Biologia

Universo del Corpo (1999)

Biologia

Giovanni Chieffi
Salvatore Feo
Agata Giallongo

Il termine biologia (composto di due parole greche, βίος, "vita", e λόγος, "studio") fu coniato dal naturalista tedesco G.R. Treviranus nel 1802 per indicare una nuova disciplina, intesa come scienza che studia forme e manifestazioni, condizioni e leggi della vita. In questo significato ampio la biologia è denominata anche 'biologia generale' e comprende in sé varie discipline, tra le quali soprattutto la zoologia, che studia la vita degli animali, e la botanica, che riguarda la vita delle piante. In base poi agli aspetti secondo i quali è studiato l'organismo vivente, si suddivide in vari rami, quali la morfologia, la fisiologia, la genetica, la patologia, a seconda che si considerino la forma o la funzione o i fenomeni ereditari oppure le condizioni anormali dell'organismo. Se rivolta in particolare alla storia naturale dell'uomo, si denomina 'biologia umana'; 'biologia molecolare' è invece la denominazione del ramo della biologia, sviluppatosi grazie all'impiego della chimica biologica, che studia i fenomeni vitali riconducendoli all'attività delle proteine e degli acidi nucleici, cioè di quelle macromolecole che hanno specificità biologica.

Profilo storico

di Giovanni Chieffi


1.

Antichità e Medioevo

È molto probabile che all'uomo primitivo fosse poco chiara la distinzione tra mondo inorganico, non vivente, e mondo degli organismi viventi. Egli considerava tutta la natura, cioè il sole, l'acqua, le nuvole, i fulmini ecc., non diversa dagli animali e dalle piante, cioè dotata di vita e quindi di pensiero. L'interesse per gli organismi viventi si sviluppò con la domesticazione, quando l'uomo passò dallo stadio della caccia a quello dell'allevamento e della pastorizia e a quello della coltivazione delle piante.Il primo fenomeno che dovette indirizzare l'attenzione dell'uomo nel distinguere gli organismi viventi dalla materia non vivente fu certamente la morte. Con essa infatti cessano improvvisamente e in modo spettacolare alcuni fenomeni molto appariscenti, come il movimento e la respirazione, la quale, in particolare, non si arresta neanche nel sonno, quando il corpo è immobile. Una volta riconosciuta la peculiarità degli organismi viventi, si cominciarono a raccogliere osservazioni sulla vita degli animali e delle piante, specialmente in riferimento alla caccia, alla pesca, alla pastorizia ecc. Babilonesi, assiri, ebrei, egiziani possedevano conoscenze adeguate sulla vita degli animali: una tendenza alla classificazione zoologica compare già nei libri di Mosè.

Le prime notizie sui rapporti tra mondo dei viventi e materia non vivente risalgono alla scuola ionica, la più antica scuola filosofica che fiorì in Asia Minore tra la fine del 7° e il 6° sec. a.C. Talete di Mileto concepiva tutta la materia come animata, cioè viva, Anassimandro pensava che i viventi fossero originati da un fango primitivo che in principio ricopriva tutta la Terra, mentre Anassimene faceva derivare tutto dall'aria; Eraclito vide invece nel fuoco l'origine della vita. Dalle speculazioni dei filosofi si passa allo studio vero e proprio dei viventi, e in particolare dell'uomo, con Ippocrate di Coo (5°-4° sec. a.C.), che studiò le malattie su base causale e con metodo naturalistico. Ma fu Aristotele il primo vero studioso della vita degli animali, che investigò nei più minuti particolari, ponendo le basi di una classificazione zoologica rimasta insuperata per molti secoli. Il suo discepolo Teofrasto si interessò della classificazione delle piante; ma la statura dell'allievo era assai inferiore a quella del maestro e la sua classificazione delle piante in alberi, frutici, sufrutici ed erbe è più superficiale di quella aristotelica degli animali. A Teofrasto va riconosciuto tuttavia il merito di aver distinto le piante in monocotiledoni e dicotiledoni. Queste classificazioni, sebbene lacunose, servirono alla conoscenza delle piante medicamentose, di cui fu grande cultore Pedanio Dioscoride o Dioscuride di Anazarba presso Tarso in Cilicia (1° sec. d.C.), autore di un grande trattato che gli valse l'epiteto di padre della botanica. In complesso questi studiosi ebbero il merito di aver messo un po' d'ordine laddove regnava il caos; ma ciò che qualifica il loro tentativo è l'aver seguito la regolarità del sistema naturale basata sulle affinità naturali, dando vita a un criterio che fu seguito fino ai tempi di Linneo (18° sec.).

Come si è detto, lo studio della vita degli animali e delle piante ebbe in Aristotele il cultore principale. Dalla lettura della sua opera naturalistica emerge la sua concezione della vita: i fenomeni vitali sono governati da un principio identificato con l'anima, distinta dalla materia, e sono tutti volti a un fine determinato. Hanno origine da qui le correnti di pensiero note con i nomi di vitalismo e di finalismo, che si contrappongono alla concezione materialistica di Democrito, cui oggi si dà il nome di meccanicismo. Anche Democrito considera l'anima come principio di vita, ma essa è per lui un'entità materiale, composta di atomi ignei, rotondi e lisci, sottilissimi, ed è mortale, dissolvendosi con il corpo. Questi due indirizzi di pensiero furono ripresi nel Rinascimento e si sono continuati a confrontare fino ai nostri giorni. Con la dissoluzione dell'impero macedone, il centro della cultura ellenistica si spostò ad Alessandria di Egitto, ove regnavano i Tolomei, illuminati protettori delle scienze; a Tolomeo II si deve la fondazione della famosa Biblioteca alessandrina. Molti greci insegnarono ad Alessandria: tra questi, Erofilo ed Erasistrato, entrambi vissuti intorno al 300 a.C., sono considerati i veri fondatori dell'anatomia umana. Studiarono in particolare il sistema nervoso, distinguendo il cervello dal cervelletto, la sostanza bianca dalla grigia. Inoltre, descrissero la funzione delle radici anteriori e di quelle posteriori dei nervi spinali: le prime trasportano gli impulsi ai muscoli, mentre le altre trasportano gli stimoli dalla periferia al midollo spinale.

Queste osservazioni, eccezionali per i tempi in cui furono formulate, trovarono una conferma sperimentale solo nel 19° secolo.La scuola alessandrina decadde rapidamente. Con la riduzione dell'Egitto a provincia romana la tradizione culturale dell'ellenismo si spostò a Roma. Di ispirazione epicurea è il De rerum natura, poema in 6 libri di Tito Lucrezio Caro (1° sec. a.C.), opera di poesia oltre che summa di conoscenze scientifiche. Nei primi due libri Lucrezio espone la dottrina atomistica, nel terzo e nel quarto tratta dell'anima, mortale, e della conoscenza; negli ultimi due dell'origine e della fine dell'universo. Per la sua modernità, la concezione biologica di Lucrezio influenzerà la cultura europea fino all'Illuminismo. Altro autore romano che si occupò di studi naturalistici fu, nel 1° secolo d.C., Plinio il Vecchio, autore della Naturalis historia, opera enciclopedica in 37 libri, tuttora fonte preziosa di notizie.Con la fine dell'Impero romano l'interesse per le scienze biologiche decadde. Le conoscenze naturalistiche frutto delle civiltà greca e romana furono raccolte e conservate dagli ordini monastici cristiani e dagli arabi, che le tramandarono alla posterità. Nel Medioevo l'interesse per l'aritmetica, la geometria e l'astronomia prevalse sugli studi naturalistici. La tendenza al meraviglioso guidò spesso le classificazioni dei viventi: lo studio degli animali si ridusse ai 'bestiari', descrizioni fiabesche con intenti dottrinari, che comprendevano anche animali fantastici, come il drago, la fenice, l'unicorno.

