Poggetto, Bertrando del

Enciclopedia Dantesca (1970)

Poggetto, Bertrando del

Beniamino Pagnin

Nato verso il 1280 nel castello di Poujet (presso il comune di Aynac), nipote - secondo la maggior parte dei suoi biografi - di Giovanni XXII e non suo figlio come voleva un'altra tradizione accolta anche dal Villani e dal Petrarca, morì in Avignone il 3 febbraio 1352. Divenuto cardinale il 17 dicembre 1316, fu dal papa inviato in Italia come legato con amplissimi poteri (1320).

Il suo nome quindi rimase legato a quest'impresa italiana, che fu motivata non tanto da interessi religiosi, quanto familiari e politici, indirizzata particolarmente contro i ghibellini dell'Italia settentrionale, Visconti e loro alleati, e poi contro l'imperatore Ludovico il Bavaro negli anni 1328-1329. Continuò poi a guerreggiare contro l'affermazione di altre più piccole signorie specie dell'Emilia e Romagna, finché nel 1334, alla morte di Giovanni XXII, dopo essere stato cacciato per l'insurrezione del popolo da Bologna, dove aveva posto la sede del suo governo già nel 1324, si ritirò in Francia definitivamente.

Il Griffoni, più tardi, soggiunse come Bertrando fosse stato espulso da Bologna oltre che " propter malos et inonestos modos " dei suoi familiari, anche per le " verecundias quas fiebat domina bus uxoribus et filiabus bonorum virorum civitatis Bononiae, tam volentibus quam nolentibus " (Memoriale historicum rerum Bononiensium [1109-1428], in Rer. Ital. Script., Milano 1731, XVIII 151). Causa fondamentale furono le varie congiure; così quella principale del 1332, ordita da Calorio Gozzadini, Bettino de' Cavalli e Taddeo Pepoli, affinché " civitas regeretur per bonos homines civitatis ipsius et non per ipsum dominum ".

Le guerre condotte dal cardinale in Italia e specie in Lombardia, non furono sempre combattute con le armi: spesso egli ricorse ad accuse di eresia e relativi processi e interdetti: in tal modo i Visconti furono dichiarati eretici e fu bandito l'interdetto contro Milano. Personaggi fiorentini sono ricordati in queste vicende, per quanto la città fosse stata incitata da lettere del papa a schierarsi con il cardinale. Secondo l'accusa di un ecclesiastico che testimoniava innanzi agl'inquisitori di Giovanni XXII, infatti, Matteo Visconti con la complicità dei figli e del fiorentino Scoto di Gentile da San Geminiano " difensore e giudice di Milano " aveva attentato alla vita del papa per mezzo d'incantesimi; non solo, ma un altro teste affermava di aver sentito da Galeazzo Visconti che pure D. era stato chiamato negli ultimi anni della sua vita agli esorcismi e ai suffumigi di certe immagini di cera che con la liquefazione avrebbero procurato la morte del papa.

Quale valore si debba dare a quelle testimonianze riportate in certi protocolli d'interrogatori pubblicati dall'Eubel (" Historisches Jahrbuch der Görres-Gesellschaft " XVIII [1897] 609-625) è piuttosto incerto: furono esposte ai cardinali vere e proprie invenzioni al fine di eccitare l'odio contro i Visconti, o narrati fatti, sia pure entro certi limiti, veramente accaduti, dati i tempi che correvano e i pregiudizi facilmente accessibili anche a personalità come i Visconti?

Anche G. Iorio (in " Rivista Abruzzese " X [1895] 353) riporta la testimonianza di certo Bartolomeo Canolate che sarebbe stato spinto prima da Matteo poi da Galeazzo a un incantesimo contro il papa proponendo di ucciderlo, e a ciò si sarebbe dimostrato favorevole anche il " magister Dante de Aligherio ". Altre testimonianze sarebbero poi pervenute da Piacenza contro Galeazzo e altre contro Matteo, tanto che si arrivò a una vera crociata contro i Visconti stessi. Era chiaro che i sostenitori del legato pontificio avevano considerato D. come nemico di Giovanni XXII e della sua politica e l'avevano presentato come congiurato per accumular prove contro i Visconti. La critica non è affatto concorde nel considerare favola quanto fu detto su D., pensando anche all'affermazione di Bartolo da Sassoferrato secondo cui a causa della Monarchia D. " quasi... fuit damnatus de haeresi " (In secundam partem Novi ad l. 1, § Praesides ff. de requirendis reis [D. 48, 17, 1, 1]): il giurista Bartolo aveva ben compreso che il motivo politico finiva nel motivo religioso. Poiché D. aveva esposto la sua teoria politica nella Monarchia, il cardinale vedeva in questo libro pienamente avversata la politica papale in Italia, né poteva certo gradire gli sfoghi espressi nell'epistola ai cardinali (Ep XI), scritta molto tempo prima, ma sempre valida, né i vari passi lirici della Commedia: Pd XXVII 55 ss. In vesta di pastor lupi rapaci / si veggion di qua sù per tutti i paschi: / o difesa di Dio, perché pur giaci? / Del sangue nostro Caorsini e Guaschi / s'apparecchian di bere. Se l'azione più violenta del cardinale legato contro i Visconti, condotta con le armi e con i processi orditi dall'inquisitore Aicardo, parve compiuta almeno per allora, verso il 1323, tuttavia la sua opera di sottomissione continuò a Parma, a Reggio, a Modena, finché, dopo essere entrato, nel 1324, in Bologna incominciò a preparare un'azione di guerra contro Ludovico il Bavaro che raccoglieva intorno a sé tutti i ghibellini malcontenti. La contesa si svolse tra il 1328 e il 1330: se la fortuna del Bavaro in Italia fu poca, le titubanze e le incertezze dello stesso cardinale non diedero maggiori frutti alla politica papale; nelle azioni d'allora infatti Bertrando dimostrò reazioni non sempre chiare e giustificate. Così una reazione all'incoronazione del Bavaro in Roma e alla deposizione di Giovanni XXII, con la nomina dell'antipapa Niccolò V (Pietro Rainalducci), avrebbe dovuto essere compiuta ben diversamente da quanto fece e da quanto tentò di fare.

