Avorio

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Forma differenziata della dentina (➔ dente), che costituisce le zanne degli elefanti o quelle di tricheco e d’ippopotamo o anche di mammut e mastodonte ( a. fossile). È costituito per 57-60% da sostanze minerali, principalmente fosfato tricalcico, e per 43-40% da sostanza organica. Ha densità di circa 1,92 g/cm3 e durezza tra 2 e 2,5. È facilmente lavorabile e può assumere ottima pulitura e lucentezza.

Nel 1989 il commercio internazionale dell’a., che era impiegato principalmente per palle da biliardo, data la sua elasticità, e anche per pettini, tasti di pianoforte, pezzi per intarsio e oggetti scolpiti, è stato vietato. Commercialmente era importante solo l’a. proveniente dalle zanne del maschio e della femmina dell’elefante africano e da quelle del maschio dell’elefante indiano. La qualità più pregiata proveniva dalla Thailandia.

Nei manufatti artistici l’a. appare impiegato nelle più svariate tipologie di opere: rilievi o sculture, suppellettili sacre, oggetti d’uso. Oltre all’a. elefantino e a quello di tricheco, per lo stesso tipo di impiego si utilizzano anche il corno e l’osso, più facilmente reperibili e di minor costo. Le tecniche di lavorazione più usuali sono l’intaglio e il traforo. Per la sua preziosità in genere l’a. era destinato alla creazione di doni importanti o di oggetti emblematici del potere religioso o politico (troni imperiali, cattedre episcopali, bastoni di comando). Per sculture o oggetti tridimensionali l’a. era utilizzato pieno; poteva essere altrimenti usato in lamine applicate su un supporto di altro materiale. Oggetti generalmente di limitate dimensioni, gli a. sono stati un veicolo di diffusione di motivi iconografici e stilistici tra aree geografiche e culturali diverse.

Nel Paleolitico superiore si utilizzò l’a. delle zanne di elefante per scolpire a tutto tondo statuine femminili (le note Veneri) e nella preistoria egiziana troviamo l’arte eburnea con caratteri simili a quella attuale. Importante è la lavorazione dell’a. presso gli Ittiti e i Fenici, che commerciavano i prodotti in Etruria, Sardegna e Spagna. Nel Lazio e nell’Etruria oltre gli a. di arte egittizzante-fenicia sono noti, intorno ai sec. 7° e 6°, alcuni oggetti che per la loro tecnica di lavorazione lasciano supporre l’esistenza di un’industria eburnea indigena. In Grecia, per il periodo geometrico, i documenti sono scarsi. Nel 6° sec. a.C. cominciò la tecnica crisoelefantina (a. e oro) con la quale si crearono molti simulacri di culto del periodo classico. L’ellenismo sfruttò molto l’a., ma scarsi sono i documenti. I Romani l’adoperarono per insegne consolari, incrostazione e decorazione di mobili, per utensili, statuette e dittici. Prevalente importanza come centri di produzione ebbero le città dell’Impero d’Oriente.

Alla notevole produzione di a. nei sec. 5° e 6° (lipsanoteca, Brescia, Museo Civico di S. Giulia; cattedra di Massimiano, Ravenna, cattedrale; Dittico Trivulzio, Milano, Castello Sforzesco) seguono la straordinaria vitalità e continuità della tradizione bizantina (cofanetto di Veroli, sec. 10°-11°, Londra, Victoria and Albert Museum; trittico Harbaville, sec. 11°, Louvre). Una notevole ripresa si ha nel periodo carolingio-ottoniano (legatura del Salterio di Dagulfo, sec. 8°, Louvre; situla di Gotofredo, sec. 9°, Milano, duomo); con il romanico (paliotto, sec. 11°, Salerno, cattedrale) e soprattutto il gotico, si moltiplicano i centri di produzione e le tipologie di oggetti, da gruppi scultorei o statue, ricavate in un’unica zanna (Incoronazione della Vergine in a. dipinto, Louvre; Madonna, Giovanni Pisano, Pisa, cattedrale), a specchi, pettini, medaglioni, pedine da scacchi. In Italia furono particolarmente attive le botteghe degli Embriachi (sec. 14°-15°). Successivamente la lavorazione dell’a. ebbe rilievo secondario, pur sviluppando eccezionali virtuosismi nel 17° e 18° sec. soprattutto nei centri della Baviera e a Norimberga.

Nell’arte islamica l’a. ebbe larga diffusione come materiale da intarsio; in Giappone, nei sec. 17° e 18°, la lavorazione dell’a. raggiunse grande livello artistico; tipici furono gli inro (scatole da medicina) e i netsuke (fermagli).

A. vegetale Sostanza simile all’avorio per colore e consistenza, ricavata dai semi (albume) di varie palme (Corozo, Palma dum, noci di Tahiti, noci di Palmira) della zona tropicale. È usata specialmente per bottoni (bottoni di frutto). La sua durezza è dovuta alle grosse membrane cellulari dell’albume, costituite in prevalenza da emicellulose.

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