2.

La rinascita degli studi naturalistici

Nel Rinascimento, con il risveglio degli interessi letterari, filosofici e artistici, si assiste alla riscoperta della natura, che torna a essere osservata con attenzione ed è rivisitata alla luce dei testi degli autori classici. Il Cinquecento è il secolo delle grandi scoperte anatomiche e fisiologiche. Nel De humani corporis fabrica del belga A. Vesalio (1543), sia il testo, sia la documentazione iconografica sono di grande originalità e bellezza. Affrancandosi dall'autorità della scolastica, Vesalio fece scoperte importantissime, spesso correggendo errori tramandatisi per secoli, come la presenza di fori nel setto interventricolare del cuore. Alla scuola di Vesalio, all'Università di Padova, si formarono numerosi allievi, tra i quali G. Falloppio, il cui nome è legato in particolare alla descrizione della tuba uterina o tromba di Falloppio, e G. Fabrici (o Fabrizi) di Acquapendente, che coprì la cattedra di anatomia dal 1566 al 1613, periodo durante il quale venne costruito il famoso teatro anatomico dell'Università di Padova. Le opere più significative di Fabrici sono quelle embriologiche (De formato foetu, 1604; De formatione ovi et pulli, 1621), nelle quali è descritto lo sviluppo dell'embrione non solo umano ma anche di altri mammiferi, pesci, serpenti e del pollo.

Della scuola anatomica italiana, che può considerarsi la più autorevole del Cinquecento, bisogna ricordare anche B. Eustachi o Eustachio, autore di un trattato sull'orecchio, che ha dato il suo nome al dotto che pone in comunicazione l'orecchio medio con il retrofaringe. Contemporaneo di Eustachio fu G.F. Ingrassia, scopritore della staffa, uno dei tre ossicini dell'orecchio medio. Nonostante i vincoli della tradizione, molti di questi anatomici si spinsero a formulare nuove ipotesi sul funzionamento degli organi, spesso in aperto contrasto con l'autorità scolastica. E fra tutti i sistemi del corpo, il primo a essere rivisitato alla luce delle nuove scoperte anatomiche fu quello circolatorio. Alla teoria galenica W. Harvey, che fu studente di Fabrici a Padova, sostituì i concetti di grande e piccola circolazione, cercando di conciliare le vecchie credenze con le nuove conoscenze.Nel Cinquecento non si verificarono particolari progressi nel campo delle conoscenze generali della biologia. Si continuò a discutere sulle dottrine ippocratiche, aristoteliche e galeniche riguardo alla riproduzione, ai problemi dell'eredità e alla determinazione del sesso (la cui causa fu vista nella provenienza del seme dal testicolo destro o da quello sinistro).

La rinascita degli studi zoologici e botanici fu più lenta. Essa venne favorita dal gusto dei viaggi che portarono al ritrovamento di nuove specie: la scoperta delle Americhe, in particolare, aprì all'osservazione degli studiosi un mondo inesplorato di piante e di animali. Le ricerche di anatomia si estesero dunque dall'uomo ad altre specie animali. In proposito sono ben noti gli studi di Leonardo da Vinci sull'anatomia e la fisiologia dell'uomo e degli uccelli, eseguiti con criterio morfomeccanico. Leonardo compì anche studi di botanica e precorse la paleontologia con le sue osservazioni sui fossili, che interpretò come tracce di antichi organismi.

La medicina, e in particolare la chirurgia, trassero grandi vantaggi dalle nuove conoscenze anatomiche. L'esercizio della chirurgia, fino allora considerato indegno di un medico e lasciato all'opera di barbieri e di cerusici, fu rivalutato e si istituirono cattedre apposite nelle università. Si fecero strada le prime teorie sulla patologia delle malattie contagiose. G. Fracastoro illustrò nel De contagione et contagiosis morbis (1546) tre tipi di contagio: per contatto diretto, per contatto indiretto e per trasmissione della malattia a distanza. Nel frattempo, fece la sua comparsa una malattia sconosciuta, la sifilide, cui diede il nome Fracastoro in un elegante poemetto pubblicato a Verona nel 1530, Syphilis sive de morbo gallico (Sifilo è il pastore che per aver insultato Apollo è colpito dalla malattia). L'origine della sifilide è ignota, e ancora oggi è discussa la sua provenienza dall'America; certo è che si propagò in Europa con una rapidità straordinaria.

3.

La 'rivoluzione scientifica' e le discipline biologiche

Il Cinquecento rappresenta il periodo di transizione alla scienza moderna che nel Seicento ha il suo momento culminante in Galileo. L'introduzione del metodo sperimentale nelle scienze fisiche influenzò notevolmente lo studio dei fenomeni della vita. La sua prima esemplare applicazione in biologia si deve a F. Redi, che vi fece ricorso per indagare uno dei più grandi problemi della biologia, quello della generazione spontanea. L'esperimento è da Redi stesso descritto in un volume pubblicato a Firenze nel 1688, Esperienze intorno alla generazione degl'insetti: "Le mosche nascono dalla carne putrefatta solo quando altre mosche vi abbiano deposto le uova e non dalla carne messa nei vasi chiusi da carta o da sottilissimo velo di Napoli acciocché l'aria possa penetrare". Così Redi introduceva nella ricerca causale dei fenomeni biologici il 'controllo', in questo caso rappresentato dai vasi ricoperti da sottile garza, che permette di rinnovare l'aria ma impedisce alle mosche di depositarvi le uova. Il problema della generazione spontanea riemerse prima con la scoperta dei protozoi e poi dei batteri e fu risolto anche in questi casi, rispettivamente da L. Spallanzani e da L. Pasteur, applicando il metodo sperimentale secondo lo schema proposto da Redi. Tuttavia solo a partire dal 19° secolo il metodo sperimentale sarebbe stato consapevolmente e diffusamente adottato nelle scienze biologiche.

Nel Seicento gli studi anatomici portarono a nuove importanti scoperte, assicurando le indispensabili basi morfologiche alle ricerche di fisiologia. M. Malpighi fornì il complemento necessario alla teoria della circolazione di Harvey con la scoperta dei capillari, che documenta il passaggio del sangue dalle arterie alle vene. Risale al Seicento anche la scoperta del sistema linfatico a opera del chirurgo militare G. Aselli, che descrive nel mesentere del cane e di altri animali le venae albae lacteae, oggi chiamate vasi chiliferi. Sono numerosi gli anatomici che non solo in Italia, sempre all'avanguardia in questa disciplina, ma anche in altri paesi europei continuano l'opera di affrancamento dell'anatomia dalla tradizione galenica. Tra questi emergono J. Pequet, il cui nome è legato alla scoperta della 'cisterna' in cui sboccano i vasi chiliferi mesenterici, F. Glisson per le sue ricerche sul fegato, T. Wharton e N. Steensen (Nicola Stenone) per le loro ricerche sulle ghiandole salivari, e inoltre gli italiani L. Bellini, per le ricerche sul rene e sulle papille linguali, e A.M. Valsalva, anatomico dell'orecchio. All'anatomico olandese R. de Graaf si deve la scoperta del follicolo ovarico dei mammiferi, chiamato anche follicolo di Graaf.

