CARBONE

Enciclopedia Italiana (1930)

CARBONE (lat. carbo; fr. charbon; sp. carbón; ted. Kohle; ingl. coal)

Michele TARICCO
Giorgio MORTARA
Arrigo MAZZUCCHELLI
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Carboni sono, genericamente, tutte quelle sostanze, prevalentemente costituite di carbonio, residuo della decomposizione di altre sostanze organiche attraverso un lento processo naturale (carboni naturali) o sotto l'azione rapida di una temperatura elevata (carboni artificiali).

Carboni naturali.

Origine. - Lo studio geologico e paleontologico dei giacimenti di carbone e delle rocce che li accompagnano, lo studio chimico della composizione elementare, quello fisico, macroscopico e microscopico delle varie parti componenti non lasciano alcun dubbio che i carboni sono il prodotto di un complesso processo di trasformazione di sostanze vegetali svoltosi fuori del contatto dell'aria in periodi lunghissimi di tempo, quali le ere geologiche, e tuttora in corso nei suoi varî stadî. Per effetto di tale processo, detto carbonizzazione, le sostanze vegetali, costituite essenzialmente da composti di carbonio, idrogeno e ossigeno, quali la lignina, la cellulosa, le resine, e anche in piccola parte da sostanze proteiche, che contengono inoltre azoto e zolfo, passano successivamente e gradatamente allo stato torboso, di lignite, di litantrace, di antracite e in certi casi di grafite con tenori crescenti di carbonio e decrescenti d'idrogeno e ossigeno, come appare dal seguente quadro di composizioni elememari medie, supposte eliminate le ceneri e l'umidità.

I varî stadi di carbonizzazione si trovano, nelle linee generali, distribuiti gradualmente nelle varie ere geologiche: la torba nel Quaternario, anche attuale, la lignite nel Terziario, la lignite e il litantrace nel Secondario, il litantrace e l'antracite nel Primario e precisamente nel periodo che per la grande abbondanza di carbone è detto Carbonico. Ciò specialmente nell'emisfero boreale (Europa, Asia, America del Nord); invece nell'emisfero meridionale (Africa del Sud, Australia, America del Sud) e nell'India il litantrace è più giovane del Permico o del Trias. Non mancano però eccezioni, quali i giacimenti di Saint-Ètienne in Francia e quelli della Cina, del Permico; della Virginia, del Trias; dell'Ungheria, del Giura; degli Stati Uniti occidentali (Laramie), del Cretacico.

Fattori forse anche più importanti del tempo sono stati la pressione e la temperatura sotto cui il processo si è svolto, dovute entrambe ad azioni orogenetiche e, per quanto riguarda l'aumento di temperatura specialmente ad affondamenti. Ove queste azioni sono mancate, il processo è in ritardo; dove sono state intense, esso è in uno stadio più avanzato, come appare dai seguenti esempî. Un carbone del bacino di Mosca, del Carbonico, ha tuttora le caratteristiche delle ligniti, quale quella della colorazione bruna della soluzione alcalina a caldo; anche gli strati sterili che lo contengono sono terrosi anziché litoidi, mostrando, come il carbone, solo lievi azioni diagenetiche. Nella Pennsylvania invece si osserva che nelle parti più fortemente ripiegate del Carbonico dei M. Appalachi si hanno antraciti; mentre nelle parti più tranquille si hanno successivamente litantraci magri e poi quelli grassi; un analogo fenomeno si osserva nel bacino carbonifero del Galles Meridionale. Le qualità dei carboni, quando questi si trovano in numerosi strati intercalati a una grande potenza di strati sterili, come in Vestfalia, mostrano lo stesso fenomeno, per quanto attenuato: carboni magri, cioè più vicini alle antraciti, in basso e poi successivamente carboni semigrassi nella parte intermedia e grassi in alto. Le piante che hanno fornito il materiale sono state diverse a seconda delle ere geologiche e delle condizioni ambientali in cui sono vissute: il litantrace e l'antracite sono in massima parte derivati da crittogame vascolari (felci di oltre 250 specie in parte arborescenti, lepidodendri, sigillarie) e in minor parte dalle prime gimnosperme (cordaiti, cicadee, conifere): notevole la grande abbondanza di spore che in qualche caso (cannel coal) costituiscono quasi per intero il carbone. La lignite è in parte dovuta a piante superiori, quali conifere, palme, quercacee, e in parte a piante inferiori. Le torbe, che si formano tuttora, mostrano essenzialmente la loro provenienza da sfagni, ciperacee, giuncacee, graminacee, ecc.

La maggior parte dei carboni è dovuta a sostanze vegetali cresciute nel luogo stesso ove avvenne la carbonizzazione (carboni autoctoni), come accade nelle attuali torbiere; un'altra parte è invece dovuta a detriti di vegetali fluitati dalle acque fluviali o marine a laghi interni o a insenature del mare e quivi deposte (carboni alloctoni). I primi occupano bacini assai estesi, di preferenza nelle vicinanze del mare (paralici), i banchi sono omogenei su grandi distese, ove non siano intervenute azioni successive a modificare le loro proprietà; spesso racchiudono tronchi e ceppi di alberi ancora nelle loro posizioni originarie (astraendo dai movimenti posteriori) con le radici penetranti nel substrato; i giacimenti alloctoni sono più ristretti, con variazioni frequenti nella qualità e nella potenza degli strati, con resti di piante che mostrano l'usura del trasporto, e sono più spesso limnici.

Mentre la torba si presenta generalmente in un solo strato e la lignite in pochi strati, per quanto talora alcuno assai potente fino a 50-100 m., il litantrace e l'antracite sono spesso in strati assai numerosi, alternanti con altri strati litoidi, sterili, per uno spessore complessivo anche di parecchie migliaia di metri. Si è pertanto indotti a pensare a estesissime foreste vegetanti in aree paludose depresse litoranee e lacustri soggette ad abbassamenti periodici di livello; a sommersione del materiale vegetale da parte delle acque con sedimentazione del materiale argilloso e sabbioso sospeso o trascinato fino a colmare la depressione; a successiva ripresa del ciclo di vegetazione seguito da nuovo abbassamento e ricoprimento e così anche per centinaia di volte, in periodi di tempo enormemente lunghi. Per es. nella Vestfalia si hanno circa 100 strati di carbone alternanti con strati sterili per un complesso di 2400 m.; questo complesso giunge a 5000 m. nel bacino della Saar, a 7000 nel Galles Meridionale. Ognuno degli strati costituito all'inizio di tronchi e di detrito vegetale, dapprima oggetto di una parziale ossidazione e poi posto sott'acqua o sotto strati ricoperti della stessa materia vegetale o di natura terrosa, si convertiva, sotto l'influenza di batteri anaerobici della macerazione e analogamente a quanto si osserva attualmente nelle torbiere, in materie uniche acide e queste poi in neutre, con sviluppo di anidride carbonica, d'idrogeno e di metano (gas delle paludi), con la distruzione man mano crescente della cellulosa e più lenta e meno completa della lignina e lentissima delle materie resinose, alcune delle quali permangono fino ai carboni più antichi. Le materie proteiche contenute nei vegetali e in maggior abbondanza negli animali conviventi, per un'evoluzione concomitante ma diversa si sono convertite in bitume, aumentando ancora la complessità e la varietà dei componenti organici del carbone, di cui si è ancora ben lontani dal conoscere l'enumerazione completa. Dopo le deposizioni degli strati i ripiegamenti della crosta terrestre possono averli variamente dislocati, fendendoli in varie parti, spostando variamente ciascuna materia rispetto alle vicine, o piegando gli strati in grandi archi convessi verso il basso (sinclinali) o verso l'alto (anticlinali); in questo caso l'erosione successiva può avere asportato la parte alta fino a disgiungere e isolare in varî bacini la stessa formazione.

Coi dislocamenti ora accennati anche le parti più profonde possono essere state portate a giorno e solo per essi è possibile ora l'esame e la determinazione della natura degli strati e degli spessori di migliaia di metri sopra citati e, dal lato pratico, la loro coltivazione.

