ASTROFISICA

Enciclopedia Italiana (1930)

ASTROFISICA

Giorgio Abetti

. L'astrofisica costituisce quel ramo dell'astronomia che tratta delle caratteristiche fisiche dei corpi celesti; della loro luminosità e particolarità spettroscopiche, della loro temperatura e radiazione, della natura e condizione della loro atmosfera, superficie e interno, e di tutti quei fenomeni che dipendono dalle loro condizioni fisiche. L'astrofisica è il ramo più recente ma anche il più attivo delle discipline astronomiche, ed è prevedibile che assumerà ancora maggiore sviluppo, ma non si deve dimenticare che è difficile dividere gli argomenti che più propriamente vanno classificati nell'astrofisica, da quelli che appartengono agli altri campi dell'astronomia. Con una sola eccezione i fenomeni celesti si manifestano sulla Terra per mezzo di raggi luminosi, e proprio questa eccezione ci offre il caso più chiaro e più semplice della linea di divisione che si può tracciare fra l'astrofisica e gli altri rami dell'astronomia.

Una meteora che s'illumina nel cielo e percorre la sua orbita incendiandosi nell'atmosfera, può cadere sulla superficie terrestre. Dall'osservazione del corso della meteora si può calcolare, con i metodi che offre l'astronomia, con quale orbita essa sia entrata nella sfera di attrazione della Terra, cioè se, percorrendo un'orbita ellittica, abbia appartenuto già da tempo al sistema solare, o se, percorrendo un'orbita aperta, provenga da altri sistemi. Nel campo dell'astrofisica invece, se si riesce ad osservare o fotografare con lo spettroscopio lo spettro della meteora, si potranno determinare gli elementi che la costituiscono e in quale stato fisico si trovino durante lo svolgersi del fenomeno, o, infine, se si potrà anche fare l'analisi chimica degli eventuali suoi resti caduti sulla Terra, verrà direttamente stabilita la quantità della materia di cui è composta. In tutti gli altri casi la luce è il tramite che unisce la Terra agli astri ed è chiaro che si sia cercato di sfruttare tutti i mezzi che la fisica può offrire per studiarne le varie proprietà.

In un raggio luminoso possiamo considerare: a) la direzione del raggio stesso; b) la lunghezza d'onda delle vibrazioni luminose; c) l'amplitudine delle onde. Tutto ciò che sta in relazione con la direzione del raggio fa parte degli altri rami dell'astronomia, così che l'astrofisica si riferisce alle altre due proprietà. La parte che tratta delle lunghezze d'onda si chiama analisi spettrale, perché per mezzo degli spettri si analizzano e separano le radiazioni delle varie lunghezze d'onda che costituiscono il raggio luminoso in esame. Lo studio dell'amplitudine delle onde costituisce la fotometria, cioè la misura delle intensità delle radiazioni luminose. Infine un altro compito importante dell'astrofisica è costituito dallo studio dell'energia raggiante, specialmente del Sole, ma in tempi recenti misurata anche per le stelle e i pianeti.

La fotografia col suo rapido progresso ha offerto un aiuto indispensabile allo studio del cielo in tutti i rami dell'astronomia, ed in particolare per l'astrofisica ha assunto capitale importanza.

Anche nei risultati delle osservazioni è difficile stabilire una linea netta di divisione fra l'astrofisica e gli altri rami dell'astronomia. Così, per esempio, mentre, come si è detto, l'osservazione spettroscopica dei corpi celesti entra nel campo dell'astrofisica, se i risultati a cui si arriva vertono sul loro movimento, essi escono già dal campo dell'astrofisica propriamente detta. Tale è il caso della determinazione della velocità delle stelle lungo la visuale, che si fa per via spettroscopica. La determinazione del moto nel piano perpendicolare alla visuale si basa invece su misure con i cerchi meridiani o su misure di fotografie celesti che rientrano nel campo dell'astronomia di posizione. Le une e le altre determinazioni portano insieme alla conoscenza del moto nello spazio, rispetto al sistema solare, degli astri studiati e quindi alla risoluzione di un problema puramente astronomico. Così, mentre con misure di astronomia di posizione si può determinare il movimento apparente di una macchia sulla superficie del Sole, invece la ricerca dell'origine di questo movimento, che non dipende dalle leggi di gravità, appartiene al campo dell'astrofisica. La determinazione della parallasse annua, ossia della distanza delle stelle dal sistema solare, è un altro argomento per il quale le ricerche eseguite con i metodi dell'astronomia di posizione, e quelle per mezzo dei metodi astrofisici, si collegano e si completano a vicenda.

Con i primi si tratta di determinare, per mezzo dei cerchi meridiani o dei cannocchiali fotografici, lo spostamento annuo relativo delle stelle più vicine rispetto a quelle più lontane dovuto alla rivoluzione della Terra intorno al Sole, da cui si deduce appunto la parallasse annua della stella e quindi la sua distanza dal sistema solare; con i metodi astrofisici invece si determina, per mezzo dello spettro di una stella, la sua grandezza assoluta, cioè la sua luminosità intrinseca. Paragonando la grandezza assoluta, che è la grandezza che verrebbero ad assumere le stelle portate tutte ad una stessa distanza, con quella apparente, cioè con quella che veramente si osserva per quell'astro, si ottiene subito la distanza.

I legami che corrono fra l'astronomia e la fisica sono andati sempre crescendo con lo sviluppo delle due scienze, e i progressi dell'una aiutano e favoriscono quelli dell'altra. Dal giorno in cui Galileo pensò di rivolgere al cielo il cannocchiale da lui inventato, si ebbe la possibilità di studiare fisicamente la superficie dei pianeti; e dal giorno che, nata la spettroscopia, questa venne applicata allo studio degli astri, si ebbe la possibilità di studiare la costituzione fisica dell'universo. A questi due mezzi d'indagine fondamentali si aggiunsero a poco a poco tutte le numerose, e sempre maggiori risorse della fisica con l'applicazione dei suoi metodi e mezzi di ricerca. Un numero relativamente grande di apparecchi usato finora dai fisici, è stato adottato con successo dagli astronomi, e d'altra parte i risultati delle ricerche celesti hanno portato luce sui fenomeni che si osservano nei laboratorî. Lo sforzo sempre più intenso questa combinazione degli studî astronomici e fisici, e in parte anche chimici, e si può affermare che alle conquiste finora ottenute altre se ne aggiungeranno in un non lontano avvenire.

Appunto con Galileo e le sue prime scoperte celesti si può considerare che abbia inizio l'astrofisica, limitata allora allo studio delle apparenze fisiche del Sole e dei suoi pianeti. Nel Sidereus Nuncius, edito nel 1610, egli dà infatti l'annunzio della scoperta dei moti della Luna, delle particolarità presentate da Venere, Giove, Saturno, e delle macchie del Sole, che osservò poi sistematicamente (E. Millosevich, Osservazioni storico-critiche sulla scoperta delle macchie solari ecc., in Rend. Acc. Lincei, 6 maggio 1894, p. 428). J. Fabricius le scopriva pure indipendentemente, e nel 1611 pubblicava l'opuscolo De maculis in sole observatis etc. Dal 1611 le studiò con assiduità il padre Scheiner, che raccolse gran numero di osservazioni nella sua Rosa Ursina. Galileo, pubblicando i suoi risultati nel 1612, nel suo discorso al granduca Cosimo II "intorno alle cose che stanno in sull'acqua", così spiega le apparenze osservate sul Sole: "Ànnomi finalmente le continuate osservazioni accertato, tali macchie essere materie contigue alla superficie del corpo solare, e quivi continuamente prodursene molte, e poi dissolversi, altre in più brevi ed altre in più lunghi tempi, ed essere dalla conversione del sole in sé stesso, che in un mese lunare in circa finisce il suo periodo, portate in giro; accidente per sé grandissimo, e maggiore per le sue conseguenze".