Sempre nel Seicento si rivelò di estrema importanza l'invenzione del microscopio, senza la quale probabilmente la biologia moderna non esisterebbe. Del nuovo strumento si servì ampiamente Malpighi, le cui scoperte di anatomia microscopica vanno da quella già menzionata dei capillari a quella delle cellule piramidali della corteccia cerebrale (che interpretò come cellule ghiandolari), delle papille gustative, dello strato germinativo dell'epidermide che porta il suo nome. Numerose sono anche le osservazioni di anatomia patologica eseguite dal Malpighi a livello sia macroscopico sia microscopico. Pregevoli sono anche le sue osservazioni sullo sviluppo dell'uovo di pollo (De formatione pulli in ovo, 1673), con la prima descrizione degli archi aortici, delle fessure branchiali, delle vescicole cerebrali e di quelle ottiche. Malpighi descrisse anche per la prima volta gli organi di un invertebrato, il baco da seta, fino allora considerato privo di strutture, alla stregua degli altri animali inferiori. Le osservazioni sull'anatomia delle piante (Anatome plantarum, 1675; Anatomes plantarum pars altera, 1679) portarono Malpighi a descrivere nella corteccia, nel legno, nel midollo e nelle foglie degli elementi microscopici, che chiamò utricoli, corrispondenti a quelli che oggi chiamiamo cellule, ma il cui significato unificante, in quanto comuni a tutti gli organismi, resterà oscuro ancora per molto tempo. Il termine cellula fu introdotto da un contemporaneo di Malpighi, R. Hooke, che pubblicò le sue osservazioni in una celebre opera, Micrographia (1665), dove tra l'altro descrive la struttura del sughero di cui disegna le pareti che racchiudono le 'cellule', cioè cellette vuote, dando al termine un significato diverso da quello che gli sarà conferito nell'Ottocento.Non possono essere dimenticati altri due grandi microscopisti del Seicento, gli olandesi A. van Leeuwenhoek e J. Swammerdam. Leeuwenhoek, le cui osservazioni risentono dello spirito dilettantistico con cui fece numerose e importanti scoperte, descrisse per primo organismi microscopici che popolano le acque stagnanti e che oggi sappiamo costituiti di una unica cellula (protozoi). Con i suoi microscopi, un suo giovane amico medico, D. Ham, scoprì nel liquido seminale gli spermatozoi. A Swammerdam, che a differenza di Leeuwenhoek fu persona colta, studiò medicina e si dedicò agli studi naturalistici, si deve la scoperta dei globuli rossi e la prima descrizione della metamorfosi dei girini di rana e di alcuni insetti.

La ricerca biologica in questo periodo è ancora dominata dalla concezione vitalistica. Tra coloro che si distaccarono da questa tradizione va ricordato Cartesio, il quale, attratto dalla complessità dei fenomeni vitali, tentò di spiegare meccanicisticamente il funzionamento di diversi sistemi del corpo umano, interpretato come una macchina soggetta agli stessi principi che valgono per il mondo fisico.

4.

Nuove classificazioni e sistemazioni

Il Settecento, nel campo delle scienze biologiche, è ricordato soprattutto per la monumentale opera di classificazione di Linneo. Già nel secolo precedente la raccolta di piante e animali, a seguito dell'esplorazione di nuove terre, aveva posto l'esigenza di una sistematizzazione più precisa e vi si erano dedicati, preparando la strada alla grande riforma linneana, vari zoologi e botanici; fra questi primeggiò il botanico J. Ray, che distinse le piante con fiori (Perfectae) da quelle senza fiori (Imperfectae) introducendo la nozione dell'esistenza di gruppi sistematici superiori. In un contesto determinato dalla ripresa degli studi naturalistici, Linneo introdusse criteri nuovi, sintetizzò e perfezionò i metodi di classificazione dei viventi, fornendo ai suoi successori (Cuvier, Lamarck, Buffon e altri) gli strumenti per affrontare, su basi concettuali originali, l'evoluzione dei viventi. Introdusse la nomenclatura binomiale latina per indicare le specie, universalmente accettata e tuttora in uso (il primo nome indica il genere e il secondo la specie). La concezione fissista che emerge in molti passi delle sue opere venne mitigata nei Fundamenta fructificationis (1762), dove Linneo ammise la possibilità di un ceppo comune per tutte le specie di uno stesso genere e forse anche per quelle di uno stesso ordine. L'opera del Creatore si fermerebbe così ai generi e agli ordini che si sarebbero via via differenziati 'a seguito di ibridazioni'.

Linneo, tuttavia, non fu il solo a coronare una lunga fase delle scienze biologiche. Per il progresso della biologia fu forse più importante l'opera di un suo contemporaneo, il francese G.-L. Leclerc de Buffon, che si distingue da quella di Linneo per la diversa concezione della storia naturale. Nella descrizione di Buffon prevale infatti la tendenza ad affrontare problemi generali, anziché l'analisi sistematica, prevale cioè lo studio della biologia dei vari organismi (abitudini di vita, habitat ecc.) rispetto alla ricerca meticolosa delle differenze morfologiche tra di essi. Buffon affrontò alcuni argomenti di biologia umana considerati all'epoca scandalosi, come la riproduzione, la pubertà e altri problemi attinenti al sesso e alla morale sessuale. Nelle sue opere, la più importante delle quali è l'Histoire naturelle générale et particulière in 44 volumi pubblicati tra il 1749 e il 1804, sono frequenti i riferimenti alla possibile derivazione di specie da altre specie, tanto che Buffon può essere considerato un precursore della teoria dell'evoluzione.

Le conoscenze anatomiche si arricchirono nel Settecento di nuove scoperte a opera, in particolare, di G.B. Morgagni, fondatore dell'anatomia patologica. J.W. Goethe, il grande poeta tedesco, coniò il termine morfologia per intendere lo studio della struttura degli organismi, che egli condusse con metodo comparativo alla ricerca di un tipo ideale, di cui i vari organismi rappresentano una variante. La controversia sulla generazione spontanea, che sembrava superata grazie agli esperimenti di Redi, confermati da altri studiosi, riemerse con la scoperta a opera di Leeuwenhoek dell'esistenza di organismi piccolissimi visibili solo al microscopio, oggi conosciuti come protozoi ciliati o infusori. Fu un sacerdote cattolico inglese, J. Turbeville Needham, a sostenere che questi organismi originassero spontaneamente nelle infusioni di vegetali o di carni riscaldate a temperature elevate. A sostegno della teoria della generazione spontanea intervenne Buffon, che si servì degli esperimenti di Needham per dimostrare il suo sistema della generazione. Le osservazioni di Needham vennero in seguito confutate da un altro grande esponente della biologia settecentesca, L. Spallanzani, grazie a una serie di esperimenti che rappresentano un esempio luminoso di applicazione del metodo sperimentale in biologia. Egli fu in grado di dimostrare che i piccoli infusori originano da piccole 'ova' resistenti al calore, oggi chiamate cisti, e che solo l'ebollizione riesce a distruggere. Questi risultati furono pubblicati nel famoso Saggio di osservazioni microscopiche concernenti il sistema della generazione spontanea de' signori Needham e Buffon (1765), considerato una delle pietre miliari della biologia moderna.

Il famoso motto di Harvey "ex ovo omnia", che può essere oggi inteso come una conferma della inconsistenza della generazione spontanea, venne utilizzato dagli embriologi del Settecento a sostegno della preformazione dell'embrione nell'uovo fecondato (nel secolo precedente Malpighi aveva affermato, studiando lo sviluppo dell'uovo di pollo, che in un uovo non incubato può riconoscersi la forma dell'embrione!). Si apriva così la disputa tra 'preformismo' ed 'epigenesi'. I fautori dell'epigenesi, come inizialmente Harvey, sostenevano che l'embrione si sviluppa ex novo, cioè da materia indifferenziata da cui gradualmente si vanno modellando organi e strutture in virtù di una vis vitalis, da Aristotele chiamata ἐντελέχεια, portata dal seme maschile. Al contrario, i preformisti ritenevano che gli organi siano preformati nell'uovo sotto forma di filamenti o stamina, da cui poi si svilupperebbero i vari organi del corpo. Oltre a Malpighi, furono convinti preformisti Swammerdam, A. Vallisnieri e Spallanzani e al preformismo si convertì anche Harvey. La scoperta degli spermatozoi da parte di Ham, che li chiamò animalculi o vermicelli, simili agli infusori, portò alcuni naturalisti a speculare sulla preformazione dell'embrione non già nell'uovo bensì nello spermatozoo, fino a rappresentare nella testa dello spermatozoo stesso un omino completo delle sue parti, e nella coda il cordone ombelicale. Si fronteggiarono così gli 'animalculisti' (o 'vermicellai' come li chiamava Spallanzani) e gli 'ovisti', ovvero coloro che ritenevano l'embrione preformato nell'uovo.