Composizione. - Lo studio della composizione dei carboni è fra i più complessi e difficili della chimica organica e non è giunto finora a risultati soddisfacenti. Numerosi dati si hanno invece sulla composizione elementare, importante dal punto di vista tecnico, più che da quello scientifico; ma prima di passare a essi è opportuno dare qualche cenno sullo studio fisico, basato sull'apparenza esterna e sulla struttura. Anche al semplice aspetto si possono distinguere carboni a superficie brillante, carboni a superficie matta e carboni, i più frequenti, costituiti da alternanze più o meno minute dei due precedenti; a un esame più attento si notano inoltre aggregati fibrosi, teneri, di materia assai vicina a quella della carbonella di legno o fusaggine, donde il nome di fusina (fr. fusain; ingl. mineral charcoal; ted. Faserkohle). Per analogia con questo nome anche gli altri componenti ebbero, per litantrace, un nome speciale (Stopes, 1919) e cioè vitrina (fr. vitrain St.; ingl. vitrait; ted. Vitrit) per la parte brillante (ingl. bright coal; ted. Glanzkohle), clarina (fr. clarain St., ingl. clarait; ted. Clarit) e durina (fr. durain St., ingl. durait, ted. Durit), quest'ultimo per la parte opaca (ingl. dull coal; ted. Mattkohle). Queste denominazioni (nuove nella forma italiana) sono di uso corrente nello studio petrografico che, per quanto iniziato da Gumbel fin dal 1883, solo da circa un decennio si va perfezionando con una tecnica speciale per la preparazione di sezioni sottili e di superficie lisce adatte all'esame al microscopio per trasparenza o a luce riflessa, con o senza l'uso di solventi diversi. Le caratteristiche di tali componenti sono: Fusina: aggregati fibrosi, sericei, in piani paralleli alla stratificazione, teneri; sporcano le dita; fibre subparallelei arcuate, tozze, di tessuti legnosi: Vitrina: in straterelli sottili, lucenti, vitrei, fessurati come per solidificazione di una materia colloidale; con la punta di un temperino salta in granuli a contorni netti, e superficie concoidi; senza struttura organica secondo Stopes: Durina: dura, non lucente, a struttura granulare, con numerosi resti di tessuti vegetali, spore ecc., proveniente da detrito organico minuto: Clarina: brillante, spesso con tracce di tessuti o di fusina, sembra piuttosto riferibile a una vitrina listata di durina o a una vitrina con strutture organiche.

Lo studio petrografico dei carboni pur nello stadio iniziale in cui ora si trova, ha già una certa importanza nel campo scientifico e nel campo industriale. Per ora però hanno importanza maggiore le analisi chimiche e le prove termiche.

Le analisi elementari dei carboni servono in pratica a determinare le possibilità di uso e il valore di essi. I costituenti che si determinano sono i seguenti:

a) Umidità. - La maggior parte di essa è dovuta all'acqua di imbibizione che si trova in quantità variabile in tutte le rocce in posto e che per i materiali da costruire prende il nome di acqua di cava; una piccola parte può essere dovuta all'assorbimento dall'atmosfera del locale di conservazione. La determinazione dell'umidità è giustificata dal fatto che l'acqua costituisce un elemento negativo nella combustione perché non solo non produce calore, ma ne assorbe per la sua vaporizzazione. Il tenore in acqua è variabilissimo; nella torba e nella lignite xiloide è spesso così elevato, che il combustibile è inutilizzabile, se prima non non lo si essichi.

b) Ceneri. - Tutti i carboni contengono quantità variabili di materie minerali (silicati, carbonati, solfati, solfuri, fosfati, ecc.); una parte di essa è dovuta agli stessi tessuti dei vegetali carbonizzati, la maggior parte al suolo su cui le piante sono cresciute e a sedimenti depositatisi contemporaneamente alla materia organica o anche a materie infiltratesi posteriormente; una parte può essere separabile a mano o con processi meccanici, un'altra invece è intimamente commista. Con la combustione esse passano, in parte trasformate, nelle ceneri. La percentuale delle ceneri varia entro limiti vastissimi e col crescere di essa peggiora naturalmente la qualità di carbone. Con la composizione chimica varia la fusibilità delle ceneri e quindi la tendenza a ostruire la griglia su cui avviene la combustione e quindi a impedire l'accesso dell'aria necessaria alla combustione stessa. Per quanto la dipendenza del punto di fusione dalla composizione sia di natura complessa, si può dire in generale che la temperatura di fusione varii da circa 1000 a 1500 C° col diminuire degli ossidi basici e l'aumentare della silice.

c) Zolfo. - Fra gli elementi nocivi, oltre all'umidità e alle ceneri, va posto anche lo zolfo, in parte combinato sotto forma organica ma in maggior parte sotto forma di solfuri (pirite e marcassite) e di gesso. Esso può dar luogo a corrosioni sulle pareti dei focolai, nei carboni per coke metallurgico è anche più nocivo e tollerato solo in piccolissime quantità, perché nella distillazione solo un terzo si elimina.

d) Sali. - Meno frequentemente i carboni sono impregnati di soluzioni saline, specialmente di cloruri di sodio, di potassio o di magnesio, soluzioni che accelerano la corrosione delle pareti di materiali refrattarî dei focolai o delle celle di distillazione.

e) Gas. - I carboni hanno le proprietà di occludere o assorbire una parte dei gas che si formano durante la carbonizzazione; essi sono essenzialmente miscele di anidride carbonica, metano, azoto od ossigeno; vennero pure trovate piccole quantità di etano e di ossido di carbonio, i quantitativi di gas che permangono nei carboni dopo la loro estrazione sono piccoli e senza grande importanza e non vengono per lo più determinati; ma negli strati in posto sono spesso rilevanti e il loro sviluppo dai cantieri di lavorazione può dar luogo a esplosioni, ove non si prendano precauzioni nell'illuminazione e nell'uso di esplosivi (lampade ed esplosivi di sicurezza) e non sia provveduto a un buon ricambio d'aria.

f) Componenti essenziali. - Sono, come si è visto, il carbonio, l'idrogeno, l'ossigeno, cui viene aggiunto l'azoto, di minore importanza. Dalle loro percentuali dipende la natura del carbone, come appare dal quadro già riportato; anche il potere calorifico è una funzione di essi e vennero proposte varie formule per calcolarlo. Essi vengono anche presi come base per la classificazione dei carboni; ad es. quella di Seler si basa sulla percentuale d'idrogeno e sul rapporto carbonio: idrogeno; su questo rapporto soltanto si basa quella della Geological Survey degli Stati Uniti: essa è superiore a 26 per le antraciti, varia da 26 a 11 per le varie qualità di litantrace, scendendo a 7 per il legno.

Nelle analisi industriali invece dei componenti essenziali vengono più rapidamente e più semplicemente determinati il carbonio fisso e le sostanze volatili in base alla distillazione, fuori del contatto dell'aria e in crogiolo di platino, di un determinato peso di carbone in polvere e con determinate modalità di arroventamento del crogiolo. Il residuo, contenente il carbonio fisso e le ceneri, mostra se e in qual misura il carbone è atto alla fabbricazione del coke metallurgico, prodotto di notevole importanza industriale. Si possono distinguere a questo riguardo tre casi: 1. il residuo è polverulento e conserva la sua forma primitiva, senza fondersi (carboni magri); i carboni sono detti in questo caso carboni a coke polverulento (houilles à coke pulvérulent, non caking - o non coking - coals, Sandkohle); 2. il residuo è imperfettamente fuso, senza rigonfiamenti, e agglutina i grani in una massa poco resistente: carboni a coke agglutinato (fr. houilles à coke fritté; sp. hulla viva semigrasa; ted. Sinterkohle; ingl. coal sofl); 3. il residuo è completamente fuso, rigonfiato in una massa dura, resistente, porosa (carboni grassi): si hanno allora i carboni da coke metallurgico (fr. houilles à coke fondu; sp. hulla blanda; ted. Backkohle; ingl. caking coals). Quando la natura dei carboni di un bacino permette la produzione di coke metallurgico, sorge nelle vicinanze e si sviluppa la grande industria siderurgica che economizza i trasporti, mentre a loro volta le miniere hanno uno sbocco assicurato per una parte della loro produzione; in Germania nel 1925 circa il quarto della produzione di litantrace venne trattata nei forni a coke.

Le sostanze volatili hanno una composizione complessa dipendente non solo dalle varie qualità di carbone ma anche dalle condizioni, specialmente di temperatura, in cui avviene la distillazione, come si vedrà in seguito. Il tenore di tali sostanze è assai variabile: da 5-10% nei carboni magri, 10-15 nei semigrassi, 15-33 nei grassi, giunge a 48% nei carboni da gas. In maggior parte esse sono combustibili e alla loro combustione è appunto dovuta la fiamma, che sarà lunga nei carboni grassi (carboni a lunga fiamma) e corta nei magri, determinando per essi un diverso uso.

Alla combustione prendono parte tanto il carbonio fisso quanto le sostanze volatili; il primo dà con l'ossigeno dell'aria anidride carbonica o, se è insufficiente l'ossigeno, anche ossido di carbonio, le seconde dànno prevalentemente acqua e anidride carbonica.

Le calorie prodotte per unità di peso di combustibile costituiscono il potere calorifico di esso, assai importante a conoscersi quando, come ancora accade per molti carboni, si utilizza il calore da essi svolto per la produzione di vapore o per riscaldamento.

