BERGAMO

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1992)

BERGAMO

A. Bianchi

(lat. Bergomum)

Città della Lombardia, capoluogo di provincia. Posta al limite meridionale dei primi colli delle Prealpi bergamasche, allo sbocco delle valli Seriana e Brembana, nel territorio compreso fra i fiumi Adda e Oglio, B. è distinta in due parti: la B. alta, su alcuni colli, circondata da una cinta muraria veneziana cinquecentesca, che racchiude il nucleo più antico della città, e la B. bassa, all'esterno di questa e a quota inferiore, dove già per il periodo romano sono testimoniati insediamenti di borghi suburbani. Tale divisione antica risulta già nella prima veduta specifica della città, un disegno a penna in una Vita di s. Benedetto, probabilmente di fine Quattrocento, conservato nella Bibl. Com. di Mantova (Scalvini, Calza, Finardi, 1987, p. 16, fig. 13). Vedute della città nell'assetto precedente il fondamentale intervento cinquecentesco risultano anche in due affreschi di Girolamo Romanino nel castello Colleoni di Malpaga (1525) e, con una grande precisione topografica, in un dipinto di Alvise Cima del 1693 conservato presso la Bibl. Civ. A. Mai di Bergamo.Occupata da popolazioni di stirpe celtica all'inizio del sec. 4° a.C., al limite delle aree pertinenti ai Celti Insubri e Cenomani, B. divenne romana all'inizio del sec. 2°, nel momento dell'acquisizione della Gallia Cisalpina; si conformò urbanisticamente piuttosto tardi, forse all'inizio del sec. 1°, nell'area limitrofa a un precedente oppidum chiamato Parra, citato da fonti antiche (Plinio il Vecchio, Nat. Hist., 2, 124-125) e recentemente individuato nella valle Seriana (Poggiani Keller, 1984). Alla metà del sec. 1° a.C. B. fu costituita come municipium, al confine tra la undicesima regione, Transpadana, e la decima, Venetia et Histria.Grazie alla posizione favorevole, in zona pedemontana allo sbocco delle valli d'accesso alle aree transalpine, durante l'età imperiale acquistò importanza commerciale e militare. Di tarda cristianizzazione, fu sede vescovile solo alla metà del 4° secolo. Venne conquistata da Attila nel 452 e nel 568 dai Longobardi, divenendo sede di uno dei ducati del regno. In epoca franca fu sede comitale e nei secc. 10°-11°, ridotto il potere civile alla zona rurale, ebbe a capo un vescovo. Convenzionalmente l'affermarsi del potere vescovile, che durò sino all'inizio del sec. 12°, si fa risalire al momento dell'assedio e della successiva distruzione della città a opera di Arnolfo di Carinzia (894), allorquando il vescovo Adalberto dapprima capeggiò la difesa della città e poi si vide confermare il ruolo politico da parte del vincitore. Nella deposizione del vescovo Arnolfo da parte del sinodo di Milano (1098) si individua il sorgere dell'istituto comunale; i consoli sono citati per la prima volta nel Liber Pergaminus di Mosè del Brolo (prima metà del sec. 12°; Gorni, 1970). Le classi aristocratiche ressero la città nella prima età comunale, che culminò con la partecipazione di B. alla Lega contro il Barbarossa.Nel corso del sec. 13° ebbero inizio cruenti contrasti fra le classi che si riconoscevano nelle famiglie più potenti della città (Suardi, Bonghi, Rivola, Sangallo), un fatto che favorì la progressiva invadenza dei Visconti; questi si impossessarono della città con Azzone nel 1329. B. rimase aggregata alla signoria di Milano e poi al ducato visconteo dal 1395, soltanto con un breve intervallo, nel 1331-1333, in cui la città si diede in signoria a Giovanni di Boemia. I Visconti non esercitarono il potere in maniera diretta, ma spesso attraverso le famiglie più potenti come i Suardi. B. fu conquistata da Carmagnola nel 1427 durante la guerra di Venezia contro i Visconti e rimase diretto possesso veneziano dal 1430 al 1797.La struttura di B. medievale mantenne sostanzialmente l'impronta della città romana, nata sull'area di precedenti insediamenti privi