CAMMARANO

Enciclopedia Italiana (1930)

CAMMARANO

Fausto Nicolini

. Famiglia di artisti, che per quattro generazioni ha dato all'Italia attori, drammaturghi, librettisti, poeti, musicisti, cantanti, pittori, scenografi, miniaturisti. Il capostipite, Vincenzo, nato a Sciacca (Sicilia) intorno al 1720 e andato a Napoli nel 1764, fece le prime armi in quel fosso che, aprentesi sotto la chiesa di S. Giacomo degli Spagnuoli, era detto Teatro della Cantina. Una fortunata rappresentazione della Donzella maritata e vedova del Cerlone, in cui incarnò "Don Pompilio Pecegreca", gli valse il soprannome di Giancola, noto poi in tutta Europa, quando, demolita la Cantina (1769) e sorto (1770) nel Largo del Castello (Piazza Municipio) quel San Carlino a cui erano destinati centoquattordici anni di vita talora gloriosa, il C. vi fu per un trentennio il più acclamato dei pulcinella. Un pulcinella che non solo era dicitore di detti, nel loro paradossale cinismo, non privi di profondità (p. es. "L'onore è un umore malinconico inventato dai vecchi per toglier gusto ai giovani"), ma sapeva anche, a suo tempo, piangere e far piangere, come accadde nella sua serata d'addio, che, ottantenne, (1802) e costretto a recitare seduto, diede sette anni prima di morire (1809). Oltre le figlie del primo letto Domenica e Caterina, anch'esse attrici al San Carlino (e la seconda altresì cantante al Nuovo), ebbe dalla seconda moglie (Caterina Sapuppo) quattro maschi. Il primo, Filippo (n. a Palermo il 16 agosto 1764, morto a Napoli il 19 dicembre 1842), coadiutore e successore del padre al San Carlino, a dieci anni componeva già Il comico inglese, e moltissime commedie scrisse di poi, tratte dapprima dalle Mille e una notte e da gesta di briganti (p. es., del famigerato Angelo Duca o Angelillo), indi (non senza avere, nel frattempo, tradotto in dialetto napoletano parte del teatro goldoniano) da leggende e tipi popolari (per es., La coccovaia di Puorto, Lo bello Gasparro e basta così, ecc.); ritiratosi dal teatro (1832), pubblicò, tra l'altro, certi Vierze strambe e bisbetece (1837), d'interesse autobiografico. Il secondo, Giuseppe (n. a Sciacca il 4 gennaio 1766, morto a Napoli il 2 ottobre 1850), dopo essere stato attore al San Carlino, poi scenografo al San Carlo, divenne acclamato pittore, professore nell'Istituto di Belle Arti e socio della R. Accademia Borbonica, lieto, anche nell'età matura, di essere insuperato pulcinella in un teatro di filodrammatici presso il monastero di S. Severino (oggi Archivio di Stato). Egli fu tra i pittori che rappresentano il trapasso dalla tarda pittura settecentesca ai modi accademici che dominarono il campo artistico napoletano nella prima metà dell'Ottocento. Eseguì lavori di decorazione a fresco nel palazzo reale di Napoli, nel palazzo reale di Caserta, nel soffitto del teatro S. Carlo a Napoli e in varie chiese della Campania. Molti suoi studî e bozzetti, rimasti presso la famiglia dopo la sua morte, si conservano nel museo di S. Martino di Napoli. Pittore del pari e filodrammatico il terzo, Antonio; tenore il quarto, Michele. Dal matrimonio di Filippo con la cantante Rosalia Vitellaro nacquero nove figli, tra cui Rosalinda, attrice, moglie d'un attore (Raffaele Negri), madre d'un'attrice (Adelaide Negri Falconi), nonna degli attori Arturo e Armando. Tra i figli di Giuseppe furono: Giovanni e Vincenzo, miniaturisti; Luigi, compositore di musica, guardia nazionale nel 1848, scampato per miracolo, il 15 maggio, alla fucilazione nei fossi di Castelnuovo; e Salvatore (n. a Napoli il 19 marzo 1801, morto ivi il 17 luglio 1852), filodrammatico, pittore, drammaturgo, e autore di quarantotto libretti d'opera tra cui sono da ricordare Lucia di Lamermoor, Belisario, L'assedio di Calais, Pia de' Tolomei, Roberto Devereux, Poliuto, e qualche altro per il Donizetti; Saffo, La fidanzata còrsa, Buondelmonte, Merope per il Pacini; La vestale, Il proscritto, Il reggente, Vasco di Gama, Gli Orazi e Curiazi per il Mercadante; Alzira, La battaglia di Legnano, Luisa Miller e (libretto scritto dal letto di morte e compiuto da L. E. Bardare) il Trovatore per il Verdi. È poi ancora vivo il ricordo di suo figlio Michele (v.), uno dei maggiori rappresentanti del realismo dell'Ottocento napoletano.

Bibl.: Cataloghi delle esposizioni di Napoli, 1826, pp. 17, 23, 25, 32, 54; 1830, p. 17; Poliorama pittoresco, XIV (1852), pp. 380-82, 390-91, 397-98; Annali civili del Regno delle Due Sicilie, LI (1854), p. 105; P. Calà Ulloa, Pensées et souvenirs sur la littérature contemporaine du Royaume de Naples, Ginevra 1858, indice dei nomi; P. Martorana, Scrittori del dialetto napoletano, Napoli 1874, ai nomi; B. Croce, Teatro di Napoli, 2ª ed., Bari 1916, indice dei nomi; S. Di Giacomo, Storia del teatro San Carlino, 2ª ed., Palermo 1924, indice dei nomi; M. Limoncelli, Michele Cammarano e l'atteggiamento realistico dell'Ottocento napoletano, Napoli 1930, estr. dagli Atti dell'Accademia Pontaniana. Una collezione Cammarano si serba nel Museo di San Martino di Napoli; una vetrina consacrata esclusivamente ad essi è nella Biblioteca Lucchesi-Palli di Napoli; la raccolta compiuta dei libretti di Salvatore è nella Biblioteca del Conservatorio di S. Pietro a Maiella di Napoli.

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