5.

Dalla 'teoria cellulare' all'evoluzionismo

Nell'Ottocento giungono a maturazione alcune delle teorie fondamentali della biologia. Grazie al rifiorire dell'indagine microscopica, M.J. Schleiden e T. Schwann enunciarono la 'teoria cellulare', la prima teoria unificante in biologia. Dopo le prime timide iniziali descrizioni della struttura cellulare, rese possibili dall'invenzione del microscopio, nelle piante da parte di Hooke (1665), Malpighi (1672), N. Grew (1672), e negli animali da parte di H.J. Dutrochet (1829), Schleiden, professore di botanica all'Università di Jena, espose in una memoria (Beiträge zur Phytogenesis, 1838) l'ipotesi della struttura cellulare delle piante, insistendo sull'individualità e indipendenza delle cellule che compongono l'organismo e sul ruolo svolto dal nucleo. Contemporaneamente Schwann, attivo a Berlino e poi passato all'Università di Lovanio, giunse alla stessa conclusione per gli organismi animali. La teoria cellulare ebbe un'immensa influenza in tutti i campi della biologia, aprendo in particolare nuovi orizzonti alla fisiologia e alla patologia. Anche il processo della fecondazione fu interpretato correttamente dopo che si comprese che l'uovo di mammifero (scoperto nella cagna da K.E. von Baer nel 1827) era una vera cellula, mentre solo nel 1860 lo spermatozoo fu considerato come la cellula germinale maschile. Tuttavia, la teoria cellulare al suo esordio non fu esente da errori.

Schwann ammetteva la generazione spontanea della cellula da un liquido organico e la presenza transitoria del nucleo. In poco più di trent'anni questi errori vennero corretti grazie al lavoro di citologi di diversi paesi. L'Ottocento è stato il secolo di un'altra grande rivoluzione biologica, forse la più importante, anche per i suoi riflessi culturali e sociali. L'idea della variabilità degli esseri viventi e della loro derivazione da altri esseri estinti, di cui si aveva la documentazione fossile, era emersa già nel Settecento. Ma fu J.-B. de Monet, cavaliere di Lamarck, allievo di Buffon, a formulare la prima teoria dell'evoluzione. L'ipotesi lamarckiana suscitò molte critiche, in particolare da parte di G. Cuvier, cioè proprio da parte di colui che ne fornì le prove storiche più convincenti, in particolare con lo studio dei fossili. In verità, già nell'antica Grecia questi erano stati riconosciuti come vestigia di animali vissuti in altre epoche, ma poi il loro significato autentico era andato smarrito. Nel Medioevo i fossili erano considerati 'scherzi di natura' (lusus naturae), dei minerali che per caso avevano assunto la forma di organismi mal riusciti. Solo con Leonardo da Vinci e poi con Stenone la loro vera natura fu ristabilita. Con gli studi di Cuvier sui fossili dei grandi quadrupedi (elefanti, rinoceronti, ippopotami) ebbe inizio una nuova scienza, la paleontologia. Grazie alla sua profonda cultura anatomica Cuvier elaborò la 'legge sulle correlazioni tra gli organi', che gli permise di ricostruire interi scheletri con grande approssimazione partendo da pochi frammenti di ossa fossili. Comunque la scarsità dei reperti fossili fino allora raccolti rendeva difficile la dimostrazione della transizione tra un 'orizzonte geologico' e il successivo e quindi di riconoscere la trasformazione graduale delle specie nel tempo. Per tale ragione Cuvier si ostinò in un fissismo intransigente, e non tanto per le sue convinzioni filosofiche e religiose. Per spiegare l'estinzione delle specie fece ricorso ai grandi cataclismi che a varie riprese avrebbero scosso il nostro pianeta, l'ultimo dei quali corrispondente al 'diluvio universale'.

L'autorevolezza di Cuvier ebbe facile gioco delle ardite speculazioni sull'evoluzione espresse da Lamarck nella sua Philosophie zoologique (1809). In essa Lamarck non solo enunciava la prima teoria dell'evoluzione, ma tentava anche di interpretarne le 'cause', facendo ricorso a due principi fondamentali: 1) gli effetti dell'uso e del non uso degli organi; 2) l'ereditarietà dei caratteri acquisiti. Invero il primo principio era fondato su esempi piuttosto ingenui, e il secondo era lungi dall'essere dimostrabile. Sicché, nonostante Lamarck avesse lanciato all'inizio dell'Ottocento l'idea più geniale della biologia, si dovette attendere esattamente mezzo secolo perché questa trionfasse definitivamente.Con C. Darwin la teoria dell'evoluzione s'impose come la più grande e coerente teoria biologica mai enunciata. Grazie alle numerosissime osservazioni raccolte nel suo viaggio intorno al mondo a bordo del Beagle, Darwin offrì, a differenza di Lamarck, ipotesi più fondate sul meccanismo dei processi evolutivi. Ciò avveniva nel 1859 con la pubblicazione di On the origin of species by means of natural selection. La teoria di Darwin si basa su due fatti inconfutabili: da un lato, la diversità degli individui di una stessa specie, dall'altro, la lotta per l'esistenza che porta alla selezione dei più adatti. Con Darwin il problema del trasformismo entrò a far parte dell'orizzonte culturale dell'umanità. Della scoperta dei microrganismi da parte di L. Pasteur si è già accennato a proposito della disputa sulla generazione spontanea. Le conseguenze di tale scoperta furono importantissime, in particolare in medicina. L'interesse di Pasteur per questo problema era una conseguenza dei suoi studi sulle fermentazioni dei vini, che per lungo tempo erano state attribuite all'azione di particolari sostanze, chiamate diastasi o fermenti, che si riteneva portassero alla formazione di composti albuminosi (lievito) in cui sarebbero nati per generazione spontanea dei microrganismi. è merito di Pasteur aver dimostrato, utilizzando i metodi elaborati da Spallanzani, che i germi delle fermentazioni non nascono per generazione spontanea, bensì da altri germi presenti nell'aria i quali, trovando l'ambiente adatto (in questo caso il vino), si sviluppano e determinano così la fermentazione. Infatti riscaldando il liquido in cui avviene la fermentazione si causa la morte dei microrganismi e si arresta il processo. Come gli esperimenti di Spallanzani, anche l'ipotesi di Pasteur ebbe degli avversari, ma l'impeccabile dimostrazione sperimentale che egli fornì con i suoi famosi alambicchi, sotto il controllo di una commissione di soci dell'Académie des Sciences, pose fine alla disputa sulla generazione spontanea, che venne definitivamente archiviata.

