sono state assegnate ai contadini, mentre quelle più grandi sono state incamerate dallo stato).

Modificazioni più profonde ha subìto l'industria. Sono stati creati infatti tre settori, uno interamente libero, che comprende le piccole officine; un secondo semilibero che comprende le cooperative e un terzo che è stato nazionalizzato e comprende le imprese di grande importanza, appartenenti in passato per la maggior parte a Tedeschi. Il piano ha cercato di evitare una struttura troppo burocratica ed ha dato una sana base economica alle imprese; una federazione industriale, che comprende tutte le officine, grandi e piccole, ha il compito di equilibrare la produzione tra i diversi settori. Come nel campo agricolo, si è poi cercato di diffondere anche nelle industrie il movimento cooperativo.

Tra le risorse minerarie la Cecoslovacchia è ricca di carbone, di lignite e, in minor misura, di ferro. Il carbone si estrae specialmente nel bacino di Ostrava-Karvinná (15 milioni di t.), di lignite è ricca la Boemia (20 milioni di t.), il minerale di ferro (i milione di t.) proviene dal bacino di Přibram (Boemia) e dai Monti Metalliferi slovacchi. Tra gli altri giacimenti, numerosi ma poco importanti, meritano di esser ricordati l'uranite ed i minerali radioattivi di Jáchymov.

Per lo sfruttamento delle risorse idriche le prospettive sono buone. Già ora la produzione s'aggira sui 5 miliardi di kWh., ma si spera di raggiungere i 7,4 miliardi nel 1948, utilizzando la lignite di Most e di Budějovice (di sfruttamento recente) e costruendo delle nuove centrali in Slovacchia. Dalla lignite si estrae pure il 30% del fabbisogno di benzina.

L'industria metallurgica è localizzata in tre distretti principali: a Kladno, che fornisce la ghisa e l'acciaio alle industrie meccaniche di Praga; a Moravská Ostrava, che ha i maggiori altiforni, ed a Plzeň. Il minerale di ferro, che un tempo veniva dalla Svezia, è fornito ora dalla Russia, ma la produzione (900.000 t. di ghisa e 1,5 milioni di t. di acciaio) è ancora lontana dalle cifre d'anteguerra, a causa delle distruzioni belliche (specie a Moravská Ostrava) e delle difficoltà di rifornimento, e per la deficienza tecnica della manodopera. Le industrie meccaniche hanno rivolto la loro attività al settore ferroviario e alle macchine agricole (trattori). Le industrie tessili, un tempo molto fiorenti, hanno ora difficoltà a rifornirsi di cotone e sono state danneggiate per la partenza dei Tedeschi, che costituivano gran parte delle maestranze, specie nella Boemia del N. (Liberec) e di NO. Anche l'industria del vetro sta attraversando un periodo di crisi, ma la richiesta di prodotti pregiati (cristallerie di Boemia) e di vetri comuni ha spinto a riprendere il lavoro.

Tra le industrie alimentari gli zuccherifici, numerosi nella regione del Polabí, lavorano in pieno ed è prevista per il 1948 una produzione di 67 milioni di q. di zucchero. Invece molte fabbriche di birra sono state danneggiate, specie quelle di Plzeňe la produzione è inferiore a quella d'un tempo, pur superando gli 8 milioni di hl. Particolari cure sono state poste per rimettere in grado di produrre le fabbriche di concimi e di cemento. In ripresa le fabbriche di scarpe (quelle Bat′a di Zlín esportano nell'URSS) e gli opifici che lavorano il legno.

La Slovacchia ha un'economia industriale prevalentemente agricola (fanno eccezione il centro siderurgico di Podbrezová, alcune officine chimiche e meccaniche a Bratislava ed a Košice e qualche opificio tessile), ma le risorse naturali e la manodopera non mancano, per cui nel piano biennale è prevista la costruzione di centrali elettriche e il miglioramento delle installazioni minerarie e metallurgiche.

Le comunicazioni ferroviarie hanno subìto forti danni, soprattutto in Moravia e in Slovacchia e nel corso della ricostruzione si è procurato di raddoppiare il binario di alcune linee (per es., la Košice-Žilina in Slovacchia). Sono poi stati iniziati dei lavori per regolarizzare la Vltava e l'Elba (che sarà resa navigabile fino a Pardubice) e per ricostruire i porti di Bratislava e di Komárno, mentre è stato ripreso il progetto d'un canale che dovrebbe unire il Danubio all'Elba attraverso la Moravia.

Il commercio interno consiste nello scambio di prodotti alimentari e di oggetti lavorati tra la Slovacchia, quasi esclusivamente ad economia agricola, e la Boemia-Moravia, fortemente industrializzata, come pure nel trasporto di ghisa e di acciaio dagli altiforni e dalle acciaierie verso le officine meccaniche della Boemia e della Moravia. Il commercio estero ha subìto una modificazione profonda per la cessazione quasi totale degli scambî con la Germania (che era al primo posto) e per l'importanza assunta dal commercio con l'Unione Sovietica (che acquista macchine e prodotti fabbricati). La Cecoslovacchia ha bisogno di materie prime (come minerali di ferro, cotone, canapa), di olî e di grassi, mentre ha sovrabbondanza di zucchero e di patate. Lavora per l'estero l'industria siderurgico-meccanica, quella del vetro, e al fabbisogno di valuta straniera provvede pure la vendita di biancheria, di merletti, di carta, di guanti, di ceramiche. Tra gli acquirenti ha ora un posto preminente anche la Svizzera (acciaio, zucchero, prodotti di lusso), che vende prodotti chimici, macchine, orologi, mentre gli scambî con l'Inghilterra, gli Stati Uniti, la Francia sono tuttora limitati dalle difficoltà di comunicazione. Per il commercio d'oltremare la cecoslovacchia si serve ora, a preferenza, del porto di Rotterdam.

Finanze (IX, p. 614 e App. I, p. 391). - Per il piano biennale 1947-48 gli investimenti previsti originariamente ammontavano a 69,9 miliardi di corone così ripartite: industria e artigianato 25,4; agricoltura 5,2; trasporti 15,1; edilizia 14; lavori pubblici 10,2. Nell'agosto 1947 la Commissione centrale per la pianificazione approvò ulteriori investimenti per 7,5 miliardi di corone. Il bilancio statale non ha raggiunto ancora l'equilibrio. Esso ha così variato:

Al 31 marzo 1948 il debito pubblico ammontava a 136.691 milioni di corone, di cui 18.662 milioni di debito estero.

