AVORIO

Enciclopedia dell' Arte Antica (1994)

Vedi AVORIO dell'anno: 1958 - 1994

AVORIO (v. vol. I, p. 937 ss.)

E. Talamo; P. Callieri

Decisivi contributi per lo studio degli a. derivano, oltre che dal moltiplicarsi dei ritrovamenti, da un'innovativa impostazione della letteratura scientifica; negli ultimi anni, infatti, l'indagine è stata indirizzata anche verso i problemi relativi alla diffusione del materiale grezzo e di quello lavorato e alle tecniche di esecuzione che sembrano contraddistinguere le «nazionalità» delle diverse tradizioni per giungere, infine, al riconoscimento dei centri di produzione. In alcuni fortunati casi, la scoperta di strumenti di lavorazione, di zanne, di opere non finite o semilavorate ha permesso di localizzare i siti di alcune officine (a Safadi in Palestina, a Megiddo, a Ras Samra, a Paphos e a Cnosso).

La tradizione dell'arte dell'a. viene ricercata attraverso diverse tappe di indagine come la localizzazione dei centri di approvvigionamento (la valle del Nilo, il Sudan, la Libia, il Libano, la Siria e solo più tardi, a partire dall'età ellenistica, l'India) dai quali la materia prima viene smistata nelle aree limitrofe - dove erano attivi, almeno nelle epoche più antiche, i centri di lavorazione - oppure verso un florido mercato internazionale insediato strategicamente lungo le rotte marittime o carovaniere. A questi nodi commerciali (Cipro, Corinto, Sparta e alcuni centri dell'Etruria in epoca orientalizzante e arcaica, Delfi in età classica, Delo e Alessandria in quella ellenistica) attingevano gli artigiani delle diverse scuole attive nel bacino del Mediterraneo.

Ma, una volta lavorati, gli a. si irradiano nuovamente nelle più diverse direzioni verso una facoltosa clientela attratta da questi articoli di lusso non solo per le intrinseche possibilità decorative ma soprattutto perché rappresentano un significativo status symbol. Infatti, già in Egitto la lavorazione dell'a. raggiunge un incredibile splendore con straordinari capolavori destinati al ristretto ambito reale; non è da sottovalutare il fatto che gli stessi faraoni esercitarono un rigido controllo delle importazioni del materiale grezzo caratterizzato da un valore intrinseco di non scarsa portata tanto da configurarsi come tributo o come merce di scambio. Nel IX e nell'VIII sec. a.C., definiti «i secoli dell'a.» secondo un'efficace formula di Barnett, i sovrani assiri ornarono i loro palazzi di splendide creazioni eburnee secondo un'ideologia dominante che vedeva nell'a. il simbolo della regalità. Gli a. rinvenuti in queste dimore reali, e soprattutto a Nimrud, raggiungono una quantità straordinaria e una raffinatezza di esecuzione propria di artisti di altissimo livello che si esprimono con un vocabolario di forme e stile diverso di volta in volta: siriano, fenicio o assiro. È logico quindi pensare che sia nata una scuola di artigiani al servizio di questi potenti monarchi anche se la presenza di articoli «stranieri», per gusto e per repertorio iconografico e decorativo, può trovare diverse giustificazioni: una fiorente importazione di capolavori, la richiesta di tributi in questo materiale imposta dai re assiri ai diversi popoli sottomessi o ancora prezioso bottino di guerra depredato nelle varie spedizioni di conquista; non è da escludere comunque l'ipotesi della deportazione in massa di maestranze artistiche volta a dar lustro e splendore ai nuovi dominatori.

In quest'ottica l'a. rappresenta, come ogni bene prezioso, un veicolo di cultura e una testimonianza eloquente che permette, attraverso la dinamica della sua circolazione, di approfondire il complesso panorama di relazioni diplomatiche e commerciali sia nel bacino del Mediterraneo sia, a partire dall'epoca ellenistica, nel Vicino e Medio Oriente fino all'India attraverso le nuove vie di penetrazione aperte dalla spedizione di Alessandro Magno.

Grazie ai nuovi ritrovamenti e alla riscoperta di materiali inediti o quasi nei musei e magazzini, possono essere oggi inquadrate con notevole lucidità le produzioni micenee tra il XVI e il XII sec., le siriane, le greche e le etrusche delle età orientalizzante e arcaica. Molte possibilità di approfondimento si prospettano, anche se ancora non compiutamente esplorate, per quanto riguarda l'età ellenistica in virtù degli straordinari rinvenimenti di Verghina che, a conferma delle descrizioni degli scrittori antichi, costituiscono uno dei più vivaci e splendidi esempi di arredo della corte macedone. Meno approfondita è, invece, l'indagine sugli a. egiziani e su quelli greci di età classica. Anche per le problematiche che si sviluppano in età romana molto è ancora da fare, i materiali sono pubblicati in maniera sporadica e frammentaria e scarse risultano le pubblicazioni di più ampia impostazione. Per questo periodo andrebbe inoltre approfondito ulteriormente l'esame degli oggetti in osso, intagliati con le stesse raffinate tecniche e dai medesimi artigiani che lavorano l'avorio.

Palestina e Siria nel Tardo Calcolitico e nell'Età del Bronzo. - Già nella seconda metà del IV millennio sono testimoniati in Palestina oggetti in a.: statuette, pendagli, piccoli astucci, vasetti e strumenti scoperti a Safadi che devono essere stati eseguiti da un'officina attiva probabilmente nel 3509 a.C.

Fiorenti scuole si affermano in Siria, sebbene in epoca più tarda, come dimostrano i ben noti ritrovamenti di Ras Šamra (Ugarit), riferibili al XIV-XIII sec. a.C. e di Megiddo del XII sec., quando si raggiunge un linguaggio artistico unitario che interpreta, con viva originalità, motivi e forme derivanti dalle culture artistiche delle zone costiere (egiziana ed egea) e da quelle dell'entroterra continentale (ittita).

Recenti ritrovamenti (Ebla e Kamid el-Loz, un centro interno della Fenicia) lasciano, però, supporre che l'arte dell'a. si sia affermata nell'area siriana in un periodo anche più antico di quello del Tardo Bronzo.

Un'interessante testimonianza relativa al XVIII sec. ci viene offerta dai ritrovamenti di Ebla e precisamente dal corredo funerario rinvenuto nell'ipogeo del «Signore dei Capridi». Insieme a una mazza eburnea da cerimonia di proprietà di un faraone della XIII dinastia di origine asiatica (forse siriano-eblaita) come indicano i geroglifici intagliati sulla decorazione in argento, venne scoperto un singolare oggetto in osso caratterizzato da una raffinatissima tecnica di lavorazione (sottili placchette collegate tra loro sulle quali sono applicate figurine eseguite nello stesso tipo di materiale). Una sorta di talismano, che si può assimilare ai bastoni magici usati in Egitto, sul quale è raffigurata una scena di banchetto funebre realizzata con iconografie mediate dal mondo egiziano ma eseguite con uno stile propriamente siriano.

A un'officina nord-siriana del XVIII sec. va inoltre riferita una cassetta con borchie in oro e lapislazzuli rinvenuta ad Acemhöyük, in Anatolia, sulla quale è raffigurata una processione di offerenti a un personaggio in trono. Ma una più chiara testimonianza ci viene offerta dalla scoperta a Kamid el-Loz di un cospicuo nucleo di a. (una statuetta di divinità seduta in trono dall'accentuato stile egittizzante, una suonatrice di lira, impugnature di specchi a forma di acrobata, pissidi decorate con motivi a tutto tondo) che esprimono già quell'originale spirito creativo che verrà pienamente sviluppato nella prima Età del Ferro.

Bibl.: Per l'officina di Safadi: J. Perrot, Statuettes en ivoire et autres objets en ivoire et en os provenants des gisements préhistoriques de la région de Béershéba, in Syria, XXXVI, 1959, pp. 8-19; id., Unique Ivory Figurine, in Archaeology, XIV, 1961, pp. 59-60; id., Les Ivoires de la Campagne de Fouilles à Safadi près de Beershéba, in Erlsr, VII, 1964, pp. 92-93. - Per l'ipogeo del «Signore dei Capridi»: P. Matthiae, I tesori di Ebla, Roma-Bari 1984, tavv. LXXIX, LXXXVI; id., Ebla un impero ritrovato. Dai primi scavi alle ultime scoperte, Torino 19892, p. 182, figg. 148-153. - Per la cassetta da Acemhöyük: N. Özgüç, An Ivory Box and a Stone Mould from Acemhöyük, in Belleten, CXL, 1976, pp. 548-553. - Per gli a. di Kamid el-Loz: R. d. Barnett, Ancient Ivories in the Middle East, Gerusalemme 1982, p. 30, tav. XXIVa e p. 83, nota 105; M. L. Uberti, in I Fenici, Milano 1988, pp. 404-420.

