CAPRA, Baldassarre

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 19 (1976)

CAPRA, Baldassarre

Giuliano Gliozzi

Nacque a Milano nel 1580 dal conte Marco Aurelio e da Ippolita Dalla Croce.

La famiglia, del cui nome si trova anche la forma latinizzata Capella, era di antica nobiltà; nel 1479, per privilegio dell'imperatore Federico III d'Asburgo, i componenti furono insigniti del titolo di conti palatini cesarei. M. Aurelio, dilettante di medicina, riponeva grandi speranze nell'ingegno del figlio, cosicché lo accompagnò a Padova verso il 1594 perché potesse apprendervi la scienza logica e fisica, adattandosi anche a dare lezioni di scherma, poiché le sue condizioni economiche non erano molto floride. Il padre del C. divenne amico del gentiluomo veneziano Giacomo Alvise Cornaro e del medico padovano G. Grosso, e per mezzo loro di Galilei, che insegnava matematica allo Studio patavino dal 1592; questi gli procurò pure qualche allievo di scherma. Ma l'amicizia fra i Capra padre e figlio e Galilei s'incrinò qualche anno appresso, in seguito alle due celebri polemiche sull'apparizione di una nuova stella e sul compasso geometrico.

Il C. aveva preso a frequentare gli studenti di nazionalità tedesca di Padova, ed in particolare si era legato d'amicizia con Simone Mayr (Marius) von Guntzenhausen, allievo di Galilei e consigliere presso lo Studio nel 1604-05. Con lui si era dedicato allo studio della matematica, poiché i prinù studi umanistici e filosofici, e le stesse dottrine di medicina galenica ed empirica, cui lo aveva avviato il padre, gli parevano troppo carenti di elementi matematici. A questa disciplina si era avvicinato pure considerando l'importanza che essa aveva per l'astrologia, allora considerata parte integrante della medicina; in effetti fin d'allora si era dedicato alla astrologia giudiziaria e all'astronomia, anche se, laureatosi in medicina, la eserciterà poi lungamente a Milano.

Il 10 ott. 1604 il C., che usava fare osservazioni astronomiche con il Mayr, vide una nuova stella in linea tra Giove e Marte, simile a quest'ultimo pianeta per colore e grandezza. Già dal 30 settembre il frate Ilario Altobelli aveva comunicato per lettera a Galilei la scoperta di una nuova stella, ma solo verso la metà di ottobre, dopo alcuni giorni di tempo nuvoloso che non aveva permesso di proseguire le osservazioni, il C. informò il Cornaro di esser sicuro dell'esistenza di un nuovo astro, che portava scompiglio nelle credenze aristoteliche nell'inalterabilità dei cieli. Galilei, informato dal Cornaro, vide subito in questa scoperta una prova della teoria copernicana, e decise di aprire le ostilità contro i peripatetici di Padova, facendo della stella l'oggetto di tre pubbliche lezioni. Il C., non sentendosi citato come scopritore del nuovo astro, probabilmente su istigazione del Mayr decise di scrivere un'opera per rivendicarne a sé la scoperta e per correggere alcune affermazioni galileiane, come quella che poneva la stella sulla retta tracciata tra la corona boreale e la coda del Cigno. Lo scritto, intitolato Consideratione astronomica sopra la nova et portentosa stella che nell'anno 1601 a dì 10 ottobre apparve. Con un giudicio dei suoi significati, uscì a Padova nel 1605.

In esso il C. riepiloga con puntigliosa precisione la cronologia delle osservazioni, rimprovera a Galilei di attribuirsi indebitamente la scoperta della stella e di non aver indicato la parte avuta dal Comaro, ma gli riconosce il merito d'averla posta nel cielo delle stelle fisse, come egli stesso dimostra. Determina poi la posizione e la parallasse della stella, confutando precedenti errori. Conclude invitando i filosofi a fornire una spiegazione della presenza di una nuova stella in contraddizione con la dottrina aristotelica, e paragona l'importanza di tale stella a quella del 1572, sia perché entrambe si dovevano trovare nell'ottava sfera, sia perché tra le due apparizioni era trascorso un intervallo di tempo pari alla durata della vita di Cristo; pertanto la nuova apparizione sarebbe dovuta essere annunziatrice di rovina ai persecutori della fede cristiana e di grandi eventi. Galilei si limitò a non rispondere ad argomenti che mescolavano astronomia e astrologia, impedendo anzi che venisse pubblicato uno scritto sull'argomento di un suo allievo. Ma privatamente postillò ferocemente l'opera del C., definito "bue" e "coglione" e deriso per la sua incapacità di scrivere sia in volgare sia in latino. Solo tre anni dopo, in occasione della disputa sul compasso, ritornò sulla questione, rivelando che il C., prima di pubblicare la Consideratione, avendo alcune incertezze sul modo di osservare la immobilità di una stella, si era rivolto a lui, per mezzo del Cornaro e di Francesco Contarini, per avere più precise informazioni.

La seconda polemica suscitò da parte di Galilei una presa di posizione pubblica. Fin dal 1602 i due Capra avevano chiesto a Galilei di mostrar loro alcune operazioni del suo compasso geometrico e militare, di cui egli insegnava l'uso ai suoi discepoli almeno dal 1596. Tre anni dopo chiesero al comune amico Cornaro di prestar loro uno dei compassi galileiani in suo possesso, trattenendolo per parecchi mesi; praticando la casa di Marc'Antonio Mazzoleni, meccanico che fabbricava strumenti per conto di Galilei, ebbero modo di conoscere a fondo, assieme al Mayr, le caratteristiche costruttive del compasso. Nel 1607 usciva a Padova, sotto il nome del C., il trattato Usus et fabrica circini cuiusdam proportionis,per quem omnia fere tum Euclidis,tum mathematicorum omnium problemata facile negotio resolvitur.