Il potere calorifico si determina bruciando in speciali apparecchi detti calorimetri quantità note di combustibile in modo che il calore sia assorbito da quantità di acqua e di corpi di calore specifico conosciuto, per i quali cioè basta determinare l'aumento di temperatura per conoscere il numero di calorie assorbite. Il potere calorifico può anche essere determinato in funzione delle percentuali fornite dall'analisi elementare con formule semi-empiriche, che presuppongono un'indipendenza fra i componenti che non esiste nei carboni. Fra le più indicate, che dà buone approssimazioni per ligniti picee (errore del 3%), ottime per litantraci (1%), è la seguente, usata in Germania (Verbondsformel):

in cui C, H, O, S, A rappresentano il peso di carbonio, idrogeno, ossigeno, zolfo e acqua contenuti in un kg. di combustibile, e i coefficienti numerici i valori approssimativi dei poteri calorifici, tranne quello di A che rappresenta le calorie assorbite per l'evaporazione.

Classificazione e uso dei carboni. - Diversissimi sono i criterî di classificazione seguiti, come si è già accennato a proposito della composizione chimica, del carbonio fisso, delle sostanze volatili. La più seguita è tuttora quella di Régnault che per primo fece analisi accurate dei carboni, trovando che i principali tipi commerciali presentano percentuali di componenti elementari che variano entro limiti abbastanza ristretti. Gruner estese tale classificazione: leggermente modificata da Bone essa si può così riassumere, avvertendo che i dati numerici sono raccolti nel quadro che segue alla classificazione:

a) Ligniti (fr. lignites; sp. lignito; ingl. lignite; ted. Braunkohle); picea e xiloide; bruciano con fiamma lunga; dànno coke polverulento e incoerente; sono usate per usi domestici, per caldaie a vapore, e per distillazione a bassa temperatura.

b) Litantraci (fr. houille; sp. huha hornaguera; ingl. bitouminous coal; ted. Steinhohle), divisibili in quattro classi: 1. litantraci secchi a lunga fiamma fuligginosa, coke incoerente, usati per forni a riverbero e gassogeni; 2. litantraci grassi a lunga fiamma, coke poroso agglutinato, non molto resistente; uso principale nella distillazione per gas-luce; 3. litantraci grassi a fiamma media, coke compatto, resistente; servono per coke metallurgico e per fucina; 4. litantraci grassi a fiamma corta, coke assai compatto; servono per coke metallurgico, per caldaie a vapore.

b-c) Litantraci magri (fr. charbon de foyer; sp. hulla magra; ingl. non caking short flame, semibitouminous coals; ted. Magerkohle); fiamma corta, coke debolmente agglutinato o incoerente; usati largamente per caldaie a vapore.

c) Antraciti; fiamma corta poco luminosa, senza fumo, coke polverulento; usi domestici, riscaldamento.

Gli usi principali dei combustibili fossili sono già accennati nella classificazione: una grande parte è bruciata per la produzione di vapore per forza motrice (ferrovie, navigazione, industrie) o per riscaldamento (fornaci, forni, usi domestici ecc.); una parte notevole è distillata ad alta temperatura per ottenere il gas illuminante o il coke metallurgico, una parte infine è distillata a bassa temperatura o gassificata. È forse opportuno accennare in particolare ai sottoprodotti della distillazione che vanno crescendo d'importanza e su cui si concepiscono grandi speranze per il futuro. Nella distillazione ad alta temperatura (1000-1200) si ottengono: coke, catrame, acque ammoniacali, benzolo, gas combustibili ad alta percentuale d'idrogeno (fino al 50%), metano, ossido di carbonio, e poche unità di azoto. Il coke dei forni a gas serve per fonderia, per gassogeni, per riscaldamento domestico, ecc.; quello dei forni a coke serve per gli altiforni. Il catrame (v.), ricco d'idrocarburi aromatici, mediante speciali trattamenti su grandi quantitativi, può dare più di 300 sostanze diverse adoperate per usi diversissimi (naftalina, acido fenico, prodotti farmaceutici, prodotti per la fabbricazione di esplosivi e soprattutto di materie coloranti). Le acque ammoniacali dànno con facile trattamento sali d'ammonio per l'agricoltura; il benzolo è utilizzato in miscela coi carburanti i gas sono usati per illuminazione (officine a gas), per riscaldamento, per motori a scoppio, ecc. Essi sono costituiti da una miscela di idrogeno prevalente (fino al 50%), di metano (fino al 30%), di ossido di carbonio, di azoto, corpi che possono essere separati con la liquefazione frazionata; l'idrogeno è un componente essenziale per le sintesi dell'ammoniaca, che da qualche anno ha preso uno sviluppo industriale enorme.

Notevolmente diversi sono i prodotti che si ottengono dalla distillazione a bassa temperatura, sui 500° C.; il residuo carbonioso è poco coerente o polverulento ed è perciò detto semicoke; serve per agglomerati, per focolai a polvere di carbone e per gassogeni, ma è sempre meno pregiato del coke. Il catrame detto primario è, a differenza di quello ottenuto ad alta temperatura nel quale predominano idrocarburi ciclici o a catena chiusa, ricco d'idrocarburi aciclici e della serie grassa, come paraffine e oli che opportunamente trattati possono dare anche carburanti. Anche i gas hanno una composizione diversa: contengono un po' di benzina, anziché benzolo, sono assai ricchi di metano e omologhi (fino al 60%), poverissimi o privi d'idrogeno.

Dal catrame primario è possibile, come si è ora accennato, avere carburanti, che sono idrocarburi a forte produzione d'idrogeno rispetto al carbonio. Per raggiungere tale proporzione si hanno due processi: l'idrogenazione e la rottura molecolare. L'idrogenazione si propone di fissare dell'idrogeno sopra un idrocarburo o miscela d'idrocarburi, solidi o liquidi, in modo da avere un idrocarburo più leggierti o una miscela di essi e, in determinate condizioni, dei carburanti; usa catalizzatori, pressioni e temperature diverse a seconda dei casi: sul processo sono fondate grandi speranze essendo lo studio semindustriale tanto avanzato da giustificarle.

Il processo di rottura o demolizione molecolare (noto generalmente col nome di cracking) consiste nel sottoporre una miscela d'idrocarburi ad azioni di temperature, pressioni, catalizzatori tali da rompere le molecole della miscela, ottenendo da una parte idrocarburi più leggieri o carburanti e dall'altra idrocarburi più pesanti di quelli costituenti la miscela; il processo è efficiente quando si opera su idrocarburi della serie grassa in cui la catena aperta facilmente si spezza; tali sono, come si è detto, prevalentemente quelli provenienti dalla distillazione a bassa temperatura, il processo risulta invece inefficace, fino ad ora, sugl'idrocarburi ciclici della distillazione ad alta temperatura. La distillazione a bassa temperatura è specialmente importante per le ligniti, meno pregiate dei litantraci come combustibili e inadatte a dare buoni coke, ma assai ricche di catrami primarî.

Vicende della produzione mondiale. - Il carbon fossile (comprese in questa denominazione anche le ligniti) fu usato come combustibile fin dalla più remota antichità, specialmente per la fusione e per la lavorazione dei metalli. La Cina e l'Inghilterra sembrano essere i luoghi nei quali l'estrazione e l'uso di esso si sono svolti con maggiore continuità attraverso i tempi. Già nel sec. XIII il carbon fossile era usato con tale larghezza a Londra, da suscitare disposizioni dirette a limitarne l'uso, che appestava l'atmosfera della città; e già nel sec. XVII il carbone britannico veniva esportato in quantità considerevoli nel continente europeo.

Ma l'era del carbone ha principio soltanto verso la fine del sec. XVIII, con l'invenzione della macchina a vapore. L'applicazione di questa nell'industria mineraria rese possibile l'estrazione del carbone da maggiori profondità, con maggiore sicurezza e con minore spesa; le applicazioni nelle industrie trasformatrici di materie prime accrebbero rapidamente e largamente la richiesta di combustibile; le applicazioni nelle industrie dei trasporti terrestri e marittimi resero possibile e conveniente il trasporto del carbone a grandi distanze e concorsero ad accrescerne la richiesta. In tutto il corso del sec. XIX e nei primi anni del XX la crescente richiesta stimolò la ricerca e lo sfruttamento dei giacimenti di combustibili fossili; il progresso dei metodi di estrazione, riducendo il costo, a sua volta stimolò il consumo. L'incremento della produzione mondiale si accelerò: da circa 20 milioni di tonnellate nel 1800 essa salì a circa 100 milioni nel 1850, a circa 700 milioni nel 1900 a circa 1290 milioni di tonnellate nel 1913 (compresa la lignite, ragguagliata agli altri carboni mediante riduzione a ⅓ per tener conto del suo minor potere calorifico). L'ascesa della produzione venne bruscamente interrotta dalle ripercussioni della guerra mondiale, anzi subentrò un regresso, cagionato dalla riduzione della quantità estratta in tutti i maggiori paesi produttori europei, coinvolti nel conflitto. Alcune importanti zone minerarie, specialmente nella Francia settentrionale, trasformate in campi di battaglia, divennero inattive anche per la scarsezza della mano d'opera; e se le stesse esigenze belliche intensificarono il consumo interno, le difficoltà delle comunicazioni internazionali ridussero le esportazioni. Dopo la guerra, la ripresa della produzione mondiale è stata lenta e interrotta; ancora nel 1928 la produzione superava di poco i 1300 milioni di tonnellate, e l'aumento a circa 1400 milioni avvenuto nel 1929, è seguito da una brusca diminuzione nel 1930.