(E. Talamo)

Creta e l'Egeo nell'Età del Bronzo. - Sigilli in a. rinvenuti in un complesso funerario del periodo prepalaziale ad Arkànes, altri esempi scoperti in due tombe a thòlos del Medio Minoico III Β e Tardo Minoico II sulla collina di Fournì insieme a una pisside con raffigurazione di guerrieri e ad alcune placchette con leoni e capre selvatiche (v. S 1970, p. 488 ss.) documentano l'esistenza a Creta di una nuova scuola dell'a., più modesta all'inizio, e via via sempre più colta e perfezionata nelle tecniche e nel gusto. A partire dal 1600 fino al Tardo Minoico I Β la produzione si intensifica e botteghe si insediano nel palazzo di Kato Zakro (nella stanza E furono rinvenute tre zanne della lunghezza di 70 cm) o nelle immediate vicinanze della reggia di Cnosso (v. S 1970, p. 240, fig. 253). Caratteri di estrema originalità sono vivacemente espressi nella scena della cattura di un toro scolpita su una pisside da Katsambà; il guizzante salto dell'atleta sulle corna del toro che tenta una drammatica e disperata fuga anche dalle lance dei due cacciatori e la raffinata resa nel dettaglio dell'elemento natura (alberi, montagne e il suolo) sono motivi chiave che ci riconducono pienamente al gusto e allo spirito minoico.

Nella Grecia continentale compaiono, a partire dal XIV sec. a.C., a. di straordinaria qualità che consentono ai signori micenei di poter competere con il lusso e lo sfarzo dei monarchi orientali. Un'impostazione propriamente occidentale caratterizza queste opere anche se non mancano spunti ora siriani ora egiziani ora anatolici. Un'originale commistione di iconografie e di motivi di diversa «nazionalità» si avverte, p.es., in una placchetta rinvenuta alla fine dell'Ottocento in una tomba a camera di Micene, recentemente riconsiderata: sono raffigurate due capre selvatiche ai lati di un albero, di tipo siriano, su cui poggia un uccello con due anelli tra gli artigli che trova confronto solo nell'ambito del repertorio iconografico egiziano. Si riscontra un'omogeneità di stile e di tecnica tale da ipotizzare l'attività di artigiani itineranti, come sostiene Barnett, dalla Siria, alla Palestina, all'Attica, a Tebe (nel Kadmèion), dove sono stati di recente scoperti elementi decorativi di un trono (v. S 1970, p. 493)3 e a Micene.

Le singole problematiche sono state riaffrontate analiticamente riesaminando i materiali provenienti da alcune officine di Micene attive nel XIII sec. e quelli di Delo e di Cipro; si profila un panorama culturale unitario nel quale Cipro gioca un ruolo di fondamentale importanza per la sua posizione geografica che le consente di far da tramite tra l'Oriente e il mondo miceneo. L'esistenza di un'importante scuola cipriota, alla quale vanno riferiti, tra gli altri, alcuni a. dell'Artemìsion di Delo, è documentata inoltre dal ritrovamento, nel 1974, di un'officina a Palaepaphos, dove sono venuti alla luce pissidi, placchette decorative di mobili e altri numerosi materiali in avorio. D'altronde, fin da epoca antica, straordinari stoccaggi di a. grezzo vennero accumulati a Cipro, come si legge, p.es., nelle tavole di el-‘Amārna che ricordano l'invio da parte del principe di Cipro al faraone Amenophis IV (1379- 1362) di nove talenti di rame, due zanne di a. e altri doni in cambio di a. lavorati. Fin dal 1200 a.C. è possibile localizzare a Cipro una fiorente scuola di lavorazione del- l'a. come risulta documentato anche dai ritrovamenti scoperti a Kition tra cui quello di una placca con una dea egizia sulla quale compare un'iscrizione, non decifrata, in sillabario cipro-minoico.

Bibl.: J. M. Blazquez, Ivoires minoens et mycéniens, in Acta Mycenea, Salamanca 1970, II, Communications, Salamanca 1972, pp. 398-417; A. Sacconi, L'avorio nella tabella di Pilo V. 482, in Minos, XIII, 1972, pp. 173-181; J. C. Poursat (ed.), Catalogue des Ivoires mycéniens du Musée National d'Athènes, (BEFAR, 230 bis), Atene 1977; E. Sakellaraki, Το ελεφαντοδοντο και η κατεργασια του στα μυκηναικα χρονια, Atene 1979; Ο. Η. Krzyszkowska, Wealth and Prosperity in Pre-Palatial prete. The Case of Ivory, in Proceedings of the Cambridge Colloquium, Bristol 1983, pp. 163-170. - Per il rilievo con capre selvatiche da Micene: J. C. Poursat (ed.), op. cit., tavv. ΧΧΧ-ΧΧΧΙ, n. 301/2916; R. D. Barnett, Ancient Ivories in the Middle East, Gerusalemme 1982, p. 36, fig. 16, tav. XXXI d. - Per gli a. dell‘Artemìsion di Delo: J. C. Poursat, Ivoire de l'Artemision: Chypre et Délos (BCH, suppl. 1), Parigi 1973, in part, pp. 415-425. - Per le scoperte di Cipro: F. G. Maier, Excavations at Kouklia (Palaepaphos), in RDAC, 1969, p. 40 ss., tav. v, 4; V. Karageorghis, Αρχαιοτητες και Μνημεια Κυπρου, in ADelt, XXVI, B', 2, 1971, tav. DLXXXI; Α. Pierides, Observations on Some Mycenaean Ivories from Cyprus, in Acts of the Intern. Archaeol. Symposium, Nicosia 1972, Nicosia 1973, pp. 274-277; F. G. Maier, Ausgrabungen in Alt-Paphos. Sechster vorläufiger Bericht: Grabungs- Kampagne 1971 und 1972, in AA, 1974, p. 40.

(E. Talamo)

Asia Anteriore nell'Età del Ferro. - Dalla fine del X sec. un'ampia documentazione di a. deriva dalla scuola siriana e, a partire dall'VIII sec. a.C., da quella fenicia, forse da riferire a un'origine anche più antica (v. gli a. di Kamid el-Loz, ai quali si è già accennato, databili tra il XIV e il X sec. e un manico di pugnale a testa di leone da Teli Masos, in Palestina, riferibile al X sec.).

Le aree di diffusione di entrambe le produzioni non sono diverse ma si concentrano soprattutto nelle favolose regge dei sovrani assiri: Ninive, Nimrud per citare solo le scoperte di più recente acquisizione.

Ai ben noti ritrovamenti di Arslan Taş, di Khorsābād, di Zincirli si devono aggiungere i numerosissimi complessi scavati a Nimrud da Mallowan tra il 1949 e il 1963 ed esaminati in recenti pubblicazioni. Da un pozzo del quartiere residenziale del palazzo NO provengono a. di produzione siriana dalla splendida e originale fattura (una coppa decorata superiormente con protomi leonine e inferiormente con sfingi e un albero sacro, un contenitore per cosmetici ornato da un'elaborata composizione di sfingi, tori e fiori di loto, una pisside con arpia raffigurata frontalmente che tiene tra gli artigli una capra tra due avvoltoi e, infine, un gruppo lavorato «a giorno» di un leone che azzanna un toro). Nuovi apporti provengono inoltre dall'esame degli straordinari complessi scoperti nel c.d. Palazzo Bruciato e nel Forte Salmanassar ove erano depositate raffinate e originali composizioni decorative in gran parte derivanti dall'artigianato fenicio; si tratta di decorazioni pertinenti a lussuosi arredi come braccioli di troni lavorati a giorno, placche con intarsi in vetro policromo realizzati con la tecnica a cloisonné e lavorazioni a tutto tondo, anche queste in stile egittizzante (p.es. siriani e nubiani che recano tributi come scimmie, leoni e stambecchi).

Si tratta di preziose importazioni, di bottini di guerra (frequente è infatti la presenza di iscrizioni dedicatorie ai re di popoli vinti dalla potenza assira) o, nella maggior parte dei casi, di prodotti eseguiti sul posto da artigiani itineranti provenienti da scuole di origine culturale diversa. Al servizio della ricca committenza assira le botteghe rielaborano con originale estro e con una spiccata autonomia stilistica temi iconografici dell'area egiziana o dell'Asia anteriore.

Se le splendide dimore assire costituiscono una «cava» inesauribile per la conoscenza degli a. del IX-VII sec. a.C., altrettanto illuminanti per il riconoscimento dei centri di produzione risultano le scoperte venute alla luce in aree culturali diverse.

Fondamentali furono le scoperte del 1932 a Ḥama, dove si è voluto identificare uno dei più importanti centri dell'a. siriano, nonché lo studio di c.a 500 frammenti rinvenuti a Samaria, sui resti di un palazzo dell'VIII sec. a.C. Placche ed elementi decorativi di un rivestimento parietale o, più probabilmente, di un mobile ripropongono raffinate tecniche («a giorno», a intarsio) e iconografie propriamente fenicie (la «donna alla finestra», Arpocrate o Horus sul fiore di loto, Iside, ecc.), come fenicie sono le lettere che compaiono sul retro degli a. e che dovevano facilitare le operazioni di montaggio. Essi ripropongono figurazioni, stile e tecnica che ritroviamo negli a. di Forte Salmanassar e in altri rinvenuti in due principesche tombe a tumulo (la 77 e la 79) di Salamina di Cipro (v. s 1970, p. 215 ss., fig. 229).