La Cecoslovacchia partecipa agli istituti di Bretton Woods con una quota di 125 milioni di dollari nel Fondo monetario internazionale, e una equivalente nella Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo. Le operazioni con l'estero sono sottoposte a norme sul controllo dei cambî in vigore dall'anteguerra, codificate nell'aprile del 1946. Dall'aprile 1948, il commercio con l'estero e i trasporti internazionali sono divenuti monopolio di imprese espressamente designate per decreto e che operano sotto la direzione e il controllo del Ministero del commercio estero; tutte le operazioni finanziarie con l'estero sono effettuate per tramite della Živnostenská Banka. Dall'epoca della riforma monetaria i cambî ufficiali sono rimasti immutati: il cambio con il dollaro S. U. è stato fissato a 50 corone cecoslovacche (Kčs) = 1$.

Durante la guerra la circolazione era fortemente aumentata passando da 8 miliardi nel 1937 a 120, costituiti da quattro monete diverse, nell'ottobre 1945. Nel novembre 1946 fu attuata la riforma monetaria sostituendo alle monete in circolazione la nuova corona cecoslovacca. Fu concesso il cambio fino a 500 corone nuove, il resto fu versato in conti bloccati; bloccati furono anche i depositi bancarî esistenti al momento del cambio; in complesso le somme bloccate ammontarono a circa 250 miliardi di corone. Furono applicate due imposte straordinarie: una sui profitti di guerra e una sul patrimonio. Il loro ricavato, insieme con altre entrate come quelle provenienti dalla confisca dei beni nemici, dai pagamenti in conto riparazioni, ecc., deve servire a liberare gradualmente i conti bloccati. A questo scopo è stato creato l'11 agosto 1947 il Fondo di liquidazione monetaria, che ha assunto tutti gli impegni a fronte di conti bloccati, e a cui affluiranno tutte le attività destinate al loro sblocco. Contemporaneamente gl'istituti di credito furono però autorizzati a liquidare, con le proprie disponibilità e senza ricorso all'Istituto di emissione, i conti bloccati originariamente costituiti presso di loro. La circolazione di biglietti della Banca nazionale, ridotta al momento del cambio a 15,8 miliardi di corone, era risalita, al 31 maggio 1948, a 59,5 miliardi.

Nel marzo 1948 la Banca nazionale è stata statizzata; a essa sono stati affidati tra l'altro il controllo e la Direzione del sistema creditizio e il mono polio dei cambî. Dopo una prima riforma attuata nel 1947, per cui il numero degl'istituti di credito era stato fortemente ridotto, è stato presentato nel luglio 1948 un progetto di legge che riorganizza il sistema creditizio. Sono ammesse solo due categorie di banche: le nazionalizzate, in numero di quattro e le banche popolari cooperative. Tra le prime, la Cassa di risparmio postale funzionerà da "centro finanziario" del sistema bancario e la Banca per gli investimenti avrà il monopolio del credito a lungo termine. A fine aprile I948 i depositi in nuova moneta presso tutti gli istituti di credito ammontavano a 78 miliardi.

Storia (IX, p. 614 e App. I, p. 391). - I mesi di settembre e di ottobre del 1938 dovevano profondamente mutare l'aspetto della Cecoslovacchia. Le basi su cui questa repubblica era sorta, apparivano interamente scalzate. Da un lato la Cecoslovacchia, insieme alla Polonia, poggiava sul sistema francese di sicurezza contro la Germania; dall'altro, assieme alla Iugoslavia ed alla Romania, essa doveva garantire la continuità del trattato di pace con l'Ungheria. Da lungo tempo, peraltro, il vecchio rapporto di forze appariva capovolto. I successivi patti di collaborazione ed amicizia fra Parigi, Praga e Mosca non avevano dato i risultati sperati. Di fronte alla crescente potenza della Germania e degli stati orientati verso l'orbita tedesca, la Cecoslovacchia, con quasi tre milioni e mezzo di Tedeschi e circa 700.000 Ungheresi nel suo territorio, si trovava in una tragica posizione di isolamento. Questa situazione drammatica era, finalmente, culminata negli accordi di Monaco e nelle conseguenze dirette e indirette che ne erano scaturite. La Cecoslovacchia, stato plurinazionale, era praticameme divenuta, dopo la mutilazione, uno stato senza minoranze nazionali. La quasi totalità dei Tedeschi era stata incorporata nel grande Reich, che aveva pure assorbito parecchi nuclei cèchi. Le regioni a prevalenza ungherese erano rientrate in Ungheria. Con una mossa incauta e molto criticata, la Polonia aveva voluto unirsi al trionfatore del giorno e annettersi una striscia di territorio slesiano, abitata in parte da Polacchi. La Slovacchia aveva ottenuto una larga autonomia.

La nazione cèca aveva resistito con ferma tenacia alla pressione della Germania hitleriana, pronta ad accettare un duro compromesso, nell'intima fiducia che i grandi stati interessati ad impedire un troppo minaccioso ingrandimento tedesco, avrebbero pur posto un limite alle pretese di Hitler. Le cose dovevano peraltro andare diversamente. L'America, pur simpatizzando con la Cecoslovacchia, viveva ancora in un clima di pieno isolazionismo. L'Inghilterra era militarmente impreparata. La Francia era travagliata da aspri conflitti interni, agitata dagli scioperi scatenati dalle organizzazioni operaie, mentre notevoli forze di destra erano propense ad accordi con le potenze dell'Asse. L'URSS, che avrebbe avuto allora intenzioni di resistenza contro la politica tedesca di aggressione, non trovava sostegno nelle altre grandi potenze, mentre incontrava la non irragionevole diffidenza degli stati minori (Polonia, Romania) che gli eserciti sovietici avrebbero dovuto attraversare per agire militarmente contro la Germania.

Nell'autunno del 1938, dopo gli accordi di Monaco, l'opinione pubblica cecoslovacca subì un vero e proprio tracollo. Si ebbe infatti l'impressione che le nazioni tradizionalmente amiche della Cecoslovacchia avessero compiuto un tradimento. La "seconda repubblica", succeduta alla prima, cercò quindi di cominciare una vita nuova, di rassegnarsi alla situazione di fatto, iniziando dei rapporti corretti con il grande Reich. I gruppi di estrema destra, orientati in senso filofascista, accusarono Benešed il suo "regime" di portare la colpa principale della catastrofe nazionale, per non avere in tempo inserito la Cecoslovacchia nell'orbita dell'Asse. In Slovacchia, intanto, le forze "autonomiste", venivano prendendo un accento sempre più palesemente separatistico. Il 5 ottobre 1938 Edoardo Benešdava le dimissioni da presidente della repubblica nelle mani del generale Syrový: "Avvenimenti storici - dichiarava - hanno trasformato in modo fondamentale le condizioni di vita e di sviluppo del nostro stato... È in tutta un'altra situazione e sotto ben altre condizioni che io sono stato eletto. La mia situazione è cambiata in tal modo che, da ora in poi, la mia presenza potrebbe essere un ostacolo agli sviluppi ai quali il nostro stato deve adattarsi".