Pasteur non si limitò a chiarire la funzione patogena dei microbi, ma fornì anche metodi decisivi per combatterli. La vaccinazione, già impiegata in modo empirico da E. Jenner nel 1796 per la prevenzione del vaiolo, ebbe con Pasteur una base razionale con l'inoculazione di ceppi di microbi resi poco virulenti. I primi vaccini preparati da Pasteur furono quelli contro il colera dei polli, cui seguirono i vaccini contro il carbonchio e la rabbia. Grazie a quest'ultimo scomparvero quasi totalmente i casi di idrofobia.L'Ottocento fu anche il secolo in cui andò sviluppandosi, in virtù dei progressi della chimica, la ricerca sulla composizione della materia vivente. La scienza che ne derivò prese il nome di chimica fisiologica e poi di chimica biologica o biochimica. Nel 1828 F. Wöhler ottenne la sintesi in laboratorio della prima sostanza organica, l'urea: un duro colpo per coloro che ritenevano il materiale organico opera di forze speciali, esclusive degli esseri viventi. J. Lister, professore di chirurgia all'Università di Glasgow, venuto a conoscenza delle ricerche di Pasteur, sospettando che l'alta mortalità conseguente alle operazioni chirurgiche fosse dovuta all'azione di microrganismi patogeni, ebbe l'idea di sterilizzare il campo operatorio con soluzioni di acido fenico. I risultati furono decisamente favorevoli, per cui il suo metodo si diffuse rapidamente nei reparti operatori.

Le ricerche batteriologiche portarono, tra l'altro, alla scoperta dei virus filtrabili, un'altra categoria di corpi organizzati. Il loro nome deriva dal fatto che esistono organismi patogeni così piccoli da non essere fermati dai pori di filtri di porcellana grezza, che invece non lasciano passare i batteri e servono quindi per sterilizzare i liquidi con la filtrazione. Ma la virologia ebbe inizio solo negli anni 1915-17, quando F.W. Twort prima e F.H. d'Herelle poi scopersero nelle feci dei pazienti dissenterici un principio fortemente attivo nel produrre la lisi del batterio della dissenteria in coltura, principio che risultò non solo filtrabile ma anche capace di riprodursi: infatti, aggiungendo a una coltura del batterio della dissenteria una minima quantità di principio attivo, che d'Herelle chiamò batteriofago, il liquido della coltura, dopo breve tempo, acquistava una forte capacità lisante. Vennero in seguito scoperti diversi virus patogeni che si riproducono nelle cellule di organismi superiori e determinano malattie; ci si rese dunque conto che i virus, pur possedendo alcune caratteristiche degli organismi viventi, tra cui la presenza di acidi nucleici, sono privi della proprietà di riprodursi autonomamente, in quanto per riprodursi necessitano di infettare una cellula, sia batterica sia animale o vegetale. Attualmente i virus sono considerati organismi degenerati che nel corso dell'evoluzione hanno perso le informazioni genetiche necessarie per la loro autonoma duplicazione.

La piena applicazione del metodo sperimentale permise alla fisiologia di compiere passi da gigante. Ciò si verificò nello studio del sistema nervoso grazie alle ricerche di C. Bell, che dimostrò la funzione motoria delle radici anteriori del midollo spinale, di J. Gall, che distinse la sostanza bianca dalla sostanza grigia e riconobbe la funzione conduttrice del sistema nervoso, di P. Broca, che localizzò le principali aree motrici, sensorie e di coordinazione della corteccia cerebrale, di F. Magendie, che ebbe tra i suoi allievi C. Bernard, il più grande fisiologo dell'Ottocento. Bernard, cui si deve tra l'altro la scoperta della funzione glicogenogenetica del fegato, organo considerato fino ad allora come deputato solo all'elaborazione della bilirubina, oggi è ricordato soprattutto per l'Introduction à l'étude de la médecine expérimentale et aux végétaux (1865), in cui definisce con logica stringente l'importanza dell'esperimento per la soluzione dei problemi fisiologici. Alla fine del 19° secolo, inoltre, vengono poste le basi dell'endocrinologia per opera di C.E. Brown Séquard, il quale, sperimentando sugli innesti di organo, formulò il concetto di secrezione interna che permette un collegamento chimico tra organi distanti tra di loro.L'Ottocento doveva riservare anche un'altra grande conquista nel campo della biologia: la scoperta delle leggi dell'ereditarietà da parte dell'abate Gregor (al secolo Johann) Mendel, che quando ancora non si conoscevano i cromosomi, la mitosi e la meiosi, ebbe l'intuizione geniale di considerare il patrimonio ereditario costituito da unità separabili, da ciascuna delle quali dipendono determinati caratteri. Mendel, nel 1865, enunciò le tre leggi conosciute con il suo nome: la prima della dominanza, la seconda della segregazione e la terza dell'indipendenza.

La scoperta di Mendel era talmente anticipatrice da non essere compresa da ricercatori del calibro di K.W. Naegeli, illustre botanico austriaco. Dovette trascorrere oltre un quarto di secolo perché le leggi di Mendel fossero riscoperte per merito di tre ricercatori che operarono indipendentemente l'uno dagli altri (C. Correns, H. De Vries ed E. Tschermack); da questa riscoperta ebbe inizio una nuova scienza, cui nel 1906 W. Bateson diede il nome di genetica. Grazie alle ricerche successive di W. Johannsen, T. Boveri, T.H. Morgan e altri si ebbe una vera rivoluzione nel pensiero biologico, che portò a definire in modo preciso il concetto di mendelismo e poi di quello di gene. Ne trasse grande vantaggio la teoria dell'evoluzione che prese il nome di neodarwinismo e alla quale la genetica fornì la possibilità di un sostegno sperimentale.

6.

Il Novecento

I grandi progressi della chimica e della fisica realizzati nel 20° secolo sono stati raccolti dai biologi che hanno spinto le loro osservazioni a livelli di risoluzione mai pensati. L'invenzione del microscopio elettronico, la fisica nucleare, la chimica degli steroidi, delle proteine e degli acidi nucleici hanno permesso di indagare a fondo l'essenza della vita. Oltre alla riscoperta delle leggi di Mendel, all'inizio del secolo si afferma la teoria del neurone, elaborata da C. Golgi e S. Ramón y Cajal, come base fondamentale della struttura-funzione del sistema nervoso. I concetti di preformazione e di epigenesi sono ripresi su base sperimentale da H. Driesch e da altri embriologi, con il risultato di conciliare le due posizioni apparentemente antitetiche. Driesch operò sulle uova di riccio di mare, da allora divenute il materiale di elezione, insieme alle uova di anfibi, per le ricerche di embriologia sperimentale. Egli separò le cellule embrionali (blastomeri) partendo da embrioni di 2, 4, 8, 16 e 32 blastomeri e riuscì a ottenere lo sviluppo di embrioni completi, sebbene più piccoli, da ciascun blastomero fino allo stadio di 4 blastomeri. Questi esperimenti ripetuti su altro materiale confermarono i risultati, sebbene la capacità di ottenere embrioni completi variasse dallo stadio di 2 a quello di 16 blastomeri secondo la specie. Esistono però casi in cui l'uovo dopo la prima divisione di segmentazione non è più capace di dare embrioni completi ma solo parti di essi. Le uova furono così classificate in due grandi categorie, quelle 'regolative' e quelle 'a mosaico'. Le prime sono capaci di autoregolarsi, essendo i blastomeri, almeno nei primi stadi di sviluppo, totipotenti; mentre le altre possederebbero predeterminate le varie strutture embrionali. Da questi esperimenti risulta che, mano a mano che lo sviluppo procede, le varie parti dell'embrione vanno acquistando una determinazione sempre più precisa. Driesch innestò la sua teoria delle uova regolative su una più vasta concezione biologica vitalistica, richiamando in campo un principio vitale che regge i processi dello sviluppo, al quale diede il nome aristotelico di ἐντελε΄χεια.