Il recente rallentamento nello sviluppo dell'estrazione è derivato esclusivamente dal rallentato incremento della domanda. Le stesse difficoltà di approvvigionamento del carbone durante il periodo bellico, per i paesi non produttori, hanno dato impulso allo sfruttamento di altre fonti di energia; ma in parte questa evoluzione costituisce semplicemente il proseguimento di tendenze che si erano già manifestate anteriormente alla guerra, in conseguenza di nuove applicazioni scientifico-industriali che hanno scalzato l'egemonia delle macchine a vapore e ancor più quella del carbone. I derivati, sempre più numerosi e varî, del petrolio hanno fornito il mezzo di propulsione per diversi tipi di motore, in molti casi più conveniente, e hanno surrogato il carbone nella stessa macchina a vapore; l'utilizzazione delle cadute d'acqua per la produzione di energia elettrica ha creato un'altra minacciosa concorrenza. Al tempo stesso si sono compiuti grandi progressi nell'uso del carbon fossile, sia nella macchina a vapore, sia in altre applicazioni (alti forni, ecc.), che hanno consentito di raggiungere uguale risultato con un consumo molto ridotto di combustibile. Per l'effetto combinato di queste circostanze, e di altre secondarie, la richiesta mondiale di carbon fossile, che fino al 1913 era rapidamente cresciuta, ha poi progredito pigramente. L'industria carboniera, che era tecnicamente ed economicamente organizzata in vista di un rapido sviluppo della produzione, ha fortemente risentito i danni di codesto relativo ristagno, e nel primo decennio postbellico è stata in condizione di depressione cronica.

I seguenti dati, espressi in milioni di tonnellate, mostrano l'andamento della produzione mondiale nel 1913 e negli ultimi quindici anni.

La produzione del 1929 si suddivide così: 1319 milioni di tonnellate di litantraci e di antraciti e 230 di ligniti (calcolati, nel precedente riepilogo, come equivalenti a 77 milioni di tonnellate di litantrace).

La crisi dell'industria carboniera ha stimolato la ricerca di usi del combustibile fossile, atti ad aprire nuovi sbocchi alla produzione. È visibile la tendenza ad adoperare sempre più il carbone come materia prima di industrie fisico-chimiche, piuttosto che adoperarlo come combustibile tal quale esce dal sottosuolo. I principali processi che utilizzano il carbone come materia prima si possono raggruppare in tre categorie: Carbonizzazione ad alta temperatura. Questo processo è stato applicato nel 1929 a più di 200 milioni di tonnellate di carbon fossile; esso tende, come risultato principale, o alla fabbricazione del coke necessario per la siderurgia o a quella del gas combustibile atto a usi industriali e domestici e all'illuminazione; ma dà anche svariati e numerosi sottoprodotti, che costituiscono le materie prime di fiorenti industrie chimiche. Carbonizzazione a bassa temperatura. Dà un semi-coke, atto a usi domestici e industriali, abbondanti sottoprodotti liquidi (oli minerali) e una notevole quantità di gas. Questo processo è ancora scarsamente applicato, ma è già entrato nella fase industriale. Liquefazione, ossia processo diretto a ricavare dal carbone la maggior quantità possibile di oli minerali. Questo è da breve tempo uscito dalla fase sperimentale, ma è studiato e provato in vasti impianti specialmente in paesi ricchi di carbone e poveri di petrolio.

Le riserve. - I giacimenti esistenti di carbon fossile sono noti soltanto in parte, e l'aumento apparente delle riserve, dovuto a nuove scoperte, è stato nel corso degli ultimi cent'anni molto maggiore della diminuzione reale derivata dall'estrazione. Quindi i dati correnti intorno alle riserve del mondo e di singoli paesi vanno accolti come stime quasi sempre incomplete, e generalmente errate per difetto, delle quantità di carbone accertate o presunte esistenti, fino a una determinata profondità, nei giacimenti noti.

I seguenti dati, espressi in miliardi di tonnellate, indicano la distribuzione, fra i varî continenti, delle riserve di carhon fossile accertate o presunte fino alla profondità di 2000 metri.

La riserva mondiale complessiva ascenderebbe a 4130 miliardi di tonnellate di litantrace e d'antracite (corrispondenti al consumo di 3200 anni, sulla base del consumo del 1929) e a 2910 miliardi di tonnellate di lignite (corrispondenti al consumo di 12.900 anni, Sulla base del consumo del 1929). Diversa è la situazione di qualche paese produttore, che ha più intaccato le proprie riserve; ma gli allarmi finora sorti sono sempre apparsi, alla prova, ingiustificati.

La guerra ha fortemente modificato la distribuzione delle riserve carbonifere europee fra i varî stati: in seguito ai trattati che l'hanno conchiusa, la Germania ha dovuto cedere alla Francia i giacimenti lorenesi e, almeno temporaneamente, quelli della Saar, alla Polonia la maggior parte dei giacimenti altoslesiani; l'Austria ha conservato solo una piccola parte delle riserve del vecchio Impero, le cui maggiori frazioni sono toccate alla Cecoslovacchia, alla Polonia, alla Iugoslavia, alla Romania. Attualmente le maggiori riserve in Europa sono ancora possedute dalla Germania (240 miliardi di tonnellate di litantrace e d'antracite e 15 miliardi di lignite); seguono a essa le Isole Britanniche con 186 miliardi e la Polonia con 173 miliardi di tonnellate di litantrace e d'antracite. Indichiamo, in miliardi di tonnellate, le riserve di litantrace e d'antracite (e fra parentesi quelle di lignite) degli altri principali paesi europei: U.R.S.S. 70 (12), Francia 17 (2), Saar 16, Belgio 11, Svalhard 9, Spagna 8 (1), Cecoslovacchia 9 (13), Olanda 4, Iugoslavia (4). Le riserve italiane sono esigue, per quanto finora è noto: in cifre generosamente arrotondate si possono stimare a 0,5 miliardi di tonnellate, per la maggior parte costituiti da ligniti. In Asia le principali riserve di litantrace e di antracite sono possedute dall'U.R.S.S. (400 miliardi di tonnellate), dalla Cina (220), dall'India (80), dall'Indocina (20), dal Giappone (7). Le riserve dell'Africa sono possedute principalmente dall'Unione Sud-Africana; quelle dell'Oceania dall'Australia. Gli Stati Uniti (1970 miliardi di tonnellate di litantrace e antracite e 1850 miliardi di lignite) e il Canada (290 e 950 miliardi) si dividono le grandi ricchezze minerarie dell'America Settentrionale. L'America Meridionale sembra povera di carbone, a eccezione della Colombia, le cui riserve sono stimate a 30 miliardi di tonnellate di litantrace e d'antracite.

La distribuzione geografica della produzione. - La distribuzione della produzione mondiale è molto differente da quella delle riserve, partecipandovi in proporzione relativamente alta l'Europa e in proporzione relativamente scarsa l'Asia.

I seguenti dati indicano la produzione del 1929, in milioni di tonnellate.

Indichiamo, sempre in milioni di tonnellate, la produzione di litantrace e d'antracite (e tra parentesi quella di lignite) dei principali paesi nel 1929: Gran Bretagna 261, Germania 163 (175), Francia 54, Polonia 46, U.R.S.S. 40, Belgio 27, Cecoslovacchia 17 (22), Saar 13, Olanda 12, Giappone 32, India 24, Cina 16, Unione Sudafricana 12, Stati Uniti 551, Canada 12, Australia 14. Fino al 1898 la Gran Bretagna ha mantenuto il primato fra i paesi produttori; dal 1899 glie lo hanno tolto gli Stati Uniti. La produzione germanica supera, come mole, quella britannica, ma dato lo scarso potere calorifico delle ligniti, rimane ad essa notevolmente inferiore in efficienza.

Il consumo. - Il consumo mondiale non differisce sensibilmente dalla produzione: attualmente si aggira sui 1300 milioni di tonnellate l'anno (ragguagliata la lignite a litantrace). Nel 1929 vi hanno contribuito gli Stati Uniti per 530 milioni di tonnellate, la Germania per 190, la Gran Bretagna per 180, la Francia per 85, tutti gli altri paesi insieme per 400 milioni di tonnellate. Il consumo più intenso si osserva nei paesi industriali; il consumo medio per abitante ascende a 4-5 mila kg. l'anno negli Stati Uniti e nel Canada, a 4 mila nel Belgio-Lussemburgo e nella Gran Bretagna, a 2,5-3 mila in Germania, a 2 mila in Francia. I paesi agricoli, invece, consumano piccole quantità: 45 kg. per abitante la Cina, 65 l'India. Il consumo dell'Italia ascende, in cifra assoluta, a 13-15 milioni di tonnellate annue, che corrispondono a circa 350 kg. per abitante.

