CAGLIARI

Enciclopedia Italiana (1930)

CAGLIARI (A. T., 27-28-29)

Pino FORTINI
Carlo ARU
Raimondo Bacchisio MOTZO
Enrico BESTA
Giannetto AVANZI
Enrico BESTA
Raimondo Bacchisio MOTZO
Enrico BESTA
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Città principale della Sardegna e capoluogo della provincia omonima. Sorge sulla costa meridionale dell'isola, in fondo all'ampio Golfo degli Angeli, dove alcune colline calcaree (Cast. di S. Michele, 120 m.) sporgono sul mare fra due serie di stagni (Stagno di Cagliari o di S. Gilla a NO., Stagni di Molentargius e di Quarto a E.) chiudendo l'ampia pianura del Campidano. La presenza della profonda insenatura (entro la quale la sporgenza di C.S. Elia, che cade a picco sul mare, offre un ulteriore riparo), le facili comunicazioni sia con la penisola e con la Sicilia, sia anche con la prossima costa africana e con la Spagna, spiegano come qui sorgesse sin da tempi antichissimi un centro abitato, fiorente per traffici marittimi. La topografia del litorale e la configurazione degli stagni hannno probabilmente mutato dall'evo antico, ma il centro abitato si distese sempre, più o meno ampiamente, fra il litorale e il prossimo fianco delle colline.

Nella parte più alta, sul colle, vi è il quartiere più antico, il Castello. Intorno e ai piedi di esso si distendono i quartieri marinari, popolari e più tardi industriali, conservanti le antiche denominazioni di Villanova a E., Marina nel mezzo, Stampace ad O. Oggi questi quartieri hanno abbattuto le loro mura, per espandersi liberamente; così si son create le tre arterie principali: Via Roma, che fronteggia il mare, il Largo Carlo Felice e il Viale Regina Margherita, perpendicolari a Via Roma, che si sono sviluppati ai fianchi del quartiere di Marina; di cui il primo può dirsi il centro del movimento cittadino; e l'altro è continuato dalla passeggiata del Terrapieno, che conduce ai pubblici giardini. Di qui si sale al Viale Buon Cammino che si svolge dietro il castello e alla sua altezza, con incantevoli panorami. Il quartiere di Stampace si è andato sempre più allargando e ormai raggiunge il sobborgo di S. Avendrace. Il quartiere di Villanova è dilagato nell'ampia pianura delimitata dai colli di Bonaria e di M. Urpinu, e con una sua diramazione raggiunge l'amena località di Villa Clara. Ma anche lungo la marina, colmato ormai il seno di mare che prospettava i colli di Bonaria e di Monreale, sulle pendici digradanti di questi si avanza la città. Più oltre ancora, la spiaggia del Poetto si è popolata di stabilimenti balneari e di villini. Cagliari ha ripreso così la sua antica fisionomia, allungandosi fra i colli ed il mare, mentre coi nuovi edifici, le strade larghe ed alberate, i frequenti giardinetti, dà l'impressione di prospero centro moderno. Un piano regolatore recentemente studiato detterà norme per il suo ulteriore sviluppo.

Cagliari gode di un clima mitissimo: la media del mese più freddo (gennaio) è di circa 9° 5′, mentre l'estate non è eccessivamente calda (media dell'agosto 24° 8); la piovosità è scarsa (435 mm.) e concentrata per tre quarti nel semestre invernale; l'estate è lunga e secca. La neve è rara e passeggiera. Fastidiosi riescono talora i venti, specie il maestrale e lo scirocco.

La popolazione di Cagliari era di 14.784 ab. nel 1698, verso la fine del governo spagnolo; di 16.924 nel 1728; salì a 19.512 nel 1751; a 28.000 circa negli anni 1821-24; oscillò sui 30.000 nel 1844-48; salì a 38.598 nel 1881; 53.747 nel 1901; 60.101 nel 1911; 61.758 nel 1921. Lo scarsissimo aumento fra il 1911 e il 1921 è dovuto alle gravissime perdite sopportate durante la guerra.

