CARDINALE

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1978)

CARDINALE (VIII, p. 989; App. II, 1, p. 507)

Giovanni Caprile

Superato per la prima volta, nel 1958, il plenum tradizionale di 70 membri, il collegio cardinalizio si avviò verso nuovi sviluppi, sia nel numero sia nella rappresentatività. Al tempo stesso sono andati notevolmente attenuandosi i caratteri d'italianità, occidentalità e curialità prevalenti fino a qualche decennio addietro.

Dopo i concistori del 1958, 1959 e 1960, Giovanni XXIII tenne ancora due creazioni cardinalizie: una il 16 gennaio 1961, con 4 nuovi porporati, che portarono a 85 il numero complessivo, l'altra il 19 marzo 1962, con 10 nomine che lo elevarono a 87. Paolo VI ha finora tenuto 5 concistori: il 22 febbraio 1965 con 27 c. che portarono il totale a 103; il 26 giugno 1967, con 27 nomine che elevarono il plenum a 118; il 28 aprile 1969, quando ai 101 c. viventi a quella data ne furono aggiunti altri 33 (in tutto, quindi, 134), più due in pectore, i cui nomi vennero resi noti solo nel 1973: il romeno G. Hossu, morto nel frattempo, e il cecoslovacco St. Trochta; il 5 marzo 1973 con altre 30 nomine che fecero salire il totale a 145; nel concistoro del 24 maggio 1976 i nuovi c. furono 22, uno dei quali però ancora riservato in pectore, mentre per un secondo (egli pure annunciato in pectore) la riserva venne tolta e si conobbe essere l'arcivescovo di Hanoi nel Vietnam.

Col numero si estendeva anche la rappresentatività del collegio cardinalizio, e numerose nazioni vi furono infatti rappresentate per la prima volta. Col concistoro del maggio 1976 il numero dei c. salì a 137, tra i quali: 70 europei, 23 latinoamericani, 15 nordamericani, 12 africani, 12 asiatici, 5 dell'Oceania; gl'italiani erano 36, i non italiani 101.

Sotto il pontificato di Paolo VI è andato delineandosi un nuovo tipo di c.: non di curia né al governo di diocesi, ma in posti di studio e di altre attività pastorali: così i cardd. Journet e Daniélou, impegnati nella ricerca teologica; l'italiano G. Bevilacqua, rimasto nel ministero parrocchiale nei sobborghi di Brescia; il canadese P. E. Léger, già arcivescovo di Montréal, dedicatosi prima ai lebbrosi in Africa e poi parroco in patria.

Specialmente dopo il Concilio certuni hanno parlato di abolire il cardinalato o di ridimensionarne l'importanza, conferendolo solo ad tempus. Ciò non sembra corrispondere al pensiero pontificio: Paolo VI ha più volte ribadito l'importanza e il prezioso apporto di esso al governo della Chiesa, nonché l'utilità di poter contare su "un collegio cardinalizio qualificato, stabile e immune da ogni indebita ed estranea ingerenza" in ordine all'elezione del papa; Giovanni XXIII, col motu proprio Cum gravissima (15 aprile 1962), dispose che da allora in poi tutti i c. venissero insigniti del carattere episcopale, ferma restando la consueta divisione interna del collegio nel triplice gruppo o ordine di c. vescovi, preti, diaconi. Quanto all'elezione del papa - accantonato, soprattutto per motivi ecumenici, il progetto di associarvi anche i patriarchi cattolici orientali e una rappresentanza del Sinodo dei vescovi - esso rimane diritto del collegio dei c. (cost. ap. Romano Pontifici eligendo, 1° ottobre 1975).

Oltre ai già menzionati, altri provvedimenti interessano da vicino il cardinalato. Nel motu proprio Suburbicariis sedibus (11 aprile 1962) fu stabilito che un c. dell'ordine dei vescovi, promosso a una delle sedi suburbicarie di Roma (Ostia, Albano, Palestrina, Frascati, Porto e santa Rufina, Sabina e Poggio Mirteto, Velletri), non avrà più il governo effettivo di quella diocesi, ma ne assumerà solo il titolo, godendo di alcuni privilegi onorifici. Paolo VI col motu proprio Ad purpuratorum Patrum (11 febbraio 1965), dispose che i patriarchi orientali, annoverati fra i c., venissero aggregati al gruppo o ordine dei vescovi, ma senza assumere il titolo d'una sede suburbicaria e senza essere, sia pure solo nominalmente, annoverati fra il clero romano; per gli stessi motivi ecumenici suaccennati, in seguito non si è insistito su queste nomine di patriarchi al cardinalato.

Nel 1967 vennero emanate norme per semplificare l'abito cardinalizio, abolendo anche le mansioni di gentiluomo e di caudatario. Altre semplificazioni seguirono nel 1969 circa la forma e il colore degli abiti, abolendo (anche per i vescovi) l'antica usanza di vesti di diverso colore per i prelati provenienti da alcuni ordini religiosi; fu reso facoltativo il titolo di "eminenza", vennero semplificati gli stemmi, ecc. Il motu proprio Ad hoc usque tempus (11 aprile 1969) abrogò le facoltà di cui godevano i c. per l'amministrazione e il governo delle proprie chiese titolari in Roma; anche per l'imposizione della berretta venne chiesto ai capi di stato che ne godevano (Italia, Spagna, Francia, Portogallo) di rinunziare all'antico privilegio d'imporla ai rispettivi nunzi promossi al cardinalato. Col motu proprio Ingravescentem aetatem (21 novembre 1970) anche i c. venivano invitati a rassegnare spontaneamente le dimissioni da ogni ufficio, al compiersi dei 75 anni di età; gli stessi, poi, al compimento degli 80 anni cessano di essere membri dei dicasteri di Curia e degli altri istituti permamenti della Sede Apostolica e della Città del vaticano, perdono il diritto di entrare in conclave, pur ritenendo tutti gli altri diritti e privilegi annessi al cardinalato, compreso quello di partecipare alle diverse congregazioni cardinalizie in periodo di sede vacante, prima dell'apertura del conclave.

A partire dal concistoro del 1973 vennero semplificate anche le cerimonie che avevano luogo in quest'occasione, conferendo loro un carattere più spiccatamente liturgico: il biglietto di nomina viene consegnato a tutti i nuovi c. riuniti insieme e non più a casa di ciascuno; dopo il giuramento nelle mani del papa, i nuovi eletti ricevono da lui lo zucchetto (piccolo copricapo) e la berretta purpurea e il titolo loro assegnato, mentre il galero (grosso cappello rosso) vien fatto recapitare in seguito a casa; l'anello è consegnato a ciascuno dal papa nel corso d'una concelebrazione eucaristica.

Va infine ricordato che anche il rito funebre per i c. è molto semplificato: la bara è poggiata a terra, illuminata dal solo cero pasquale, simbolo della fede nella risurrezione, e sormontata dalle insegne cardinalizie.

Bibl.: Annuario Pontificio 1976; Acta Apostolicae Sedis, alle date dei diversi documenti.

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