L'impossibilità di colpire i responsabili di quell'organizzazione politica antipapale lo spinse fra l'altro ad agire contro D., grande sostenitore dell'istituzione monarchica imperiale, considerato anche allora demolitore del governo papale e dei cardinali suoi rappresentanti, dando l'ordine di bruciare in Bologna il libro della Monarchia ormai divulgatissimo, e altrettanto avrebbe voluto fare delle ossa del suo autore se Pino della Tosa e Ostasio da Polenta, sicuramente allora a Bologna, non si fossero opposti. Ciò è ricordato da Bartolo da Sassoferrato, e il Boccaccio ce ne dà i particolari (Trattatello in laude di D., a c. di P.G. Ricci, Milano-Napoli 1965, 638-640): " questo libro [la Monarchia] più anni dopo la morte dell'auttore fu dannato da messer Beltrando cardinal del Poggetto e legato di papa nelle parti di Lombardia, sedente papa Giovanni XXII. E la cagione fu perciò che Ludovico... venendo per la sua coronazione a Roma, contro il piacer del detto Giovanni papa, essendo in Roma, fece, contra gli ordinamenti ecclesiastici, uno frate minore, chiamato frate Piero della Corvara papa... e quivi a questo papa si fece coronare. E, nata poi in molti casi della sua auttorità quistione, egli e ' suoi seguaci, trovato questo libro, a difensione di quella e di sé molti degli argomenti in esso posti cominciarono ad usare; per la qual cosa il libro, il quale infino allora appena era saputo, divenne molto famoso... il detto cardinale... avuto il soprascritto libro, quello in publico, sì come cose eretiche contenente, dannò al fuoco. E il simigliante si sforzava di fare dell'ossa dell'auttore a etterna infamia e confusione della sua memoria, se a ciò non si fosse opposto, uno valoroso e nobile cavaliere fiorentino, il cui nome fu Pino della Tosa, il quale allora a Bologna, dove ciò si trattava, si trovò, e con lui messer Ostagio da Polenta, potente ciascuno assai nel cospetto del cardinale sopra detto ".

Bibl. - Per tutta la questione con riferimento alla testimonianza di Bartolo da Sassoferrato si vedano, oltre allo studio di F. Crosara, D. e Bartolo da Sassoferrato, politica e diritto nell'Italia del Trecento, in Bartolo da Sassoferrato... II, Milano 1962, 152 e n.75: C. Ricci, L'ultimo rifugio di D.A., ibid. 1891, 187; ID., I Boccacci e il Boccaccio a Ravenna, in Miscellanea di studi in onore di Attilio Hortis, I, Trieste 1910, 251, in cui si afferma, portando esempi, che il Boccaccio nel Trattatello attinge a fonti sicure. Per la Monarchia si veda l'edizione, con ricchissima bibliografia, di G. Vinay, D.A., Monarchia, testo, introduzione, traduzione e commento. In Appendice le epistole politiche tradotte, Firenze 1950. Si vedano ancora per gli avvenimenti generali, riguardanti la politica del cardinal legato: L. Ciaccio, Il cardinale legato Bertrando del P. in Bologna (1327-1334), in " Atti e Mem. Deputazione St. Patria Provincie Romagna " s. 3, XXIII (1904-1905) 154 ss.; C. Capasso, La signoria Viscontea e la lotta politico religiosa con il papato nella prima metà del sec. XIV, in " Boll. Soc. Pavese St. Patria " VIII (1908) 265 ss.; Davidsohn, Storia III 898 ss., 944 ss.

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