Bibl.: J. Thimme (ed.), Phönizische Elfenbeine. Möbelverzierung des 9. Jahrhunderts V. Chr. Eine Auswahl aus den Beständen des Badischen Landesmuseums, Karlsruhe 1973; r. D. Barnett, A Catalogue of the Nimrud Ivories, Londra 19752 (ed. riv. e ampi.); I. J. Winter, Phoenician and North Syrian Ivory Carving in Historical Context, in Iraq, XXXVIII, 1976, pp. 1-22; ead., Carved Ivory Furniture Panels from Nimrud. A Coherent Subgroup of the North Syrian Style, in MetrMusJ, XI, 1976, pp. 22-25. - Per gli a. di Tell Ḥalaf nel Ν della Siria: B. Hrouda, Tell Halaf IV, Berlino 1962, tavv. IX-XII, XLIII, CCLXXI. - Per la testa di leone da Tell Masos: A. Kempinski, in Erlsr, XV, 1981, tav. XXIV. - Per i ritrovamenti di Ninive: R. D. Barnett, Ancient Ivories in the Middle East, Gerusalemme 1982, tav. XLIII, d. - Per gli a. di Hasanlu: O. W. Muscarella (ed.), The Catalogue of Ivories from Hasanlu, Iran, Filadelfia 1980. - Per gli a. di Sarepta: J. B. Pritchard, Sarepta. A Preliminary Report on the Iron Age, Filadelfia 1975, figg. 43, 1-2. - Per gli a. del pozzo AJ del palazzo NO di Nimrud: Fadhil A. Ali, Then Came the Deluge, in Sumer, XXXI, 1975, tav. IV (arabo); A. Agha, M. Sai'd Al'Iraqui, Nimrud, Baghdad 1976, figg. 29-30 (arabo); r. D. Barnett, Ancient Ivories ..., cit., p. 51 ss., figg. 18 a-c, 20-21. - Per gli a. del Palazzo Bruciato e di Forte Salmanassar a Nimrud: M. E. L. Mallowan, Nimrud and Its Remains, I, Londra 1966, p. 200 ss.; Ivories from Nimrud (1949-1963): J. J. Orchard, I, 2. Equestrian Bridle-Harness Ornaments, Aberdeen 1967; M. E. L. Mallowan, L. G. Davies, II. Ivories in Assyrian Style, Londra 1970; M. E. L. Mallowan, G. Herrmann, III. Furniture from SW 7 Fort Shalmaneser, Londra 1974; G. Herrmann, Ivories from Room SW 37 Fort Shalmaneser. Commentary and Catalogue, Londra 1986. - Sulla provenienza da Ḥama di alcuni a. di Nimrud: r. D. Barnett, Hamath and Nimrud, in Iraq, XXV, 1963, pp. 81-85. - Sugli a. di Samaria: R. D. Barnett, Ancient Ivories ..., cit., p. 49, tavv. XLVIII a-d, f-g, XLIX a-b.

(E. Talamo)

L'«orientalizzante» e l'arcaismo in Grecia. - Un momento di incredibile e straordinaria apertura agli stimoli culturali del Vicino Oriente si attua in quella rivoluzionaria fase artistica denominata orientalizzante.

La trasmissione di idee, spunti decorativi e iconografie passa dall'Oriente all'Occidente attraverso la circolazione di diversi tipi di materiali compreso l'a.; importazioni eburnee si diffondono dalla Siria e dalla Fenicia tramite i ricchi empori di ai-Mina e di Teli Sukas, sulle coste siriane, ma giungono in Grecia anche lungo rotte terrestri, dall'Iran all'Urartu, alle regioni dell'Anatolia, della Frigia (v. gli a. prodotti a Gordion e la splendida statuetta di donna con bambino per mano e uno sulla spalla, la pisside emisferica e alcune placchette da Bayındır riferibili alla fine dell'Vili-inizio VII sec. a.C.) fino alle coste della Grecia orientale.

Ai ben noti prodotti orientali rinvenuti nei santuari di Perachora, Argo, Sparta, Efeso, Samo si devono aggiungere gli a. del deposito votivo del Tempio di Atena Ialỳsia a Rodi, recentemente riconsiderato, e i leoni di impostazione nord-siriana rinvenuti a Thasos.

È in questo momento che si vanno formando scuole di intagliatori di a. nella Grecia continentale e insulare e in quella ionica con specifiche autonomie stilistiche che pur si uniformano ai dettami di una cultura «orientalizzante».

Spiccati influssi dell'arte nord-siriana caratterizzano la produzione rodia anche se non mancano espressioni e accenti genuinamente locali. Componenti orientali si colgono anche in grandi e importanti scuole, la laconica (Sparta), la corinzia e la ionica (Samo ed Efeso), che monopolizzano in Grecia, nel VII e nella prima metà del VI sec. a.C., la lavorazione dell'a. e successivamente dell'osso, un surrogato della più preziosa materia prima sempre più rara dopo la conquista assira di Tiro nel 573-572 a.C.

Sigilli con animali recumbenti e raffinati rilievi che si rifanno ancora a prototipi nord-siriani caratterizzano gli a. della più antica produzione laconica (Santuario di Artemide Orthìa a Sparta); mentre a partire dal terzo quarto del VII sec. a.C. subentrano influssi dedalici derivanti dall'arte cretese, mediati forse da Samo. Misurate proporzioni dei volumi e una geometrica scansione degli spazi, nonché una raffinata resa dei dettagli distinguono i prodotti di questa scuola che ha acquisito ormai una sua propria autonomia formale affrontando temi narrativi nelle placchette a rilievo (Perseo che uccide la Gorgone da Samo, 630-620 a.C.) e sperimentando nel tutto tondo una resa monumentale, pur in a. di ridotte dimensioni (sfinge da Perachora, c.a 675 a.C.; giovane inginocchiato con occhi cavi per permettere l'intarsio in altro materiale più prezioso, da Samo, 650 a.C., da alcuni studiosi attribuito a scuola greco-orientale).

Verso la seconda metà del VII sec. va sviluppandosi una scuola greco-asiatica (Samo ed Efeso) che eccelle nella lavorazione di oggetti a tutto tondo e che trova le sue origini in area anatolica e nord-siriana. Un vibrante dinamismo e un gusto dell'intaglio per le superfici morbide sottolineate da passaggi di piani che mettono raffinatamente in evidenza le venature dell'a. caratterizzano questi splendidi prodotti spesso di straordinario vigore (il «maestro dei leoni» da Delfi ancora strettamente legato agli a. siriani sia per l'iconografia sia per il tipo di costume e una figurina di sacerdotessa su sfinge, pertinente alla fiancata di una lira); in qualche caso un esasperato decorativismo che si sofferma sui dettagli (pieghe del panneggio, gioielli, capigliature) viene a turbare l'unità formale dell'opera.

Alle sacerdotesse o offerenti velate, dalla forma allungata e tubolare provenienti dall'Artemìsion vanno aggiunti alcuni a. recentemente scoperti sempre a Efeso nella fondazione di un grande edificio (Hekatòmpedon); alla fine del VII-inizio del VI sec. a.C. si deve riportare una statuetta femminile dalla lineare impostazione che esalta i tratti del volto dagli occhi grandi e allungati, simile, per stile e per tipologia, allo sphyrèlaton in elettro proveniente dallo stesso scavo, mentre va riportata a un ambito cronologico leggermente più tardo un'altra figurina femminile, frammentaria, con bracciali di tipo orientale.

Come già si era verificato nelle botteghe egiziane, siriane e fenicie si va affermando anche in Grecia quella raffinata tecnica basata sulla combinazione di materiali diversi (legno, avorio, oro, pietre preziose o semipreziose) che conferiva una maggiore espressività ai volti, impreziosiva i costumi e i gioielli. Il più antico esemplare greco che testimonia l'uso di questa tecnica è una testina da Corfù; va inoltre ricordato il gruppo di a. da Delfi (rinvenuti nel 1939 ma non ancora oggetto di uno studio completo tranne che per il nucleo dei rilievi) e una testa da Samo, simile a quella di Corfù, con occhi inseriti e lavorati separatamente, una parte per la pupilla e una per l'iride.