Da allora continuano, si può dire senza interruzioni, le osservazioni del Sole con strumenti di sempre maggiore potenza, ma pochi progressi vennero fatti fino a che A. Wilson di Glasgow metteva in luce, nel 1774, che le macchie devono essere delle cavità sulla superficie luminosa o fotosfera del Sole. Era stato già notato da precedenti osservatori che la forma delle macchie in generale cambia quando esse per causa della rotazione del Sole si spostano dal bordo est al bordo ovest; ma spetta a Wilson il merito di aver messo in evidenza che ciò è dovuto all'effetto di prospettiva, nell'ipotesi che il nucleo della macchia sia a un livello medio inferiore di quello della fotosfera. Con rinnovato interesse si seguirono gli studî solari, con le ricerche teoriche degli Herschel e con le osservazioni di Schwabe di Dessau, il quale, nel 1843, poté dare il primo annuncio di un probabile periodo decennale nella frequenza delle macchie. Dapprima la sua scoperta non ottenne generale attenzione, ma più tardi, con l'evidenza del nuovo materiale, essa venne confermata e da tutti riconosciuta.

Frattanto una ricerca di carattere completamente diverso e condotta con metodi differenti arrivava a simili conclusioni. Humboldt, nel congresso scientifico di Berlino del 1828, aveva dato il primo impulso alle ricerche sul magnetismo terrestre con collaborazione internazionale, e a Gottinga, sotto la direzione di Gauss, veniva nel 1833 fondato il primo osservatorio magnetico. Nel 1851 Lamont, direttore dell'osservatorio di Monaco, dalle osservazioni magnetiche eseguite a Gottinga e a Monaco dal 1835 al 1850, ricavava una variazione periodica del magnetismo terrestre. Precisamente, sulla variazione diurna dell'inclinazione dell'ago magnetico era sovrapposta un'altra variazione di durata molto più lunga di poco superiore a 10 anni. Pochi mesi dopo l'annuncio di questa scoperta, sir Edward Sabine, senza conoscere le conclusioni di Lamont, intraprese una simile ricerca su osservazioni magnetiche eseguite nel Canada, prendendo a considerare le perturbazioni del magnetismo, o, come si chiamano, le "tempeste magnetiche", trovando che esse raggiungono un massimo di violenza e di frequenza ogni 10 anni. Sabine fu anche il primo a notare la coincidenza di questo periodo del magnetismo terrestre con quello delle macchie solari di Schwabe.

R. Wolf a Berna nel 1852, facendo la statistica delle osservazioni delle macchie solari dal tempo della loro scoperta fino ai suoi giorni, concludeva per una più precisa durata del ciclo di attività solare (anni 11, 11) con una variazione analoga a quella della curva di luce di certe stelle variabili, cioè con un'ascesa dal minimo al massimo più rapida della discesa dal massimo al minimo.

La scoperta di queste relazioni fra le manifestazioni dell'attività solare e il magnetismo terrestre facevano sperare nella possibilità di trovarne altre con le condizioni climatiche della Terra. Sir William Herschel fece il primo tentativo in questo senso, cercando di collegare il periodo dell'attività solare con i periodi di maggiore o minore produzione del grano, ma i suoi risultati, che parevano in qualche modo provare le dette relazioni, non sono stati poi confermati dai numerosi successivi investigatori. Nemmeno in tempi recenti si sono fatti progressi notevoli in questo argomento, benché si abbia ragione di credere che la variabile attività, e quindi radiazione del Sole, abbia influenza sulle condizioni metereologiche terrestri, e si facciano promettenti tentativi, come diremo, per stabilirne la dipendenza.

Fra i fenomeni solari osservati fino dall'antichità vi è quello della corona visibile durante i brevi momenti delle eclissi totali. Già Keplero aveva previsto la sua probabile natura di materia appartenente al Sole, ma fu solamente nell'eclissi del sec. XVIII che il fenomeno venne meglio osservato e chiarito, così come quello delle protuberanze di cui pur si trova menzione nelle cronache antiche.

Sempre nel campo della fisica solare, alle scoperte suddette seguono, verso il 1860, quelle di Carrington e Spörer, della accelerazione equatoriale del Sole dedotta dal movimento delle macchie a diverse latitudini, dello spostamento in latitudine delle macchie nel corso del ciclo e la determinazione della posizione dell'asse solare rispetto all'eclittica.

Già nelle prime determinazioni della rotazione solare eseguite da parecchi osservatori si notarono forti discordanze, e già il padre Scheiner, nel 1630, metteva in evidenza che a differenti macchie corrispondono differenti periodi, aggiungendo altresì che macchie più distanti dall'equatore solare si muovono più lentamente di quelle più vicine. Ma per più di due secoli la scoperta dello Scheiner non venne posta in miglior evidenza fino a che, nel 1855, C. H. F. Peters, in seguito a osservazioni eseguite all'Osservatorio di Capodimonte (Napoli), metteva in luce come le macchie siano animate da moti proprî irregolari, tanto per ammontare, quanto per direzione, bastanti a dare le accennate discrepanze nei periodi di rotazione dedotti dalla osservazione di macchie diverse. Carrington in Inghilterra e, indipendentemente da lui, Sporer in Germania scoprivano che il Sole, o almeno il suo inviluppo esterno a noi visibile, non ha un solo periodo di rotazione, cioè non ruota come un corpo rigido, ma con velocità sempre maggiori, andando dai poli verso l'equatore. In altre parole il tempo di rivoluzione attorno al suo asse è minimo all'equatore e cresce al crescere della latitudine. Carrington dava anche una formula empirica, che esprime l'andamento di questo fenomeno, noto col nome di accelerazione equatoriale, che fu poi trovata valida non solo per le macchie, ma anche per gli altri fenomeni solari e per i diversi strati visibili, benché con differente andamento.

Intanto la tecnica fotografica si sviluppava e progrediva rapidamente, e, sempre verso la metà del sec. XIX, Warren De la Rue in Inghilterra, Draper e Bond negli Stati Uniti ottenevano le prime fotografie celesti, e da allora si preparava, insieme con l'applicazione dell'analisi spettrale allo studio del cielo, una nuova era d'importanti e numerosi progressi per l'astrofisica. L'uso del prisma nell'analisi delle fiamme per parte di parecchi investigatori e la scoperta delle righe oscure nello spettro del Sole preparavano a Kirchhoff e a Bunsen la via per stabilire il principio generale della corrispondenza fra determinate radiazioni e determinate sostanze.

Wollaston nel 1802, sostituendo al foro circolare usato da Newton e dai suoi successori per l'ammissione della luce da esaminarsi su di un prisma, una fessura stretta ed allungata, osservava lo spettro solare solcato da sette righe nere. Egli pensò che queste designassero i limiti deî varî colori, ma spettava a Fraunhofer, il celebre ottico di Monaco, di scoprire, nel 1815, per mezzo di una fessura e di un telescopio munito di prisma, che lo spettro solare è solcato da migliaia di righe. In seguito egli applicava anche i metodi di diffrazione allo studio degli spettri, stabilendo così la base della moderna spettroscopia.

Fraunhofer esaminò inoltre gli spettri di altri corpi celesti, trovando, per i corpi del sistema solare, lo stesso spettro che egli aveva osservato per il Sole. Gli spettri di Sirio e di Castore erano invece solcati soltanto da tre righe larghe ed oscure, due nel blu e una nel verde, e lo spettro di Polluce d'altra parte rassomigliava invece completamente a quello solare. Simile a questo egli trovò anche gli spettri di Capella, Betelgeuse e Procione. Specialmente una riga solare, indicata da Fraunhofer con la lettera D, era notevole negli spettri delle ultime quattro stelle citate, e la sua posizione coincideva con una radiazione gialla facilmente ottenibile in laboratorio, e che fu poi identificata con la luce del vapore incandescente del sodio. Sulla corrispondenza di queste radiazioni è basata l'analisi spettrale e la parte principale dell'astrofisica, ma soltanto circa quaranta anni dopo la scoperta di Fraunhofer poteva venire spiegato il significato fisico delle righe, quando alcuni sperimentatori, fra gli altri sir John Herschel, cominciarono a stabilire le corrispondenze fra le righe oscure di assorbimento e quelle lucide di emissione. Toccava a Kirchhoff, nel 1859, di studiare a fondo la questione e di stabilire la sua ben nota legge generale: che il rapporto fra i poteri di emissione e quelli di assorbimento per raggi della stessa lunghezza d'onda è costante per tutte le sostanze alla stessa temperatura. Le stesse caratteristiche che si ottengono con gli spettri di emissione delle varie sostanze in laboratorio, si riscontrano quindi negli spettri celesti, che in gran parte sono di assorbimento. In questi ultimi le righe sono oscure soltanto per contrasto, perché infatti, se venissero idealmente tolti gli strati inferiori degli astri, quelli che formano la cosiddetta fotosfera, e rimanesse soltanto lo strato superiore conosciuto col nome di strato invertente o cromosfera, in cui appunto avviene il processo di emissione o di assorbimento, si vedrebbe uno spettro discontinuo formato da righe lucide. Ciò si effettua nelle eclissi totali del Sole, quando il disco lunare copre completamente la fotosfera, lasciando visibile la cromosfera.