Poche grandi industrie esistevano in Cagliari sino a qualche decennio fa: quella dell'estrazione del sale; l'industria della pesca, ora meglio attrezzata con una flottiglia di motopescherecci; l'industria molitoria, con alcuni grandi molini che lavorano grani indigeni ed esteri; una fabbrica di birra, e altre di prodotti alimentari, stabilimenti per la distillazione dei vini e per la produzione dei liquori; e altri per la lavorazione del legno. Di recente sono sorti lo stabilimento della Società ceramica industriale che utilizza caolini ed argille della provincia; una fabbrica di cementi Portland che adopera i calcari delle colline di Cagliari; lo stabilimento della Società concimi chimici per la produzione di perfosfati minerali. Grande sviluppo ha avuto nel dopoguerra l'industria edilizia. Mancano le industrie tessili, mentre i primitivi telai, già così numerosi in tutti i villaggi, vanno mano mano facendo; e in genere, in Cagliari, come in tutta la Sardegna, tutto ciò ch'è prodotto industriale viene importato dalla penisola o dall'estero. Il commercio della Sardegna meridionale e centrale ha in Cagliari il centro: esso è in parte in mano di elementi liguri e napoletani. Il popolo è in gran parte dedito al piccolo artigianato o al piccolo commercio.

Cagliari è sede di un Comando militare per la Sardegna ed ha guarnigione composta di tutte le armi. È risolto ormai il problema della sua lontananza dal continente grazie alle più frequenti e rapide comunicazioni marittime, e alle comunicazioni aeree quotidiane (linea Cagliari-Ostia).

Il comune di Cagliari possedeva nel 1921 un territorio di chilometri quadrati 69,6, dei quali soli 22,3 di superficie agraria e forestale. Dal 1927 gli sono stati aggregati i comuni di Pirri, Monserrato, Quartuccio e Selargius, di modo che il territorio si estende ora per circa 142 kmq. con una popolazione non inferiore a 85.000 ab. I comuni aggregati sono prevalentemente agricoli, con produzione di cereali e di vini.

Bibl.: La bibliografia su Cagliari sino al 1901 è raccolta in A. Manno, Bibliografia storica degli stati della monarchia di Savoia, III, Torino 1891, pp. 331-391. Altro sussidio sarà la bibliografia sulla Sardegna, annunciata per il 1931. V. anche G. Cossu, De la città di C., 4ª ed., Genova 1799; G. Spano, Nome, sito e perimetro dell'antica città di C., in Bull. arch. sardo, II (1856); id., Guida della città e dintorni di C., Cagliari 1861.

Il porto. - È costituito da un bacino artificiale difeso da due moli: di Levante (lungo m. 565) e di Ponente (lungo m. 450), che racchiudono uno specchio acqueo di 34 ettari. La bocca del porto è larga 300 m. (fondali 9 m.); il settore di traversia si estende da sud ¼ sud-ovest a sud-est, ma, data la particolare forma delle coste del golfo, il mare giunge in porto in direzione prevalentemente da sud, per una imboccatura larga m. 135. La larghezza delle banchine di semplice ormeggio è limitata; piazzali di ampiezza varia esistono però lungo le calate che intercedono fra le radici dei moli stessi e formano tre sporgenti, due dei quali racchiudono la darsena, che risale al periodo aragonese (1332). Il porto, che era sino a qualche anno fa scarsissimamente arredato, è oggi dotato di 9 gru elettriche scorrevoli su portale e di 2 elevatori per il carbone. Le calate di operazione (m. 2100 nell'interno del porto), compresi i pontili, sono raccordate con la ferrovia. Il traffico del retroterra comprende gran parte della provincia: Cagliari è infatti il porto più importante dell'isola (il suo traffico supera il 50% di tutto il movimento delle coste sarde), ed è servito da tre linee di navigazione settimanali con Civitavecchia, Napoli, Genova e Tunisi; due quattordicinali con Genova, Livorno, costa orientale ed occidentale, Sardegna e Palermo; un'altra quattordicinale - periplo sardo - con i porti dell'isola stessa. Il traffico portuale, che nel 1913 era costituito da 2468 navi in arrivo e partenza per tonn. 978.799 che sbarcarono tonn. 193.072 di merce e ne imbarcarono 216.892, segna attualmente uno sviluppo in quanto, nel 1929, il numero delle navi passò a 2425 per tonn. 1.594.726, mentre le merci sbarcate furono 230.311 tonnellate e quelle imbarcate 262.019. Fra le prime prevalgono il sale e, a grande distanza, i cereali, minerali metallici, vini, ecc. Tra le merci in entrata il carbon fossile. Il traffico è costituito per ¾ da merci nazionali. Si rileva anche un lieve aumento nel numero dei passeggieri (10.575 nel 1913 e 11.032 nel 1929).