Bibl.: Per gli a. di Gordion e di Bayındır (tumulo D): R. S. Young, The 1961 Campaign at Gordion, in AJA, LXVI, 1962, tavv. XLVI-XLVII; E. Ozgen (ed.), Antalya Museum, Ankara 1988, pp. 33, 190 ss., nn. 42, 56-58. - Per il deposito votivo di Ialysos: M. Martelli, La stipe votiva dellAthenaion di Jalysos. Un primo bilancio, in Archaeology in the Dodecanese, Copenaghen 1988, pp. 112-113. - Sui leoni di Thasos: F. Salviat, Lions d'ivoire orientaux à Thasos, in BCH, LXXXVI, 1962, pp. 95-116. - Per gli a. orientalizzanti e per le produzioni laconica e greco-orientale: H. Payne, T. J. Dunbabin, Pottery, Ivories, Scarabs and Other Objects from the Votive Deposit of Hera Limenia, Oxford 1962; A. Greifenhagen, Ein ostgriechisches Elfenbein, in JbBerl- Mus, VII, 1965, pp. 125-156; Β. Freyer-Schauenburg, Elfenbeine aus dem samischen Heraion. Figürliches, Gefässe und Siegel, Amburgo 1966; L. Marangou, Lakonische Elfenbein und Beinschnitzereien, Tubinga 1969; ead., Aristaios, in AM, LXXXVII, 1972, pp. 77-83; J. B. Carter, Greek-Ivory Carving in the Orientalizing and Archaic Periods, New York 1985. - Sulle due statuette femminili recentemente rinvenute a Efeso: Η. Vetters, Ephesos. Vorläufiger Grabungsbericht 1972, in AnzWien, CX, 1973, p. 183 s., tav. VII; id., Ephesos ... 1982, ibid., CXIX, 1982, p. 65, tav. 1; A. Bammer, Forschungen im Artemision von Ephesos von 1976, bis 1981, in AnatSt, XXXII, 1982, p. 70 ss., tavv. XVI b, XXI b-c. - Per gli a. con intarsi o inserti in altro materiale: G. S. Dontas, Αρχαιοτητες και μνημεια Ιονίων νηδων, in ADelt, B', 2, XXII, 1967, tav. CCLXXII; U. Sinn, Ein Elfenbeinkopf aus dem Heraion von Samos. Zur ostionischen Plastik im 3. Viertel des 6. Jh. v. Chr., in AM, XCVII, 1982, pp. 35-55; ead., Der sog. Tempel D im Heraion von Samos, 2. Ein archäologischer Befund aus der nachpolykratischen Zeit mit einem Exkurs zum griechischen Bauopfer, in AM, C, 1985, pp. 129-158. - Per le placchette a rilievo da Delfi: J. Burr Carter, The Chests of Periander, in AJA, XCIII, 1989, pp. 355-378. - Per alcune klìnai funerarie rivestite di placchette in a.: U. Knigge, Der Südhügel (Kerameikos. Ergebnisse der Ausgrabungen, 9), Berlino 1976, pp. 60-83; J. Fischer, Zu einer griechischen Kline und weiteren Südimporten aus dem Fürstengrab Grafenbühl, Asperg, Kr. Ludwigsburg, in Germania, LXVIII, 1990, I, pp. 115-127.

(E. Talamo)

Etruria. - Così come in Grecia anche in Etruria, tra la fine dell'VIII e i primi anni del VII sec. a.C., raffinate creazioni in a. (statuette, pissidi, oggetti di ornamento personale, armi dalle preziose impugnature cesellate, placchette decorative di mobili) vengono offerte come dono votivo alle divinità 0, più comunemente, deposte nelle tombe per sottolineare l'appartenenza del defunto a un prestigioso ceto sociale.

Accanto alle importazioni siriane o fenicie (tombe di Palestrina) compaiono opere etrusche che rielaborano, in chiave locale, il vasto repertorio iconografico e decorativo dei prototipi orientali. Di impostazione decisamente siriana sono le statuine ammantate da Murlo e da Quinto Fiorentino (Tomba della Montagnola); a prototipi fenici si riportano originali composizioni costituite da materiali diversi come i vasi di uovo di struzzo con beccucci configurati di a. (da Quinto Fiorentino e da Pitino S. Severino) e a origini orientali vanno riferite alcune tecniche di lavorazione come quella a cloisonné (in un pannello dalla Tomba Bernardini di Palestrina, in una presa di coperchio di pisside a forma di palmetta dal Tumulo «Melone del Sodo» a Cortona e in un altro elemento terminale dal deposito votivo di S. Omobono a Roma con intarsi in ambra) nonché la raffinatezza di intaglio nella piccola plastica (pettine e manico di flabello da Marsiliana d'Albegna, coperchio di pisside da Marzabotto con quadriga tirata da pantere e cavalli) e nei rilievi.

Anche il repertorio decorativo riprende temi spiccatamente orientali: sfingi, grifi e leoni alati affrontati in schema araldico (pettini da Marsiliana d'Albegna, 650 a.C., e da Castelnuovo Berardenga, 630-600 a.C.), teorie di animali, come feroci leoni dalle fauci spalancate e dalla folta criniera «a fiamma» (placchette dal Tumulo del Calzatolo a S. Casciano, 650-630 a.C.) o grifi dalla treccia hathorica e cervi alternati a motivi vegetali (pissidi da Castelnuovo Berardenga, 630-600 a.C. e dal Tumulo di Montefortini a Comeana, 625-615 a.C.).

Il raro oggetto d'importazione orientale o eseguito in uno stile a esso affine esprime il potere dei ricchi possidenti etruschi; gli a. sono le insegne di una magistratura o di una carica sacerdotale (dìphros da Quinto Fiorentino) o dello status di un'aristocrazia militare (armi dalle intarsiate impugnature in a. dalla Tomba della Montagnola a Quinto Fiorentino e dal Tumulo dei Boschetti a Comeana) 0, più, in generale, preziosi apparati decorativi riservati a una ristretta élite.

Nuovi apporti di carattere figurativo mediati probabilmente dalla ceramografia corinzia, si combinano con le formule «orientalizzanti»; compaiono le raffigurazioni di episodi dell'Iliade, le scene con la partenza di guerrieri e le danze propiziatorie per la buona riuscita delle imprese militari - espresse con viva originalità nella pisside della Pania, da Chiusi (600-580 a.C.) - nelle quali si può leggere l'identificazione dell'aristocratico etrusco con gli eroi dei poemi omerici je con i guerrieri che partono per la guerra.

Una crescente richiesta di questi articoli di lusso si viene sviluppando sia nelle ricche zone estrattive dell'Etruria settentrionale dove arrivava l'a. grezzo (blocchetti informi eburnei sono stati rinvenuti nelle necropoli di Vetulonia e una zanna proviene da una tomba di Populonia), sia nelle fiorenti proprietà agricole dell'Etruria meridionale e interna.

Moltissimi sono i ritrovamenti di a. dell'ultimo quarto del VII-inizio del VI sec. a.C. nell'Etruria interna lungo le valli dell'Ombrane (Castelnuovo Berardenga e Murlo) fino all'agro fiorentino (S. Casciano Val di Pesa, Tomba del Calzaiolo; Quinto Fiorentino, Tomba della Montagnola; Comeana, Tumuli dei Boschetti e di Montefortini). Solo nell'area residenziale di Murlo sono venuti alla luce 500 frammenti di osso e a. (prese di coperchietti di pissidi a forma di sfinge, ariete, leone, rivestimenti di mobili con gorgòneion, decorazioni vegetali e con figurine ad altorilievo di raffinatissima esecuzione), forse lavorati sul posto da maestranze locali al servizio del ricco «signore» di Murlo come si può presumere dalla scoperta di oggetti non rifiniti o appena sbozzati.

Un comune linguaggio figurativo riecheggia negli a. di queste zone interne dell'Etruria e sembra riportabile a una produzione vulcente (pisside della Pania da Chiusi) o chiusina alla quale vanno riferiti pure alcuni pendaglietti a figura femminile da Roma (area sacra di S. Omobono), uno dei quali con sigillo; le maestranze artigianali chiusine, inoltre, producono cofanetti rettangolari con placchette applicate (scene di convito, di danze, di corse su carri trainati da sfingi, di cacce e inoltre cigni, volatili e animali accosciati) che rappresentano una delle classi più diffuse nel VI e nel primo quarto del V sec. a.C. La diffusione di questi piccoli scrigni è amplissima; si ritrovano infatti in molti centri dell'Etruria e dell'Italia meridionale e raggiungono, attraverso le fitte relazioni commerciali dei mercanti punici, la Grecia insulare, la Spagna e Malta.

Alla stessa manifattura vanno forse riferite anche due placchette, da Cartagine e da Roma, interpretate come tesserae hospitales, raffiguranti animali accovacciati che conservano sul retro l'iscrizione etrusca con il nome del possessore; la placchetta cartaginese rappresenta la testimonianza più evidente dei fitti contatti tra l'Etruria e la città punica. Il fenomeno è confermato anche dal vivace scambio di materiali di altro tipo tra le due civiltà e non è escluso che manufatti etruschi (compresi i cofanetti chiusini) si siano diffusi nel bacino del Mediterraneo grazie ai mercanti punici che rifornivano i più importanti empori di oggetti prodotti da svariate manifatture e non solo a Cartagine (vanno, p.es., ricordati i pettini punici rinvenuti nell'Heràion di Samo e le scoperte, lungo le coste spagnole, di relitti con zanne di a. con iscrizioni fenicio-puniche provenienti probabilmente dall'Africa settentrionale).