Così, anche per l'embriologia il metodo sperimentale si dimostrò fondamentale per affrontare uno dei problemi più affascinanti della biologia: il 'differenziamento', cioè il fenomeno per cui cellule inizialmente identiche si vanno trasformando in cellule con caratteristiche morfologiche e funzionali diverse (cellule muscolari, nervose, epiteliali, cartilaginee ecc.). Furono l'embriologia chimica e poi quella molecolare a fornire successivamente, almeno in modo parziale, le informazioni necessarie per comprendere le cause del differenziamento.In medicina, la scoperta dei gruppi sanguigni da parte di K. Landsteiner, nel 1900, ha segnato una tappa fondamentale nel campo della prevenzione degli accidenti da trasfusione. Lo stesso Landsteiner, in collaborazione con A.S. Wiener, circa trent'anni dopo, scoprì un altro antigene di superficie dei globuli rossi, l'antigene D o fattore Rh, presente in circa l'85% della popolazione. Questa scoperta permise non solo di abbattere quasi completamente i rischi da trasfusioni, ma anche di prevenire le conseguenze di una malattia fetale, l'eritroblastosi fetale, dovuta a incompatibilità tra il fattore Rh negativo della madre e quello positivo del feto. Negli anni che seguirono si assisté a uno sviluppo straordinario delle conoscenze in tutti i campi della biologia. La biologia cellulare si dedicò ad analizzare i minimi particolari, dalla struttura delle membrane lipoproteiche (membrana plasmatica, membrane del reticolo endoplasmatico) ai rapporti tra le membrane del reticolo endoplasmatico e i ribosomi, dai meccanismi della secrezione a quelli della contrazione muscolare e della trasmissione dell'impulso nervoso. Altri organelli cellulari furono analizzati nella loro struttura-funzione, come l'apparato di Golgi, i mitocondri, le ciglia, i flagelli, giungendo così a un'interpretazione abbastanza completa della fisiologia della cellula. A ciò contribuì notevolmente la coltura in vitro delle cellule ottenuta per la prima volta con successo da A. Carrel nel 1912. Si metteva dunque a disposizione del ricercatore un metodo per analizzare il comportamento delle cellule o dei tessuti, modificando le loro condizioni naturali.

L'analisi delle deviazioni dalle leggi di Mendel, appena riconfermate, portò a nuove fruttuose scoperte. W. Bateson e R.C. Punnett, nel 1906, osservarono che alcune coppie di caratteri tendono a segregare insieme, anziché in modo indipendente l'uno dall'altro. T.H. Morgan ne fornì la spiegazione nel decennio successivo: vi sono coppie di caratteri regolati da geni localizzati sullo stesso cromosoma (fenomeno dell'associazione o linkage). La ricerca dei modelli sperimentali più adatti per gli studi genetici portò W. Castle a utilizzare il moscerino dell'aceto (Drosophila melanogaster), che per il suo breve ciclo riproduttivo ebbe tanta parte nel lavoro di Morgan e di T. Dobzhansky e altri grandi genetisti, così come si introdusse il granturco come modello sperimentale nella genetica vegetale. Nei decenni successivi, risultati di grande interesse si ottennero in biochimica con lo sviluppo della teoria cinetica dell'azione enzimatica, dalla quale emerse la cosiddetta costante di Michaelis-Menten, che in seguito verrà universalmente usata per la caratterizzazione degli enzimi. Dopo la scoperta, agli inizi del secolo, della natura chimica del primo ormone, l'adrenalina, fu isolata la tiroxina.

Nel 1921 H. Spemann e la sua collaboratrice H. Mangold eseguirono l'esperimento cruciale che portò alla scoperta nell'uovo di tritone (anfibio) dell'organizzatore principale dello sviluppo, responsabile del differenziamento delle strutture fondamentali dell'organismo, come il sistema nervoso. Questo è localizzato nel labbro dorsale del blastoporo, corrispondente all'area presuntiva cordomesodermica: trapianti di quest'area nella regione ventrale di un altro embrione provocano la formazione di un embrione secondario completo di tutti gli organi. Per molti anni la natura chimica dell'organizzatore è rimasta sconosciuta. Secondo recenti ricerche, sembrerebbe trattarsi di una proteina di origine materna che resterebbe mascherata biologicamente nell'uovo e verrebbe attivata dopo la segmentazione. L'induttore del mesoderma invece sembra appartenere alla famiglia dei fattori di crescita. Altro ambito di studi che si afferma nel Novecento è quello relativo ai rapporti degli organismi con il loro ambiente, che costituiscono l'oggetto di una disciplina, cui nel secolo scorso E. Haeckel aveva dato il nome di ecologia.

L'ecologia è divenuta una disciplina biologica distinta intorno al 1900, ma solo negli ultimi decenni questo termine è entrato a far parte del linguaggio comune. Nel 1935 A.G. Tansley coniò il termine ecosistema, che ha riscosso una diffusa approvazione in quanto delimita l'oggetto della ricerca ambientale nello spazio e nel tempo. Si realizzò così il passaggio dall'idea astratta di interdipendenza con la natura allo studio scientifico delle relazioni tra i vari componenti di un ecosistema. I primi studi di ecologia riguardarono sistemi piuttosto estesi come i laghi, le praterie, i deserti, le tundre: ecosistemi in cui si verificano flussi di energia, di materiali e di informazioni. Successivamente si è notato che il concetto di ecosistema può essere applicato a qualsiasi livello della gerarchia ecologica, dall'ecosistema terrestre globale fino all'ecosistema individuale e all'ecosistema umano. Quest'ultimo comprende tutti gli elementi della vita che influenzano le nostre azioni e il nostro pensiero: esso include non solo i membri della famiglia, gli amici, il cibo, le istituzioni, le leggi e le idee filosofiche, ma anche l'ambiente biologico e fisico che ci circonda. Il benessere, la salute, la produttività, la sopravvivenza dipendono da un'equilibrata interazione con l'ambiente. Oggi c'è piena consapevolezza del fatto che lo studio dell'ambiente e dei rapporti tra gli organismi e l'ambiente è indispensabile per la nostra civiltà.

Anche la genetica ha aperto le proprie frontiere verso nuove, inesplorate regioni. Particolarmente intensa è la ricerca sulla natura della mutagenesi. Nel 1927 H.J. Müller, allievo di Morgan, dimostrò la possibilità di indurre negli animali mutazioni con i raggi X. In seguito, si accertò che tutte le radiazioni ionizzanti (raggi β, γ ecc.) possono indurre mutazioni. La mutagenesi da sostanze chimiche fu scoperta agli inizi degli anni Quaranta in Inghilterra da C. Auerbach, mentre studiava gli effetti mutageni dei gas asfissianti (iprite) usati nella Prima guerra mondiale. Tali scoperte preludono all'analisi strutturale del gene.F. Griffith nel 1928 scoprì il fenomeno della trasformazione batterica: egli riuscì a ottenere la comparsa del carattere virulento in un ceppo di pneumococco iniettato nel topo insieme a estratti di pneumococchi uccisi di tipo virulento. In seguito, lo stesso Griffith dimostrò che il passaggio della virulenza ai batteri non virulenti è ottenibile anche in provetta. La natura di questo fattore trasformante rimase sconosciuta fino a quando O.T. Avery, C.M. McLeod e M. McCarty dimostrarono che l'acquisizione del nuovo carattere (virulenza) dipende dal passaggio di materiale genetico dall'estratto ai batteri non virulenti. Ma la scoperta più importante di Avery e collaboratori consistette nella dimostrazione che il materiale genetico è acido desossiribonucleico (DNA) e non proteine, come molti ritenevano fino allora.Nonostante intorno agli anni Trenta si verificasse una notevole convergenza tra genetica e biochimica, si era ancora lontani dal combinare le problematiche e le metodologie proprie di queste discipline per la soluzione di problemi biologici fondamentali. Comunque, lo studio dei fenomeni biologici era giunto a un livello di risoluzione molecolare e nel 1937 W. Weaver aveva coniato la locuzione biologia molecolare.