I vecchi partiti cessarono praticamente di esistere. Le forze politiche sembrarono, per un momento, concentrarsi verso due grandi blocchi: uno orientato a destra ed uno a sinistra. Ma si trattava di sfumature perché nella nuova situazione politica un movimento democratico di sinistra non sarebbe stato più concepibile. L'opinione pubblica, depressa e come stordita, esprimeva la speranza di una ripresa, anche a costo di una revisione di molte vecchie e radicate tradizioni politiche e ideologiche.

Tuttavia, dopo pochi mesi, la situazione che sembrava alquanto placata in seguito alla grave amputazione della Cecoslovacchia, cominciò di nuovo a turbarsi. Le grandi autostrade germaniche che dovevano solcare la Cecoslovacchia, per ricongiungere la Slesia e la Sassonia con Vienna, apparivano sempre più come un pretesto per dominare potenzialmente anche quella superstite parte della repubblica che non era stata annessa al Reich. La pressione del separatismo slovacco si faceva, in un momento di grave crisi morale e politica, sempre più intensa e minacciosa. Alcuni incidenti avvenuti qua e là fra Cèchi e Tedeschi, anche se di proporzioni modeste, servirono a riattizzare il fuoco. Il presidente del consiglio slovacco, monsignor G. Tiso, annunciava apertamente la sostituzione di funzionarî cèchi con funzionarî slovacchi, sottolineando così il virtuale sdoppiamento della repubblica. Invano le autorità centrali tentavano di prendere, all'inizio del marzo 1939, dei provvedimenti per frenare il separatismo slovacco e per sciogliere delle associazioni tedesco-slovacche, sorte con intendimenti più o meno palesemente ostili alla sopravvivenza dello stato ceco-slovacco. Il 10 marzo il governo centrale ed il presidente della repubblica "constatavano che l'agitazione degli estremisti slovacchi era in contrasto con gli accordi del 1938". Quattro ministri slovacchi vennero destituiti e fu creato un nuovo governo, mentre a Bratislava venivano prese alcune improvvisate misure militari e due dei più noti separatisti, S. Mach e V. Tuka, erano arrestati e monsignor Tiso, incolpato in un comunicato ufficiale di "debolezza" e di "indecisione" verso i separatisti. Gli avvenimenti, peraltro, precipitavano. Il 14 marzo la dieta slovacca si riuniva in adunanza segreta e proclamava l'indipendenza dello stato slovacco. Il nuovo governo dello stato indipendente veniva costituito da monsignor Tiso; tutte le alte cariche erano assegnate a noti separatisti: V. Tuka andava alla vicepresidenza, F. Durčanský agli esteri, S. Mach alla propaganda.

Contemporaneamente la Rutenia, costituente l'estrema regione orientale della Cecoslovacchia e abitata prevalentemente da Ucraini, proclamava l'indipendenza. Il capo di questa regione, monsignor Vološin, appoggiato da alcune formazioni militari nazionaliste ucraine, metteva il suo piccolo paese sotto la protezione di Hitler.

Ma gli avvenimenti più gravi si svolgevano nei rapporti fra Praga e Berlino. Contemporaneamente ai fatti di Slovacchia, Hitler convocava, alla presenza di J. von Ribbentrop, ministro degli Esteri germanico, il presidente della repubblica cecoslovacca E. Hácha, ed il ministro degli Esteri cecoslovacco F. Chvalkovský. Un comunicato ufficiale annunciava che "nel corso della riunione era stata esaminata con piena franchezza la situazione creatasi in seguito agli avvenimenti delle ultime settimane in quello che fino allora era il territorio cecoslovacco". In realtà il debole Hácha, convocato brutalmente dal dittatore tedesco, si vide messo praticamente dinanzi a dei fatti compiuti. Hácha fu costretto ufficialmente a dichiarare che "per giungere ad una pacificazione definitiva, rimetteva il destino del popolo cèco e delle terre cèche, fiduciosamente, nelle mani del Führer del Reich germanico". Il Führer "accettava" questa dichiarazione ed esprimeva la sua decisione di prendere il popolo cèco sotto la protezione del Reich. Il popolo cèco avrebbe dovuto mantenere degli ordinamenti assolutamente autonomi, conformi alle sue caratteristiche etniche. Sorgeva in tal modo il cosiddetto protettorato di Boemia e Moravia. Il Führer lanciava un proclama nel quale dichiarava che le "violenze avvenute negli ultimi giorni contro i superstiti nuclei tedeschi in Cecoslovacchia" lo obbligavano a intervenire e ad occupare tutto il paese. Entro poche ore Praga e tutto il resto del territorio boemo e moravo venivano infatti occupati da formazioni motorizzate dell'esercito germanico (15 marzo 1939). Nello stesso tempo, monsignor Tiso inviava un messaggio a Hitler, nel quale affermava: "Ho l'onore di comunicare a V. E., a nome del popolo slovacco, che il popolo slovacco ha scosso oggi il giogo cèco e che l'indipendenza della Slovacchia è stata proclamata, secondo la volontà della schiacciante maggioranza della popolazione slovacca". Il nuovo regime slovacco poggiava su un'organizzazione paramilitare di tipo fascista, la cosiddetta "guardia di Hlinka". La Rutenia Carpatica, invece, viveva soltanto pochi giorni come stato indipendente perché le truppe ungheresi ne invadevano il territorio ed il giorno 16 marzo raggiungevano la frontiera polacca sulla cresta dei Carpazî. La Slovacchia veniva subito riconosciuta dai governi di Varsavia e di Budapest: Hitler la poneva sotto la protezione tedesca ed otteneva, senza nessuna difficoltà, il diritto di presidiarne alcune regioni con truppe germaniche.

Il dramma della nazione cecoslovacca, iniziatosi nell'estate del 1938, era giunto così a compimento. Anche la speranza di salvare l'indipendenza nazionale, sia pure su una porzione molto ridotta di territorio, era svanita. Peraltro questa tragedia presentava per la nazione anche un aspetto positivo: il disorientamento dell'autunno 1938, l'incertezza sull'avvenire, la rassegnazione e l'adattamento forzato alla prevalenza germanica, erano ormai stati d'animo decisamente superati. La nazione aveva insomma ritrovato una fede ed una speranza, anche se momentaneamente era obbligata a soffocare il proprio sdegno contro l'invasore. Soltanto una minuscola cerchia di persone aderì, in Boemia e in Moravia, al nuovo regime imposto dal vincitore. La grande maggioranza della nazione si unì in un atteggiamento di resistenza, da principio soltanto passiva.