Bibl..: Sugli a. di Palestrina: M. E. Aubet, Estudios sobre el periodo orientalizante, I. Cuencos fenicios de Praeneste, Santiago de Compostela 1971; ead., Los Marfiles orientalizantes de Praeneste, Barcellona 1971; F. Canciani, F. W. von Hase, La tomba Bernardini di Palestrina, Roma 1979. - Per gli a. di Quinto Fiorentino: G. Caputo, Gli 'Athyremata' orientali della Montagnola e la via dell'Arno e transappenninica, in Arte Antica e Moderna, XVII, 1962, p. 62 ss.; id., La Tomba della Montagnola, Sesto Fiorentino 1969; id., Cultura orientalizzante della vallata dell'Arno, in Aspetti e problemi dell'Etruria intema. Atti dell'VIII Convegno Nazionale di Studi Etruschi e Italici, Orvieto 1972, Firenze 1974, pp. 19-53 (v. anche intervento di M. Cristofani, p. 147). - Per i vasi di uovo di struzzo e beccuccio di a.: M. Cristofani, L'Arte degli Etruschi. Produzione e consumo, Torino 1978, p. 62. - Per il corredo di Marsiliana d'Albegna: M. Cristofani, F. Nicosia, Il restauro degli avori di Marsigliana d'Albegna, in StEtr, XXXVII, 1969, p. 353 ss. - Per il coperchio di pisside da Marzabotto: G. V. Gentili, Coperchietto d'avorio con quadriga dell'orientalizzante recente di Marzabotto, in Carrobbio, IV, 1978, p. 254 ss. - Per i materiali di Murlo: Κ. M. Phillips. Jr., Bryn Mazor College. Excavations in Tuscany 1971, in AJA, LXXVI, 1972, p. 253 ss., tav. LI ss.; E. Nielsen, Speculations on an Ivory Workshop of the Orientalizing Period, in Crossroad of the Mediterranean (Archeologia Transatlantica, 2), Louvain-la-Neuve 1984, pp. 333-348; - Per alcuni a. di tradizione orientalizzante dall'area picena e dall'Etruria interna: A. M. Bisi, Due avori piceni di tradizione vicino-orientale, in StUrbin, LV, 1981- 82, pp. 79-83; Cento preziosi etruschi (cat.), Firenze 1984. - Per la pisside della Pania: M. Cristofani, Per una nuova lettura della pisside della Pania, in StEtr, XXXIX, 1971, pp. 63-89. - Per i pendagli dall'area di S. Omobono a Roma: E. Talamo, in Enea nel Lazio. Archeologia e mito (cat.), Roma 1981, p. 131 ss., C 21-22; G. Colonna, Figure votive in bronzo, terracotta e avorio, in Civiltà degli Etruschi (cat.), Milano 1985, p. 276 s., nn. 6-7. - Per la produzione chiusina di cofanetti: M. Martelli, Originis incertae, in StEtr, L, 1982, pp. 334-336; ead., Gli avori tardo-arcaici. Botteghe e aree di diffusione, in II commercio etrusco-arcaico (QuadAEI, 9), Roma 1985, pp. 207-248 (con bibl. prec.). - Per le lastrine con leoncino e con cinghiale interpretate come tessere ospitali: M. Pallottino, in StEtr, LXII, 1979, pp. 319-25; G. Messineo, Tesserae hospitales, in Xenia, 7, 1983, p. 7 ss.; M. Albertoni, in Enea nel Lazio ..., cit., p. 134, C 24. - Per gli a. di scuola cartaginese rinvenuti in Spagna: M. E. Aubet, Los marfiles fenicios del Bajo Guadalquivir, 1. Cruz del Negro, in BVallad, XLIV, 1978, pp. 15-77; ead. Los marfiles fenicios del Bajo Guadalquivir, 2. Acebuchal y Alcantarilla, ibid., XLVI, 1980, pp. 33-79. - Per i pettini punici dall'Heraion di Samo: Β. Freyer-Schauenburg, Elfenbeine aus dem Samischen Heraion, Amburgo 1966, p. 125; ead., Kolaios und die west-phönizischen Elfenbeine, in MM, VII, 1966, pp. 89-108; M. L. Uberti, in I Fenici, Milano 1988, pp. 416-421. - Per i ritrovamenti di relitti con zanne contrassegnate da sigle fenicio-puniche: J. Mas, El poligono submarino de Cabo de Palos. Sus apartociones al estudio del tráfico marítimo antiguo, in Arquelogía submarina. VI Congreso Internacional, Madrid 1985, pp. 153-171.

(E. Talamo)

Età classica ed ellenistica. - In quest'epoca si assiste a una sensibile riduzione della piccola oggettistica in a., mentre viene portata al massimo splendore la tecnica crisoelefantina applicata alla grande statuaria. Nel V e nel IV sec. a.C. i simulacri di culto dei santuari greci sono realizzati con questa raffinata combinazione di oro e a. che diventa appannaggio esclusivo degli dei; si cimentano in queste straordinarie creazioni i più grandi maestri della scultura con l'aiuto di rinomati artigiani specializzati nella lavorazione di questi due materiali. L'a., che viene diffuso a prezzi elevati, sul mercato greco è utilizzato quasi esclusivamente per questi colossali simboli religiosi (noti dalle fonti o da più tarde repliche di ridotte dimensioni) realizzati sperimentando complesse metodologie volte a sfruttare al massimo la preziosa materia prima (l'immersione in acqua bollente che conferiva elasticità all'a. e il trattamento sotto pressa con olî o altre sostanze che garantivano l'utilizzazione di superfici più ampie). Più rari nel V sec. a.C. ma già pienamente affermati nel IV sono i manufatti di a. di uso privato, come i raffinati mobili con intarsi eburnei, riservati probabilmente a una ristretta élite·, il padre di Demostene, p.es., aveva al suo servizio venti schiavi addetti alla fabbricazione di letti (klinopegòi) in legno pregiato con rivestimenti in avorio. A un'artista ateniese o a una manifattura profondamente impregnata di cultura attica vanno riferiti gli intarsi di a. su sarcofagi lignei scoperti nella Russia meridionale e in particolare alcune figure rinvenute a Kerč e riferibili alla metà del IV sec. a.C.

Con l'avvento delle grandi dinastie ellenistiche e, in primo luogo, di quella macedone, l'a. riconquista il suo ruolo originario di simbolo di regalità come dimostrano le sorprendenti testimonianze restituite da Verghina. Capolavori di intaglio e di plastica in a. decoravano il letto funebre di Filippo II: alcune placchette figurate (una Musa che suona la lira, un Dioniso mollemente adagiato su una pelle di pantera di fronte a un Sileno, leoni accovacciati in posa araldica) incorniciavano la zona centrale del telaio dove si sviluppava ad altorilievo una splendida composizione eseguita con la tecnica crisoelefantina; di questo fregio principale che prevedeva l'applicazione su un fondo d'oro di figure d'avorio, rimangono alcune teste - interessanti esempî di ritrattistica antica - in cui sembra di potersi riconoscere Filippo, la moglie Olimpiade, il figlio Alessandro e altri personaggi della corte macedone. La scena raffigurata, purtroppo di difficile ricostruzione per la notevole frammentarietà, rievocava forse un memorabile evento religioso al quale parteciparono il sovrano, la famiglia reale e tutta la corte. Con la stessa tecnica è eseguito lo scudo di Filippo: sullo sfondo d'oro, lavorato sul bordo con una trina di svastiche, meandri e kymàtia, risalta una mirabile composizione eburnea con Achille che sostiene Pentesilea. Un intaglio da cesellatore, una straordinaria abilità nel trattamento morbido e sfumato delle superfici ma soprattutto una formidabile capacità artistica nel riprodurre in miniatura l'espressione e la fisionomia del dinasta e del suo seguito possono riportarsi solo a una personalità di grande rilievo, forse a Leochares che, come ci narrano le fonti, eseguì opere in oro e a. per Filippo II.

Ma le scoperte di Verghina non si limitano alla tomba di Filippo. Un'altra decorazione in a. con lumeggiature in lamina d'oro, relativa a un letto funerario, proviene dalla tomba di un giovane principe; vi è raffigurato ad altorilievo un gruppo con Pan che suona il flauto, Dioniso (o forse Sabazio o Sardanapalo) barbato, ebbro, sorretto da una danzante Arianna dalle vesti fluttuanti.

In tutte le aree ellenizzate da Alessandro Magno si andarono via via diffondendo, nel corso del III e del II sec. a.C., questi raffinati oggetti che ricalcano, nelle tipologie e nella ricchezza dell'apparato decorativo, i lussuosi corredi delle corti ellenistiche: dai palazzi reali dei Tolemei alle fastose regge delle aree più orientali.

Da una tomba monumentale di Leukadià, in Macedonia, databile tra il 250 e il 140 a.C., provengono placchette di a. (kymàtia, decorazioni vegetali e splendide raffigurazioni di carattere dionisiaco eseguite, come a Verghina, con la tecnica crisoelefantina) riferibili a un letto funerario. Ma una documentazione di gran lunga più ampia deriva dalle zone situate lungo le rotte del commercio dell'a. e in particolare dall'Asia centrale, dove prospera l'antichissima e consolidata tradizione dell'intaglio eburneo.