Il commercio internazionale. - L'uso di mezzi meccanici nelle industrie trasformatrici e in quelle dei trasponi, lo sviluppo della siderurgia e delle industrie chimiche, il progresso del benessere, hanno determinato una richiesta relativamente forte di carbon fossile anche in paesi sprovvisti o scarsamente provvisti di miniere. Ne è derivato lo sviluppo di un fiorente commercio internazionale: correnti d'esportazione partono dai principali paesi produttori, dirette in ogni parte del mondo.

Nel 1929 l'eccedenza delle esportazioni sulle importazioni di carbon fossile è ascesa a 82 milioni di tonnellate nella Gran Bretagna, a 31 milioni in Germania, a 25 milioni negli Stati Uniti, a 14 milioni in Polonia (compresi in queste cifre i rifornimenti a piroscafi impegnati nella navigazione internazionale); tenuto conto anche dei minori mercati, l'esportazione mondiale ascende a 170-180 milioni di tonnellate. I principali paesi importatori sono la Francia, con un'eccedenza delle importazioni sulle esportazioni di 32 milioni di tonnellate, il Canada con 19 milioni, l'Italia con 14 milioni, il Belgio-Lussemburgo con 11 milioni; sono molto numerosi i mercati minori.

Il commercio mondiale del carbone è costituito principalmente da correnti infraeuropee, ma non sono prive d'importanza le correnti che dall'Europa si diramano verso l'Africa settentrionale, l'Asia meridionale occidentale, l'America meridionale. Il carbone costituisce un vantaggioso nolo di andata per le navi che, partendo dai paesi produttori, si avviano a caricare derrate e materie prime a questi necessarie; è stata codesta, ed è ancora, una condizione di superiorità per la marina mercantile britannica.

Condizioni comparate dei mercati esportatori. - La concorrenza del mercato internazionale del carbone si svolge principalmente fra la Gran Bretagna, la Germania, la Polonia e gli Stati Uniti. Ciascuno di questi paesi è dotato di riserve ricche e varie, che gli permettono di soddisfare ai più varî bisogni dei consumatori. La Francia e il Belgio, produttori anch'essi di carbone, ricorrono all'importazione non solo per ragioni di convenienza economica, ma anche per ragioni di necessità tecnica, non possedendo carboni di tutte le qualità loro occorrenti. La capacità di produzione dei grandi mercati esportatori è molto superiore al livello attuale della produzione; se la richiesta mondiale aumentasse e i prezzi salissero, i quattro paesi maggiori esportatori potrebbero facilmente accrescere l'estrazione di 100-400 milioni di tonnellate l'anno; questa virtuale esuberanza di produzione è uno dei fattori della presente crisi del mercato carboniero. Le condizioni geologiche più favorevoli all'estrazione (scarsa profondità e lieve inclinazione dei giacimenti, notevole spessore dei filoni, facile eliminazione delle acque) si riscontrano negli Stati Uniti; nella Gran Bretagna la profondità media è maggiore e lo spessore dei filoni minore; nella più ricca regione carbonifera della Germania (Vestfalia) si aggiunge, ad analoghi svantaggi, la forte inclinazione dei filoni; nell'Alta Slesia germanica, come in quella polacca, lo spessore del filoni è considerevole, l'inclinazione moderata, la profondità non grande. I principali giacimenti germanici di lignite si presentano in condizioni molto favorevoli; parecchi di essi consentono l'escavazione a cielo aperto. Secondo le condizioni geologiche delle miniere di carbone, è più o meno facile e conveniente l'uso di mezzi meccanici per l'estrazione e per le operazioni sussidiarie, ed è più o meno redditizio il lavoro manuale. Si tende dovunque a sostituire il più possibile il lavoro meccanico al lavoro umano: nelle miniere della Vestfalia più di nove decimi del prodotto vengono ottenuti con l'uso di macchine. Oltre che per le condizioni naturali, i paesi produttori di carbone differiscono per le condizioni sociali nelle quali l'industria viene esercitata: l'orario quotidiano, che varia fra le 6 e le 7 ore di lavoro effettivo per i picconieri e fra limiti un po' più alti per gli altri lavoratori; la rimunerazione del lavoratore, che varia entro ampî limiti, nelle proporzioni di 1:2,5 nei paesi europei; l'intensità del lavoro, che differisce notevolmente. I dati comunemente esposti come espressione del rendimento del lavoratore non misurano però lo sforzo da questo compiuto; essi indicano semplicemente la produzione media giornaliera per ciascun lavoratore, la quale dipende non solo dallo sforzo individuale, ma anche, e praticamente in molto maggior misura, dalle condizioni nelle quali lo sforzo si esercita e dai mezzi di cui esso dispone a proprio sussidio. Nel 1927, ad esempio, la produzione media giornaliera per operaio occupato nelle miniere di litantrace variava, in Europa, fra un minimo di 517 nelle miniere belghe e un massimo di 1335 in quelle germaniche dell'Alta Slesia, in America raggiungeva 4100 kg. nelle miniere degli Stati Uniti; nelle miniere di lignite toccava un massimo di 21.431 kg. nel distretto di Colonia, dove l'estrazione avviene a cielo aperto. Le diverse condizioni naturali e sociali dei diversi paesi produttori concorrono a determinare forti differenze nel costo di produzione del carbone, alla miniera: nel 1929 si poteva calcolare tale costo a 35 lire italiane per gli Stati Uniti, a 50 in Polonia, a 65 nella Gran Bretagna, a 75 in Vestfalia (nelle miniere di litantrace). Ma fattori geografici, determinando forti divarî nelle spese di trasporto, vengono ad alterare le condizioni comparative che risulterebbero da tali costi, nella concorrenza internazionale. Le condizioni geografiche più propizie si presentano nella Gran Bretagna: i giacimenti di carbone sono in massima parte prossimi al mare: i meno vicini alle coste sono, in compenso, poco distanti dai centri nazionali di consumo; si aggiunge in parecchi casi il vantaggio della vicinanza di miniere di ferro. Le miniere germaniche di Vestfalia si trovano a breve distanza da grandi zone industriali e sono servite da una buona rete di vie acquee interne che mettono capo da una parte al mare, dall'altra a regioni forti consumatrici. Le miniere germaniche e polacche dell'Alta Slesia, invece, non dispongono di vie navigabili e hanno una capacità di produzione superiore alla capacità di assorbimento delle zone industriali più vicine. Le miniere francesi e belghe sono, in confronto alle britanniche e alle vestfaliane, in condizioni d'inferiorità per le comunicazioni col mare, ma sono prossime anch'esse a zone industriali capaci di un forte consumo. I giacimenti di carbone dell'Europa continentale non sono così vicini a miniere ferrifere come quelli britannici, ma in parte non ne sono lontani: la distanza fra la Vestfalia, massimo centro di produzione del carbone, e la Lorena, massimo centro della produzione del minerale di ferro, è grande in confronto con le corrispondenti distanze nella Gran Bretagna, ma piccola in confronto con quelle che si riscontrano nell'America Settentrionale ove la maggior parte del carbone viene estratta in località lontane così dai principali centri di consumo nazionali come dal mare, cui di rado può giungere per vie acquee interne. Queste condizioni geografiche meno propizie annullano il beneficio che deriva agli Stati Uniti, nella concorrenza internazionale, dalle più favorevoli condizioni geologiche e pongono i grandi paesi produttori europei in condizioni di vantaggio, rafforzato dalla circostanza che quasi tutti i maggiori mercati importatori sono in Europa. Graduando i paesi produttori europei secondo le condizioni più favorevoli all'esportazione è da porre al primo posto la Gran Bretagna, al secondo la Germania (Vestfalia) e al terzo la Polonia (Alta Slesia). La convenienza delle esportazioni dalla Francia, dal Belgio, dalla Cecoslovacchia è, normalmente, limitata a ristrette zone, prossime alle miniere.

Le modificazioni di confini seguite alla guerra mondiale hanno deviato alcune correnti del commercio carbonifero: la diminuita capacità di esportazione della Germania è stata compensata dalla novella capacità d'esportazione della Polonia; la temporanea annessione del bacino della Saar ha diminuito il fabbisogno d'importazioni della Francia. Una notevole influenza sul commercio del carbone è stata esercitata dalla facoltà, che gli stati vincitori si sono riserbata, di esigere dalla Germania in natura, e in ispecie in carbon fossili, una parte dell'indennità impostale a titolo di riparazione. Di fatto, però, le esportazioni in conto riparazioni non hanno superato negli ultimi anni, salvo che per l'Italia, le quantità che i mercati importatori ricevevano dalla Germania negli ultimi tempi anteriori alla guerra, in regime di commercio libero. L'esportazione germanica è diretta per la massima parte ai paesi confinanti (specialmente Francia e Saar, Belgio-Lussemburgo, Olanda). L'esportazione britannica si espande largamente a maggiori distanze; sebbene le parti più considerevoli di essa siano assorbite dalla Francia, dall'Olanda, dal Belgio, dalla Germania, dagli stati scandinavi, ampie correnti sono dirette anche ai paesi mediterranei e all'America meridionale. L'esportazione polacca si dirige prevalentemente verso l'Europa centrale e verso gli stati scandinavi. L'esportazione degli Stati Uniti è rivolta soprattutto al Canada, in piccola parte all'America Centrale e Meridionale. Le condizioni geografiche tendono a determinare una normale divisione dei mercati fra i paesi esportatori.