Le severe leggi razziali germaniche vennero immediatamente introdotte nel protettorato di Boemia e Moravia, dove manifestarono gradualmente tutta la loro ferocia come in tutto il resto dei territorî occupati dal Reich. Alcuni patrioti cecoslovacchi, specialmente ufficiali dell'esercito, riuscirono a rifugiarsi in Polonia che, però, cominciava ad apparire come il prossimo bersaglio del Reich.

Gli avvenimenti internazionali intanto precipitavano: lo scoppio della seconda Guerra mondiale se, da un lato, rendeva più dura la dominazione germanica, dall'altro infondeva nuove speranze in vista di una più o meno vicina liberazione. L'opposizione e la resistenza si vennero facendo più intense in tutto il territorio e di pari passo si accentuavano le misure repressive. Uno spietato eccidio di studenti commesso dalle autorità germaniche nella capitale boema il 17 novembre 1939, mostrava al mondo intero la volontà di resistenza della nazione cèca. L'attiva opposizione all'occupazione tedesca si venne decisamente accentuando nell'estate del 1941, dopo la dichiarazione di guerra delle potenze dell'Asse all'URSS. I comunisti che fino allora avevano tenuto un atteggiamento di passività, passarono alla resistenza attiva. Si ebbero dovunque innumerevoli manifestazioni di solidarietà, materiale e morale, con gli Alleati. Gli atti di sabotaggio andavano aumentando. La crescente resistenza militare delle potenze ostili alla Germania e l'entrata in guerra dell'America lasciavano intravvedere una non lontana liberazione e venivano ad animare anche i più prudenti. Il 27 maggio 1942 veniva ucciso uno dei gerarchi nazisti più invisi, R. Heydrich. Seguì una repressione durissima nella quale esponenti di tutti i ceti sociali, tra cui molti rappresentanti della vita culturale e politica, lasciarono la vita. Un'atroce rappresaglia, connessa con l'attentato a Heydrich, fu la distruzione del villaggio di Lidice, dei cui abitanti moltissimi furono massacrati e gli altri dispersi. Seguirono analoghi episodî di violenza e di devastazione, ma il nome di Lidice divenne come il simbolo della resistenza coraggiosa e della dura repressione. Le vittorie successive degli Alleati e specialmente l'avanzata continua degli eserciti russi, aumentavano le speranze dei patrioti e la loro volontà di lotta. Nella montagnosa Slovacchia, ormai vicinissima alla linea del fronte, nella tarda estate e nell'incipiente autunno del 1944 parecchi distretti si trovarono per un certo tempo in mano dei locali partigiani insorti. La ribellione era forse scoppiata alquanto in anticipo e la dura repressione costò infatti la vita a molti combattenti. Essa riuscì, comunque, ad intralciare le retrovie tedesche ed a mostrare l'effettivo stato d'animo di una notevole parte dell'opinione pubblica slovacca. A partire da quel momento la sorte del governo di Bratislava fu praticamente segnata e le diserzioni dalle sue file si fecero sempre più numerose.

Il presidente Beneš aveva costituito, fin dall'inizio delle ostilità, un governo di fuorusciti a Parigi, poi a Londra, che voleva comprendere tutte le principali correnti politiche del paese. Egli cercò pure, durante gli anni di guerra, di allacciare i più stretti legami con l'URSS (e un trattato d'alleanza fu stretto il 12 dicembre 1943) pur sforzandosi di mantenere rapporti cordiali anche con le democrazie anglosassoni. Suo massimo desiderio era che l'amicizia tra Russi ed Anglosassoni continuasse anche dopo la fine della guerra. Egli sognava anche una rinnovellata democrazia cecoslovacca, che, pur mantenendo in grandi linee le libertà fondamentali dell'Occidente, realizzasse audaci e radicali riforme sul piano sociale. Allorquando tra il governo di Mosca ed il governo polacco di Londra si delinearono gravi dissensi, il presidente Beneš cercò di fare in certo modo da intermediario, peraltro con il chiaro proposito di non mettersi in nessun caso in urto con il governo dell'URSS. La Cecoslovacchia continuava così la sua tradizione politica che risaliva, in fondo, al Congresso slavo di Praga del 1848, quando il popolo boemo non era ancora libero. Il 1945 vide la guerra nello stesso territorio cecoslovacco, mentre anche gli attacchi aerei alleati si facevano sempre più violenti. Il paese soffriva gravemente della presenza dei due eserciti avversarî sul suo territorio. L'attività dei partigiani si veniva facendo più intensa in tutte le zone cui si avvicinavano i Russi: particolarmente notevole fu lo sforzo partigiano nella capitale. Mentre i Russi occupavano la più vasta parte del territorio cecoslovacco, gli Americani, avanzanti da ovest, occupavano i distretti occidentali della Boemia, compresa Plzeň. Tuttavia, dopo non lungo tempo, le truppe straniere evacuarono la Cecoslovacchia. Beneš e il suo governo, appoggiati da tutti i partiti, rientrarono nel paese, tra le acclamazioni generali (maggio 1945).

La Cecoslovacchia era stata ricostituita, ma due fatti fondamentali differenziavano il vecchio dal nuovo stato. La Rutenia Carpatica (Russia Subcarpatica) non faceva più parte della repubblica. In un primo momento sembrò che l'URSS volesse riconoscere la Cecoslovacchia nelle sue antiche frontiere: successivamente apparve peraltro chiaro che l'URSS non intendeva rinunciare ad un territorio abitato prevalentemente da Ucraini. Quel territorio aveva avuto una parte importante al tempo della Piccola Intesa, venendo a costituire come un ponte tra la Cecoslovacchia e la Romania, in funzione dell'accerchiamento dell'Ungheria. La situazione complessiva dell'Europa centro-orientale appariva ormai capovolta e i vecchi schemi avevano perduto ogni senso. L'opinione pubblica cecoslovacca si rassegnò assai facilmente alla perdita di un territorio che non era, in fondo, legato né storicamente né sentimentalmente alla repubblica. L'altro fatto importante che cambiava l'aspetto della Cecoslovacchia era l'espulsione quasi totale delle minoranze nazionali: cioè dei Tedeschi e degli Ungheresi. Nel territorio della repubblica rimaneva una percentuale minima di Tedeschi e precisamente quei nuclei la cui attività antinazista era provabile fin dal tempo del regime hitleriano (si tratta, in massima parte, di elementi accentuatamente orientati a sinistra). Si pensa ora di assimilare gradualmente questi residui della popolazione tedesca entro la nazione cèca. Nelle regioni sudetiche, dove un tempo abitavano appena 700.000 cèchi, il numero di questi ultimi era già salito ad oltre due milioni, agl'inizî del 1947. La Slovacchia ottenne entro allo stato una figura autonoma e la lingua slovacca venne, sotto tutti i riguardi, ad essere considerata quale lingua di stato, sullo stesso piano della lingua cèca. Nel clima di solidarietà slava, nell'orbita della politica estera dell'URSS, anche il vecchio dissidio cecoslovacco-polacco venne praticamente messo a tacere. Infatti un trattato d'alleanza fu stretto con la Polonia il 10 marzo 1947; esso era stato preceduto da analogo patto con la Iugoslavia (9 maggio 1946), ed è stato seguito da altro con la Bulgaria (23 aprile 1948). La solidarietà slava si è manifestata anche in un incontro, a Praga (17-18 febbraio 1948), fra i ministri degli Esteri di Cecoslovacchia, Polonia e Iugoslavia, in cui fu presa posizione rispetto alla questione tedesca, in armonia con l'atteggiamento russo (contro la Bizona).