Di straordinario interesse è, p.es., il tesoro conservato nella regale dimora di Mitridate I a Nisa Partica costituito, oltre che da oggetti in oro e bronzo, da capolavori eburnei come alcuni rhytà raffinatamente sbalzati con figure ad altorilievo e zampe di letti o di troni simili a quelli scoperti ad Ai Khānum, in Battriana. Un artigianato di altissimo livello riesce ad armonizzare con vivace originalità tradizioni figurative locali (assire e achemenidi) con temi ornamentali e motivi figurativi di stampo propriamente greco. Nei rhytà di Nisa compaiono le divinità del pantheon ellenico raffigurate in pose desunte dalla statuaria greca del IV e del III sec. a.C., ma i costumi, gli attributi e alcuni particolari nella narrazione dei rituali religiosi derivano da quella caratteristica simbiosi culturale propria dell'Asia centrale.

In area partica si collocano anche le fantasiose innovazioni decorative relative al mobilio che tanta suggestione suscitarono nel bacino del Mediterraneo. A una tradizione achemenide vanno, infatti, riferite le slanciate zampe «a bobina» (caratterizzate dalla sovrapposizione di torniture a sezione più o meno ingrossata alternate a strozzature contigue) e l'originale inserzione di un motivo figurativo, la zampa di un leone, eseguito a tutto tondo.

Queste forme più esili e slanciate, l'inserzione di temi figurati lungo lo sviluppo delle zampe di troni o di letti suggeriscono all'artigianato greco nuovi e originali schemi da rielaborare e da introdurre al posto delle stereotipate forme tradizionali.

La trasposizione dei modelli orientali sembra comparire inizialmente ad Alessandria, in un ambito culturale sensibile e profondamente affascinato dagli apporti artistici orientali; nelle descrizioni di Callisseno di Rodi (FHG, ili, 55 ss., 58 ss.) del sontuoso padiglione di Tolemeo II Filadelfo, infatti, compaiono eleganti klìnai d'oro con zampe decorate da sfingi accovacciate. Alla zampa di leone di tradizione achemenide si viene quindi sostituendo un motivo figurativo di stampo decisamente egiziano.

D'altronde va localizzata ad Alessandria anche una fiorente scuola di lavorazione dell'a. che si impone sul mercato con nuove e originali proposte a partire dal II sec. a.C. fino all'epoca imperiale romana. Una delicata creazione ellenistica eseguita in ambiente alessandrino è rappresentata da una statuetta di Afrodite ora al Museo Nazionale di Atene, ma a questa vanno aggiunti innumerevoli altri intagli, che trovano confronto nella contemporanea produzione alessandrina in faïence, e alcuni caratteristici anelli con ritratti femminili riproducenti le iconografie delle regine tolemaiche (Berenice II, Arsinoe I, II e III, Cleopatra II Thea).

Bibl.: Per i sarcofagi della Russia meridionale: M. Vaulina, A. Wasovwicz, Bois grecs et romains de l'Ermitage: Ossolineum, Breslavia 1974, tavv. VIII-IX, LVI- LVII. - Per gli a. di Verghina: M. Andronicos, Vergina. The Royal Tombs and the Andern City, Atene 1984, p. 123 ss., figg. 75-93, p. 206 ss., fig., 169; A. Giuliano, Arte greca. Dall'età classica all'età ellenistica, Milano 1987, pp. 837-838. - Per la tomba di Lefkadia: K. Rhomiopoulou, A New Monumentai Chamber- Tomb with Paintings of the Hellenistic Period near Lefkadia (West Macedonia), in AAA, VI, 1973, pp. 87-92. - Per i ritrovamenti di Nisa Partica e per il mobilio dell'Asia centrale: P. Bernard, Sièges et lits en ivoire d'époque hellénistique en Asie Centrale, in Syria, XLVII, 1970-71, pp. 327-343; M. E. Masson, G.A. Pugačenkova, The Parthian Rhytons of Nisa, Firenze 1982. - Per la produzione di A. alessandrini: L. Marangou, Ptolomaïsche Fingerringe aus Bein, in AM, LXXXVI, 1971, pp. 163-171; Α. Marangou, Οστεινο αναγλυφο Αφροδιτης απο την Αιγυπτο, in Τιμητικη προσφορα στον καθηγητη Γεωργιο Μπαλακη, Salonicco 1972, pp. 84-95; L. Marangou, Bone Carvings from Egypt, I. Graeco-Roman Period, Tubinga 1976.

(F. Talamo)

Età imperiale romana. A partire dal I sec. a.C. una nuova committenza, quella romana, impone una crescente richiesta di oggetti eburnei.

La diretta conoscenza della civiltà ellenistica determina, infatti, sostanziali ripercussioni anche nell'ambito della diffusione dei beni di lusso. Originali eseguiti con la tecnica crisoelefantina giungono a Roma dalla Grecia (p.es. la statua di Atena proveniente da Tegea ed esposta da Augusto nel Foro, dopo la battaglia di Azio: Paus., VII, 46,4); in a. vengono ritratti illustri personaggi (la statua di Cesare eseguita in questo materiale viene portata in processione durante i giuochi circensi: Dio Cass., XLIII 45 2-4); mobili raffinatamente intarsiati con incrostazioni eburnee (letti tricliniari e tavoli dall'intelaiatura in legno di cedro) si diffondono nelle ricche domus.

Ma il fascino esercitato dall'a., usato a profusione nelle dimore e nelle tombe dei dinasti ellenistici, si riflette anche nella sfera funeraria: su letti impreziositi da decorazioni in a. vengono trasportati e cremati insigni defunti (dai più importanti personaggi della vita pubblica fino agli imperatori). In età augustea e nel corso del I sec. d.C. dovette aumentare notevolmente la richiesta di oggetti in a. anche da parte di una nuova classe sociale emergente desiderosa di denunciare il proprio potere con preziosi articoli di lusso.

Il rifornimento di zanne ma anche di oggetti lavorati (si ricordi p.es. la statuetta indiana rinvenuta a Pompei) non risultò sufficiente alle esigenze della clientela romana, nonostante la fitta diramazione verso l'Africa e l'India di rotte mercantili marine e terrestri, tanto che all'a. vennero sostituendosi altri materiali. Come riferiscono Plinio (Nat. hist., xxxvi, 134) e Teofrasto (Lap., 37) si ricorse all'à. fossile e in particolare ai resti di mammuth, rinvenuti in Russia, utilizzati p.es. in due statuette ora al British Museum e al College Museum di Eton.

Più diffusa risulta invece l'utilizzazione dell'osso, un surrogato più modesto ma di più facile reperimento rispetto all'a.; consentiva di ottenere oggetti simili, almeno a prima vista, e a un prezzo decisamente inferiore in confronto alle rare e pregiate composizioni eburnee.

E probabile che gli stessi artigiani lavorassero sia l'a. sia l'osso visto che in entrambi i materiali si ripetono caratteristiche molto simili se non identiche (strumenti e tecniche di esecuzione, repertorio decorativo e tipologie); differenziazioni più sostanziali si notano nei tipi di produzione ora di alto livello artistico ora più semplificata e spesso dimessa tanto da configurarsi come un'attività artigianale su vasta scala destinata a sopperire alle numerose esigenze imposte dalla committenza.

Alla scuola alessandrina, che tanta fama aveva goduto dal II sec. a.C., o ad artigiani profondamente permeati di cultura ellenistica, si devono riferire alcune classi di materiali caratterizzate da inconfondibili decorazioni proprie del repertorio figurativo di Alessandria d'Egitto. Vanno ricordate le tessere teatrali o da gioco (con figure grottesche e caricaturali, Muse, poeti, piccoli altari di tipo egizio) e le pissidi di forma cilindrica (contenenti cosmetici e decorate con motivi dionisiaci o con amorini che suonano il flauto o la cetra, giocano, raccolgono frutta in grandi canestri, si volgono verso sfingi o alberi di palma).

A una simile manifattura va riferito anche l'apparato decorativo dei letti intarsiati di a. o di osso inquadrabili tra l'ultimo quarto del I sec. a.C. e la prima metà del I d.C. Si tratta di un'importante categoria nell'ambito del mobilio di lusso che, a ricordo dei letti da parata dei dinasti ellenistici, compare nelle domus romane e nelle fastose cerimonie funebri. Se sporadici e frammentari sono i ritrovamenti nelle strutture abitative, molto più ricca è la documentazione nell'ambito funerario. Numerose sono, infatti, le tombe che ci conservano elaborati elementi decorativi di queste Minai spesso bruciate insieme al defunto nel rito della cremazione (letti dall'Esquilino a Roma, da S. Vittore di Cingoli, da Aosta, da Fréjus, da Vindonissa) o deposte in sepolture a inumazione (letti di Cambridge e dalla valle di Amplerò). Lungo l'altezza delle zampe si sviluppano elaborate torniture con decorazione vegetale che si alterna a motivi figurativi spesso di complessa costruzione; temi vegetali ritornano sul telaio che agli angoli ripropone quadretti figurati, ma la sintassi compositiva più elaborata si ritrova sui due fulcra del letto dalla sinuosa ed elegante forma che termina in un plastico elemento figurato.