di assetto urbanistico (Bergamo dalle origini, 1986, pp. 61-64). La città antica sorse all'interno di una cinta muraria di topografia assai incerta, eretta forse nella prima metà del sec. 1° a.C., e comprendente probabilmente le tre attuali alture di Sant'Eufemia, San Giovanni e San Salvatore. Ritrovamenti hanno permesso di identificare il decumanus maximus nel tracciato delle od. vie Gombito e Colleoni, con andamento SE-NO, mentre il cardo maximus doveva sussistere probabilmente nelle od. vie S. Lorenzo e Mario Lupo e condurre all'incrocio tuttora esistente segnato dalla medievale torre del Gombito.Quanto alla distribuzione interna alle mura, non si hanno dati certi: nell'area dell'od. piazza Mercato del Pesce si è supposto il foro; il teatro si sarebbe trovato sul versante meridionale del colle di San Giovanni, nella parte occidentale della città; le terme nell'od. piazza Mercato del Fieno; un tempio mitraico è stato individuato nell'area del convento benedettino di S. Grata (Bergamo dalle origini, 1986, pp. 96, 99, 107, 116).Costretta in un'area piuttosto angusta, B. ebbe probabilmente già in età romana uno sviluppo extra moenia, con nuclei iniziali di borghi in seguito più volte documentati nei secc. 8° e 9° e successivamente nel Liber Pergaminus di Mosè del Brolo: il Fabricianum a N (od. Valverde), il Pompilianum a E (od. Borgo Palazzo), il Praetorium a N-E (od. Borgo Santa Caterina). Lungo le strade suburbane, verso O, in località Borgo Canale, e verso S, lungo la via S. Alessandro, sono state identificate due necropoli.Le mura romane superarono indenni l'età delle invasioni barbariche, come prova il fatto che Procopio di Cesarea, nel 538, indicò B. come una delle città fortificate della Lombardia. Esse furono distrutte probabilmente nell'assedio di Arnolfo di Carinzia dell'894, dal momento che nel 904 Berengario del Friuli attribuì al vescovo, oltre alla giurisdizione sulla città, anche il diritto di fortificarla. Della cinta medievale, di età incerta, restano notevoli tratti su poderose arcature in via degli Anditi, in via Vasina presso il convento di S. Agata e al di sotto di quello di S. Grata. La cinta medievale fu poi sostituita da quella attuale, eretta a partire dal 1561 e molto più ampia della precedente, la cui costruzione comportò la demolizione di alcuni importanti monumenti medievali, come la cattedrale paleocristiana extraurbana di S. Alessandro.Sulla conoscenza dello sviluppo urbano medievale di B. pesa in maniera determinante la mancanza di fonti, in particolare per il periodo precedente l'assedio dell'894: oltre alla notizia di Procopio esistono solo alcuni riferimenti alle vicende politiche della città nell'Historia Langobardorum di Paolo Diacono e mancano cenni alla situazione urbana anche nel Chronicon breve Langobardorum relativo al periodo 568-875, scritto verso la fine del sec. 9° da Andrea di B. (Bibl. Civ. A. Mai, un tempo gabin. Lamda 5.67/2, ora MAB 44); accenni espliciti sono nel solo Liber Pergaminus di Mosè del Brolo.Fra le fabbriche religiose dell'Alto Medioevo un ruolo fondamentale fu svolto dalle due cattedrali. La prima, S. Alessandro, sorta extra moenia sul luogo del martirio del santo a N-O della città; la seconda, S. Vincenzo, con l'annessa chiesa di S. Maria (poi S. Maria Maggiore), all'interno delle mura (demolita nel sec. 15° e sostituita dall'attuale, eretta su iniziale progetto del Filarete), opposta alla prima da conflitti di natura religiosa durante il dominio longobardo (S. Vincenzo era probabilmente consacrata al culto ariano). Da fonti del sec. 9°-10° si sa dell'esistenza del foro, di una porta urbica presso S. Alessandro, di otto chiese interne alla civitas: S. Giovanni in Arena, S. Pancrazio, S. Antonino, S. Cassiano (con monastero e xenodochio), S. Michele all'Arco (con monastero), S. Agata, S. Salvatore, S. Maria della Torre (poi S. Maria di Rosate, od. liceo Sarpi); all'esterno