Nuove elezioni ebbero luogo il 26 maggio 1946. Il numero dei partiti appariva grandemente ridotto in confronto all'anteguerra. Mancavano i partiti tedeschi ed ungheresi (anche la grande maggioranza degli Ungheresi aveva ormai abbandonato il territorio della repubblica); mancavano inoltre i partiti della Rutenia Carpatica, incorporata nell'URSS; ma anche i partiti cecoslovacchi erano grandemente diminuiti di numero. I risultati delle elezioni politiche del 26 maggio 1946 furono i seguenti: i comunisti 38%; i socialisti nazionali (partito di centro-sinistra, assai vicino al presidente Beneš) 18,5%; i socialdemocratici 12,1%; il partito popolare (cattolico) 15,7%. Una notevole affermazione fu pure quella dei "democratici" slovacchi, il blocco cioè delle correnti borghesi e moderate della Slovacchia: i voti di questo blocco superarono di molto, nella Slovacchia, quelli comunisti. Si ebbe un governo di coalizione. La vita economica della nazione subì profonde trasformazioni. La riforma agraria, iniziata già dopo il crollo dell'impero asburgico, venne sviluppata, con la palese volontà di distribuire la terra a vasti strati di popolazione e di slavizzare le regioni un tempo abitate da Tedeschi. L'economia venne in gran parte pianificata e la socializzazione prese dimensioni assai ampie.

La coalizione tra partiti di diversissima origine (e cioè quello comunista, quello "popolare" d'ispirazione cattolica, e quello socialista nazionale, richiamantesi alle tradizioni democratiche della repubblica di Masaryk), suscitò scarsi attriti in un primo momento, quando lo spirito della resistenza antitedesca e della lotta partigiana era ancora vivo e nel mondo non si era ancora venuto delineando, in tutta la sua asprezza, il conflitto tra Oriente e Occidente. La politica estera cecoslovacca fu ancorata fin da principio, senza possibili equivoci, alla politica estera dell'URSS. Una serie di trattati di notevole importanza legava la Cecoslovacchia all'URSS ed agli altri stati del blocco orientale. La maggioranza governativa non disperava tuttavia di poter mantenere rapporti cordiali anche con le potenze occidentali. Sul piano della politica interna la Cecoslovacchia, a differenza di altri stati dell'Europa Orientale, manteneva in vigore alcuni capisaldi fondamentali della democrazia occidentale: soprattutto la pluralità dei partiti e la libertà di stampa.

Gli attriti tra i comunisti ed i rimanenti partiti si vennero facendo più sensibili con lo sviluppo degli avvenimenti successivi e con la divisione dell'Europa in due blocchi ostili. I comunisti, che avevano una posizione di primo piano tra le forze partigiane e che si vantavano di rapporti particolarmente stretti con l'URSS, cominciarono ad esercitare in varî campi, secondo l'opinione degli altri partiti, un'accentuata pressione. In occasione del piano Marshall una prima apparente adesione, ed un successivo rifiuto da parte del governo cecoslovacco, vennero attribuite dai governi anglosassoni e dalla stampa democratica occidentale ad una tensione interna nella compagine governativa e, in ultima analisi, ad un veto sovietico.

La tensione fra i comunisti e gli altri partiti si venne accentuando agl'inizî del 1948, in occasione delle nuove elezioni politiche, che si annunciavano prossime. I comunisti accusavano i loro avversarî di voler fomentare forze "reazionarie" e proclamavano la necessità di ulteriori epurazioni, specie nella polizia, e di un accentuato orientamento socialistico sul piano dell'economia nazionale. Dal campo opposto si accusavano i comunisti di volere un'epurazione a loro esclusivo vantaggio e di mirare a trasformare praticamente la Cecoslovacchia in uno stato totalitario. Il 1948 cominciava così in Cecoslovacchia in un'atmosfera di polemica e di tensione, che rifletteva, sul piano locale, la tensione più vasta caratteristica dell'Europa. Questa divergenza radicale di vedute culminò nella seconda metà del febbraio 1948 in una grave crisi del gabinetto presieduto dal comunista K. Gottwald: dopo lunghe discussioni i partiti non comunisti diedero le dimissioni dal governo. Il partito comunista organizzò grandi manifestazioni nel paese e concentramenti di forze nella capitale. Divenuto praticamente padrone della situazione, il partito comunista, pur non disponendo di una maggioranza parlamentare, volle formare un nuovo gabinetto, costituito di comunisti e di qualche socialista, tra cui Zdeněk Fierlinger. Intanto la polizia e formazioni operaie occupavano varî ministeri e numerosi edifici pubblici. Il presidente Beneš, dopo una sintomatica esitazione, finiva per cedere. Il 25 febbraio veniva uffiicialmente annuuciato il nuovo gabinetto Gottwald costituito da 12 comunisti, 4 socialisti della corrente filocomunista, alcuni esponenti sindacalisti e qualche elemento dissidente del partito popolare e di quello democratico slovacco. Il nuovo governo prendeva subito varie misure di statalizzazione e contro l'opposizione.