La complessa costruzione del letto costituito da un'intelaiatura portante, spesso realizzata in legno pregiato, sulla quale venivano applicate modanature, placchette, plastiche composizioni ottenute singolarmente (a tornio, a intaglio e a tutto tondo) deriva da un artigianato probabilmente consorziato in collegia di cui facevano parte diversi specialisti (p.es. gli eborarii citrarii che eseguivano anche raffinati tavoli dalle zampe di a.). Molti degli elementi decorativi conservano sul retro lettere greche che dovevano servire da guida per il montaggio sulla struttura lignea del letto (esemplari di Aosta e di Corinto ora a Boston); la loro presenza, il ripetersi di un repertorio figurativo e tipologico e uno stile caratteristico dell'Egitto tolemaico (scene con la raffigurazione dell'infanzia di Dioniso tra le Ninfe, di corteggi dionisiaci, di amorini cacciatori o che portano le armi) ripropongono la plausibile origine greca o meglio alessandrina delle maestranze specializzate in questo settore di produzione.

Nell'ambito della variegata produzione di a. e soprattutto di osso nella prima età imperiale, non si deve però escludere l'attività di officine locali dedite alla lavorazione di diversi tipi di oggetti che in maniera più schematica e lineare, a volte anche rozza, ripetevano forme e decorazioni di modelli più raffinati di stampo ancora propriamente ellenistico. Pissidi, tessere, aghi crinali con testine- ritratto all'estremità e cofanetti provengono da officine situate nella Gallia meridionale; rivestimenti di letti dalle torniture tozze e decorate con figure dalle massicce proporzioni (Aielli, valle di Amplerò, Norcia) vanno riferiti a centri di produzione delle zone interne dell'Italia centrale.

Non mancano però opere che riflettono caratteristiche tipicamente romane come gli straordinari rilievi di soggetto storico scoperti a Efeso e riferibili forse alla decorazione di un trono; si possono ricostruire tre scene, con l'imperatore Traiano tra barbari e soldati, scandite da elementi architettonici e alle estremità da due Provincie (l'Arabia da un lato e la Dacia o la Partía dall'altro) che fungono da cariatidi; lo stile, gli elementi decorativi e soprattutto le figure, realizzate in miniatura (20 cm di altezza per una lunghezza di 108 cm c.a), ma con grande vigore e monumentalità, ricordano molto da vicino modelli dell'arte ufficiale e in particolare le imprese di Traiano raffigurate sulla colonna a Roma e sull'arco trionfale a Benevento.

In assenza di puntuali confronti con altri a. pertinenti alla stessa tipologia, è impossibile stabilire il centro di produzione di questa straordinaria testimonianza di impronta propagandistica e celebrativa anche se è stata proposta da alcuni studiosi una manifattura alessandrina.

Produzioni in osso e a. continuano anche nel corso del II e III sec. d.C. (bamboline con acconciature che ricalcano i modelli imposti dalla ritrattistica imperiale, come quelle provenienti dalla tomba di Crepereia Tryphaena a Roma e dalla tomba c.d. della vestale Cossinia a Tivoli; tessere con acclamazioni alle fazioni circensi, agli aurighi e ai cavalli vittoriosi; coltelli con impugnature configurate plasticamente; aghi crinali desinenti alle estremità con ritratti che rappresentano a volte capolavori in miniatura). Ma la grande fortuna dell'a. esplode solo verso la metà del IV sec. d.C: quando in una mutata realtà sociale si impone una ricca classe dirigente profondamente legata alla corte imperiale; l'a. assurge nuovamente al ruolo di segno di potere ostentato pubblicamente dall'imperatore e dagli alti dignitari di corte. Regali doni in a., come i dittici, i cofanetti che diventano un prezioso simbolo di rango riservato a una ristretta élite aristocratica, vengono conferiti in occasione delle nomine consolari o delle nozze. In segno di devozione e di grande prestigio sociale la stessa potente committenza richiede l'uso dell'a. anche per gli oggetti di culto della nuova religione di stato. Un raffinato e classicheggiante manierismo caratterizza i dittici del IV sec. d.C. riferibili a una scuola orientale (Costantinopoli e alcuni centri della Siria) e a una occidentale localizzabile probabilmente a Milano o nell'Italia settentrionale. Va infatti identificata a Brescia l'attività di abili intagliatori di a. come risulta dai numerosi ritrovamenti negli scavi cittadini (pettine con geni e Vittorie che reggono una corona, una placchetta con il sacrificio di Isacco, una figura di amorino).

Ma una fiorente industria dell'a. si può identificare anche in quest'epoca ad Alessandria d'Egitto. Sembrano riferibili a tale scuola cofanetti rettangolari con coperchio troncopiramidale rivestiti di sottili applicazioni di osso o di a. sottolineate da una variegata policromia; gli elementi decorativi e gli schemi iconografici ripropongono sopravvissuti modelli ellenistici tipici del mondò alessandrino come gli amorini, le Afroditi al bagno e infine animali e fiori caratteristici del paesaggio nilotico. Inoltre le scoperte di un cospicuo nucleo di ossi, non rifiniti o a un primitivo stadio di lavorazione, a Kōm ed- Dīk (zona centrale dell'antica Alessandria) contribuiscono ad avvalorare l'ipotesi della continuità della tradizione artigianale alessandrina fino al VI-VII sec. d.C. Di non minore importanza a questo proposito risultano i ritrovamenti di a. di Abu Mena, a una cinquantina di km da Alessandria.

Il rapido excursus sugli a. tardo-antichi non può concludersi senza ricordare la dibattuta questione relativa alle placchette della cattedra di S. Pietro originariamente pertinenti, secondo M. Guarducci, al seggio di Massimiano Erculio. La rassegna delle imprese di Ercole narrate con un stile impressionistico impreziosito dall'aggiunta di lamine d'oro sull'a. dovrebbe celebrare l'imperatore e le sue origini erculee secondo la carismatica simbologia adottata dalla propoganda ufficiale.

Bibl.: In generale: R. D. Barnett, Ancient Ivories in the Middle East, Gerusalemme 1982, p. 68 ss.; R. H. Randall Jr., Masterpieces of Ivory from the Walters Art Gallery, New York 1985; C. Bron, Les ivoires sculptés d'Aven- ches, in BAssProAventico, XXIX, 1985, pp. 27-47. - Per le statuette in Inghilterra ottenute da a. fossile: R. D. Barnett, Ancient Ivories ..., cit., p. 70, tavv. il b, LXVI c. - Per le tessere e le pissidi di produzione alessandrina: E. Alfoldi- Rosenbaum, The Finger Calculus in Antiquity and in the Middle Ages, in Friih- MitAltSt, V, 1971, pp. 1-9; ead., The Muses on Roman Game Counters, in Muse, IX, 1975, p. 13 ss.; ead., Alexandriaca. Studies on Roman Game Counters, in Chiron, VI, 1976, p. 205 ss.; Ch. Holliger, C. Holliger, Römische Spielsteine und Brett Spiele, in JberProVindon, 1983, pp. 5-24; Ε. Alfoldi-Rosenbaum, Characters and Caricatures on Game Counters from Alexandria, in Alessandria e il mondo ellenistico romano. Studi in onore di Achille Adriani (Studi e Materiali dell'Istituto di Archeologia dell'Università di Palermo, V), Roma 1984, pp. 378-390; B. G. Peters, Le travail en os dans les états antiques sur la côte septentrionale de la Mer Noire, Mosca 1986. - Per i letti di a. e di osso del I sec. a.C. -I d.C.: R. V. Nicholls, A Roman Couch in Cambridge, in Archaeologia, CVI, 1979, pp. 1-32; R. Mollo Mezzeria, Augusta Praetoria. Aggiornamento sulle conoscenze archeologiche della città e del suo territorio, in Atti del Congresso sul bimillenario della città di Aosta, Aosta 1975, Bordighera 1982, pp. 264-269; C. Letta, Due letti funerari in osso dal centro italico-romano della valle di Amplero (Abruzzo), in MonAnt, LII, 1984 (s. misc. III, 3), pp. 67-114; E. Talamo, Un letto funerario da una tomba dell'Esquilino, in BullCom, XCII, 1987-88, pp. 17-102; E. Vermeule, Carved Bones from Corinth, in Essays in Ancient Civilisation Presented to H. J. Kantor, Chicago 1989, pp. 271-286. - Per gli a. della Gallia meridionale: J. C. Béal, M. Feugère, Les pyxides gallo-romaines en os de la Gaule méridionale, in DocAMérid, VI, 1983, pp. 115-126; J. C. Béal, Catalogue des objets de tabletterie du Musée de la civilization gallo-romaine de Lyon, Lione 1983; id., Les ateliers gallo-romains dé tabletterie à Lyon et à Vienne, in Latomus, XLII, 1983, pp. 607-618; D. Prost, M. Prost, Le mobilier en os gallo-romain d'Escolives-Sainte-Camille, in RAE, XXXIV, 1983, pp. 263-299; J· C. Béal, Les objets de tabletterie antique du Musée Archéologique de Nîmes (Cahiers des Musées et Monuments de Nîmes, 2), Nîmes 1984, p. 19 ss. - Per gli a. con soggetto storico da Efeso: M. Dawid, Die Elfenbeinfriese von Ephesos, in Πρακτικα του XII Διεθνους συνεδρίου κλασικης Αρχαιολογιας, Αυηναι 1983, II, Atene 1988, pp. 233-236, tav. XLIV. - Per le bambole rinvenute in sepolture di età imperiale: Crepereia Tryphaena. Le scoperte archeologiche nell'area del palazzo di Giustizia (cat.), Venezia 1983; G. Bordenache Battaglia, Corredi funerari di età imperiale e barbarica nel Museo Nazionale Romano, Roma 1983, p. 133 ss. - Per gli a. tardo-antichi: K. Weitzmann, Catalogue of the Byzantine and Early Medieval Antiquities in the Dumbarton Oaks Collection, 3. Ivories and Steatites, Washington 1972. - Per i ritrovamenti di Brescia: Milano capitale dell'Impero romano 286-402 d.C. (cat.), Milano 1990, p. 338 ss. - Per i cofanetti di produzione alessandrina: M. Bystrikova, Koptskie kostjanye plastinki IV-V vekov («Placche d'avorio copte del IV-V secolo»), in SoobErmit, XXI, 1961, pp. 36-38; ead., Koptskie kostjanye plastinki so scenami nil'skogo pejzaža («Placche d'avorio copte con scene di paesaggio nilotico»), ibid., XXXVI, 1973, pp. 52-54; Α. Loberdou, A. Tsigarida, Οστεινα πλακίιδια. Διακοσμηση ξυλινων κιβωτιδιων απο τη χριστιανικη Αιγυπτο (diss.), Salonicco 1986; Μ. Albertoni, in BullCom, XCIV, 1990, I (in stampa). - Per i ritrovamenti di Kōm ed-Dīk: E. Rodziewicz, Bone Carvings Discovered at Kom el-Dikka, Alexandria in 1967, in EtTrav, III, 1969, pp. 147-152; ead., Bone Carvings from Kom el-Dikka in Alexandria, in Acta Conventus XI 'Eirene', Breslavia 1971, pp. 493-497. - Per gli a. di Abu Mena: J. Engemann, Elfenbeinfunde aus Abu Mena, Ägypten, YsxJbAChr, XXX, 1987, pp. 172-186. - Per gli a. della cattedra di S. Pietro: M. Guarducci, Gli avori erculei della Cattedra di S. Pietro, in MemAccLinc, XVI, 1971, pp. 263-350; ead., Gli avori erculei della Cattedra di S. Pietro. Elementi nuovi, in MemAccLinc, XXI, 1977, pp. 117-251; ead., La cattedra di S. Pietro nella scienza e nella fede, Roma 1982.