Mentre le basi dell'analisi spettrale sono dovute ugualmente a Kirchhoff e a Bunsen, la sua applicazione allo studio dei corpi celesti, e specialmente del Sole, è dovuta al primo, che, nel 1861, disegnava una mappa dello spettro solare e la stampava in tre tinte per poter riprodurre la varia intensità delle righe oscure. Con la scoperta di Kirchhoff si può far coincidere il principio dell'astrofisica moderna, o fisica cosmica, la cui importanza per il movimento scientifico si può bene apprezzare quando si pensi che questa scienza porta all'accertamento, per mezzo dell'osservazione, della costituzione fisica e chimica dei corpi celesti e della loro evoluzione. Insieme con l'astronomia propriamente detta, l'astrofisica porta alla conoscenza della struttura dell'universo, rivelando, in modo sempre più chiaro e convincente, quella unità della materia e quell'ordinamento supremo del Creato che è stato e sarà sempre oggetto di ammirazione e venerazione da parte dell'umanità.

L'analisi spettrale, dopo le scoperte di Kirchhoff, venne largamente applicata allo studio del cielo, specialmente per opera del padre Secchi a Roma, di Rutherfurd a New York e Huggins a Londra, che, verso il 1863, intraprendevano contemporaneamente lo studio degli spettri stellari. La differenza dei colori dei varî astri doveva essere conseguenza di una differenza dei loro spettri, e una ricerca sistematica eseguita dal Secchi su molte centinaia di stelle lo condusse a enunciare la sua famosa classificazione degli spettri stellari in quattro tipi, che ha servito di base a tutte le altre più elaborate e che già dava un'idea della storia dell'evoluzione stellare. I progressi dell'astrofisica e gli studî dei suoi cultori si moltiplicano da questo momento rapidamente. Nel campo della fisica solare Huggins, Zöllner, Young, Respighi e Secchi si occupano dello studio della cromosfera solare e delle sue varie apparenze.

Dopo la scoperta del Janssen e del Lockyer nell'eclissi totale di Sole del 1868, per la quale venne resa possibile l'osservazione delle protuberanze, cioè delle eruzioni d'idrogeno visibili all'orlo del Sole anche in piena luce solare, Respighi e Secchi, seguiti poi da Tacchini, cominciarono quella serie regolare di osservazioni delle protuberanze che tuttora continua, con organizzazione internazionale, come per le macchie e gli altri fenomeni solari. Secchi e Tacchini fondavano nel 1871 la Società degli Spettroscopisti Italiani, la quale da quell'anno cominciò a pubblicare le sue memorie, che costituirono il primo giornale di astrofisica, seguito nel 1895 dall'Astrophysical Journal, rivista internazionale di spettroscopia e astronomia fisica, fondata da G. E. Hale.

Già nel 1821 Fraunhofer costruiva i primi reticoli di diffrazione, consistenti in un filo d'argento avvolto attorno a una cornice d'ottone. Più tardi li perfezionava, incidendo tante righe parallele ed equidistanti su lastre di vetro, e faceva le prime misure assolute di lunghezza d'onda.

Nel 1868 il fisico svedese Angström misurava e disegnava con grande precisione una mappa dello spettro normale del Sole, dopo avere scoperto l'esistenza dell'idrogeno nell'atmosfera solare e avere stabilito numerose altre coincidenze di righe fra lo spettro del Sole e quelli terrestri. La tecnica delle costruzioni dei reticoli avanzava intanto rapidamente, dopo che Rutherfurd aveva ottenuto dei reticoli a riflessione, prima su vetro argentato, poi su di una superficie metallica speculare, che è più facile a dividersi, perché è più tenera del vetro e consuma meno il diamante che incide le righe. Rowland nel 1881, comprendendo che il segreto di un buon reticolo era quello di usare una vite perfetta per il tracciamento delle righe, poté costruire una macchina che aveva questo requisito e poté rigare i suoi famosi reticoli su superfici piane e concave di un metallo detto speculum, che è una lega di rame e stagno, con aggiunta di un po' di arsenico o d. altri metalli, per accrescerne la bianchezza, portando così notevolissimi progressi nella spettroscopia. I reticoli costruiti da Rowland portano generalmente da 20.000 a 10.000 righe al pollice, cioè da circa 800 a 400 righe al millimetro.

Huggins e Vogel furono i primi ad ottenere risultati positivi nella misura delle velocità radiali delle stelle con l'osservazione degli spostamenti delle righe spettrali dovuti all'effetto Doppler; e il secondo faceva anche le prime misure della rotazione solare, misurando gli spostamenti delle righe dello spettro del Sole ai lembi est ed ovest. Rutherfurd e Draper ottenevano fotografie di spettri stellari con la possibilità così di estendere le ricerche alle regioni dello spettro invisibile e alla misura e identificazione di righe spettrali molto più numerose di quanto prima si potesse fare visualmente.

Con l'introduzione su larga scala della fotografia nello studio del cielo si entra nello sviluppo più moderno delle ricerche astrofisiche. La costruzione di obiettivi fotografici molto luminosi e con distanze focali molto diverse, di spettrografi molto perfetti, a prismi per le stelle, a reticolo per il Sole, allargò ancora il campo di ricerca e la precisione delle osservazioni con risultati specialmente importanti circa i problemi dei moti delle stelle (sia singolarmente considerate, sia come sciami o correnti animate dalla stessa velocità in una stessa direzione), delle parallassi, della classificazione degli spettri stellari e delle radiazioni monocromatiche del Sole.

Appunto nell'intento di usare la fotografia per l'osservazione delle protuberanze solari, Hale riusciva a costruire uno strumento chiamato spettroeliografo, col quale è possibile studiare la superficie del Sole nella luce di una sola riga dello spettro. Il principio dello spettroeliografo era stato prima enunciato da Janssen e dal Braun, ma i primi tentativi della pratica costruzione di un tale strumento sono di G.E. Hale nel 1889. Questi, eseguiti i primi esperimenti nell'Osservatorio Harvard con un telescopio orizzontale, li continuò poi con un rifrattore di 12 pollici nell'Osservatorio Kenwood a Chicago, fino a che nella primavera del 1891, dopo avere osservato che le righe H e K del calcio erano le più adatte per fotografare le protuberanze su lastre comuni, otteneva le prime fotografie con uno spettroeliografo rudimentale. Perfezionato lo strumento, nel gennaio del 1892 Hale poteva eseguire la prima fotografia del disco solare con le righe H e K del calcio mostranti le aree luminose in corrispondenza delle inversioni delle righe stesse e le protuberanze al bordo (cfr. le sue pubblicazioni su questo argomento nel periodico Astronomy and Astrophysics del 1892 e del 1893).

Altri investigatori, come Evershed e Deslandres, costruivano poco dopo e usavano tipi di spettroeliografi poco dissimili da quello di Hale, e specialmente Deslandres, prima a Parigi e poi a Meudon, dava anche grande impulso alle ricerche di fisica solare, rilevando i varî strati dell'atmosfera solare separabili appunto con lo spettroeliografo (cfr. le sue pubblicazioni nei Comptes Rendus del 1892-93 e nel Bulletin Astronomique del 1905).