La crisi del mercato del carbone. - Negli ultimi anni la concorrenza nell'esportazione carboniera si è inasprita soprattutto per la conseguenza della crisi del consumo del carbone; si sono avuti saggi frequenti di dumping da parte dei tre maggiori paesi esportatori europei. La crisi si manifesta nella progressiva riduzione dei prezzi, che bene appare dall'andamento del prezzo medio del carbone esportato dalla Gran Bretagna, disceso da 83 s. 4 d. per long ton (1016 kg.) nel 1920, a 23 s. 4 d. nel 1924 e a 16 s. 2 d. nel 1929. Quest'ultimo prezzo superava soltanto del 17% quello del 19 mentre il livello medio generale dei prezzi all'ingrosso nella Gran Bretagna era, nello stesso anno 1929, superiore del 37% al livello del 1913. Col discendere dei prezzi, sono divenute man mano necessarie, nei paesi produttori, riduzioni di salarî e modificazioni sfavorevoli delle condizioni del lavoro, che hanno potuto essere applicate soltanto dopo viva resistenza delle masse operaie, gli episodî più notevoli della quale sono stati rappresentati dai due grandi scioperi britannici del 1921 e del 1926. Sono stati proposti accordi internazionali fra i varî paesi produttori, per migliorare le condizioni del mercato; l'attuazione di essi ha trovato difficoltà, sia per il diverso stadio di organizzazione sindacale raggiunto dalle imprese produttrici (organizzazione molto progredita in Germania, inesistente nella Gran Bretagna, dove però si vuole ora imporre per legge quel coordinamento fra le imprese e quella disciplina del mercato che non hanno potuto essere raggiunti per spontanea collaborazione fra gl'interessati), sia per le cause stesse della crisi, poiché il rincaro del carbone, artificiosamente provocato, accelererebbe il processo di surrogazione ad esso degli olî minerali e dell'energia idroelettrica.

L'approvvigionamento italiano. - L'Italia dipende quasi totalmente dall'estero per l'approvvigionamento del carbon fossile. La produzione nazionale, costituita per la massima parte da ligniti, è salita da 80-130 mila tonnellate annue nel primo decennio successivo all'unificazione a 550-780 mila tonnellate nell'ultimo quinquennio precedente alla nostra guerra. Sotto l'impulso dei bisogni bellici, quando la guerra sottomarina rendeva difficili le importazioni, la produzione nazionale è stata spinta fino a 2.171 mila tonnellate nel 1918; poi è decaduta, per l'eliminazione degli ostacoli all'importazione e per le condizioni sfavorevoli del mercato. Nel 1929 è stata di 1.005 mila tonnellate, così suddivisa: lignite (estratta principalmente in Toscana, nell'Umbria e in Sardegna) 782 mila, carbone liburnico (Istria) 202 mila, carbone triassico 7 mila, antracite 14 mila tonnellate. Tecnicamente sarebbe possibile accrescere la produzione italiana fino a 3-4 milioni di tonnellate annue e forse anche oltre; ma economicamente non conviene, in condizioni normali del mercato, e tanto meno in condizioni di depressione dei prezzi, come quelle presenti. L'importazione italiana del carbon fossile è andata gradualmente aumentando da circa 1 milione di tonnellate annue nel primo quinquennio successivo all'unificazione, a 9-11 milioni nell'ultimo quinquennio precedente alla guerra. Caduta fino a un minimo di circa 5 milioni di tonnellate nel 1917, risale dopo la pace fino a un massimo di quasi 15 milioni di tonnellate nel 1929. L'importazione del 1929 è ascesa a 14.602 mila tonnellate, delle quali 7.111 mila provenienti dalla Gran Bretagna, 5.533 mila dalla Germania (e di queste 3.122 mila in conto riparazioni), 352 mila dalla Saar, 420 mila dalla Francia, 308 mila dalla Polonia, 286 mila dall'U.R.S.S., 343 mila dagli Stati Uniti, 250 mila da altri paesi. Del complessivo consumo di circa 14 milioni di tonnellate annue, 3,3 milioni sono dati dalle ferrovie e tranvie, 1,7 milioni dalle officine dal gas, 0,7 milioni dalle centrali termoelettriche, 1,6 milioni dalle industrie siderurgiche, 0,2 milioni da altre industrie metallurgiche; o,7 milioni dalle industrie meccaniche; 1,5 milioni dalle industrie del materiale per lavori edilizî e stradali; 0,6 milioni dalle industrie vetrarie e ceramiche, o,7 milioni dalle industrie alimentari; 1 milione circa da altre industrie varie; 0,8 milioni dal riscaldamento e da altri usi domestici; circa 1 milione da rifornimemi a piroscafi; 0,2 milioni da altri usi varî. Parecchie di queste cifre sono approssimative, perché manca una statistica del consumo.

Il prezzo del carbon fossile in Italia risulta necessariamente più alto che nei paesi produttori, a cagione dell'alta spesa di trasporto. Il solo nolo marittimo dai porti britannici ai porti italiani del Tirreno ha oscillato nel 1929, che pure è stato anno di eccezionale depressione dei noli, fra 8 e 10 scellini per tonnellata. Si aggiungono le spese di trasporto per ferrovia ai centri di consumo, e altre minori, così che i carboni pagati 75-80 lire all'esportazione dalla Gran Bretagna vengono venduti a 150-160 lire a Milano, senza eccessivo lucro degl'intermediarî. L'alto prezzo del carbone costituisce un fattore di svantaggio, nella concorrenza internazionale, per molte industrie italiane, e specialmente per la siderurgia, per altre industrie metallurgiche, per alcune industrie chimiche, per l'industria dei trasporti terrestri. Il grande impulso dato all'utilizzazione delle cadute d'acqua per la produzione di energia elettrica mira appunto ad eliminare tale svantaggio e ad attenuare la dipendenza dell'economia nazionale dal rifornimento estero di combustibili fossili.

Carboni artificiali.

I carboni artificiali si ottengono, in generale, sottoponendo a una temperatura elevata fuori dal contatto dell'aria, sostanze organiche ricche di carbonio: gli altri elementi organogeni (idrogeno, ossigeno, zolfo) se ne vanno più o meno, con parte del carbonio, come composti volatili, e resta, come suol dirsi, un carbonio più o meno puro. Ma conviene precisare che, in realtà, la natura del residuo è sempre mal definita in chimica, in quanto, se una parte del carbonio vi si trova allo stato elementare, il resto dovrà esistere sotto forma di combinazioni, complicate, ad alto senso molecolare, con gli elementi organogeni o assorbite dal carbonio stesso (favorite, in ciò, dalla porosità del carbone che, essendo infusibile, mantiene la forma più o meno finemente spugnosa in cui si trovava la sostanza organica quando se ne svolgevano le parti volatili), e su queste combinazioni non si sa quasi nulla. In particolare, nel caso di carboni ottenuti a temperatura bassa, può darsi che di elemento libero ci sia ben poco.

Per il coke v. sopra quanto si è detto a proposito dell'uso del carbon fossile (v. anche coke).

Carbone di legno. - Si prepara nelle carbonaie, dove il calore svolto dalla combustione regolata di una parte del bagno serve a decomporre il resto: oggi però si usa distillare anche il legno in storte di ferro, utilizzando così anche i prodotti volatili (acido acetico, alcool metilico, catrame) e si costruiscono piccoli fornelli carreggiabili che si fanno funzionare sul luogo stesso di abbattimento del legname. Le qualità del carbone variano un po' a secondo del legno adoperato (carbone forte, se di faggio o quercia, dolce, se di salice, ontano o pioppo): apparentemente più leggiero dell'acqua per l'aria contenuta nei suoi numerosi pori, mostra, se polverizzato, un peso specifico fra 1,4 e 2,o; contiene in cifra tonda il 4% di ceneri, 8% di sostanze volatili, 7% di umidità. È, fra i carboni, il più facilmente combustibile, svolgendo 7000 calorie per kg. Il carbone rosso, ottenuto per carbonizzazione incompleta, e quindi assai più ricco di sostanze volatili, è più facilmente infiammabile, e serve per la preparazione di certe polveri piriche.