sono ricordati una località fortificata sul colle di San Vigilio, detta Castello, a O della città, i borghi Canale, Fabriciano, Rasole, Credacio e Pompiliano, le chiese di S. Lorenzo, S. Michele al Pozzo Bianco, S. Grata inter vites, S. Andrea (Scalvini, Calza, Finardi, 1987, pp. 21-22).I più importanti interventi urbanistici successivi all'età antica e altomedievale risalgono al sec. 12°, in età comunale, e al 14°, sotto la signoria viscontea. Con i primi si venne determinando, in prossimità dell'area dell'antico foro, uno spazio pubblico delimitato dalla basilica di S. Maria Maggiore, dal duomo e dal palazzo della Ragione, ampliatosi poi nei secc. 15° e 16°, in epoca successiva alla conquista veneziana, nell'od. piazza Vecchia. All'età viscontea risalgono invece importanti interventi di risistemazione dello spazio urbano: la rocca, voluta da Giovanni di Boemia, all'estremo E della cinta muraria medievale sul colle di Sant'Eufemia (1331), con un mastio quadrangolare sui resti di un precedente fortilizio e, sul lato opposto, la cittadella (Firma Fides) fatta edificare da Bernabò Visconti (1355), che separò dalla città l'intero colle di San Giovanni attraverso una fronte protetta da un fossato, opera del figlio Rodolfo. Fra il sec. 13° e il 14° sorsero, al di fuori delle mura e nel contesto dei borghi, numerose istituzioni monastiche, che furono inglobate in una cinta muraria quattrocentesca veneziana demolita all'inizio del Novecento.Tra le più antiche fabbriche pervenute integre - scomparsa nella costruzione delle mura cinquecentesche la basilica di S. Alessandro - è il tempietto di Santa Croce, un piccolo edificio a pianta centrale quadrilobata, ornato all'esterno da semplici lesene e archetti ciechi e concluso in alto da un tiburio ottagonale, liberato da costruzioni più tarde con i restauri del 1938-1939. L'edificio, che ben corrisponde tipologicamente ad altri monumenti lombardi a pianta centrale del sec. 11°, in particolare al battistero di Galliano, ed era forse destinato anch'esso alla funzione battesimale, ha ricevuto datazioni oscillanti fra il terzo (Chierici, 1978, p. 366) e l'ultimo quarto del sec. 11° (Brucher, 1987, p. 102). Il monumento più significativo del Medioevo bergamasco e uno dei più importanti del Romanico lombardo è comunque la basilica di S. Maria Maggiore. Già citata nel Testamento di Taidone del 774 (Scalvini, Calza, Finardi, 1987, p. 17 ss.), insieme all'antica cattedrale di S. Vincenzo e alla chiesa di S. Michele in Pozzo Bianco, essa venne ricostruita probabilmente a partire dal 1137, così come attestato da un'iscrizione dipinta, in caratteri gotici, che dava anche il nome di un maestro Fredi. A tre navate, di due sole campate ciascuna, transetto sporgente con i bracci biabsidati, coro rialzato e absidato e cupola su tamburo ottagonale, presenta matronei coperti da volte a costoloni, che si aprivano con bifore e trifore sulla navata centrale e sul transetto. Completamente alterata all'interno in età barocca, sia nell'alzato sia nelle coperture, conserva comunque tracce di due fasi costruttive: la prima, molto accurata, riconoscibile nella parte absidale e nel transetto (l'altare fu consacrato nel 1184-1185); la seconda, riguardante il resto dell'edificio - in particolare le pareti della navata e la facciata ovest -, di fattura qualitativamente inferiore e forse successiva alle lotte civili del 1206. L'esterno delle absidi è decorato con archetti ciechi su semicolonne e monofore nella parte bassa, gallerie con archi e colonnine nella superiore. Nel 1351 e nel 1360 Giovanni da Campione realizzò i protiri antistanti i portali nord e sud; nel 1367 venne costruito in stile gotico flamboyant il portale nord del coro. Avvicinabile nel corredo scultoreo della prima fase costruttiva al S. Fedele a Como, dal punto di vista tipologico l'edificio è stato messo in connessione con la basilica lanfranchiana di