Lo sviluppo portuale di Cagliari è favorito dalla densità della popolazione nel retroterra immediato, che influisce sull'andamento dei consumi, e dall'aumento delle industrie, che tendono a sostituire alle attività tradizionali sarde, agricoltura e pastorizia, altre più vive. Per effetto della bonifica dello stagno di Santa Gilla, posto nelle immediate adiacenze del porto col quale sarà collegato mediante un canale navigabile, saranno destinati alla costituzione di una salina 1680 ettari, che potranno produrre 300.000 t. di sale all'anno (da aggiungersi alle 150.000 t. annuali che già produce la salina di S. Bartolomeo). Ciò darà naturalmente maggiore impulso al porto, che sarà completato mediante l'allestimento delle opere in corso di esecuzione, tra cui principalmente la costruzione di un nuovo molo di ponente e di un nuovo molo foraneo di levante o di Bonaria, che permetterà la creazione di una zona franca (considerata dal r. decr. 22 dicembre 1927, n. 2395)

Bibl.: Zeri, I porti della Sardegna, in Monografia storica dei porti dell'antichità dell'Italia insulare, Roma 1906; Le opere marittime seguite nell'ultimo ventennio, Roma 1926, p. 260 segg.; Portolano delle coste italiane. Sardegna e isole minori, Genova 1927.

Monumenti. - Della civiltà fenicia restano ricordi nella suppelletile venuta in luce dalle necropoli puniche del colle di Bonaria e della costiera di S. Avendrace (scarabei, oreficerie, terrecotte, iscrizioni) e in alcune grandi cisterne scavate in roccia, testimonianti la cura per il rifornimento idrico dei cittadini e delle navi. Per l'epoca romana è da ricordarsi l'Anfiteatro, il maggior monumento romano di Sardegna (m. 88,50 × 72,90) ricavato da una valletta rocciosa e abbastanza ben conservato; e tra gli altri resti, la cosiddetta Casa di Tigellio, nel Corso Vittorio Emanuele, con avanzi di musaici e decorazioni architettoniche, la tomba di Atilia Pomptilla (grotta della vipera) a S. Avendrace, e altri colombari, tombe e terme verso Bonaria. Una parte delle ricche collezioni del Museo, dove si raccolgono sculture, epigrafi, ceramiche di tutte le zone archeologiche dell'isola, proviene da scavi e ritrovamenti fatti nella città.

La necropoli di Bonaria - sullo stesso colle dei cimiteri cartaginesi e romani - è la prima testimonianza della diffusione del cristianesimo in Sardegna. La sua costituzione a celle mortuarie isolate, che richiamano i sepolcreti orientali, dimostra una pratica fossoria ben differente dalla romana. Ma poco rimane di questa come delle altre necropoli del periodo paleocristiano, di cui si conservano alcuni resti nella saletta cristiana del R. Museo archeologico. Anche i monumenti dei secoli IV-XI dovettero andare completamente distrutti nel periodo della conquista dei Vandali e delle incursioni saracene a eccezione della chiesa di S. Saturnino (ora dei Ss. Cosma e Damiano), che conserva notevoli frammenti architettonici romani e nella costruzione a cupola emisferica della parte centrale conferma un influsso notevole di correnti artistiche nord-africane nel periodo bizantino.

Tramontato il pericolo saraceno, la città, abbandonata la bassa pianura interna al riparo dello stagno di S. Igia, tornò alle sedi romane della marina e del colle e quivi ebbe dai Pisani la sistemazione difensiva, compiuta solo nel primo decennio del sec. XIV da Giovanni Capula, che diede alla città quell'aspetto di castrum medievale che, nonostante le gravi alterazioni posteriori, tuttora vi si nota. Sull'alto della collina si ergeva il castello, cinto per tre lati di muraglioni merlati rinsaldati sugli angoli da piccole torri. Tre porte conducevano all'interno, recinte di fossa e di antemurali, difese da una torre (del Leone, dell'Elefante e di S. Pancrazio). L'ubicazione delle tre porte impose subito un orientamento della viabilità da nord a sud, e viceversa, per le tre strade principali, la ruga mercatorum, la ruga marinariorum, la ruga comunalis, corrispondenti esattamente alle attuali vie La Marmora, Canelles e Genovesi. Anche l'attuale Piazza Palazzo trova esatto riscontro nell'antica platea comunis, nella quale anche allora sorgevano la cattedrale, l'episcopio e la casa del comune.

All'aspetto urbanistico della città romanica, rimasto sostanzialmente immutato anche negli altri quartieri, non corrisponde però gran copia di monumenti medievali. Della cinta fortificata pisana restano le porte, le torri e alcuni tratti di muragiia; e fuori, vigilante sul retroterra, il castello di S. Michele. Fra i tanti monumenti religiosi che i documenti ricordano, si conservano solo alcune parti della cattedrale (transetto e torre campanaria) e le navate aggiunte nel sec. XII al nucleo bizantino della già ricordata chiesa di S. Saturnino. Fra questi frammenti di architettura romanica si notano influssi pisani dei secoli XII-XIV. E a Pisa ci richiama, pur nella cattedrale, il celebre pulpito di Guglielm0, già nel Duomo pisano.