(E. Talamo)

India. - La scarsità di a. rinvenuti nel subcontinente indiano non deve trarre in inganno sull'importanza di questo materiale nell'India antica, non solo come preziosa merce destinata all'esportazione verso il Medio Oriente e il bacino del Mediterraneo, ma anche come materia prima di una fiorente tradizione artigianale. Gli eccezionali rinvenimenti di a. e osso a Begrām in Afghanistan (v. vol. II, p. 34) ci illustrano l'alto livello raggiunto dagli artigiani dell'a. indiani, la cui produzione, ricordata nella letteratura sanscrita, è andata in massima parte perduta, per la intrinseca fragilità e deperibilità del materiale. Gli a. di Begrām, inoltre, hanno permesso di verificare l'influsso dell'arte dell'a. sulla prima scultura indiana in pietra, ipotizzata sia sulla base dell'impostazione tecnico-stilistica delle figure, sia per la testimonianza diretta fornita dallo stūpa I di Sāñcī dove un'iscrizione attribuisce all'opera degli artigiani dell'a. (damdakāra) di Vidisā l'esecuzione dei pannelli dello stipite sinistro del portale meridionale (inizi I sec. d.C.). Negli a. di Begrām si riconoscono diversi gruppi, distinti per le tendenze stilistiche e le tecniche di lavorazione, che vanno dall'incisione all'intaglio a rilievo; numerosi frammenti inoltre conservano tracce di colore. Mentre Ph. Stern (1954) riportava la produzione genericamente alla scuola di Mathurā, collocandola tra la fine del I e la seconda metà del II sec. d.C., B. Rowland (1966) suggeriva confronti tra i diversi gruppi di a. di Begrām e le scuole a noi note della scultura indiana, da quelli più antichi che ricordano i portali dello stūpa I di Sāñcī, a quelli confrontabili con le yakṣī di età kuṣāṇa (fine I - prima metà del II sec. d.C.) da Mathurā e con le coppie (mithuna) di Kārlī (c.a 120 d.C.), fino ai più tardi, che mostrano elementi comuni con le sculture della fase mediana (fine II sec. d.C.) o tarda (III sec. d.C.) di Amarāvatl. Un successivo studio di J. L. Davidson (1972) poneva in risalto soprattutto le affinità con la scultura dello stūpa 1 di Sāñcī, datando entrambe le produzioni alla metà del I sec. a.C. Indipendentemente dalla questione della datazione di Sāñcī (ν. indiana, arte), la connessione tra alcuni degli a. di Begrām e l'arte del periodo sātavāhana è certa.

Tra i pochi siti archeologici indiani che abbiano restituito oggetti in a. di una certa importanza artistica sono Ter e Bhokardan, entrambi nel Maharashtra: Bhokardan, in particolare, per la presenza di oggetti d'a. finiti e non finiti, assieme a pezzi d'a. non lavorato, rappresenta verisímilmente un centro di lavorazione dell'avorio. La notevole affinità tra un frammento di statuetta femminile rinvenuto a Bhokardan e l'analoga nota statuetta da Via dell'Abbondanza a Pompei suggerisce un'origine comune in uno stesso centro di produzione, che possiamo localizzare a Bhokardan o, comunque, nel Maharashtra; di contro, il rinvenimento a Pompei individua un prezioso terminus ante quem nell'anno 79 d.C., che precisa il dato stratigrafico del sito indiano.

Un attento esame delle statuette di Pompei e Ter (di quella di Bhokardan si conserva purtroppo solo un frammento), considerate in passato manici di specchi, ha permesso di accertarne invece la funzione di supporti per piccolo tavolo o sgabello.

Un certo interesse desta inoltre la produzione di piccoli oggetti d'a. d'uso quotidiano attestata nella gran parte dei siti di età storica del subcontinente: articoli domestici (manici di coltelli, stili per scrivere, fuseruole, elementi per mobilio), articoli da toeletta (pettini, nettaorecchie, bastoncini per antimonio), ornamenti (spilloni per capelli, braccialetti, orecchini, pendenti, amuleti) e giochi (dadi, astragali, gettoni). Molti di questi oggetti sono stati rinvenuti - a Taxila - solo nell'abitato di epoca saka e partica di Sirkap e non in quello pre-alessandrino di Bhir Mound, e rappresentano secondo Marshall un influsso della cultura materiale del mondo greco e vicino- orientale.

Bibl.: J. Marshall, Bone and Ivory Objects, in Taxila, II, Cambridge 1951, pp. 650-666; Ph. Stern, Les ivoires et os découverts à Begram. Leur place dans l'évolution de l'art de l'Inde, in J. Hackin, Nouvelles recherches archéologiques à Begram (ancienne Kapiçi) (1939-40) (MDAFA, XI), Parigi 1954, pp. 17-54; Moti Chandra, Ancient Indian Ivories, in Bulletin of the Prince of Wales Museum of Western India, VI, 1957-1959, p. I ss.; D. Barrett, Ter (The Heritage of Indian Art, 5), Bombay 1960; id., A Note on Ivories and a Review of the Bulletin of the Prince of Wales Museum of Western India, No. 6 (1957-1959'), in Lalit Kala, X, 1961, pp. 56-58; B. Rowland, Ancient Art from Afghanistan, New York 1966, pp. 12-15; J. L. Davidson, Begram Ivories and Early Indian Sculptures. A Reconsideration of Dates, in P. Pal (ed.), Aspects of Indian Art, Leida 1972, pp. 1-14; S. B. Deo, R. S. Gupte (ed.), Excavations at Bhokardan (Bhogavardhana) 1973, Nagpur-Aurangabad 1974; V. P. Dvivedi, Indian Ivories, Nuova Delhi 1976; G. A. Pugachenkova, Les trésors de Dalverzine Tepe, Leningrado 1978, pp. 87-89; E.C.L. During Caspers, The Indian Ivory Figurine from Pompeii - A Reconsideration of Its Functional Use, in H. Härtel (ed.), SAA 1979, Berlino 1981, pp. 341-353; M. T. Birö, The Indian Ivory Comb from Gorsium, in ActaArchHung, XXXVII, 1985, 3-4, pp. 419-430; S. Mehendale, The Ivory Statuette from Bhokardan and It's Connection to the Ivory Statuettes from Pompeii and Ter, in A. J. Gail (ed.), SAA 1991, Berlino (in stampa); M. Taddei, The Indian Ivory Statuette from Pompeii, in Conferenze dell'Istituto Italiano di Cultura, Nuova Delhi (in stampa).

(P. Callieri)