Modena (Porter, 1915-1917, I, p. 155).Probabilmente nello stesso decennio della consacrazione dell'altare di S. Maria Maggiore venne iniziata la costruzione del palazzo della Ragione, citato come esistente già nel 1198. Realizzato in linea di massima secondo la consueta tipologia regionale, con portico sovrastato da una grande aula unica, è arduo ricostruirne nei particolari l'aspetto originario a causa dei molteplici rifacimenti successivi, tra i quali è particolarmente rilevante quello che seguì l'incendio del 1296, a cui sembrano risalire gli attuali capitelli, analoghi a quelli del broletto di Lodi del 1284 (Romanini, 1964, I, pp. 184-185). Alla metà del sec. 15° ca. la facciata principale fu ribaltata da S a N, in rapporto alla configurazione che lo spazio civico andava assumendo dopo la conquista veneziana della città, e rielaborata in forme più propriamente venete, con una trifora architravata centrale e due archiacute laterali; il portico venne riordinato con un nuovo allineamento dei sostegni, in adeguamento alla nuova piazza, così da fungere da elemento di congiunzione e nello stesso tempo di separazione tra lo spazio pubblico civico (piazza Vecchia) e quello religioso (piazza Duomo). Altri importanti interventi furono posti in essere dall'architetto Pietro Isabello dopo l'incendio del 1513. Con il ribaltamento della fronte del palazzo Comunale e con l'utilizzo del palazzo dei Suardi (sec. 14°) come residenza del podestà veneto si venne determinando l'attuale assetto urbanistico del centro cittadino.Risulta difficile delineare lo sviluppo delle forme architettoniche nel periodo successivo alla realizzazione dei due massimi monumenti bergamaschi, dato che interventi posteriori hanno quasi dovunque alterato le morfologie originali. È indicativo in questo senso il caso dell'ex monastero benedettino di S. Fermo, dove, accanto alla chiesa attuale d'impianto cinquecentesco, resta un chiostrino del sec. 12° con portico su tre lati a colonnette in laterizio poggianti su un basso muretto e capitelli cubici romanici. Della chiesa del convento di S. Francesco, consacrata nel 1292, è pervenuta solo la parte absidale, rettilinea e coperta da crociere con costoloni a toro retti da abachi su peducci in forma di testa umana stilizzata. Sul lato meridionale rimangono tre cappelle, coperte a crociera e con ingresso archiacuto, che dovevano ripetere le proporzioni delle corrispondenti campate delle navatelle; è così possibile ricostruire un'ampia chiesa in linea di massima corrispondente tipologicamente ad altre realizzazioni duecentesche dell'Ordine francescano in area lombarda (per es. a Mantova, Alessandria, Domodossola): rettangolare con coro quadrato aggettante, priva di transetto e divisa in tre navate coperte da crociere pensili e scandite da file di pilastri in pietra, senza basi né capitelli, reggenti arcate a sesto acuto. I due chiostri a N e a S dell'aula capitolare e contigui alla chiesa sono quattrocenteschi; in quello meridionale, sulla parete corrispondente al muro esterno nord della chiesa, resta una sequenza di sepolcri familiari duecenteschi ad arca fra colonne binate (Romanini, 1964, I, pp. 261-280).Soluzioni diverse presenta il convento di S. Agostino, fondato alla fine del sec. 13° dagli Eremitani fuori della cerchia muraria (è oggi posto all'estremo E della cinta veneziana) e consacrato nel 1347. Nel minore dei due attuali chiostri cinquecenteschi resta un portale archiacuto del sec. 14°, con pilastri a fascio e due trifore laterali, già di accesso all'antica aula capitolare. La chiesa è ad aula coperta a tetto, coro rettilineo tripartito e coperto a crociera con soluzioni analoghe a quelle del S. Francesco. La navata è ritmata da sette archi trasversi a sesto acuto con campate di ampiezza decrescente verso il coro. La facciata è a capanna e serrata da contrafforti conclusi da pinnacoli; accanto al portale, strombato e a