Si viene così all'epoca dei grandi strumenti che hanno permesso di sondare maggiori profondità dell'universo. Fra questi è da annoverare all'Osservatorio Yerkes, fondato da Hale e annesso all'università di Chicago, il grande rifrattore con l'obiettivo di un metro di apertura e la distanza focale di circa 20 metri, costruito da Alvan G. Clark (1897). A questo strumento si può adattare o il micrometro per osservazioni visuali, o la camera fotografica, o lo spettrografo, o lo spettroeliografo. Con quest'ultimo si ottengono immagini monocromatiche del Sole nella luce di calcio o d'idrogeno, di 18 cm. di diametro, che hanno condotto a notevoli risultati sulla costituzione degl'inviluppi esterni del Sole, sulla formazione delle macchie, sulla distribuzione delle eruzioni sul disco e delle protuberanze all'orlo. A Meudon, Deslandres costruisce e usa un grande spettroeliografo multiplo a due e tre fessure, per il quale l'immagine del Sole è data da un telescopio orizzontale, e studia specialmente gli strati superiori dell'idrogeno con quelle particolari regioni di assorbimento che da lui son chiamate filamenti.

Lo studio spettroscopico delle stelle si andava sempre più precisando e allargando dopo le prime ricerche di Secchi e Huggins, e specialmente all'Osservatorio Harvard a Cambridge, negli Stati Uniti, verso il 1890, E.C. Pickering e i suoi collaboratori stabilivano quella classificazione, ancora oggi in uso, che prende il nome da H. Draper, il quale, come si è detto, fu il primo a fotografare gli spettri stellari. Già l'anno prima lo stesso Pickering aveva scoperto lo sdoppiamento delle righe nella stella Mizar Ursae Maj.), dovuto all'effetto Doppler, e assodato che si trattava di una stella doppia col periodo di 104 giorni. Si apriva così il campo allo studio e alla ricerca delle spettroscopiche binarie, che veniva perseguito in molti osservatorî insieme con quello della determinazione delle velocità radiali per tutte le stelle abbastanza luminose da poter essere fotografate con lo spettrografo.

L'apparenza degli spettri stellari aveva suggerito a J.N. Lockyer (1899) quello che era già stato prospettato per via teorica; cioè che l'evoluzione stellare dovesse svilupparsi in due rami, l'uno di temperature ascendenti, l'altro di temperature decrescenti. Più tardi (1905) Hertzsprung, con lo studio dei moti proprî, poneva in evidenza che le stelle dei tipi spettrali più avanzati, cioè rosse, formavano due gruppi ben distinti, di luminosità molto diversa, e le distingueva in "giganti" e "nane". In seguito (1812) Russell, basandosi sulle misure di parallasse, enunciava una completa teoria dell'evoluzione stellare, confermando le due classi trovate da Hertzsprung e mettendo in chiaro che la differenza consiste essenzialmente nella densità e nel volume. La scoperta di Adams e Kohlschütter (1914), che gli spettri delle stelle di ugual tipo presentano righe di alcuni elementi, la cui intensità varia a seconda che si tratta di stelle giganti o nane, confermava le teorie di Lockyer e Russell e di più permetteva la determinazione della grandezza assoluta, cioè della luminosità intrinseca di quegli astri.

La costruzione e il perfezionamento degli strumenti astronomici avanza di pari passo con il progresso delle ricerche e delle scoperte. Condizione essenziale per strumenti di grande potenza è la bontà delle circostanze atmosferiche, cioè la tranquillità e trasparenza dell'aria. Per avvicinarsi il più possibile a tale condizione, Hale, coll'aiuto dell'Istituzione Carnegie, fondava nel 1905 l'osservatorio di Monte Wilson nella Sierra Madre in California, a 1770 metri sul livello dell'Oceano Pacifico, che dista circa 50 km. dall'osservatorio stesso. In breve tempo quest'osservatorio, sorto essenzialmente per ricerche di fisica solare, estendeva il campo della sua attività a tutta l'astrofisica, ottenendo importanti risultati in ogni suo ramo, con poderosi strumenti e numeroso personale. Venivano costruite due torri solari o telescopî fissi verticali per lo studio del Sole e due riflettori, l'uno con lo specchio di m. 1,50, l'altro con lo specchio di m. 2,55, per la fotografia diretta del cielo e per le ricerche di spettroscopia stellare.

Intanto le nuove teorie atomiche, le leggi fondamentali sull'origine e formazione degli spettri, la teoria di ionizzazione enunciata prima da M.N. Saha (1921), poi sviluppata da Russell, Milne, R. H. Fowler ed altri, cominciano ad aprire la via a una migliore interpretazione degli spettri stellari, e, mentre la fisica aiuta in questo l'astrofisica, a sua volta la seconda può illuminare la prima con la grande ed estesa scala con cui avvengono i fenomeni cosmici. A. Fowler, con ricerche di laboratorio, identifica molte righe di elementi e composti degli spettri delle stelle e delle comete, Saha e Russell, in base alla teoria di ionizzazione, determinano le temperature stellari, ottenendo risultati concordanti con quelli ottenuti, per via spettroscopica, da Wilsing, Scheiner, Coblentz e altri.

Le ricerche teoriche avanzano sulla base dei risultati sperimentali, specialmente per opera di Eddington e Jeans, che studiano la costituzione interna degli astri e la loro probabile origine dalle nebulose e dagli ammassi stellari. Già il keeler, all'Osservatorio Lick in California (1898-1900), col riflettore di Crossley aveva fatto un notemle progresso nello studio delle nebulose e dei loro spettri, mettendo in evidenza che la grande maggioranza delle nebulose ha la forma di spirale; Barnard all'Osservatorio Yerkes è fra i primi a mettere in evidenza l'importanza e a fotografare le nebulose oscure; Campbell all'Osservatorio Lick, Slipher all'Osservatorio Lowell, Hubble a quello di Monte Wilson, e molti altri, studiano le velocità radiali e i moti interni delle nebulose, mentre van Maanen ne studia i moti proprî nel piano perpendicolare alla visuale, e Shapley fa ricerche sulla costituzione e grandezza degli ammassi stellari. Il presentarsi in questi ammassi e nelle nebulose delle variabili cosiddette Cefeidi permette di riconoscere questi oggetti a distanze dal sistema solare per lo innanzi insospettate, e conduce ad allargare i confini dell'universo a noi visibile.

Nel campo delle stelle variabili si sono fatti notevoli progressi con l'applicazione di fotometri sempre più precisi, come quello a cellula di selenio usato da Stebbins (1910), o a cellula fotoelettrica usato con buon successo da Guthnick (1913) all'osservatorio di Berlino, e inoltre lo studio delle variabili ad eclisse, iniziato da Russell e Shapley, ha aumentato la nostra conoscenza sui sistemi binarî e le loro caratteristiche fisiche, come la massa e la densità.

Le ricerche teoriche avevano portato alla determinazione dei probabili diametri delle stelle fisse di vario tipo. A.A. Michelson, applicando i metodi d'interferenza, misurava il diametro dei satelliti di Giove (1890) e, nel 1920, col grande riflettore dell'osservatorio di Monte Wilson, insieme con Anderson e Pease, poteva giungere alla misura della stella doppia a Aurigae, che era conosciuta soltanto come doppia spettroscopica, e del diametro di alcune fra le stelle giganti, confermando pienamente i risultati teorici.

Questo breve cenno storico sull'astrofisica si può bene chiudere con le parole scritte da Hale nel suo rapporto sull'attività dell'osservatorio di Monte Wilson per il 1917: "Per merito degli osservatorî sparsi in tutto il mondo la configurazione dell'universo ci viene continuamente a poco a poco svelata, e accelera il progresso in ogni campo del pensiero umano. Noi fortunatamente ci troviamo in un periodo di progresso senza precedenti, nel quale le concezioni empiriche del tempo trascorso dànno rapidamente origine ad ipotesi ben fondate. Il privilegio di poter contribuire a questo progresso, quando l'era dei pionieri non è ancora oltrepassata, sarà apprezzato da coloro che riflettono sul vero significato e sulla vera influenza delle scoperte astronomiche".

Riserbando alle voci speciali una più estesa trattazione dei varî argomenti che interessano l'astrofisica, vogliamo dare qui uno sguardo generale ai problemi principali che fino all'epoca presente sono stati trattati e che in parte sono stati risolti, in parte sono ancora da risolvere. Ciò potrà dare un'idea del vasto campo di ricerca aperto agli studiosi in questa disciplina, e potrà fare meglio comprendere le voci speciali che ad essa si riferiscono.