Nel 1326, con l'occupazione aragonese, il Kastrum Karalis dei Pisani diventa il Castell de Caller del quale i Catalani si sforzarono gradualmente di accentuare il carattere militare. Del periodo spagnolo rimangono alcuni bastioni e baluardi.

All'interno della cinta mutarono le denominazioni delle strade ma non già la pianta dei varî quartieri; soltanto in quelli di Stampace e di Villanova, rotti e abbattuti gli argini delle fortificazioni pisane, la città andò sempre più estendendosi nell'area libera verso l'aperta campagna, così da raggiungere e superare assai presto i due nuclei monastici di S. Francesco (poi demolito nel 1872) e di S. Domenico, che, stabiliti fin dalla seconda metà del sec. XIII, rifiorirono allora non solo come centri di vita religiosa, ma anche di notevole attività artistica. In questi edifici lo stile gotico spiegò improvvisamente le sue ardite strutture architettoniche e le sue esuberanti forme decorative; e nel secondo offre tuttora un esempio vario e caratteristico di quel gotico aragonese che ebbe vita in Sardegna fino a circa la metà del sec. XVII. Anche questo stile come già il pisano, subì un adattamento alle predilezioni locali verso i quadrati lapides, e si spogliò delle artificiose decorazioni spagnole di gusto "plateresco". Gl'influssi del Rinascimento italiano apparirono solo eccezionalmente. Unico esempio d'integrale, se pur modesta, costruzione del sec. XVI estranea alle influenze gotico-aragonesi è la chiesa di S. Agostino.

Più franche e più palesi appariscono invece le fonti italiane nei campi della pittura e dell'oreficeria.

A un periodo d'incontrastato dominio catalano, corrispondente per la prima metà del Quattrocento alla scuola dei Borrassà e per la seconda a quella dell'Huguet e dei Vergòs, seguì per quasi tutto il Cinquecento un deciso orientamento verso l'Italia, al quale parteciparono con maggiore dignità di opere i pittori cagliaritani Pietro e Michele Cavaro. Le tavole esposte nella quadreria annessa al R. Museo archeologico, la Madonna del cardellino nel santuario di Bonaria, il trittico dei Consiglieri nel palazzo comunale, il polittico della Vergine nel Duomo, illustrano chiaramente questo moto spirituale degli artisti cagliaritani verso l'Italia.

Lo stesso fatto è evidente nell'opera degli argentarî, che furono a Cagliari numerosi e operosi fin dal sec. XIV, e che divulgarono per circa tre secoli la loro modesta attività anche oltre i confini dell'isola. Oggetti conservati nel duomo, le croci astili delle chiese parrocchiali di S. Eulalia e di S. Giacomo dimostrano la profonda penetrazione delle forme gotiche spagnole per tutto il secolo XV; mentre altri arredi del duomo rappresentano il pieno accoglimento delle forme italiane del Rinascimento.

I rapporti col resto dell'Italia non cessarono neppure nel periodo barocco; ma i monumenti barocchi più notevoli restano come fatto artistico a sé, collegati all'arte italiana, senza rispondenze o reazioni locali: l'interno della cattedrale (1669-1674) è p. es., opera di un Francesco Solaro, forse lombardo; i lavori della facciata (demolita nel 1902), eseguiti fra il 1702 e il 1704, furono progettati e diretti da un Pietro Fossati; il monumento di re Martino nel transetto della stessa cattedrale fu lavorato a Genova nel 1676 da Giulio Aprile.

Due sole costruzioni degne di nota durante la dominazione sabauda sono i palazzi dell'università e del seminario, eretti nella seconda metà del Settecento dal Belgrano e dal Peren. In quel periodo furono rinsaldate le fortificazioni del castello e del porto mediante la strada bastionata e coperta dal terrapieno, sul quale poi nel 1839 fu sistemata la più bella e pittoresca passeggiata citiadina. Nella prima metà del sec. XIX con l'assestamento della viabilità e il rinnovamento della contrada di S. Francesco e della Piazza S. Carlo e nella seconda metà con la demolizione dei bastioni di S. Francesco e di S. Agostino e dei baluardi del molo, e con l'apertura del Largo Carlo Felice e della via Roma, Cagliari cominciò a svilupparsi modernamente. (V. tavv. LIII-LVI).