tutto sesto, due amplissime quadrifore archiacute suddivise in due ordini ne qualificano la superficie, insieme a un piccolo oculo, al di sopra del quale è una statua di S. Agostino in una nicchia. Se da un lato il cornicione della cuspide si riallaccia ai fregi del protiro nord di S. Maria Maggiore di Giovanni da Campione, dall'altro l'ampiezza delle quadrifore e la loro particolare ornamentazione lasciano presumere un artista di cultura veneta, con particolare richiamo alle analoghe soluzioni dei Ss. Giovanni e Paolo e dei Frari a Venezia (Romanini, 1964, I, pp. 297-299).Il complesso di S. Nicolò dei Celestini rappresenta l'introduzione in B. di un'ulteriore particolare tipologia architettonica, poi comune al maturo Gotico lombardo; fondato nel 1309-1311, presenta una chiesa ad aula unica costituita dall'accostamento di tre campate modulari su asse E-O, a cui furono aggiunti a metà secolo altri due elementi in vista di un diverso orientamento N-S, tuttora mantenutosi. Il coro, a N, è coperto da una crociera pensile. Dei due chiostri, è coevo alla chiesa quello minore quadrangolare, con portico e loggiato.Affine al S. Agostino è la chiesa di S. Maria Maddalena, iniziata nel 1364 con l'annesso ospedale, ad aula unica coperta a tetto, ritmata da quattro archi trasversi a sesto acuto e coro tripartito coperto da crociere pensili, a cui si accede da tre basse arcate a sesto acuto. Un coro di accento venezianeggiante è quanto rimane del monastero di S. Marta, fondato nel tardo Trecento: l'annessa chiesa venne demolita nel 1915.Per quanto riguarda la pittura, in un ambiente, probabilmente il refettorio, del convento domenicano Matris Domini, sono stati recentemente recuperati interessanti affreschi della seconda metà del Duecento (Ultima Cena, Maddalena fra due angeli), i più arcaici, per il marcato carattere ancora romanico, tra quelli pervenuti a B. e con probabili influssi altoatesini. Un notevole arricchimento del panorama pittorico bergamasco si era già ottenuto negli anni Trenta del Novecento, con il ritrovamento di un ampio ciclo affrescato in un'aula posta tra la basilica di S. Maria Maggiore e la curia vescovile, realizzata accecando una bifora della cattedrale. Si tratta di Storie di Cristo e di figurazioni varie (Ruota della fortuna, Pesatura delle anime, Giudizio finale), distribuite a fregio lungo le pareti al di sopra di un ampio zoccolo con due ordini di elementi ornamentali geometrici (losanghe semplici e polilobate in riquadri), un'Annunciazione sull'arcone mediano, e le immagini dei primi vescovi di B., S. Narno e S. Viatore, insieme a S. Alessandro cavaliere, sulle tamponature della bifora. L'incerta identità del vescovo rappresentato in adorazione dell'Annunciata (Guiscardo Suardi, 1272-1281, o Giovanni Scanza, 1295-1309) non permette un preciso riferimento cronologico per il ciclo che, comunque, ben risponde al clima generale lombardo del secondo Duecento, segnato dall'incontro fra sopravvivenze bizantineggianti e ambiente oltremontano.Il quadro pittorico bergamasco a cavallo tra il Duecento e il Trecento si incentra sui frammenti di affreschi ancora in situ nella chiesa di S. Michele al Pozzo Bianco (Maddalena, santa orante, ecc.), su un affresco staccato conservato nel duomo e proveniente probabilmente dal duomo vecchio, con la Visita dei fratelli della Misericordia. Si tratta di una rara raffigurazione di carattere laico, precedente l'influsso giottesco, considerata da Toesca (1927, p. 960) in riferimento a coevi dipinti romani e toscani e che Panazza (1960, p. 194) ha posto in rapporto con un frammento con tre figure di magistrati a mezzo busto, proveniente dal broletto di Brescia (Brescia, Pinacoteca Civ.).In restauri degli inizi degli anni Sessanta fu recuperato un buon numero di affreschi nella chiesa di S. Agostino, tra cui un'Ultima Cena frammentaria nella cappella destra del presbiterio, da riferirsi, per il