Il Sole ha sempre richiamato una notevole parte delle ricerche di astrofisica, perché esso è l'unica stella tanto vicina a noi da presentare un disco di notevoli dimensioni apparenti, e quindi dal suo studio è stato possibile dedurre, e ancora si dedurranno in futuro, conclusioni che si riferiscono alle altre stelle sia di uguale conformazione, sia in uno stadio più o meno avanzato di evoluzione.

Resteranno sempre memorabili le ricerche del padre Secchi, che fu uno dei primi a studiare la natura delle macchie, delle protuberanze e degli altri fenomeni solari, compendiandoli nel suo classico trattato sul sole, che bene si può considerare uno dei primi testi di astrofisica. In tempi più recenti i notevoli progressi ottenuti nella fisica solare sono dovuti ai grandi telescopî orizzontali e verticali che si trovano a Monte Wilson, Meudon, Arcetri, e che permettono di ottenere uno spettro del Sole in scala molto estesa e di studiarne quindi le particolarità in varie parti della sua superficie, come pure d'isolare le radiazioni monocromatiche, come quelle del calcio e dell'idrogeno, e rilevarne la loro distribuzione e i loro movimenti sul disco solare. Il posto che spetta al Sole fra le altre stelle fu già definito dal Secchi nella sua ben nota classificazione stellare: esso appartiene al secondo tipo, cioè a quello delle stelle gialle. Nella più moderna ed estesa classificazione Draper, in cui i varî tipi o classi sono indicati con le lettere dell'alfabeto poste in un ordine convenzionale, il Sole viene ascritto alla classe G con le righe del calcio molto prominenti, quelle dell'idrogeno sottili, e molto numerose le righe metalliche.

Nella classe G di Draper, come in generale in tutte le classi più avanzate dell'evoluzione stellare (secondo e terzo tipo di Secchi), esistono, come si è detto, due grandi categorie di stelle dette "giganti" e "nane". Le prime hanno una densità molto piccola, che va crescendo al diminuire delle loro dimensioni assolute fino a diventare massima per le stelle nane. L'idea prevalente è che le giganti comincino il loro sviluppo allo stato di stelle rosse (terzo tipo di Secchi), si trasformino gradatamente in stelle gialle e poi bianche (secondo e primo tipo), per poi ripassare in senso inverso per gli stessi tipi, e, diminuendo in luminosità e dimensioni, diventino infine corpi oscuri. Il Sole, per le sue dimensioni, va ascritto alla categoria delle stelle nane, ed è quindi una stella in uno stadio già avanzato di sviluppo. Si può dire dunque che, mentre nelle stelle di varî tipi abbiamo scritta la storia dell'evoluzione stellare con una sequenza ben definita, di almeno una stella, di cui si conosce esattamente il posto fra le altre, si possono studiare in particolare la costituzione fisica e chimica con le eventuali variazioni.

Le righe di assorbimento di Fraunhofer, presenti nello spettro solare e identificate come appartenenti a sostanze che si trovano anche sulla Terra, indicano la presenza sul Sole di una quarantina dei 92 elementi, che costituiscono il sistema periodico. Fra questi sono tutti i metalli comuni, come ferro, rame, nichel, zinco, titanio, calcio, sodio, manganese, alluminio, silicio; mancano invece del tutto o quasi i metalli pesanti e rari, come l'oro, l'argento, il platino e il mercurio. Se esistono sul Sole, essi sono rappresentati in ogni modo da righe debolissime. Se la distribuzione degli elementi leggieri e pesanti sul Sole può paragonarsi con quella esistente sulla Terra, come pare probabile, allora dei secondi non si può trovare traccia che negli strati più bassi dell'atmosfera solare, e quindi non fa meraviglia che non si possano identificare con certezza. Mancano anche le righe caratteristiche originate dai gruppi degli elementi non metallici, come il cloro, il bromo, l'ossigeno, lo zolfo, il fosforo: il che si può spiegare col fatto che la presenza dei vapori metallici tende a sopprimere gli spettri di quelli non metallici quando i due gruppi di sostanze si trovano insieme. Dalle osservazioni delle eclissi totali del Sole si sono potuti dedurre i livelli a cui giungono i diversi vapori che ne costituiscono gl'inviluppi esterni raggiungibili con l'osservazione: il vapore di calcio raggiunge il massimo livello di 14.000 km.; segue l'idrogeno con un livello medio di 10.000 km., poi l'elio che raggiunge i 7.000 km.; seguono, in ordine di livello, gli elementi che dànno origine alle righe spettrali specialmente sensibili alle variazioni di temperatura e di eccitazione elettrica, come lo stronzio, il titanio, il manganese, e infine, a un livello medio di 300 km., la maggior parte degli elementi pesanti. Tale distribuzione dei vapori è confermata anche dalle ricerche sullo spettro delle macchie, che differisce da quello della circostante fotosfera a causa della temperatura minore, e degli effetti Doppler e Zeeman, dovuti, il primo alla velocità lungo la visuale dei vapori sulla superficie solare, e il secondo alla presenza dei campi magnetici nelle macchie del Sole.

La temperatura minore delle macchie rispetto a quella della fotosfera si è potuta stabilire in base alla presenza di bande dovute a ossidi e idruri metallici; l'effetto Doppler, trovato da Evershed, si studia fotografando contemporaneamente sulla stessa lastra lo spettro di una regione non disturbata della superficie solare e lo spettro delle macchie stesse. Gli spostamenti relativi delle righe, che si notano nel confronto fra i due spettri, servono a calcolare la velocità lungo la visuale dei vapori che le generano. Si è trovato che il moto dei vapori sopra le macchie ha luogo in direzione parallela alla superficie del Sole, con velocità variabile a seconda della loro altezza. Gli spostamenti infatti crescono col diminuire dell'intensità delle righe, e, facendo le osservazioni quando le macchie sono presso ai bordi del Sole, si trova che i vapori i quali dànno origine alle righe di debole intensità, fluiscono dalla parte centrale della macchia verso l'esterno, mentre i vapori che producono le righe d'intensità maggiore si muovono dalla periferia verso il centro della macchia. Se si fa l'ipotesi che tale fenomeno sia dovuto a differenze di livello dei vapori, nel senso che i primi, dati da elementi più pesanti, si trovino in basso, gli altri, dati da elementi più leggieri, si trovino in alto, la distribuzione risultante concorda perfettamente con quella ottenuta dalla misura dell'ampiezza degli archi cromosferici durante le eclissi. Si ha quindi una circolazione continua e regolare di vapori, la quale va dall'interno della macchia verso l'esterno negli strati più bassi, mentre invece va dall'esterno verso l'interno negli strati più alti.

Oltre a questa circolazione regolare, a cui si dà il nome di movimento radiale, perché avviene dal centro dell'ombra delle macchie verso la penombra, un altro movimento di natura vorticosa è stato scoperto da Hale per mezzo delle fotografie monocromatiche del Sole. Appunto a questo scopo si usa lo spettroeliografo, e le righe più adatte, perchè le più intense dello spettro solare, sono le violette H e K del calcio e la rossa Hα dell'idrogeno.

Sono notevolissime le differenze che mostrano queste fotografie monocromatiche con quelle eseguite nella luce bianca, cioè con l'apparenza che si osserva visualmente. In questa si nota la granulazione tipica della superficie del Sole, le macchie con le loro ombre e penombre e il maggiore assorbimento ai lembi, nelle prime una struttura completamente diversa, filamentosa, a chiazze più chiare o più oscure in forma di nubi, alle quali è stato dato il nome di flocculi chiari od oscuri, a seconda che sono più o meno luminosi dello sfondo generale. Sulle macchie e sulle regioni vicine si nota che i flocculi sono molto brillanti, il che indica che, per esempio, la riga Hα è in corrispondenza ad essi invertita, come avviene nelle regioni sconvolte da vaste perturbazioni. L'apparenza delle macchie, e l'unione che fra l'una e l'altra si forma a volte per mezzo di una catena di eruzioni, accenna a convalidare una teoria di Emden, secondo la quale sul Sole rotante attorno al suo asse si dovrebbero formare delle superfici di separazione o di discontinuità, che, arrotolandosi per effetto delle loro differenti velocità lineari, appaiono, quando siano visibili sul disco del Sole, come enormi vortici. In tal modo, per esempio, due macchie appartenenti alla stessa superficie di separazione possono rendersi visibili sulla fotosfera alla stessa longitudine, e lungo la superficie stessa può verificarsi uno sconvolgimento di tutta la fotosfera per effetto delle masse che salgono dall'interno del Sole in sostituzione di quelle trascinate giù dai vortici.

