Pisacane, Carlo

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Patriota (Napoli 1818 - Sanza 1857). Fu uno dei primi teorici del socialismo in Italia, e nel dibattito interno al movimento risorgimentale sostenne la priorità della questione sociale rispetto a quella politica. Partecipò alla prima guerra d'indipendenza (1848) e alla difesa della Repubblica romana (1849). Nel 1857, con lo scopo di sollevare al Sud un'azione rivoluzionaria che scongiurasse la soluzione monarchica della questione italiana, organizzò con G. Mazzini la spedizione di Sapri. P. e i suoi, non sostenuti dalla sperata insurrezione, furono attaccati dai soldati borbonici. P., ferito, si uccise.

Vita e attività

Di nobile famiglia,  fece gli studi militari alla Nunziatella, dove entrò tredicenne; nominato alfiere nel corpo del genio militare di stanza a Napoli, fu addetto alla costruzione della strada ferrata per Capua. Entrò nell'esercito (1839) come ufficiale del Genio, ma dovette interrompere la carriera militare e fuggire all'estero a causa della relazione che lo legava a una donna sposata (1847). Scampati alle indagini della polizia, i due amanti si rifugiarono a Marsiglia poi a Londra, infine a Parigi, sempre perseguitati dalla polizia per mezzo dei residenti borbonici all'estero. A Parigi P. si arruolò nella Legione straniera, e lasciata la sua compagna andò a combattere in Algeria. Avuta notizia dei moti di Milano, tornò in Italia per partecipare alla prima guerra d'indipendenza (1848); comandante di una compagnia di cacciatori, fu ferito in uno scontro e costretto a riparare a Lugano per sfuggire agli Austriaci. Nel marzo 1849 P. raggiunse Roma, dove era stata proclamata la repubblica; nominato capo di S. M., durante la difesa della città ebbe dei contrasti con G. Garibaldi, poco incline a sottostare alla rigida organizzazione che P. cercava di trasmettere all'esercito repubblicano. Tali contrasti e la critica a Carlo Alberto, accusato di volersi sostituire all'Austria come baluardo della conservazione, furono documentati nel volume La guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49, pubblicato a Genova nel 1851; nella stessa opera P. prese le distanze dalle idee di G. Mazzini, criticato in quanto fautore di un semplice mutamento nella forma del governo: non prospettando alcun miglioramento nelle condizioni di vita dei ceti popolari, tale cambiamento era ritenuto da P. insufficiente a suscitare l'interesse delle masse alla rivoluzione nazionale. Sempre a Genova P. attese ai Saggi storici-politici-militari sull'Italia (4 voll., post., 1858-60), in cui riaffermò il primato della questione sociale su quella politica: scopi ultimi della rivoluzione dovevano essere l'abolizione della proprietà privata, dei mezzi di produzione e del principio di autorità, essendo la sovranità un diritto di natura inalienabile e non delegabile, che risiede nell'intera nazione; solo il socialismo, cioè una completa riforma dell'ordine sociale, avrebbe spinto il popolo alla battaglia, offrendogli la speranza di un futuro migliore. Pur restando fedele alle proprie convinzioni socialiste e rimanendo critico nei confronti delle idee di Mazzini, P. nel 1855 si riavvicinò a quest'ultimo. I due studiarono un'azione rivoluzionaria nel Mezzogiorno che, collegata all'attività cospirativa del comitato napoletano di G. Fanelli, scongiurasse la soluzione moderata e monarchica della questione italiana perseguita dal Piemonte. Un primo tentativo di raggiungere le coste del napoletano fallì perché P., che doveva impadronirsi con alcuni compagni del vapore Cagliari, per una tempesta non poté ricevere il carico di armi che R. Pilo gli avrebbe dovuto consegnare in mare (9 giugno 1857). Recatosi a Napoli per avvertire del contrattempo il comitato, nonostante le perplessità espresse da Fanelli, P. rientrò a Genova deciso a ritentare l'azione e il 25 giugno con una ventina di uomini s'impossessò del Cagliari. Anche questa volta P. non poté ricevere le armi da Pilo, le cui barche, a causa della nebbia, non riuscirono a incontrare il vapore, ma proseguì ugualmente facendo rotta su Ponza. Conquistato il castello e liberati i prigionieri ivi reclusi, con circa trecento di essi P. sbarcò a Sapri il 28 giugno. Non avendo trovato traccia della sperata insurrezione, cui avrebbe dovuto lavorare il comitato napoletano, P. e i suoi cercarono invano di far sollevare le popolazioni di Torraca e Casalnuovo (30 giugno); circondati e decimati dai soldati borbonici nei pressi di Padula, si aprirono un varco verso Buonabitacolo, quindi verso Sanza, ove furono attaccati dai contadini, chiamati a raccolta dal parroco (2 luglio). P., ferito in combattimento, si uccise.

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