Il colpo di stato era riuscito soprattutto perché i cosiddetti "comitati di azione", manovrati dal ministro degli Interni Václav Nosek, e dominati dai comunisti, si erano infiltrati in tutti i gangli della vita sociale, sostituendosi alle autorità legali, immobilizzandole e poi allontanandone i dirigenti col sistema dell'epurazione, sotto l'accusa di trame contro le istituzioni popolari repubblicane. Pene severissime furono comminate a chi tentava di rifugiarsi all'estero; e poiché il tentativo non sempre si poteva inconfutabilmente provare o smentire, esso divenne un facile argomento per colpire avversarî politici, come mons. Jan Šrámek, autorevole membro del partito popolare (cattolico), già presidente del governo cecoslovacco in esilio a Londra, e il gen. Karel Janušek, già capo delle forze aeree cecoslovacche in Inghilterra, condannato a 18 anni di carcere. In effetti, fino dai primi giorni dopo il colpo di stato, personalità eminenti nella vita politica e culturale cecoslovacca (fra cui 32 deputati) avevano cominciato a sottrarsi al nuovo stato di cose, riparando all'estero e portandovi nuovi argomenti ai forti dubbî, che fin dal principio erano sorti, sulla legittimità democratica del nuovo regime. Notevole impressione aveva anche prodotto il fatto che molti fra i più qualificati rappresentanti diplomatici cecoslovacchi all'estero (quelli a Washington, Ottawa, Parigi, L'Aia, Oslo, Atene, Stoccolma, Budapest, Messico, infine Roma e il Cairo) avevano presentato le dimissioni; quello presso le N.U. chiese addirittura che le N. U. aprissero un'inchiesta sui fatti di Praga, richiesta che il segretario generale dichiarò inaccettabile; ma la massima impressione produsse il suicidio (10 marzo 1948) del ministro degli Esteri Jan Masaryk, nel quale, per eredità familiare e per costante atteggiamento, si impersonavano, come in Beneš, le tradizioni democratiche parlamentari della libera Cecoslovacchia del 1918-39, e che in un primo momento aveva accettato il fatto compiuto del 25 febbraio. Il nuovo governo tuttavia poteva restare e restava indifferente al clamore di scandalo e di indignazione suscitato da questi fatti; era chiaro che le proteste non avrebbero avuto altro seguito e che le potenze occidentali avrebbero finito col rassegnarsi al fatto compiuto il quale, del resto, non faceva che adeguare, anche sul piano interno, la politica della Cecoslovacchia nel quadro dei paesi dell'Europa orientale e danubiana orbitanti attorno all'URSS. Infatti il governo di Gottwald procedette franco per la sua via, attuando subito un vasto piano di nazionalizzazione delle imprese con più di 50 addetti (già il 3 marzo le imprese nazionalizzate erano 1447) e una radicale epurazione (fino al luglio erano state epurate 8300 persone, di cui 2300 addette ai pubblici uffici). Riaperta l'Assemblea costituente eletta nel 1946, Gottwald sostenne (10 marzo) che tutto era avvenuto "per vie strettamente democratiche, costituzionali e parlamentari" e la successiva votazione parve dargli ragione, perché egli ebbe l'unanimità dei presenti (241 deputati su 300). Anche le due chiese, la cattolica e la cèco-ortodossa, promisero un atteggiamento leale verso il nuovo ordine di cose e, per lo meno, la loro benevola neutralità, benché poi (3 maggio), in una riunione dei vescovi cattolici, ad Olomouc, la proibizione fatta ai sacerdoti cattolici di presentarsi candidati alle elezioni e anche di aver parte nei "comitati di azione", accentuasse la volontà di non compromettersi troppo, e di rimanere spettatori estranei e vigilanti. Il 9 maggio l'Assemblea costituente approvò con 246 voti la nuova costituzione e si sciolse. In vista delle elezioni per il nuovo parlamento, Gottwald riuscì facilmente a convincere i partiti aderenti al fronte nazionale a presentare una lista unica nella quale, su 300 seggi ben 211 erano riservati ai comunisti, 25 ai socialdemocratici (i quali, il 10 aprile, per bocca del loro presidente Z. Fierlinger avevano dichiarato di fondersi con i comunisti "per salvare l'unità della classe operaia"), 26 ai socialisti-nazionali cèchi, 23 al partito popolare (cattolico), 12 al partito della rinascita slovacca, 3 al partito slovacco della libertà. Non furono ammesse liste avversarie: all'elettore, per il quale il voto fu dichiarato obbligatorio, sotto comminazione di gravi pene (fino a sei mesi di carcere) ai trasgressori, restava la libertà di votare pro o contro la lista unica governativa, ma erano esclusi dal voto i "nemici delle istituzioni democratiche popolari" spettando ai "comitati di azione" di scovarli e di redigerne le liste. Le elezioni, svoltesi in piena calma il 30 maggio 1948, diedero l'89,2 per cento a favore della lista nazionale e il 10,8% contro (772.293 voti; ai quali si devono aggiungere circa 800.000 astensioni). Già ai primi di maggio il presidente Beneš, depresso fisicamente e moralmente, aveva chiesto di ritirarsi; il 7 giugno 1948, due giorni avanti la scadenza per la sanzione, con la sua firma, della nuova costituzione, di dimise irrevocabilmente e il 14 giugno, su proposta dei comunisti, l'Assemblea gli elesse successore il Gottwald, che cedeva la presidenza del Consiglio ad un altro comunista, Antonín Zapotocki, mantenendo quasi intatta la composizione del ministero (vicepresidente l'ex-socialdemocratico Z. Fierlinger; alla salute pubblica il padre Josef Plojha che, nonostante i divieti dell'arcivescovo di Praga, insieme con altri sacerdoti si era presentato candidato alle elezioni, venendo poi sospeso a divinis). Il governo di Zapotocki procede energicamente, per sua dichiarazione, "all'abolizione di ogni traccia di capitalismo e di legge "apitalistica"; ha formulato un piano economico quinquennale, in cui si promette appoggio al piccolo artigianato e la salvaguardia dei piccoli contadini con esclusione del sistema russo dei kolchoz. Già il 93% dell'industria è stato nazionalizzato e riunito in 251 trust. Il distacco dal mondo occidentale si viene facendo sempre più profondo; già il 7 aprile festeggiandosi a Praga il 6% centenario dell'università Carlo (IV), questo distacco era visibile per l'assenza dei rappresentanti delle università inglesi, americane, svizzere, scandinave e olandesi, che non avevano voluto suffragare con la loro presenza le violazioni delle libertà accademiche perpetrate dal nuovo regime. Ma che le simpatie per il mondo occidentale non siano del tutto spente, si è visto il 6 luglio a Praga durante la parata dei Sokol: vi furono fatte dimostrazioni di simpatia all'ex-presidente Beneše al maresciallo Tito, che pochi giorni innanzi era caduto in disgrazia del Kominform.

Bibl.: E. V. Erdely, Germany's first European Protectorate, the Fate of the Czechs and Slovaks, Londra 1941; S. Grant Duff, A German Protectorate: the Czechs under Nazi Rule, ivi 1942; C. Mackworth, Czechoslovakia Fights Back, ivi 1943; E. P. Young, Czechoslovakia, ivi 1946; E. Taborský, Czechoslovak Democracy at Work, ivi 1946; J. Goldmann, Czechoslovakia: Test Case of Nationalisation, Praga 1947.