Un notevole tentativo di applicazione dei principî idrodinamici e termodinamici, valendosi di analogie terrestri, è stato recentemente fatto da V. Bjerknes per spiegare il sistema di circolazione che deve aver luogo negli strati superiori di un'atmosfera gassosa come quella del Sole, e la formazione delle macchie con la loro temperatura più bassa, la loro comparsa in cicli, la loro struttura bipolare e via dicendo. Sulla Terra l'origine della circolazione e dei movimenti atmosferici è dovuta alla radiazione solare, sul Sole invece analoghi fenomeni verrebbero prodotti dal suo calore interno. Al bordo del Sole le eruzioni si vedono sotto forma di fiamme o getti incandescenti prevalentemente costituiti d'idrogeno e di calcio, che prendono il nome di protuberanze e si estendono fino a grandi altezze sulla fotosfera del sole. Lo studio di queste protuberanze è specialmente importante, sia per seguire l'attività del Sole, sia per investigare la loro costituzione, il loro moto e le forze a cui sono soggette.

L'apparenza vorticosa della fotosfera attorno alle macchie, notata già dalle osservazioni visuali e dimostrata poi chiaramente per tutte le macchie con le fotografie monocromatiche nella luce di idrogeno, condusse Hale a scoprire in esse l'effetto Zeeman, cioè la scomposizione delle righe in due o più componenti, dovuta alla presenza di campi magnetici nelle macchie stesse. Appunto il moto vorticoso dell'idrogeno e degli altri vapori al disopra delle macchie fa sorgere naturale l'ipotesi che la macchia sia un vortice in cui le particelle elettrizzate, prodotte da ionizzazione dell'atmosfera solare, vengano messe in rotazione ad alta velocità. Tale rotazione, secondo esperienze di laboratorio, può produrre campi magnetici nelle macchie solari, che possono essere considerati come vortici elettrici. I vortici d'idrogeno sono fenomeni di alto livello nell'atmosfera solare, e sembra che il moto nell'idrogeno avvenga a spirale verso il centro della macchia e diretto verso l'interno del Sole.

Lo studio dei campi magnetici sulle macchie, fatto con le torri solari collocando avanti alla fessura dello spettrografo convenienti sistemi polarizzatori, ha dato il modo di determinare la polarità e l'intensità dei campi stessi e di stabilire una classificazione magnetica delle macchie secondo il nome della polarità del loro nucleo, o dei varî nuclei, se si tratta di un gruppo di macchie. Le osservazioni regolari fatte a Monte Wilson hanno portato Hale a stabilire che in ogni ciclo undecennale delle macchie si ha una totale inversione della polarità delle stesse, per modo che la polarità di un emisfero, di solito contraria a quella dell'altro emisfero, si inverte appunto con il cambiare del ciclo. Così, mentre l'intervallo di 11,5 anni rappresenta giustamente la variazione periodica nel numero o area totale delle macchie solari, l'intero periodo delle macchie, corrispondente all'intervallo fra le successive comparse ad alte latitudini delle macchie della stessa polarità magnetica, deve considerarsi di doppia durata. Questo ciclo di 23 anni può essere chiamato il periodo magnetico delle macchie, per distinguerlo da quello undecennale della loro frequenza.

La rotazione del Sole attorno al suo asse e il fatto che campi magnetici si poterono osservare anche in zone prive di macchie, hanno condotto Hale a scoprire, dalla grande torre di Monte Wilson, il campo magnetico generale del Sole, molto simile a quello della Terra, con i due poli magnetici vicini ai poli di rotazione. Benché questo campo magnetico generale sia piuttosto debole, la sua intensità è sufficiente a produrre un effetto Zeeman visibile in alcune righe del ferro di livello piuttosto basso, ma non agli altri livelli più alti dell'atmosfera solare. Come nelle macchie solari, dove si è trovata una rapida diminuzione nell'intensità del campo nel passaggio da bassi ad alti limlli, così in questo caso si deve essere in presenza di fenomeni a livello relativamente profondo nell'atmosfera del Sole. Con molte e precise misure fu possibile determinare la posizione dell'asse magnetico e il suo periodo di rivoluzione attorno all'asse solare di rotazione. Il segno della polarità corrisponde a quello della Terra, cioè il polo magnetico nord del Sole si trova vicino al polo di rotazione nord, e l'intensità del campo è dell'ordine da 20 a 30 gauss, cioè circa 40 volte maggiore di quello della Terra. Invece sulle macchie di media grandezza l'intensità del campo può variare da 2000 a 3000 gauss, fino a un massimo di 4000 gauss per le macchie maggiori.

Le nostre conoscenze sull'involucro più esterno del Sole, la corona, non sono molto aumentate con le più recenti eclissi. Si continuano a raccogliere con la fotografia le varie forme, variabili con il periodo di attività solare, e si sono determinate con molta precisione le lunghezze d'onda delle due righe di emissione, ma non si sa ancora a che sostanza appartengano. La teoria elettronica della materia è probabile che riesca a spiegare i fenomeni presentati dalla corona, che sono forse una manifestazione di effetti fotoelettrici in stretta relazione con il periodo di attività solare. In base alle nuove cognizioni sulla struttura dell'atomo si può prevedere che il "coronio" e il "nebulio", gli elementi finora sconosciuti, che dànno origine alle righe di emissione nello spettro della corona e delle nebulose, abbiano la loro origine in atomi ionizzati due, tre, o più volte e appartengano a gas di piccolo peso atomico, forse fra quelli già noti (azoto e ossigeno).

A proposito dei fenomeni di ionizzazione si deve ricordare la teoria di Saha, la quale, partendo dall'ipotesi che le leggi generali della termodinamica si possano applicare agli elettroni, spiega i diversi gradi di ionizzazione che hanno luogo nei gas nelle varie condizioni di temperatura e pressione e che possono presentarsi nell'atmosfera del Sole e delle stelle. La teoria di Saha, quando venga applicata alle condizioni esistenti nella cromosfera del Sole, dà risultati in accordo con quelli derivati dalla discussione dello spettro dello strato invertente. Si è detto che il calcio, non ostante il suo notevole peso atomico, raggiunge, con le righe H e K, un'altezza nella cromosfera ancora maggiore di quella dell'idrogeno, e ciò appunto si spiega con la completa ionizzazione degli atomi di calcio, che ha luogo per la diminuita pressione a quel livello. Così, dunque, quando per i varî elementi chimici si conosceranno le serie spettrali che vengono emesse tanto dagli atomi neutrali quanto da quelli ionizzati, allora si avrà un quadro completo delle condizioni che influenzano le righe negli spettri della fotosfera, della cromosfera e delle macchie solari.

Una diretta influenza dei fenomeni solari su quelli terrestri è bene accertata soltanto nel caso del magnetismo. Variazioni di intensità e di direzione delle linee di forza nel campo magnetico generale del Sole, sia di lungo periodo, sia di breve e cioè col carattere di perturbazioni accidentali, hanno diretta influenza sul campo magnetico terrestre. Infatti la curva di frequenza delle macchie, che ha un periodo di 11,5 anni, presenta un perfetto parallelismo con quella delle variazioni dell'intensità orizzontale e della declinazione magnetica terrestre, come pure con quella della frequenza delle aurore polari. Inoltre la presenza di burrasche magnetiche terrestri è spesso contemporanea a quella di grandi macchie e violente eruzioni sul Sole, in modo tale che le coincidenze fra i due fenomeni non sono certo casuali. Troppo recente è ancora la scoperta dei campi magnetici sul Sole per poter dedurre conclusioni sul modo con il quale può venire trasmessa la loro azione fin sulla Terra. Però la diminuzione dell'intensità dei campi magnetici delle macchie con l'aumentare dell'altezza sull'atmosfera solare è tanto notevole da rendere probabile che la causa delle perturbazioni magnetiche terrestri debba essere ricercata nelle eruzioni che hanno luogo nelle regioni attorno alle macchie.