Bibl.: Minitero P.I., Elenco degli edifici monumentali, LXVIII, Provincia di Cagliari, Roma 1922 (con bibl. completa); D. Scano, Forma Karalis, in Arch. stor. sardo, XIV (1923), pp. 1-172; D. Scano, Chiese medievali di Sardegna, Cagliari 1929; G. Goddard King, Sardinian Painting, Philadelphia 1923; C. Aru, La pittura sarda nel Rinascim., in Arch. stor. sardo, XV (1924) e XVI (1926); id., Il "Masetro di Castelsardo", in Annali della Facoltà di lett. della R. Università di Cagliari, I e II (1928); id., Argentari cagliaritani del Rinascimento, in Pinacotheca, I (1928-29), pp. 197-211.

Storia. - I colli su cui poi sorse Cagliari furono abitati sin dall'età neolitica: le popolazioni libiche che muovendo dall'Africa passarono nella Sardegna e nella Corsica, hanno lasciato nelle grotte del promontorio di S. Elia le tracce della loro dimora. Nell'età nuragica su quei colli furono certamente erette alcune di quelle caratteristiche costruzioni, che lungo tutta la costa del golfo sorgono ancora a vigilare il mare: ma qui esse scomparvero nei successivi mutamenti del suolo. I Fenici di Tiro durante la loro espansione nel Mediterraneo occidentale presero possesso del promontorio cagliaritano che, circondato com'era allora più che adesso dalle acque, si prestava alla costituzione di uno di quei loro empori fortificati, da cui si svilupparono le città, loro colonie. Ma fu dopo la conquista cartaginese che Cagliari diventò florida città commerciale, e accentrò nel suo porto i prodotti del vasto suo retroterra: l'attestano le ampie necropoli che si estendevano già dal colle di Bonaria a oriente a quelli di S. Avendrace a occidente. La città ebbe nuovo incremento con la occupazione romana del 238 s. C., poiché divenne sede del pretore che governava le due isole di Sardegna e di Corsica, e base sia delle loro operazioni navali, sia delle spedizioni che muovevano contro le popolazioni non sottomesse dell'interno, sia anche dei trasporti di grano e altre vettovaglie che s'inviavano a Roma. Presto vi si costituì un nucleo di cittadini romani, accanto al nucleo di cittadini di origine e di lungua punica, e a quello di indigeni sardi: come in altre città antiche essi vivevano porobabilmente accanto ma distinti, e a ciò potrebbe alludere il nome Carales, che vien dato più spesso al plurale. Ma già al principio dell'età imperiale la città era municipio di cittadini romani, nel quale gli altlri elementi si andarono fondendo. Ebbe il suo Campidoglio e i suoi templi, in cui accanto alle divinità romano-greche, si adoravano le divinità puniche latinizzate, il suo anfiteatro, mura che la difendevano da improvvisi assalti e godette di notevole prosperità. I suoi edifizi e le sue ville si estendevano lungo il mare e lo stagno: tenditur in longum Caralis, scriveva nel sec. V il poeta Claudiano. Ma l'acropoli della città, il nucleo fortificato, che si venne anche qui restringendo col decadere dell'impero e il rarefarsi della popolazione, fu forse sin d'allora sul colle in cui poi sorse il castello. Come porto, usufruiva, oltre l'insenatura allora più penetrante del porto attuale, anche le placide acque dello stagno ch'era accessibile alle navi dell'epoca.

Il cristianesimo ebbe presto in Cagliari i suoi fedeli ed un martire, S. Saturno, durante la persecuzione di Diocleziano; sulla tomba di lui sorse una basilica che fu il santuario più venerato, ed è anche ora (chiesa dei Ss. Cosma e Damiano), nei suoi rifacimenti posteriori, il più antico edifizio della Cagliari cristiana. I suoi vescovi, di cui abbiamo notizia sicura sin dal principio del sec. IV, furono metropoliti della Sardegna: Lucifero, durante le lotte ariane, fu uno dei più ardenti e inflessibili sostenitori della fede nicena, per cui sopportò l'esilio e scrisse libri in un latino rozzo e volgare, ma pieni di passione religiosa; essi sono le prime opere di autore sardo a noi giunte. Asilo più tardi di molti vescovi esiliati dai Vandali fra cui Fulgenzio di Ruspe e il vescovo d'Ippona, che vi portò le ossa di S. Agostino, Cagliari vide fiorire una certa cultura ecclesiastica e svilupparsi il monachesimo. Ma già verso il 454 essa con la Sardegna fu occupata dai Vandali: ripresa sotto Giustiniano dai Bizantini fu oggetto di nuovi assalti dei Goti e poi dei Saraceni, per cui la sua prosperità scomparve, e nei secoli VII-X, pur restando la capitale dell'isola, cadde in rovina e la propolazione scampata alle stragi e alla schiavitù, pur non abbandonando del tutto il sito dell'antica città, preferì trovar sicirezza dietro la cintura degli stagni che permettevano il rapido ritirarsi verso l'interno, e più facile difesa.