rapporto di carattere generale che la lega alle già conosciute Storie di Cristo nella chiesa di S. Giorgio in Almenno, realizzate a cavallo tra il primo e il secondo quarto del Trecento, alla stessa cultura pittorica, attardata tra echi romanici e influssi gotici.Un'iscrizione data al 1336 il primo esempio di pittura toscaneggiante, la Madonna in trono fra santi nel transetto meridionale di S. Maria Maggiore, a cui sono collegabili il S. Alessandro cavaliere e lo Sposalizio mistico di s. Caterina nella stessa chiesa, di un artista legato alla cultura assisiate e attento agli sviluppi della coeva scultura campionese. Sempre in S. Maria Maggiore fu realizzato il monumento più significativo dell'intera pittura bergamasca del sec. 14°, l'Albero di s. Bonaventura affrescato nel transetto destro; vi è rappresentato l'Albero della Croce secondo il testo del Lignum vitae di s. Bonaventura: in basso è S. Francesco tra altri santi e il committente (Guidino de' Suardi, secondo un'iscrizione sottostante non coeva che reca la data del 1347), probabilmente dipinto su nuovo intonaco alcuni decenni più tardi, come risulta evidente dai caratteri stilistici marcatamente più avanzati. Fra i rami dell'albero, entro tondi, sono rappresentati episodi della Vita di Cristo. Nel 1958, a seguito della rimozione di una tela seicentesca dalla parte superiore, tornò alla luce la porzione più alta dell'affresco, con la Crocifissione e altri episodi cristologici tra i rami. L'opera, per la quale viene comunemente accettata la data risultante dall'iscrizione, è attribuita a un artista lombardo di netto accento giottesco (Matalon, 1963, pp. 366-367); è anche stata indicata una mano toscana (Coletti, 1941-1947, III, p. LXII, che ipotizzò la presenza di Pacino da Bonaguida), con tangenze con la pittura emiliana (Salmi, 1955, p. 833). Un frammento di Crocifissione nell'attuale sede della curia arcivescovile, proveniente dalla cappella dell'antico palazzo, è riferibile alla stessa mano (Matalon, 1963, p. 367) così come un'Ultima Cena sulla parete settentrionale della stessa S. Maria Maggiore.Nella seconda metà del secolo testimonianze documentarie permettono di delineare alcune personalità di pittori locali. Due affreschi, la Madonna con il Bambino e lo Sposalizio mistico di s. Caterina, staccati dall'esterno di uno degli ingressi di S. Maria Maggiore e ora all'Accad. Carrara, sono riferibili, grazie a una nota di pagamento del Liber Expensarum Ecclesiae Dominae Sanctae Mariae Maioris (Meli, 1967), al pittore bergamasco Pacino de Nova (1381). Grazie alla stessa fonte sappiamo inoltre che Pacino de Nova e il suo collaboratore milanese Michele de Ronco lavorarono tra il 1375 e il 1390 a un ciclo di storie mariane dietro l'altare maggiore di questa chiesa e il secondo probabilmente anche a un Giudizio universale, sempre nell'abside maggiore, due opere andate entrambe perdute nei rifacimenti tra 16° e 17° secolo. Da ciò che resta (un busto di santo nell'abside) come dalle pitture conservate nell'Accad. Carrara, la personalità di Pacino si delinea di alto livello stilistico, partecipe da un lato dell'elevata cultura pittorica locale testimoniata in numerose altre opere della città, dall'altro, pienamente, degli sviluppi della coeva pittura lombarda legata ai modi di Giovanni da Milano. Partecipa a questa tendenza, ed è forse riferibile alla mano di Pacino, un gruppo di affreschi databili al nono decennio del secolo, sempre in S. Maria Maggiore: la Madonna con il Bambino e santi e, in particolare, l'Adorazione dei Magi dell'absidiola sudoccidentale.Una coppia di dipinti murali strappati, oggi nel palazzo della Ragione, provenienti dall'ex chiesa di S. Francesco - una Madonna con il Bambino, s. Francesco, s. Caterina d'Alessandria e due devoti (1382) e un'altra Madonna con il Bambino, s. Bartolomeo, s. Agata e due devoti, di poco precedente alla prima -, pur se riferiti alla