Più complicata e meno sicura è una possibile relazione fra i fenomeni solari e la meteorologia terrestre; e i varî tentativi fatti per stabilirla non sono giunti ancora a risultati positivi. Le osservazioni della radiazione solare ci dicono che questa subisce delle variazioni, sia di corto, sia di lungo periodo, e quindi si debbono notare variazioni corrispondenti anche nella temperatura terrestre, essendo questa in funzione diretta dell'emissione del calore solare. La costante solare, cioè l'intensità totale della radiazione al di fuori della nostra atmosfera, alla distanza media della Terra dal Sole, è uguale, secondo le più recenti misure, a 1,95 calorie per minuto e per centimetro quadrato. Durante i massimi dell'attività solare sembra che questa attività aumenti del tre o quattro per cento, rispetto ai minimi, perché i grandi sconvolgimenti in cui si trovano i gas sul Sole fanno sì che una maggiore quantità di calore venga emessa dagli strati interni alla superficie durante la sua cresciuta attività. Queste variazioni, distribuite in un lungo intervallo di tempo, quello del passaggio dai minimi ai massimi e viceversa, produce lenti effetti sulla temperatura terrestre, che a causa delle circostanze locali difficilmente si possono sceverare secondo le diverse regioni della Terra. Inoltre le osservazioni della radiazione solare mostrano che questa, oltre che alle variazioni del periodo undecennale, è soggetta a variazioni di corto periodo, che in pochi giorni la fanno aumentare o diminuire fino al cinque per cento del suo valore. Anche la radiazione solare ultravioletta sembra, secondo le misure di Pettit, che segua l'andamento dell'attività e della costante solare.

Per le numerose cause che influiscono sulla variabilità dei fenomeni meteorologici terrestri, certamente lo studio di queste relazioni è molto complicato, anche perché la misura stessa della radiazione solare non si può fare che nell'interno dell'atmosfera terrestre. Per quanto le misure si facciano di solito in stazioni molto elevate, resta sempre difficile dedurre il vero valore della radiazione al di fuori dell'atmosfera, libero da cause perturbatrici. Tuttavia è da credere che si potrà arrivare a stabilire con più esattezza l'influenza dei fenomeni della meteorologia solare su quella terrestre con importanti conseguenze per la climatologia della Terra.

Per gli spettri stellari la classificazione del padre Secchi resta ancor oggi a fondamento delle ricerche spettroscopiche fatte con mezzi molto più potenti di quelli di cui egli poteva disporre. Il suo primo tipo, comprendente le stelle bianche ed azzurrognole, è stato suddiviso nella più recente classificazione Draper nelle classi O, B, A, F. Le stelle che appartengono alla classe O mostrano nel loro spettro le righe di emissione; cioè luminose, dell'idrogeno e dell'elio, quelle della classe B presentano quasi esclusivamente righe di assorbimento oscure dell'elio e molto deboli quelle dell'idrogeno, quelle della classe A hanno le righe dell'idrogeno molto larghe ed intense (serie di Balmer), e quelle della classe F le righe dell'idrogeno meno intense con le righe del calcio e di altri metalli (righe di Fraunhofer). Il tipo II è stato suddiviso nelle classi G e K comprendenti le stelle gialle del tipo solare con l'idrogeno che va scomparendo, le righe del calcio (H e K) nel violetto molto intense e le righe dei metalli molto numerose. Il tipo III delle stelle rosse coincide con la classe M, e lo spettro di queste presenta ancora le righe di Fraunhofer ma insieme con numerose bande di assorbimento, come quelle dovute all'ossido di titanio, che provano il raffreddamento degli astri a cui appartengono. La classe N di Draper è il tipo IV di Secchi con stelle di color rosso rubino piuttosto rare, che presentano nello spettro il carbonio predominante.

Una tale serie continua di spettri mostra senza dubbio un ordine di evoluzione che risulta chiaro da un diagramma tracciato da Russell, rappresentante la variazione delle grandezze assolute o luminosità intrinseche degli astri di cui si conosce la distanza, in funzione delle loro classi spettrali. Il diagramma ha la forma: &mis3;q. Nel ramo ascendente inclinato da destra a sinistra si trovano le stelle del terzo tipo di piccola luminosità, cioè le stelle nane; approssimandosi al vertice del diagramma, le stelle diventano più grandi e luminose passando successivamente dal III al II e al I tipo. Al vertice si trovano stelle appartenenti alle classi A e B con grandazza assoluta zero, mentre quella del Sole è uguale a 5; infine sul ramo orizzontale, dal vertice all'estremità destra del diagramma, le stelle ripassano successivamente per i tipi I, II, III, e sono di notevoli dimensioni e luminosità, cioè giganti.

Le leggi fisiche sull'emissione e sull'assorbimento permettono di determinare la temperatura di ciascuno dei tipi spettrali, quando si faccia l'ipotesi fondamentale che gli strati esterni dei vapori, che costituiscono le atmosfere stellari, si comportino esattamente come un corpo nero, per il quale cioè tutte le radiazioni vengono del tutto assorbite. Più recentemente Saha, con la sua teoria, ha spiegato alcune delle principali particolarità degli spettri stellari, cioè la comparsa e scomparsa delle righe di assorbimento dei gas e dei metalli in funzione del potenziale di ionizzazione che appartiene a ciascun elemento, e ha dedotto anche per questa via la temperatura dei varî tipi di stelle. Il potenziale di ionizzazione si può considerare come il calore latente di evaporazione dell'elettrone e si esprime con il numero di volt necessario ad un elettrone per allontanarsi dall'atomo, lasciandolo carico positivamente, cioè ionizzato. Il potenziale di ionizzazione è, ad esempio, per il potassio 4, per il calcio 6, per l'idrogeno 14 e per l'elio 25 volt, e dalla formula fondamentale della teoria di Saha risulta che, quanto più elevato è il potenziale di un elemento, tanto più alta è la temperatura e più bassa la pressione necessaria a mantenere il gas ionizzato. Ecco perché le righe della scintilla nello spettro dell'arco elettrico, o righe rinforzate, come le chiamò Lockyer, compaiono negli spettri di quelle stelle che hanno una temperatura così elevata e una pressione tanto bassa, cioè una densità così piccola: nella loro atmosfera possono esistere quei varî elementi ionizzati. Tanto le misure basate sulle leggi del corpo nero, quanto le determinazioni basate sulla temperatura di ionizzazione dànno risultati discretamente concordanti per la temperatura dei varî tipi; e precisamente, per le stelle del primo tipo la temperatura degli strati superficiali oscilla fra 20.000° e 10.000° centigradi, per il tipo II da 8.000° a 4.000°, per il terzo si aggira intorno a 3.000°. Le stelle con le righe dell'elio (classe B), gas che ha il più alto potenziale di ionizzazione finora conosciuto, sono fra quelle a più elevata temperatura e presentano le righe dovute all'elio non ionizzato. Alla loro temperatura di circa 12.000° l'idrogeno è completamente ionizzato, e quindi i suoi atomi hanno perduto il loro unico elettrone e non possono dare assorbimento, così che le righe dell'idrogeno o mancano, o si vedono appena, pur essendo presente l'idrogeno nell'atmosfera di quelle stelle. Così sul Sole, cioè nelle stelle del II tipo, abbiamo nelle parti più elevate della cromosfera le righe molto intense (H e K) del calcio dovute all'atomo ionizzato e sono poi presenti, a più basso livello, le righe dei metalli dovuti agli atomi neutri.

Le nostre conoscenze sulle caratteristiche fisiche delle stelle non si limitano alla loro costituzione spettrale e alla loro luminosità, ma dalla combinazione dei moti trasversali (determinati per mezzo delle osservazioni meridiane o fotografiche in un lungo periodo di anni) con le velocità radiali (determinate per mezzo dello spettroscopio) si conoscono altresì le velocità nello spazio per un notevole numero di stelle. Di più le stelle doppie ci dànno informazioni sulle loro masse e densità, e recenti ricerche teorico-sperimentali sono riuscite alla determinazione di alcuni fra i maggiori diametri stellari.