Il carbone di legno ha un discreto potere assorbente, e perciò serve anche come antiputrido (è questa la ragione per cui si carbonizzano superficialmente le estremità interrate dei pali telegrafici), per decolorare sciroppi, per assorbire dall'alcool commerciale i prodotti estranei che gli dànno cattivo gusto, ecc. Assorbe anche facilmente i gas, e tanto più quanto più sono condensabili, ovvero, correlativamente, è bassa la temperatura. Così, un cmc. di carbone usuale a 15° assorbe 178 cmc. di ammoniaca, 166 di anidride solforosa, 97 di anidride carbonica; e alla temperatura dell'aria liquida (a 185°) un carbone molto poroso (dal guscio di cocco) assorbe 35 cmc. d'idrogeno, 155 di azoto, 240 di ossigeno, 15 di elio (ridotti, per la misura, a temperatura ordinaria). Con tecnica adatta si possono in tal modo frazionare le miscele gassose, ovvero ottenere facilmente vuoti elevati, assorbendo con carbone, prima degrassato per riscaldamento, e raffreddato dall'esterno con aria liquida, l'aria che rimane dopo una prima sommaria evacuazione del recipiente.

Carboni assorbenti. - L'azione assorbente del carbone di legno si esercita alla sua superficie, non nell'interno della sua massa, che rimane impenetrabile: perciò tutto quello che ne aumenta la superficie effettiva (cioè la porosità, non il semplice contorno esterno) esalterà il suo potere assorbente. Molto si è guadagnato a questo riguardo, operando la carbonizzazione del legno (meglio sotto forma di segatura) dopo averlo imbevuto d'idrossido o acetato di calcio o di cloruro di zinco o di alcali caustici, ecc., che ne agevolano la decomposizine a bassa temperatura, mantenendone così la delicata struttura cellulare, alla quale servono anche di sostegno le incrostazioni di quei sali, che sono poi eliminati con lavaggio di acqua acidulata. La qualità viene ancora migliorata se il carbone viene sottoposto a una leggiera azione ossidante (p. es., arroventamento in corrente di vapor acqueo che reagisce secondo l'equilibrio C + H2 O ⇄ CO + H2) e infine a un breve arroventamento nel vuoto (oltre 1200°) che stabilizza la struttura porosa. (Si calcola per es., che per un grammo di carbone la superficie dei pori corrisponda a 4-10 metri quadrati). Questi carboni (sotto svariati nomi commerciali; eponite, norite, carboraffino, ecc.) hanno un potere assorbente veramente considerevole, e vengono usati, oltre che per scolare e depurare le soluzioni più diverse, per assorbire da miscele gassose i vapori di sostanze utili (benzolo dal gas illuminante) o nocive (aria di scarico di molte industrie chimiche). Particolare menzione merita il loro uso nelle maschere respiratorie (dove assorbono quasi tutte le sostanze tossiche, tranne l'ossido di carbonio, che è un gas permanente) così largamente usate in guerra, e anche ora nelle industrie chimiche, in caso di incendî, ecc. In questi casi il carbone usato si rigenera asportando in corrente di vapor acqueo la sostanza assorbita che può così recuperarsi (benzolo) essicando poi nel vuoto.

Altro assorbente è il carbone di ossa o nero animale (lo Spodium dei Tedeschi) che si ottiene scaldando in storte le ossa, ridotte in piccoli frammenti, dopo averne estratto il grasso (non però la gelatina, dalla cui decomposizione, appunto, proviene il carbone). Il suo uso è particolarmente comodo, perché la parte minerale delle ossa (che ne forma circa l'86%, formando il carbonio dal 7 al 10%) gli dà resistenza meccanica, talché può accumularsi in alte torri che i liquidi da depurare (melasse, ecc.) attraversano dall'alto al basso. Esso si rigenera per la lavatura con soluzioni alcaline e arroventamento al riparo dall'aria. Il cosiddetto nero animale lavato si ottiene eliminando la parte minerale delle ossa con acido cloridrico diluito prima della calcinazione, e serve per liquidi acidi (acido citrico, tartarico, ecc.) che altrimenti scioglierebbero essi stessi, inquinandosi, tali sostanze.

Carboni artificiali speciali. - Dopo la scoperta della pila voltaica, il Davy nel 1808 realizzò per primo l'arco elettrico facendo scoccare una scintilla fra due reofori di carbone. A tale scopo egli usò due bastoncini di carbone di legna. Nel 1844 il Foucault sostituì al carbone di legna, adoperato dal Davy, il cosiddetto carbone di storta, ricavato dalle pareti interne dei forni di distillazione del gas illuminante. Questo carbone di storta può essere considerato come un carbone artificiale, perché si forma sulle pareti roventi delle storte o delle camere di decomposizione degl'idrocarburi che si liberano nella pirolisi del litantrace. Quando l'arco elettrico cominciò a essere adoperato per l'illuminazione, si riconobbe che i carboni, fra i quali scocca l'arco, devono essere perfettamente omogenei, altrimenti il cratere che si vien formando all'estremità del carbone positivo e la punta che si forma sul carbone negativo risultano irregolari, l'arco diventa molto instabile, facilmente si spegne e il rendimento di corrente diminuisce. Risulta quindi la necessità di preparare artificialmente carboni perfettamente omogenei in tutta la loro massa, e si è venuta perciò creando un industria per la fabbricazione di questi tipi speciali di carboni. L'estendersi delle applicazioni della corrente elettrica nel campo della elettrotermia e della elettrochimica ha portato a un largo consumo di questi carboni artificiali, sia per la loro proprietà di funzionare come conduttori di prima specie al passaggio della corrente elettrica, sia per la loro elevata resistenza alle alte temperature, quando sia evitata la presenza dell'aria. Si preparano perciò industrialmente carboni di fogge speciali che possono servire: come elettrodi per forni elettrici; come elettrodi per pile (di Bunsen, Glover, Leclanché, ecc.); come elettrodi per celle elettrolitiche; come spazzole per dinamo; come carboni per lampade ad arco; come carboni per microfoni; per resistenze elettriche.

I primi tentativi per preparare carboni artificiali per lampade ad arco, comprimendo e agglomerando miscele di polvere di carbone opportunamente scelte e dosate, risalgono al 1846 con Staite e Edwards. La prima fabbrica di elettrodi per lampade ad arco venne fondata in Germania, presso Norimberga, dal Lessing nel 1872. Dal 1879 si cominciarono a usare carboni artificiali internamente cavi e con la cavità riempita di una pasta, formata di polvere di carbone e silicato potassico, con aggiunta di fosfati e borati. Questi carboni, adoperati specialmente per il polo positivo dell'arco, formano un cratere molto piccolo e regolare, in modo da ridurre le dimensioni dell'arco elettrico e aumentarne la stabilità. Successivamente si è pensato di aggiungere alla pasta compressa nell'interno del carbone sali di calcio, bario, stronzio, ecc., allo scopo di rendere l'arco elettrico variamente colorato (carboni metallizzati); inoltre, per diminuire la resistenza elettrica dei carboni preparati con questi sali si cominciò a inserire in corrispondenza all'asse del carbone stesso un filo di un metallo facilmente fusibile e volatile, ad esempio di zinco (carboni a miccia).

Diamo alcune composizioni tipiche per carboni metallizzati a effetto. Il mantello esterno è costituito esclusivamente da carbone agglomerato con catrame, mentre la parte interna contiene: a) per luce bianca: carbone 48%, fluoruro di cerio 42%, silicato sodico 10%; b) per luce bianco-azzurra: carbone 45-50%, fluoruro di calcio 6-12%, fluoruro di cerio 28-35%, silicato sodico 8-10%; c) per luce gialla: carbone 45-50%, fluoruro di calcio 42-46, silicato sodico 8-10%, piccole quantità di fluoruro sodico; d) per luce rossa: carbone 45-50%, fluoruro di stronzio 42-46%, silicato sodico 8-10%.

L'interesse per questi carboni artificiali è oggi molto diminuito perché le lampade ad arco sono quasi completamente state sostituite da quelle a filamento metallico. Invece lo sviluppo dei processi elettrotermici ed elettrochimici, all'inizio di questo secolo, ha provocato una grande richiesta di carboni artificiali per forni elettrici e per celle elettrolitiche, e si è presentato anche il problema di sostituire, nella fabbricazione di questi carboni artificiali che devono presentare una elevata conduttibilità elettrica, la grafite naturale troppo costosa per gl'indispensabili trattamenti chimici e fisici che essa deve subire per essere condotta a quel grado di purezza che è richiesta da questi scopi. Fin dal 1879 il Casselmann aveva scoperto la possibilità di trasformare il carbone amorfo in carbone grafitico per prolungato riscaldamento in forno elettrico. Il Castner, nel 1893, trovò la necessità di adoperare nell'elettrolisi dai cloruri alcalini anodi di carbone grafitato, cioè trasformato superficialmente in carbonio grafitico, allo scopo di ridurre l'attacco degli elettrodi da parte dell'ossigeno con formazione di anidride carbonica, la quale si mescola al cloro che si sviluppa all'anodo. Si ricorda che l'industria elettrolitica degli alcali caustici è sorta principalmente per produrre il cloro puro liquido, necessario nelle nuove sintesi organiche dei coloranti artificiali. La grafitazione degli elettrodi veniva compiuta coprendo gli elettrodi già formati con polvere di carbone e facendo poi passare attraverso ad essi un'intensa corrente elettrica di carbone (brevetti Girard e Street, 1893). L'Acheson in America aveva intanto osservato che nella fabbricazione del carborundo, col processo che porta il suo nome (1891), il coke si trasforma in parte in grafite e questa in parte si trasforma nel forno in seguito alla decomposizione del carburo di silicio, quando la temperatura supera i 2200°. Dal 1896 l'Acheson iniziò, per questa via, la fabbricazione industriale della grafite artificiale purissima (grafite Acheson) che trovò larga applicazione oltre che nella fabbricazione dei carboni artificiali, in sostituzione della grafite naturale, anche come lubrificante, e il forno Acheson venne adoperato per la grafitazione dei carboni artificiali.