personalità di Pacino per le qualità cromatiche e formali, manifestano piuttosto affinità con la pittura veronese di Altichiero (per soluzioni sintattiche quali la rappresentazione non frontale della Vergine e gli astanti in corteo) accanto ad analogie con i maestri degli oratori lombardi e al comune riferimento al linguaggio di Giovanni da Milano. Appartiene a questa cerchia anche il pittore dello Sposalizio mistico di s. Caterina nel convento domenicano Matris Domini.Un altro gruppo di affreschi di alta qualità, riferibile al decennio 1380-1390, è stato recuperato nei ricordati restauri degli anni Sessanta in S. Agostino, dove sembrano aver lavorato i migliori pittori operosi in loco al momento, connessi in linea diretta alla tendenza cromatica fondamentale appena descritta: una Madonna con il Bambino e s. Cristoforo a sinistra dell'altare maggiore è affine al più antico dei due dipinti ora al palazzo della Ragione e si accompagna ad altre pitture della stessa chiesa (Madonna con s. Anna e il Bambino nella terza cappella destra, ecc.). Nella stessa cappella absidale sinistra dell'Ultima Cena prototrecentesca è stata recuperata un'intera decorazione con scene di vita eremitica, opera di artista debitore del giottismo di Giusto de' Menabuoi ma già attento agli sviluppi del gusto tardogotico.Per quanto riguarda la scultura d'età altomedievale, a parte alcune suppellettili conservate nell'Accad. Carrara e già ricordate da Toesca (1927, p. 342, n. 66), uno dei rari reperti è una crocetta in lamina d'oro, rinvenuta nel 1837 ai confini dell'area urbana e conservata nel Mus. Civ. Archeologico (inv. nr. 3084). Del tutto sporadici sono i ritrovamenti di sepolture (Bergamo dalle origini, 1986, p. 188). Il primo complesso scultoreo notevole è rappresentato dalla decorazione architettonica di S. Maria Maggiore, le cui parti più antiche, nel settore orientale della chiesa, sono da ascriversi ai decenni a cavallo della metà del sec. 12° e da riferirsi all'ambito della cultura wiligelmica. Tra i capitelli di varia tipologia (con decorazioni fitomorfe a foglie d'acanto, zoomorfe con animali affrontati, arcangeli), giudicati da Porter (1915-1917, II, p. 155) vicini alle sculture del S. Fedele a Como, i resti più significativi sono un capitello dell'absidiola orientale del transetto sud, con il Sacrificio d'Isacco e l'Apparizione dell'angelo ad Abramo, e, stilisticamente affini, le parti superstiti del portale orientale precedenti l'intervento di Giovanni da Campione, con la Visitazione, l'Apparizione dell'angelo a Giuseppe e la Presentazione al Tempio. Contro la loro datazione duecentesca, proposta da Porter sulla base delle affinità con il portale antelamico di Borgo San Donnino, questi rilievi sono stati attribuiti da Jullian (1945-1949, I, pp. 167-170), insieme al connesso corredo scolpito, alla maestranza attiva nel terzo quarto del sec. 12° per la facciata del S. Simpliciano di Milano.Nel corso del sec. 14° l'elemento fondamentale nello sviluppo della plastica bergamasca fu l'attività pluridecennale dei maestri campionesi e in particolare (mentre resta dubbia la presenza di Ugo) quella di Giovanni da Campione che a S. Maria Maggiore firmò nel 1351 il protiro settentrionale, nel 1353 la statua di S. Alessandro a cavallo, al di sopra dello stesso protiro, e nel 1360 il protiro meridionale. È probabile che, come attesta un'epigrafe con la sua firma e la data 1340, siano da riferirsi alla sua mano anche i rilievi del battistero (una volta posto nella chiesa, poi smontato nel 1660 e infine ricomposto nell'attuale sistemazione in piazza Duomo nel 1898), con Storie di Cristo all'interno e Virtù all'esterno, sugli angoli del perimetro ottagonale.I più precoci esempi della scultura trecentesca bergamasca sono comunque il sarcofago di Alberico Suardi (m. nel 1309) originariamente in S. Stefano e ora nella cappella Secco-Suardi di Lurano (prov. di B.), di modi