In questa fase la genetica trova nei batteri, grazie alla loro velocità di riproduzione, un nuovo modello sperimentale. W. Hayes, J. Lederberg, L.L. Cavalli Sforza, E.L. Wolmann e F. Jacob scoprirono il fenomeno della sessualità batterica, mentre il DNA veniva isolato allo stato puro. Nel 1950 E. Chargaff pubblicò i risultati sulla composizione chimica del DNA, dimostrando che il rapporto molare dei residui di adenina è molto simile a quello della timina e il rapporto molare dei residui di guanina è molto simile a quello della citosina. Le ricerche sul DNA continuarono incessanti in altri laboratori. Nel 1952 A.D. Hershey e M. Chase confermarono, mediante esperimenti sull'infezione dei fagi, che il DNA è il materiale ereditario. Quando i fagi infettano una coltura batterica penetrano nell'ospite non interi: è solo il DNA che entra riproducendosi, mentre l'involucro proteico resta fuori. S. Benzer e G. Pontecorvo diedero una definizione sperimentale del gene, dimostrando che è costituito da un segmento di DNA lungo circa un migliaio di nucleotidi. Inoltre, la ricombinazione può avvenire tra nucleotidi adiacenti e la mutazione può interessare anche un singolo nucleotide della catena di DNA (mutazione puntiforme). Queste conclusioni, ottenute con la sola analisi genetica, troveranno brillante conferma attraverso l'analisi dell'espressione genica, cioè della proteina da esso codificata. I risultati di tali ricerche si dimostreranno presto fondamentali per la definizione della struttura del DNA e per la decifrazione del codice genetico. I dati raccolti da biochimici e genetisti erano ormai sufficienti per giungere alla scoperta biologica più importante di questo secolo, opera di J.D. Watson e F.H. Crick, che la illustrarono, nel 1953, in una breve nota su Nature. Watson e Crick dimostrarono che il DNA ha una struttura a doppia elica in cui le due catene polinucleotidiche sono tenute insieme da ponti di ossigeno tra le basi pirimidiniche e puriniche secondo la legge di complementarità descritta precedentemente da Chargaff: adenina-timina, guanina-citosina. Il modello di Watson e Crick suscitò molto interesse e permise di spiegare in modo soddisfacente la replicazione del DNA.

Nel 1958 M.S. Meselson e F.W. Stahl dimostrarono che ogni molecola di DNA, dopo un ciclo replicativo, contiene una vecchia elica e una neosintetizzata, cioè che la replicazione è semiconservativa, secondo le previsioni derivate dal modello di Watson e Crick. Negli anni successivi si chiarì anche il modo in cui il DNA codifica per la sequenza degli aminoacidi nelle proteine. Nel 1961 S. Brenner, F. Jacob e Meselson scoprirono che l'informazione dei geni è trasmessa a una molecola di RNA (trascrizione), che si associa ai ribosomi nel citoplasma per dirigere la sintesi proteica (traduzione). A questo RNA viene dato l'appellativo di messaggero (mRNA). Nel 1962 Crick e i suoi collaboratori dimostrarono che il codice genetico è a triplette di basi, per cui, essendo quattro le basi, vi sono 64 (4 ∃ 4 ∃ 4) triplette possibili. Ma essendo gli aminoacidi 20 si ipotizzò e in seguito si dimostrò, sulla base di prove genetiche, che più triplette possono codificare per lo stesso aminoacido, per cui il codice viene definito 'degenere'. Il riconoscimento degli aminoacidi da parte delle triplette è mediato da un altro tipo di RNA, detto di trasferimento o tRNA. A questo punto il quadro di come dal genotipo si giunge al fenotipo era abbastanza chiaro. Sempre negli anni Sessanta, F. Jacob e J. Monod dell'Istituto Pasteur di Parigi fornirono una dimostrazione sperimentale di come avviene la regolazione dell'espressione genica.

Agli anni Ottanta risale il varo del grande progetto biologico Genoma umano, cui partecipano migliaia di ricercatori di tutto il mondo con lo scopo di studiare il patrimonio genetico dell'uomo, che varia da persona a persona ma ha una base comune. Grazie a tale progetto sarà possibile conoscere il 'sequenziamento' dei 3-4 miliardi di basi di nucleotidi presenti nei circa 2 m di DNA di ogni cellula umana. Ciò permetterà il riconoscimento dei geni responsabili delle malattie ereditarie, di cui alcuni sono stati già localizzati, di altri si sa che esistono, di altri ancora si sospetta per ora l'esistenza. Con il sequenziamento del genoma, non solo sarà possibile stabilire l'associazione tra geni e malattie, ma anche conoscere le proteine da essi codificate e il loro modo di agire, al fine di studiare i farmaci in grado di contrastarne e di correggerne il meccanismo d'azione.

7.

Considerazioni conclusive

In conclusione di questa presentazione della storia della biologia, si può affermare che lo sviluppo lento e graduale delle conoscenze biologiche appare costellato da vere e proprie 'rivoluzioni': anche se questo termine viene riservato prevalentemente alle conquiste delle scienze fisiche legate ai nomi di Copernico, Galileo, Newton, Lavoisier, Einstein, vere rivoluzioni devono essere considerate, infatti, per es., la scoperta della circolazione del sangue da parte di Harvey e l'enunciazione della teoria dell'evoluzione da parte di Lamarck e di Darwin. Lo sviluppo delle scienze biologiche, dopo aver segnato un grande ritardo rispetto alle scienze chimiche e fisiche, ha subito nel 19° e nel 20° secolo un'accelerazione che sta recuperando questo ritardo ed è prevedibile che esso ben presto raggiungerà il loro livello in termini sia teorici sia applicativi. L'approccio riduzionistico, induttivo, si è dimostrato fondamentale per il progresso della biologia, con la conseguente affermazione dell'interpretazione meccanicistica dei fenomeni vitali. Se molti problemi biologici hanno trovato soddisfacente soluzione in questo secolo, molti altri restano avvolti nel mistero, primo tra tutti quello dell'origine della vita, da cui parte il discorso evolutivo. E su questa frontiera si è spostata la disputa tra meccanicismo e vitalismo. Si deve supporre che la biologia molecolare alla lunga non potrà contribuire ulteriormente al benessere e alla sopravvivenza della civiltà, se non saranno adeguatamente compresi i livelli più alti di organizzazione, la cui conoscenza potrà risolvere problemi quali il sovrappopolamento, il disordine sociale, l'inquinamento e altri di natura sociale e ambientale. Nel passaggio epocale dal moderno al postmoderno v'è perciò un risveglio del metodo olistico, nonché la tendenza a porre sullo stesso piano olismo e riduzionismo, utilizzandoli contemporaneamente e non alternativamente.

La biologia molecolare

di Salvatore Feo, Agata Giallongo


Gli studi condotti nel ventennio successivo alla scoperta della struttura a doppia elica del DNA (v. sopra) hanno portato all'elucidazione dei meccanismi responsabili della trasmissione dell'informazione genetica da una cellula madre alla progenie, della decodificazione del messaggio riposto nei geni e della conseguente sintesi delle proteine. Gli anni Settanta e Ottanta, invece, sono stati caratterizzati dallo svilupparsi di quella che viene chiamata la tecnologia del DNA ricombinante. La possibilità di isolare frammenti di DNA dal genoma di qualsiasi organismo, di determinarne la struttura primaria (cioè la sequenza dei nucleotidi che la compongono e quindi l'informazione genetica in essa riposta) e di modificare la struttura dei geni, ed eventualmente la loro espressione, ha influenzato molti campi della biologia e della medicina, dalla genetica all'embriologia, dalla patologia allo studio dell'evoluzione. La locuzione biologia molecolare, pertanto, ha oggi un significato troppo generico, in quanto abbraccia conoscenze e tecnologie che richiedono definizioni più specifiche in riferimento ai vari settori di applicazione: genetica molecolare, patologia molecolare, ingegneria genetica, biotecnologia.

1.