Le materie prime che si adoperano per la fabbricazione dei varî tipi di carboni artificiali sono: antracite, carboni fossili a fiamma corta, carbone di storta, grafite naturale o artificiale, coke di litantrace, coke di petrolio, nerofumo. La grafite naturale, o meglio quella artificiale, è necessaria per la sua alta conduttività elettrica, nella preparazione dei carboni per microfoni e per le spazzole per dinamo. Per gli elettrodi per forni elettrici o per celle elettrolitiche la grafite viene generalmente sostituita in tutto o in parte con antracite, con carbone di storta, con coke di carbon fossile o con coke di petrolio. Il solo coke di petrolio, che sarebbe da preferirsi per il minore contenuto in ceneri, non dà una solidità sufficiente al pezzo finito. Il nerofumo entra come costituente principale nelle paste per carboni per lampade ad arco; entra però sempre nella composizione delle miscele per elettrodi per aumentare la plasticità della massa carboniosa all'atto della formatura. I carboni per forni a resistenza si fanno p. es.: a) con carbone di storta (25,5%), nerofumo (25,5%), carborundo (25,5%), catrame (23,5%): resistenza specifica circa 100 ohm; b) con grafite (50%) e caolino (50%): resistenza specifica circa 800 ohm. Le varie materie prime devono essere prima macinate finemente. Una polverizzazione molto spinta è necessaria nella fabbricazione dei carboni per microfoni, per spazzole per dinamo e si arriva in questi casi a una finezza di macinazione tale che il materiale può passare per uno staccio di 10.000 maglie per cmq. In generale però, per le applicazioni più comuni di questi carboni artificiali, si usano vagli con 170-225 maglie per cmq. e, per elettrodi di grandi dimensioni per forni elettrici, ci si accontenta che il materiale macinato passi per vagli da 50-100 maglie per cmq. Le polveri così ottenute vengono accuratamente mescolate con catrame di carbon fossile bene deacquificato, o con miscele di catrame anidro e di pece, che funzionano da agglomeranti. Per ottenere una pasta perfettamente omogenea le polveri vengono talvolta bagnate preventivamente con olî leggieri di catrame, i quali vengono poi allontanati dalla pasta durante il rimescolamento, che si compie a caldo. Tanto maggiore è la finezza di macinazione dei materiali solidi e tanto più elevata è la quantità di agglomerante che si adopera nell'impasto; essa varia però anche con la natura dell'impasto e con la temperatura e pressione con le quali si procederà poi alla formatura definitiva dei materiali che si vogliono ottenere.

La formatura degli oggetti di carbone artificiale si fa per trafila con presse idrauliche. La formatura viene però sempre compiuta in due fasi. La pasta viene prima semplicemente compressa in forme, le quali hanno dimensioni eguali a quelle interne del cilindro della macchina adoperata per avere la formatura definitiva per trafila. Questa compressione preliminare ha lo scopo di eliminare tutta l'aria occlusa nell'interno della pasta. La formatura definitiva si compie con grandi torchi idraulici; p. es. per i carboni da lampade ad arco la massa viene trafilata in torchi orizzontali che funzionano a 200-400 atmosfere. I carboni in tal modo formati subiscono poi la grafitazione, cioè una cottura fuori dal contatto dell'aria che trasforma il carbonio amorfo in carbonio grafitico. Questa operazione si può compiere in forni speciali costituiti da una serie di piccole camere o celle, di materiale refrattario, disposte orizzontalmente, riscaldate con gas di generatori a ricupero di calore. Le celle vengono prima riscaldate molto lentamente (in 2-3 giorni) fino a che non si sviluppano più vapori di catrame, poi (per altri 2-3 giorni) s'innalza ancora lentamente la temperatura fino a raggiungere il massimo prefissato (1500-1650°) e si mantengono a questa temperatura per 1-2 giorni. Il raffreddamento successivo dura 4-6 giorni. Durante la cottura, circa il 70% del catrame adoperato per la formatura si elimina come vapore; il ritiro dei pezzi può raggiungere il 12%. In questi ultimi anni questi forni riscaldati a gas vengono sostituiti da forni elettrici (grafitazione elettrica). I forni Acheson per la grafitazione elettrica sono costituiti da canali a sezione rettangolare lunghi 9 metri, costruiti di materiale refrattario, agli estremi dei quali sono inseriti i reofori di carbone. I carboni da grafitare sono disposti nell'interno del forno ortogonalmente all'asse, immersi in polvere di coke; il tutto viene coperto con uno strato di una miscela di polvere di coke e di sabbia silicea. All'inizio il forno può assorbire 1400 Amp. con una differenza di potenziale agli estremi del forno di 200 Volta. Durante la grafitazione la resistenza del materiale diminuisce, l'operazione è finita quando la tensione ai morsetti è scesa a 60 Volta e l'intensità della corrente assorbita dal forno è di 900 Amp. I carboni artificiali che escono dai forni di grafitazione subiscono infine una rifinitura per lucidarli e dar loro l'esatta forma geometrica desiderata.

Nella tabella seguente sono raccolti alcuni dati sulle proprietà principali di varî tipi di carboni artificiali.

Il movimento commerciale con l'estero di questi prodotti, in Italia, nel triennio 1927-1929 è dato dalle cifre seguenti:

Farmacologia. - Il carbone vegetale (carbo ligni) è una polvere nera, leggiera, inodore, insapore, che brucia senza fiamma quando venga riscaldato su una lamina di platino. Si ottiene scaldando al rosso, in crogiolo coperto, frammenti di legno dolce (tiglio, salice, pioppo). Ha proprietà assorbenti e antiputride: era largamente adoperato nella terapia delle malattie intestinali, specialmente come carbone naftolato (carbo naphtolatus). Il carbone animale (carbo animalis) derivato dalle ossa e dalla carne (carbo ossium, carbo carnis) più che in terapia è adoperato nelle manipolazioni chimiche.

Bibl.: Sul carbone in generale vedi Guareschi-Garelli, Nuova enciclopedia di chimica, V, Torino 1925, s. v.; E. Molinari, Chimica generale applicata all'industria, 5ª ed., I: Chimica inorganica, Milano 1924; W. A. Bone, Coal and its scientific use, Londra 1918; R. A. Redlich, Die Kohle, Praga 1915; G. E., Carboni fossili inglesi, tedeschi, americani, francesi e belgi, coke e agglomerati, Milano 1923; C. L. Mandell, Industrial Carbon, New York-Londra 1929; A. Than, Die Schwelung von braun-u-Stein Kohle, Halle 1927. Tra le innumerevoli pubblicazioni sui problemi economici del carbone si citano, oltre ad alcune fonti statistiche (statistique Générale de la France, Annuaire statistique, 1928 con dati retrospettivi per i principali paesi produttori; Société des nations, Bulletin mensuel de statistique, con dati mensili recentissimi per i principali paesi produttori; Direzione Generale delle Miniere, Relazione sul servizio minerario: annuale con dati per l'Italia), solo le pubblicazioni più recenti, atte a fornire un orientamento generale sulle condizioni del mercato mondiale o di singoli paesi: A. J. Sargent, Coal in international trade, Londra 1922; Société des Nations, Mémorandum sur l'industrie du charbon, Ginevra 1927; Report of the Royal Commission on the coal industry, Londra 1925: Committee on Industry and Trade, Coal industry, nel volume Survey of metal industries, Londra 1928; E. E. Hunt, G. F. Tryon, J. H. Willits, What the Coal Commission found, Baltimora 1925; M. Baumon, La grosse industrie allemande et le charbon. La grosse industrie allemande et le lignite, Parigi 1928; Ministero per l'agricoltura, Relazioni e studi del Comitato tecnico per l'utilizzazione dei combustibili nazionali, Roma 1923; G. Belluzzo, Economia fascista, Roma 1928. - Sui carboni artificiali speciali, v.: Dammer, Chimische Tecnologie der Neuzeit, I, 2ª ed., stoccarda 1925, pp. 260-70; F. Ullmann, Enzycl. d. techn. Chemie, V, 2ª ed., Berlino-Vienna 1929, p. 372; K. Arndt, Techn. Elektrochemie, Stoccarda 1929; J. Zeller, Die Künstilichen Kohlen für elektrotechnische und elektrochemische Zwecke, Berlino 1903.

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