Nel proemio l'autore afferma di voler portare il proprio contributo alla scienza del tempo (proposito che Galilei giudicherà presuntuoso in bocca a un principiante negli studi matematici) proponendo un modello di compasso che permetterebbe la soluzione di vari problemi di geometria euclidea e la determinazione di valori proporzionali o frazionari. Lo strumento, alla cui descrizione è dedicata gran parte dell'opera, si compone di due aste mobili, fissate ad angolo da una vite, che scorrono a mo' di indici su una tavola sulla quale sono segnate diverse linee rette e curve contrassegnate da molteplici valori numerici. I calcoli per la determinazione dei valori di questa complessa tavola costituiscono la parte più oscura dell'opera. Tra gli usi di utilità più immediata del suo compasso il C. ricorda la possibilità di calcolare trasformazioni di unità di misura, riduzioni in scala di figure geometriche, estrazioni di radici quadrate e cubiche, dati per la costruzione di solidi di pari peso con metalli diversi. A conclusione del suo scritto il C. propone alcuni problemi di Euclide che possono rapidamente trovar soluzione mediante l'uso del suo compasso, come suddividere un triangolo in più parti equivalenti, trovare la media proporzionale tra due linee; oppure problemi pratici, come misurare la distanza d'un edificio dall'osservatore data l'altezza, la profondità di luoghi non facilmente accessibili, ecc. Ma la parte in cui appare più scoperta l'ingenuità o la malafede del C. è dove accusa Galilei di plagio, offrendo il compasso come "parto del suo ingegno".

Il Cornaro, ricevuta da M. Aurelio Capra copia del libro appena pubblicato, ne informò Galilei offrendogli il suo aiuto per scacciare da Padova "il caprone e il capretto", com'egli li definì. Galilei ebbe modo così di leggere e postillare l'opera del C., e di far notare in quell'occasione che le operazioni in essa descritte erano copiate dalle sue Operazioni del compasso geometrico e militare (Padova 1606), che dove non erano state copiate erano sbagliate, che il C. non capiva ciò di cui parlava neppure quando copiava. In effetti è noto che fin dal 1602 Galilei aveva già dovuto dimostrare pubblicamente, contro le accuse di un matematico fiammingo, la paternità dell'invenzione del compasso, descritto poi minutamente quattro anni dopo nelle citate Operazioni dedicate a Cosimo de' Medici. Anche se strumenti del genere erano già in uso, in Italia e fuori, e se per parecchio tempo ancora si continuò ad attribuirne l'invenzione a matematici tedeschi, come Giusto Birg (1603) o Filippo Orcher (1605), quello di Galilei era molto più pratico ed estensibile ad usi cui non avevano pensato gli altri inventori. Giustamente Galilei, leggendo l'opera del C., sentì leso il proprio onore professionale; e ciò, unito al risentimento verso i Capra e Mayr per la faccenda della stella, spinse il grande scienziato ad andare a fondo per dirimere la questione.

Il 7 apr. 1607 si recò a Venezia per presentare un memoriale ai riformatori dello Studio, accompagnato dalle copie delle sue Operazioni e dal libro del Capra. I riformatori ingiunsero ai rettori di Padova di far sospendere la pubblicazione e la diffusione del libro del C. e invitarono quest'ultimo per il 18 aprile. Iniziato il dibattito, Galilei formulò il suo atto d'accusa, al quale il C. non rispose, anzi tentò di trarsi d'impaccio accusando prima il dibattimento di vizi formali, poi citando strumenti di matematici come T. Brahe o G. Zugmesser per rigettare l'accusa di plagio. Allora Galilei propose di interrogare il C. su alcune parti del suo libro alla presenza di Paolo Sarpi, che aveva già esaminato le due opere, definendo quella del C. una semplice traduzione in latino di quella galileiana. Il C. si dichiarò vinto e pronto a dare a Galilei ogni soddisfazione, compresa la pubblicazione di una scrittura nella quale avrebbe riconosciuto pubblicamente l'offesa fattagli. Ma Galilei, mirando a una pubblica condanna dell'avversario, non accettò, cosicché dopo diversi confronti, in cui il C. apparve sprovvisto degli elementi matematici necessari a ideare lo strumento, il dibattito si chiuse il 4 maggio con una sentenza dei riformatori in cui, data ragione a Galilei, si ordinava la distruzione delle copie dello scritto del Capra. Poiché però un certo numero di copie era già stato inviato a matematici di vari paesi d'Europa, irritato, Galilei fece pubblicare la sentenza dei riformatori e scrisse la sua Difesa... contro alle calunnie ed imposture di B. C. milanese, Venezia 1607, in cui ribadì le accuse al C. di "fraudolenti inganni" e di "temerari usurpamenti", narrando i vari momenti della disputa e confrontando passo per passo i luoghi plagiati dal C., non solo dal suo, ma anche da altri libri. Riprese poi il discorso nel Saggiatore, addossando la responsabilità del plagio al Mayr, non a caso allontanatosi da Padova appena concluso il dibattito.

Lo stesso fece il C., trasferendosi probabilmente a Milano, dove tra il 1619 e il 1620 teneva ancora lezioni sull'uso del compasso, suscitando le reazioni di A. Tadino e L. Settala, medici milanesi. Di lui si sa ancora che intorno al 1610 si era incontrato a Pavia con Martino Horky, discepolo di Galiei, e che sposò Geronima Adda, da cui ebbe il figlio Giovanni Francesco.

Morì a Milano l'8 maggio 1626.

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