Dalla genetica dei microrganismi all'ingegneria genetica

Lo studio della genetica dei microrganismi ha giocato un ruolo determinante nello sviluppo della biologia molecolare e della tecnologia del DNA ricombinante. La manipolazione del DNA e la sua clonazione sono stati resi possibili da tre fondamentali acquisizioni derivate da studi di biochimica e genetica sul colibatterio Escherichia coli e alcuni suoi virus (batteriofagi): a) la scoperta e la purificazione degli enzimi di restrizione che tagliano le molecole di DNA in punti precisi, in corrispondenza di brevi sequenze di basi, caratteristiche per ciascun enzima; b) la scoperta delle ligasi, enzimi capaci di saldare tra loro pezzi diversi di DNA; c) la messa a punto di metodologie per introdurre molecole di DNA ricombinante in cellule batteriche, animali e vegetali. Clonare molecolarmente un frammento di DNA o un gene significa ottenere un clone di cellule batteriche contenenti il DNA di interesse - legato a un appropriato vettore - e capaci di replicare questa molecola di DNA ricombinante come parte del loro patrimonio genetico. Il primo e più semplice vettore utilizzato è il plasmide. I plasmidi sono piccole molecole di DNA circolare, in grado di replicarsi autonomamente all'interno della cellula batterica; generalmente contengono dei geni che conferiscono ai batteri la resistenza a una svariata gamma di antibiotici. Negli ultimi anni sono state messe a punto varie strategie di clonazione che prevedono l'utilizzo di vettori, quali i fagi e i cosmidi (plasmidi capaci di contenere frammenti di DNA di più alto peso molecolare), nonché vettori derivati dal genoma di alcuni virus che permettono la propagazione di molecole di DNA ricombinante in cellule eucariote (vettori eucarioti). La scoperta di geni eucarioti che si estendono per centinaia di kilobasi (1 kilobase è uguale a 1000 paia di basi) nel DNA ha portato al perfezionamento di vettori capaci di propagarsi in lieviti sotto forma di piccoli cromosomi artificiali e in grado di contenere frammenti di DNA fino a 1000 kilobasi. Questi nuovi vettori sono denominati YAC (Yeast artificial chromosome, "cromosoma artificiale di lievito").

2.

Struttura e replicazione del DNA cellulare

Lungi dall'essere una rigida struttura con la sola funzione di codificare le sequenze di aminoacidi delle proteine, la doppia elica di DNA è una molecola estremamente plastica e complessa. L'interazione del DNA con determinate proteine, dette istoni, determina il suo compattamento nel nucleo delle cellule eucariote sotto forma di cromatina. In particolari momenti della divisione cellulare, la cromatina viene ulteriormente compattata su un'impalcatura, costituita da proteine acidiche, per formare i cromosomi, il cui numero e la cui forma sono specifici per ogni specie animale e vegetale. Per il mantenimento delle caratteristiche di una specie tutte le informazioni contenute nel DNA devono essere replicate a ogni singola divisione cellulare. Anche se il processo di replicazione del DNA è abbastanza accurato, possono occasionalmente avvenire degli errori che modificano la sequenza nucleotidica del DNA, che a sua volta verrà trasmessa nella forma alterata nella replicazione successiva. L'insorgenza di errori da parte del meccanismo replicativo, generalmente chiamati mutazioni, e anche di altri errori connessi con la plasticità e la mobilità del DNA, come le traslocazioni, le trasposizioni e gli eventi di ricombinazione, se da un lato garantisce la diversità genetica esistente tra le diverse specie e tra gli individui della stessa specie, dall'altro lato è spesso anche la causa di un gran numero di malattie a determinazione genetica e di numerose altre patologie non ereditarie, compreso il cancro.

3.

Struttura dei geni e loro espressione

Nel genoma degli organismi procarioti i geni sono contigui e spesso raggruppati in unità regolari dette operoni, i cui membri vengono espressi in maniera coordinata. Negli organismi eucarioti i geni sono invece dispersi nelle molecole di DNA e ne rappresentano solo una piccolissima frazione; il resto è costituito da sequenze di nucleotidi generalmente ripetute, la cui funzione non è ancora nota.L'espressione di un gene può essere regolata nel tempo e nello spazio, come durante il ciclo di divisione cellulare, lo sviluppo embrionale e il differenziamento cellulare, o in risposta a particolari stimoli esterni, quali fattori della crescita od ormoni. Tale regolazione avviene attraverso l'interazione dei promotori con fattori specifici della trascrizione e l'interazione di diversi fattori tra di loro. Alcuni geni codificano per fattori della trascrizione responsabili della predeterminazione spaziale delle cellule embrionali in un organismo e del tipo di differenziamento a cui queste andranno incontro; essi vengono pertanto detti geni omeotici. L'alterazione dell'espressione di geni codificanti fattori della trascrizione, o comunque proteine coinvolte nella regolazione dell'espressione genica (recettori e trasduttori), è stata indicata come la causa dell'insorgenza di alcuni tumori. Tali geni, anche sulla base della loro omologia con geni di virus oncogeni, sono detti oncogeni.

4.

Struttura e funzione delle proteine

Il clonaggio e la determinazione della sequenza nucleotidica di numerosi geni e, quindi, della sequenza aminoacida delle proteine da essi codificate hanno rivoluzionato completamente il modo di studiare la struttura e la funzione delle proteine. La tecnologia del DNA ricombinante consente di introdurre una svariata serie di mutazioni in un gene e di saggiarne le conseguenze sulla funzione o attività biologica della proteina mutata codificata, dopo la reintroduzione ed espressione in appropriati sistemi cellulari. Questa metodologia ha permesso l'identificazione e la definizione di tutta una serie di domini proteici funzionali, tipici di diverse proteine. Sono stati identificati i domini proteici comuni a molti recettori, che permettono il loro ancoraggio alla membrana cellulare, domini proteici responsabili dell'azione catalitica di molti enzimi e ancora domini responsabili dell'interazione delle proteine col DNA (detti zinc fingers), o responsabili dell'aggregazione di fattori diversi che cooperano nella regolazione dell'espressione genica (detti leucine zippers).

5.

Biologia molecolare e medicina

I vantaggi derivati dall'isolamento dei geni responsabili di numerose malattie a determinazione genetica sono stati affiancati dallo sviluppo di metodologie sempre più sensibili per l'identificazione e l'analisi di mutazioni geniche. I geni isolati, indipendentemente dai loro prodotti proteici, costituiscono oggi degli strumenti diagnostici di notevole interesse. Grazie alla specificità dell'interazione tra catene complementari di acidi nucleici, geni o porzioni di essi, opportunamente marcati con radioisotopi, possono essere utilizzati come sonde molecolari per rilevare la presenza di sequenze nucleotidiche omologhe in campioni di DNA ottenuti da cellule prelevate da pazienti.Questa metodologia, denominata Southern blotting dal suo inventore E.M. Southern, ha permesso l'identificazione di mutazioni, delezioni, riarrangiamenti e amplificazioni di geni cellulari, connessi a vari tipi di patologie, nonché la definizione di polimorfismi del DNA associati con difetti genetici.Lo sviluppo di altri metodi di studio di sequenze geniche da DNA bioptico, come le tecniche di ibridazione molecolare che utilizzano marcature non isotopiche, associati a sistemi che permettono la risoluzione di porzioni sempre più grandi del genoma, o l'utilizzo dell'amplificazione di segmenti specifici del genoma tramite reazioni di polimerizzazione a catena, promette di ampliare in un prossimo futuro lo spettro di applicazione e la sensibilità dei sistemi di diagnosi di alterazioni genomiche, e di migliorare in maniera oggi non prevedibile la nostra abilità nell'identificare quali meccanismi molecolari sono connessi con le patologie del genoma umano e con eventi quali la trasformazione neoplastica.

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