Letteratura.

Letteratura cèca (p. 620). - Esauritosi il poetismo, nel 1934 fu creato a Praga il gruppo surrealista cèco, di cui fecero parte V. Nezval, K. Teige, K. Biebl, il regista J. Honzl, i pittori J. Štyrský, Toyen, ecc. Nezval redasse il manifesto "Surrealismus v CSR". Fu un'esperienza molto breve, perché erano ormai tempi di irrequietezza politica. Sin dal 1936 si comincia ad avvertire nei libri boemi il presentimento della catastrofe. Molti poeti (Nezval, Holan, ecc.), superando gli esperimenti astratti, sentirono l'esigenza di un'arte che riflettesse la tragedia dell'epoca. Del resto questa poesia non aveva mai trascurato la realtà (si pensi alla raccolta Železná mříž, La grata di ferro, di František Nechvátal, ispirata alla guerra civile spagnola) e lo stesso surrealismo non si era mai spinto alle forme itteriche e tentacolari di un Lautréamont o di un Dali. Dinanzi alla sciagura della patria Halas scrisse il virile Torso naděje (Torso di speranza, 1938), e Holan l'angoscioso Září 1938 (Settembre 1938). Durante la seconda Guerra mondiale, la letteratura cèca (dal 1939 al 1945) si divise in due rami: uno si sviluppò - in parte clandestino - in patria, ed uno in esilio. La letteratura dell'esilio è nata quasi tutta nei paesi occidentali, nulla di rilevante avendo creato gli esuli nell'URSS, a differenza del primo conflitto mondiale, quando sorse in Russia una letteratura legionaria cecoslovacca. Scarsa è la poesia dell'emigrazione: citiamo soltanto Viktor Fischl, autore di Evropské Žalmy (Salmi europei, 1941), Mrtvá ves (Villaggio morto, 1943), libro di lamento e di speranza suggerito dalla distruzione di Lidice e Anglické sonety (Sonetti inglesi, apparsi dal 1943 al 1946 nelle riviste boeme all'estero). La prosa dell'esilio è rappresentata da Egon Hostovský, che si guadagnò fama mondiale con i suoi romanzi, da Jiří Mucha, con Most (Il ponte, 1943) e Problémy nadporučika Knapa (I problemi del tenente Knap, 1945), da František Langer con Děti a duýka (Bambini e pugnale, 1943), da Adolf Hoffmeister, autore dell'odissea picaresca Turistou proti své vêli (Turista controvoglia, 1941). In patria gli scrittori svolsero un'audace attività clandestina e molti di essi (VladislavVančura, Josef Čapek, Julius Fučik, i poeti Hanuš Bonn e Karel Vokač, il romanziere Karel Polaček, il critico B. Václavek, ecc.) pagarono con la morte la loro avversione ai nazisti. Vi fu una poesia della resistenza: Halas e J. Hora collaborarono al periodico illegale In lotta; una raccolta di liriche uscì nel 1940 a Parigi (ripubblicata ora col titolo Křik Koruny české, Il grido della corona cèca). Le sofferenze di quegli anni hanno ispirata una letteratura della prigione, di cui sono nobili esempi il Reportage di Fučik ed il poema Jeden ze všech (Uno fra tanti) di E.F. Burian. La poesia, più attiva della prosa, passò dal frammento lirico alle forme cicliche ed alle composizioni epiche. Alcuni poeti si abbandonarono alla sfiducia e alla depressione (Holan vede nell'universo un male cosmico e nell'uomo una marionetta del destino), altri trassero conforto e fede dalle tradizioni. I. Seifert e Halas, ad esempio, rievocarono la dolce figura di Božena Nemcová e V. Vančura risalì ad epoche primitive nei suoi Obrazy z dějn národa českého (Quadri della storia del popolo cèco). Le simpatie degli scrittori e dei poeti si rivolsero sempre più verso l'URSS. Tra i prosatori si sono affermati negli anni recenti Jan Drda, Václav Řezáč coi romanzi Slepá ulička (La viuzza cieca), descrizione del mondo capitalistico in declino, Černé svetlo (Luce nera), Svědek (Il testimonio), Rorhraní (Lo spartiacque); Miroslav Hanuš coi romanzi psicologici Na trati je mlha (C'è nebbia sulla strada), Pavel a Gertruda, Meněčennost (Inferiorità), František Kožík con Největší z Pierotê (Il maggiore dei Pierrot, storia del funambolo cèco Deburau). La giovane poesia ha per maestri Holan e Halas e molto risente degli influssi sovietici (B. Pasternak, V. V. Chlebnikov, V. Majakovskij). Esistono oggi in Boemia sette scuole di poeti: il Gruppo '42, i surrealisti di RA, il gruppo di "Rudé Právo", il gruppo di "Mladá fronta", Ohnice, un gruppo cattolico ed uno di indipendenti. Questa sorta di fronte nazionale della poesia ha una tendenza comune: quella di "depoetizzare la poesia" sino a giungere ad un naturalismo descrittivo. Il verso assume toni pubblicistici, diventa reportage e attinge senza riserve a tutti gli strati lessicali.

Letteratura slovacca. - Innovatori della letteratura slovacca contemporanea furono L. Novomeský, Ján Smrek (1889), fondatore della rivista Elan, per molti anni centro culturale d'avanguardia, e autore tra l'altro della raccolta Cválajúce dni (Giorni galoppanti), Ján Rob Poničan (1902) con Demontáž (Scomposizione) e Večernčsvětla (Luci serotine), Emil Bohuslav Lukač (1900) che compose una poesia visionaria agitata da inquietudini tragiche nelle raccolte Dunaj a Seina (Danubio e Senna), O láske nelaskavje (Dell'amore scontroso), Križovatky (Crocicchi). Nella prosa si segnalarono Jan Hrusovskü che rievocò le sue esperienze belliche nel romanzo Mu žs prothésou (L'uomo dalla protesi), Petr Jilemnický, autore di romanzi villerecci dal tessuto epico, e soprattutto Milo Urban, affermatosi col romanzo collettivo Živým bičem (Con la frusta viva), drammatica storia sullo sfondo della guerra mondiale. Nel teatro domina Ivan Stodola (1888), autore del dramma Bačova žena (La moglie del pastore), sui problemi dell'emigrazione slovacca, e della rapsodia storica Král Sva???topluk (Il re Svatopluk). Dopo questa guerra, uno dei temi preferiti della poesia e della prosa slovacca è diventata la rivoluzione di Baňska Bystrica, a cui Petr Jilemnický ha dedicato il libro Kronika, di tono documentario, Ján Poničan il poema Povstanie (Insurrezione), e Ján Bodenek i racconti realistici Z vlčích dní (Giorni da lupi). La prosa vanta ancora il romanzo Tri gaštanové koně (Tre cavalli bai) di Margita Figuli, Zahmlený návrat (Ritorno caliginoso) e Hory mlcia (Silenzio sulle montagne) di Josef Horák, Nevesta hôl (La fidanzata) di František Švantner, fantasioso romanzo costruito su elementi del folklore e delle ballate. La recente poesia slovacca conta due tendenze: quella riunita intorno alla rivista cattolica Verbum (P. C. Illbina Mrtvé more, Mar morto) e quella dei surrealisti. I surrealisti palesano una forte disciplina stilistica e fanno posto alla riflessione più che agli improvvisati giochi metaforici: Ján Brezina in Slnečnã den pre všetkych (Giorno di sole per tutti), Július Lenko in Hviezdy ukrutnice (Stelle crudeli) si rivelano poeti sentenziosi, e Štefan Žáry, il più veemente e impulsivo del gruppo, dà esempio di strofe chiuse (la ballata villoniana) e di parsimonia di immagini.