strettamente affini a esempi veronesi, e il monumento Longhi. Quest' ultimo, voluto dal cardinale Longhi, poi morto ad Avignone nel 1319, era originariamente in S. Francesco e nel 1839 fu ricostruito in S. Maria Maggiore con alcune alterazioni; è composto da un'edicola a sesto acuto poggiante su colonne e telamoni e da un sarcofago dalla fronte tripartita ornata dall'Agnello mistico e leoni araldici laterali, con la figura del giacente accompagnato da angeli e diaconi: di tipologia vicina a opere di ambito veronese, mostra persistenti accenti romanici, in particolare nei telamoni. Connessi a questi prototipi sono altri due monumenti funerari dei decenni successivi, il sarcofago di Giovanni Maria Suardi (1340, tolto da S. Agostino e oggi murato alla base dello scalone di accesso del palazzo della Ragione) e lo scomparso mausoleo di Guiscardo de' Lanzi (m. nel 1352) in S. Agostino, documentato da un'incisione (Calvi, 1676-1677, II, p. 382); in essi si fanno più significativi i caratteri stilistici campionesi, con particolare riferimento ai modi di Giovanni da Campione nel protiro settentrionale di S. Maria Maggiore, mentre il rilievo della Firma Fides, murato nel 1351 sull'accesso della cittadella fortificata di Bernabò Visconti, manifesta affinità con le Virtù all'esterno del battistero. Sempre in S. Agostino, sulla facciata, la statua del santo è ascrivibile al periodo della consacrazione dell'edificio (1347) e richiama la maniera di Bonino da Campione.A partire dagli anni quaranta l'attività di Giovanni da Campione si fa preminente; a lui probabilmente si deve, oltre alle opere firmate, anche la porta nord del coro, con il grande arco strombato, cuspidato e risolto in modi flamboyants, riferibile al settimo decennio. L'attico del protiro nord della chiesa risale allo scultore bergamasco Andriolo de' Bianchi, che nel 1398 iniziò la riparazione dei danni subìti dal protiro a causa di una tempesta, collocandovi nuove sculture (Madonna con il Bambino, S. Grata, S. Esteria) stilisticamente in rapporto alle statue di santi che accompagnano il S. Alessandro a cavallo del piano sottostante. Andriolo era orafo e spetta a lui una splendida croce processionale del 1392, già conservata nella basilica (trafugata nel 1973); si è ipotizzata inoltre la sua presenza anche nel rilievo con cinque maestri muratori in uno dei lati corti del protiro sud di S. Maria Maggiore, segnato da un influsso francese probabilmente mediato dal cantiere del duomo di Milano e ascrivibile ai primi anni del Quattrocento (Baroni, 1944, p. 130). E di fatto nel 1403, il tedesco Giovanni di Fernach, già attivo nel cantiere del duomo milanese, realizzò il tabernacolo cuspidato posto sulla fronte meridionale della chiesa di S. Maria Maggiore, con un Eterno e un'Annunciazione.Allo stato delle conoscenze, non è possibile tracciare un percorso della miniatura a B., né valutarne l'importanza: la Bibl. Civ. A. Mai, accanto al famoso taccuino di disegni di Giovannino de' Grassi (un tempo Delta VII, 14, ora Cassaf. 1.21), possiede numerosi codici dei secc. 12°-14°, nessuno dei quali ascrivibile alla città.Dell'oreficeria - a parte la citata crocetta longobarda (Mus. Civ. Archeologico, inv. nr. 3084) e la croce in lamina argentea sbalzata detta di s. Procolo, del sec. 9°-10°, conservata presso il Mus. Diocesano d'Arte Sacra (Zastrow, de Meis, 1975, pp. 28-29) - un'importante testimonianza trecentesca, nel tesoro del duomo, è rappresentata da una croce in argento dorato realizzata nel 1386 da Ughetto Lorenzoni da Vertova e Michele Silli da Piacenza su disegno di Pietro de Nova, con un S. Alessandro a cavallo sul verso e altri santi sbalzati e cesellati sui bracci. Dell'opera, più volte rimaneggiata, resta il contratto di allocazione presso la Bibl. Civ. A. Mai (un tempo Delta I, sopra 4, ora AB 354; Diana Montaldo, 1988).

Bibl.:

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