I nuovi fasti di Cagliari si ricollegano al castello che, contro i giudici, i Pisani eressero nel sec. XIII sul colle, e che divenne per cura di Pisa e in pochi decenni, una delle più grandiose fortezze d'occidente. Durante la seconda guerra tra Genova e Pisa, si combatté nelle acque di Cagliari, nell'aprile del 1284, una battaglia navale fra una squadra di 30 galee pisane capitanate dal conte Fazio e una squadra genovese di forza alquanto maggiore. La vittoria arrise ai Genovesi che fecero prigioniero lo stesso Fazio. La battaglia prelude a quella maggiore combattura alla Meloria (v.) lo stesso anno. Infeudata l'isola di Bonifacio VIII a Giacomo II d'Aragona, Pisa cercò, ma invano, di salvarla a sé attraverso una subinfeudazione. Contro la rocca pisana sorsero i baluardi catalani di Bonaria (1326): Pisa fu costretta alla resa; il vecchio castello, sgomberato da Pisani e Sardi, rese inutile il nuovo. Ripopolata di Catalani e fornita di tutti i privilegi di Barcellona, Cagliari fu considerata come il più saldo propugnacolo della dominazione aragonese nell'isola. A poco a poco prevalsero nella città lingua, arte, usi spagnoli tanto più che i dominanti cercarono in genere di ostacolare le relazioni con l'Italia non spagnola. Sede della convocazione del parlamento sardo fin dal 1355, rivelò anche in questo la sua funzione centralizzatrice, a cui adempì fedelmente. Carlo V l'afforzò di poderose opere militari per farla precipuo argine contro l'imperversare delle incursioni turchesche. Centro notevole di commerci, volle esserlo anche di cultura e al principio del secolo decimosettimo impetrava anch'essa il suo studio generale. Nel 1708 Cagliari ebbe a subire un bombardamento da parte dell'ammiraglio inglese Lake, in appoggio alle pretese della casa d'Austria sull'isola: al breve intermezzo della dominazione austriaca, seguì ancora una breve dominazione spagnola; ma il trattato di Londra del 1718 aveva ormai segnato un nuovo destino, attribuendo l'isola a Vittorio Amedeo II di Savoia in luogo della Sicilia. Nel 1793 Cagliari - fedele e costante nella nuova missione di anello di saldatura coi dominî continentali di casa Savoia - resiste mirabilmente ai bombardamenti francesi; e quando i Sabaudi furono costretti dalla rivoluzione ad abbandonare Torino, Cagliari li ospitò e fu per qualche anno la capitale dello stato. Tornata la corte a Torino, Cagliari non esitò in seguito (1848) a rinunciare ai suoi privilegi per confondersi, in piena unità di ordinamenti e di indirizzi, col Piemonte.

Bibl.: V. Crespi, Topografia dell'antica Karalis, in Bull. arhceol. sardo, VIII (1862); F. Vivanet, Cagliari antica, Cagliari 1902; A. Taramelli, Cagliari romana, in Arch. stor. sardo, II (1906); F. Corona, Guida di Cagliari e suoi dintorni, 2ª ed., Cagliari 1915; A. Taramelli, Guida del Museo di Cagliari, Cagliari 1915; R. Carta Raspi, Cagliari, 1929. Sui ritrovamenti di antichità in Cagliari, cfr. Spano, in Bull. arch. sardo, I-X (1855-1864), passim; Notizie degli scavi d'Antichità a cura dell'Acc. dei Lincei, passim; E. Pais, Storia della Sardegna e della Corsica durante il dominio romano, Roma, 1922; A. Solmi, Cagliari pisana, Cagliari 1904.

Arte della stampa. - La stampa si ritiene introdotta in Cagliari dal tipografo nomade Salvatore da Bologna e la Carta de Logu, senza data (che contiene la legislazione di Eleonora d'Arborea) viene considerato il primo libro a stampa. Meno dubbia è l'attribuzione allo stesso stampatore dello Speculum Ecclesiae che porta la data 1493. Nel 1566 il canonico Nicola Canelles y Del Seny fondò in Cagliari una tipografia con Vincenzo Sembenino da Salò; e il Catechismo del 1566 fu per lungo tempo creduto il primo libro a stampa di Cagliari.