Bibl.: J. B. Čapek, Profil ceské poesie a prosy od r. 1918, Praga 1947; Bedřich Václavek, Česká literatura XX stoleti, Praga 1935; id., Tvorbou k realitě, Praga 1937; V. Nezval, Moderní básnické směry, Praga 1937.

Arte (IX, p. 625).

Dopo la fioritura del paesaggismo rude e appassionato di artisti nazionali, quali V. Špála (1885-1946) e V. Rabas (n. 1885), le nuove tendenze pittoriche si sono cominciate a sviluppare largamente attorno al 1930 rivelando una differenza accentuata tra la scuola cèca, a carattere internazionalista e orientata verso l'arte francese e la scuola slovacca, piuttosto tradizionalista, anche se in forme nuove e moderne (es. Cyprián Majerník, 1909-45, Miloš Bazovský, Ladislav Guderna, n. 1921). La stessa scuola cèca, nata sostanzialmente con il gruppo degli "Otto" (rappresentato soprattutto da E. Filla, B. Kubišta, A. Procházka e V. Beneš) si era tuttavia da tempo divisa in due: l'Umělecká Beseda e il Mánes. Mentre il primo impostava la propria poetica sul "civilismo", proponendosi cioè di illustrare la moderna vita cittadina attraverso le esperienze soggettive ed emotive dell'artista, il secondo si volgeva di preferenza a esperienze più formali e astratte. Al primo gruppo appartennero artisti come Bohumil Kubišta (1884-1918) e Josef Čapek (1887-1945) e Jan Šrzavý (1890) e ne fanno oggi parte artisti come František Hudeček, Kamil Lhoták, ecc. Al secondo gruppo appartiene uno dei più grandi, se non il più grande artista cecoslovacco vivente, cioè Emil Filla (n. 1882), che ha utilizzato le esperienze cubiste, specialmente picassiane, per esprimere il suo mondo, ora con un simbolismo patetico e drammatico, ora con un acceso giuoco formale. Nell'ambito di questo gruppo rientra il surrealista Václav Tikal.

Durante l'occupazione tedesca, nella guerra 1939-45, gli artisti cecoslovacchi hanno affermato la loro volontà di resistenza lavorando ed esponendo secondo canoni opposti a quelli degli occupatori nazisti e molti di essi, come J. Čapek, C. Majerník, J. Štyrský, A. Procházka, V. Pála e altri ancora hanno perduto la vita nei campi di concentramento. La loro eredità spirituale è stata oggi raccolta da artisti più giovani tra i quali, oltre qualcuno già citato, vanno ricordati František Gross (n. 1909), František Jiroudek (n. 1915) e Karel Černý (n. 1912).

Tra gli scultori operano Bedřich Stefan (1896), Alois Sopr (n. 1913) e altri, quali rappresentanti di una concezione plastica fedele al dato reale, mentre un fragile senso della poesia delle forme anima l'opera di Josef Wagner (n. 1901), e Jindřich Wielgus (n. 1910) riprende la tradizione popolaresca alla Barlach con le sue figure chiuse in una sintesi rude e un po' cupa.

Non vanno dimenticati alcuni artisti cecoslovacchi che vivono in Francia e che hanno avuto importanza agli inizî del secolo, come F. Kupka (n. 1871) e O. Coubine (Kubín), o da poco venuti in luce, come J. Šima (n. 1891). Anche J. Zrzavý risiede in Francia.

Bibl.: V. M. Nebsky, l'art moderne tchéclosvaque, Parigi 1937; P. Descargues, 30 ans de peinture tchécoslovaque à l'Orangerie, in Arts, 6 dicembre 1946; J. M. Tomes, La peinture tchéclosvaque moderne, ibid., 31 ottobre 1947, p. 3; Emporium, CVI (1947), p. 88 segg.; J. Kotalik, Presentazione al padiglione cec., in Catal. della XXIV Biennale, Venezia 1948, pp. 237-39; M. Seton, Czechoslovak Painting, in Magazine of Art, XLI (1948), pp. 146-8.

Architettura. - Nel suo complesso, l'architettura cecoslovacca segue dai primi anni del secolo - da quando J. Kotěra (m. 1923) portò a Praga l'insegnamento di O. Wagner - la stessa evoluzione dei più progrediti paesi europei. L'opera di rinnovamento iniziata da J. Kotěra, J. Gočár e O. Novotný, subisce le influenze del cubismo e poi, le deviazioni decorative di un movimento a carattere nazionale. Ma l'architettura razionale orienta decisamente le nuove generazioni e, intorno al 1925, si hanno le prime costruzioni di reale valore su un piano moderno. La nuova architettura cecoslovacca non raggiunge la purezza di quella olandese, né l'importanza di quella tedesca, ma si pone all'avanguardia per la franchezza delle soluzioni e la serietà con cui affronta i compiti sociali del nostro tempo. Basterà ricordare, nel campo urbanistico, Zlín, la prima città industriale veramente moderna e Hradec Králové (creata da J. Gočár, morto nel 1945). Gli architetti migliori sono: Fragner (stabilimenti), Havliček e K. Honzík (Cassa pensioni di Praga). Centro importante è Brno, con opere notevoli di B. Fuchs. Per le necessità della ricostruzione postbellica, dal 1945 sono stati intensificati gli studî urbanistici secondo nuove direttive di decentralizzazione che investono anche Zlín.

TAG

Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo

Fondo monetario internazionale

Primo conflitto mondiale

Seconda guerra mondiale

Industria metallurgica