Istituti di cultura e biblioteche. - Per secoli l'istruzione fu impartita da istituti religiosi, parrocchie e monasteri. Speciale cura se ne presero i gesuiti e gli scolopî. Con privilegio pontificio del 16 febbraio 1606 e con diploma reale del 31 ottobre 1620, cominciò a funzionare nel 1626 uno studio generale con cattedre dedicate alle discipline teologico-filosofiche ed alle giuridiche, parecchie fornite dai gesuiti. Verso la fine del secolo lo studio agiva solo per il conferimento dei titoli. Fu restaurato da Carlo Emanuele III con le costituzioni del 28 giugno 1764, che ressero lo studio sino al 1848. Accanto alle vecchie discipline ebbero parte gl'insegnamenti delle scienze naturali e della medicina. Privato poi della lacoltà di lettere, fu ridotto nel 1862 a università di secondo ordine. Ma nel 1902 essa fu pareggiata alle maggiori; dotata mano a mano di moderni istituti scientifici, e integrata delle facoltà mancanti con la riforma del 1923.

Contemporaneamente alla restaurazione dell'ateneo, si cominciò a costituire la Biblioteca universitaria, aperta poi al pubblico nel 1792. Contribuirono a formarla doni del re e di privati, e soprattutto le librerie dei soppressi conventi. A uno di essi, al Collegio gesuitico di S. Croce, il giureconsulto cagliaritano Monserrato Rossellò aveva lasciato sulla fine del sec. XVI, la sua libreria che venne così a formare il fondo antico più cospicuo dell'universitaria. Essa ebbe poi incremento sotto la direzione di D. A. Azuni, di Ludouico Baille, che donò la sua importante raccolta di opere relative alla Sardegna o scritte da Sardi, di Giovanni Spano e soprattutto di Pietro Martini (1841-65). La biblioteca possiede 500 mss., di cui molti pregevoli (tra gli altri, una Pharsalia di Lucano, una Divina Commedia del sec. XIV, le Lecturae in Clementinas di Ciovanni da Legnano) e conta 110.000 volumi e 35.000 opuscoli.

L'importanza della Sardegna per gli studi archeologici si riflette nel bel museo, che custodisce antichità preistoriche, puniche, romane, e cristiane e di cui è a stampa la Guida (Cagliari 1915) a cura di A. Taramelli. Gli studî di storia medievale e moderna trovano alimento nel R. Archivio di stato, istituito da Carlo Emanuele III nel 1763; nell'archivio del duomo, importante per le più antiche pergamene sarde, e nell'archivio del comune. Promuove e coordina, dal 1909, le iniziative, la Società storica sarda, che pubblica un Archivio trimestrale e una speciale collezione di studî.

La provincia di Cagliari.

In seguito alla recente creazione della provincia di Nuoro, sono stati staccati dalla provincia di Cagliari il circondario di Lanusei e una parte di quello di Oristano. La provincia resta costituita dai tre circondarî di Cagliari, Iglesias e Oristano, con 9254 kmq. di superficie e 419.683 ab. La revisione delle circoscrizioni comunali (r. decr. 17 marzo 1927) ha ridotto da 189 a 116 il numero dei comuni. Le coste della provincia vanno dalla spiaggia di Torre di Murtas, di fronte all'isoletta di Quirra, a E., sino a quelle di Pischinappiu, al di sopra di C. Mannu, a O. Fanno parte della provincia il Sulcis, tutta la regione montagnosa dell'Iglesiente, i campidani di Oristano e di Cagliari, la regione di M. Arci, e quelle collinose della Marmilla e della Trexenta, il Gerrei e il Sarrabus. Il corso inferiore dei due maggiori fiumi sardi, il Tirso e il Flumendosa, tutto il bacino del Cixerri e del rio Mannu restano inclusi nella provincia. Il clima è mitissimo, le piogge, se non abbondanti, sufficienti per tutte le colture; ma le acque non sono regolate, e la malaria impera ancora nelle zone pianeggianti, sebbene rapidi progressi si facciano nel combatterla. La provincia contiene le terre della Sardegna più atte all'agricoltura, le miniere più numerose e redditizie, i due porti di maggior movimento (Cagliari, Carloforte), ha la popolazione assoluta e relativa più alta, con 45 ab. per kmq. contro 27 della provincia di Nuoro e 34 di quella di Sassari. Ha peraltro anche non lievi problemi da risolvere: bonificare e risanare gran parte delle sue terre, elevare il tenore di vita spesso assai basso degli abitanti, intensificare l'istruzione elementare ed agraria, sviluppare lo sfruttamento delle risorse offerte dal suolo. Segni di rinascita s'intravedono nel costituirsi di consorzî per opere di bonifica, nel maggior consumo di concimi, nell'assorbimento dell'energia elettrica prodotta dai grandi impianti idroelettrici, nel più rapido Circolare dei capitali locali e nell'interessamento del capitale continentale alle opere della provincia, nell'accresciuto ritmo delle comunicazioni e dei trasporti, nello sviluppo delle opere di beneficenza specie di Cagliari.

Il giudicato di Cagliari. - Quando, nella seconda metà del sec. XI, si ripresero le relazioni tra la Sardegna e il continente italico, col nome di giudicato o rennu calaritanu si indicò la zona meridionale dell'isola delimitata da una linea irregolare che dalla scala di Bugerru sul versante occidentale conduceva, sembra, al capo di Montesanto. Si disse anche parte de Rluminus; ma più spesso parte de Calaris. La terra calaritana era divisa in una quindicina circa di curatorie. Il titolo di protospatario dato a qualcuno dei più vecchi giudici, tra i quali regolarmente si alternarono, anche se il nome di battesimo era diverso, gli appellativi di Torchitorio e di Salusio, permette di riannodare i tre capi cagliaritani agli arconti che erano stati alla testa della provincia sarda e dell'esarcato africano con sede in Cagliari. Il rennu era diventato retaggio di una famiglia che si designa precipuamente come de Lacon, benché tra i suoi membri si trovino anche dei de Gunali, dei de Orrubu, ecc. La serie dei giudici cagliaritani non è sicuramente ristabilita. Al Torchitorio marito di Geti e al Salusio suo figlio sembrano riallacciarsi il Torchitorio marito di Sinispella e, attraverso un altro ignoto Salusio, il Torchitorio de Lacon marito di Vera (1056-1080) da cui nacque Costantino Salusio (1089?-1102?). Al principio del sec. XII la sua successione fu contesa con l'aiuto di Pisani e Genovesi tra il fratello e il figlio di Costantino. Dopo un interregno di Torbeno, la serie dei giudici sembra però regolarmente ristabilita con Mariano Torchitorio de Gunali (1107-1130), figlio di Costantino Salusio e marito di Preziosa e Costantino-Salusio suo figlio (1130-1162) e marito di Giorgia de Lacon e di Sardinia de Thori. Costui ebbe solo figlie; la successione, malgrado le opposizioni di Barisone figlio di Torbeno, fu raccolta da Pietro di Serra, giudice turritano. Ma nel 1187, per opera anche di Pisa, fu soppiantato da Guglielmo marchese di Massa figlio di Oberto (1187-1214), astuto e pugnace, che fu anche per qualche anno signore di Arborea. Non ebbe prole maschile. Lui vivente, delle sue figlie, Preziosa era andata sposa a Ugo di Basso, consolidando in questo il possesso dell'Arborea; Agnese aveva sposato Mariano di Torres. La successione fu raccolta da Benedetta, subito sposata a Barisone de Serra, figlio di Pietro, già congiudice spodestato d'Arborea; Barisone assunse il nome di Torchitorio. Ma i loro diritti furono impugnati dai Visconti. Nel 1219 Lamberto Visconti, occupato il Castello di Cagliari, si intitolò giudice cagliaritano col nome di Torchitorio, già preso da Barisone (1217) e chiamando Salusio il figlio Ubaldo, sposo di Adelasia di Torres, lo designò suo erede. Coteste pretese non furono però riconosciute dal papa, che difese energicamente le ragioni di Benedetta, fra gli attacchi pisani, diventata di necessità amica di Genova. A lei succedette, non senza resistenze, il figlio Guglielmo Cepola (1226-1255) e poi il figlio Chiano, che, prigioniero dei Pisani e condannato a morte per tradimento, istituiva eredi i cugini Guglielmo III e Rinaldo di Massa, nati dal matrimonio di Maria de Serra. Essi restarono stretti a Genova, istituita erede del giudicato da Guglielmo III. La sconfitta di S. Igia (1257) troncò le aspirazioni genovesi. Il giudicato andò diviso fra gli autori della vittoria pisana. Restando Cagliari a Pisa, le altre terre andarono divise tra i Visconti (Ogliastra, Sarrabus, Trexenta, Gippi, ecc), i conti di Donoratico (Sigerru, Sulcis, ecc.) ed i visconti di Basso, giudici di Arborea.

Bibl.: E. Besta, Per la storia del giudicato di Cagliari, in Studi Sardi, Sassari 1901; id., La Sardegna medivale, voll. 2, Palermo 1908-09; A. Solmi, Studi storici sulle istituzioni della Sardegna nel Medioevo, Cagliari 1917.

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