Le stelle doppie e multiple formano dei sistemi binarî legati dalla legge dell'attrazione universale, e si mostrano a noi, o visualmente, se sono tali da poter essere separate dai nostri telescopî, o spettroscopicamente, con l'apparenza nel loro spettro di righe oscillanti intorno ad una posizione media per causa dell'effetto Doppler, dovuto alla componente del moto orbitale lungo la visuale, o infine con la variabilità di un astro dovuta alle eclissi periodiche del compagno che gli ruota attorno. Quando si può determinare l'orbita di questi sistemi, la terza legge di Keplero dà il modo di calcolare la somma della massa delle loro componenti in termini, per esempio, della massa del Sole, e, riferendo il moto del sistema a stelle di confronto opportunamente scelte, è anche possibile determinare il valore della massa di ogni componente. Nota questa, con la conoscenza della distanza e del tipo spettrale, si può calcolare anche il diametro e la densità, questa riferita a quella del Sole, che a sua volta è nota rispetto a quella della Terra o dell'acqua. Per un centinaio di sistemi binarî visuali le caratteristiche fisiche ora dette, e inoltre le velocità nello spazio, sono state determinate con sufficiente approssimazione.

Per questi sistemi si trova che la massa va gradatamente decrescendo da circa 5 volte in media quella del Sole, per le stelle di classe A, a 0,6 per le stelle di classe M; invece la densità cresce da 0,4 volte quella dell'acqua per le prime a circa 5 volte per le seconde. La velocità nello spazio aumenta da 25 a 80 km. per secondo.

Questi risultati, sia per via teorica, sia indirettamente dai sistemi spettroscopici binarî o dalle variabili ad eclissi, sono stati estesi anche alle stelle singole e in particolare alle giganti, avendosi che, mentre le masse rispetto al Sole non presentano una grande variazione (da 30 volte a qualche decimo di quella del Sole), la densità invece varia entro limiti molto più ampî. Così per le stelle giganti di tipo M la densità sarebbe piccolissima, fino ad 1/3000 di quella dell'aria in condizioni normali, con dimensioni molto maggiori di quelle del Sole. Già il calcolo teorico dei diametri, basato sulle temperature e sulle luminosità, aveva portato a questa conclusione, che si è potuta confermare con le misure dirette fatte per mezzo dell'interferometro applicato al telescopio. Michelson e Pease, con un interferometro, avente la base di sei metri, adattato all'estremità superiore del riflettore di 100 pollici (2,55 metri) di Monte Wilson, riuscimno a misurare il diametro di Betelgeuse (a Orionis), che risultò uguale a circa 0′′,05, molto vicino alle predizioni teoriche. Poiché la parallasse di questa stella, nota per determinazioni trigonometriche, è di circa 0′′,02, pari a una distanza dal sistema solare di 160 anni-luce, è possibile conoscere il suo diametro lineare, che risulta 2,3 volte più grande della distanza della Terra dal Sole, cioè 345 milioni di chilometri. Nonostante l'incertezza che si può avere nel valore della parallasse, si può ammettere che Betelgeuse riempia quasi l'orbita di Marte. Anche le altre giganti rosse, come Antares (α Scorpii) e Herculis, risultano da simili misure con diametri maggiori dell'orbita di Marte. Le loro masse invece, come si è detto, non sono molto più grandi di quelle del Sole, mentre la loro densità media è centinaia di volte minore di quella dell'aria. Di più il diametro angolare di Betelgeuse, misurato in diverse epoche, sembra variare (da 0′′,047 a 0′′,034): il che, in relazione al fatto che essa è una variabile a lento periodo, potrebbe indicare una possibile pulsazione dell'astro, come si ha ragione di credere che avvenga per le variabili Cefeidi.

Le ricerche sulle nebulose hanno fatto notevoli progressi da quando la fotografia e la spettroscopia poterono venire usate con strumenti di grande potenza, e hanno un'importanza notevolissima per la conoscenza della costituzione dell'universo. Le nebulose si possono dividere in tre classi, caratterizzate dalla loro apparenza. La prima, quella delle nebulose planetarie, ne comprende poche, circa 150, di piccole dimensioni apparenti, regolari e sempre accompagnate da una stella centrale. Sono corpi gassosi con lo spettro costituito da poche righe di emissione. Sono chiamate planetarie, forse perché ricordano l'antica ipotesi di Laplace sulla formazione del sistema solare, ma in verità fino a oggi non si possono classificare con precisione nella sequenza dell'evoluzione stellare.

La seconda classe comprende un numero abbastanza grande di nebulose diffuse o irregolari, come la grande nebulosa di Orione. Sono presenti presso o entro la Via Lattea, coprono spesso varie regioni, e associate con esse si trovano stelle del I tipo di Secchi.

La terza classe comprende le nebulose a spirale, le più interessanti dal punto di vista cosmogonico. Si contano a centinaia di migliaia, a forma di spirale, e si vedono sotto inclinazioni varie. Si affollano verso i poli della Via Lattea, dove le stelle sono meno numerose, e non si trovano mai nel piano di quella. Sono animate di una notevole velocità, e il loro spettro è eguale a quello che presenta il tipo medio di stelle.

Le nebulose irregolari accompagnano spesso vaste regioni oscure, in cui mancano del tutto le stelle, e sono occupate da materia oscura, probabilmente della stessa costituzione della materia luminosa ma non in grado di emettere luce. La fotografia ha fatto fare un gran passo alla ricerca e allo studio di queste nebulose oscure, che ai tempi di Herschel si credeva fossero dei fori nel cielo con assenza di materia, mentre il Secchi scopriva la loro vera natura. Barnard, con obiettivi da ritratti a corto fuoco, Duncan con il grande riflettore di Monte Wilson e il padre Hagen visualmente, hanno in modo particolare studiato questi oggetti, fra i quali i più notevoli sono quelli che appaiono nella costellazione di Orione, sotto ζ Orionis e nelle regioni attorno a ρ e θ Ophiuchi. Ricordando che la pressione della luce, cioè la sua forza repulsiva, vince la forza di attrazione quando si eserciti su minutissime particelle di polvere cosmica, si comprende come questa possa essere spinta nello spazio a grandi distanze dalle stelle più luminose. Enormi agglomerazioni di materia possono, sotto certe condizioni essere mantenute insieme da forza gravitazionale interna, e la loro apparenza nello spazio pare dipenda dalle stelle, in generale del primo tipo, che si trovano nelle vicinanze, e da effetti di contrasto come avviene per le macchie del Sole, le quali appaiono nerissime, pur essendo luminose, sullo sfondo lucente e più caldo della fotosfera. Se le stelle luminose sono più vicine alla massa nebulosa questa può, ad es., riflettere la loro luce, o la loro radiazione può eccitare nelle molecole gassose della nebulosa un'emissione secondaria di luce. Se le stelle luminose sono invece molto distanti, la massa della nebulosa proiettata su di uno sfondo luminoso, mancando l'eccitazione, o avvenendo questa in parti a noi invisibili, può apparire oscura e coprire la luce emessa da sorgenti più lontane.

Anche le nebulose a spirale nella loro caratteristica forma presentano, specialmente quando sono viste di profilo, delle zone o fasce oscure, che sembrano dividerne le parti luminose. Ora nello studio di questi corpi, in cui si scorge la condensazione della materia diffusa in nuclei stellari ben definiti, le prime ricerche per l'astrofisico sono quelle per valutare la distanza e i moti interni. Problemi ambedue difficili, il primo per la grande lontananza di tutti questi oggetti dal sistema solare, il secondo per la conseguente piccolezza dei moti stessi nel piano perpendicolare alla visuale e per la mancanza di punti di riferimento ben definiti, mentre per i moti lungo la visuale, osservabili con lo spettroscopio, la luminosità relativamente piccola impedisce una rapida ed estesa conoscenza di essi. Tuttavia misure recenti, fatte paragonando fotografie di nebulose a spirale, prese a intervalli di un sufficiente numero di anni, e osservazioni spettroscopiche, per mezzo dell'effetto Doppler, hanno fatto concludere che in ogni caso queste nebulose rotano con notevole velocità attorno a un asse, il quale a noi si presenta come l'asse minore della spirale, e che la distanza dal sistema solare è di parecchie migliaia di anni-luce.

I moti di rotazione interni di queste nebulose e il loro aspetto fisico dànno origine a notevoli speculazioni teoriche sulla loro costituzione e sulla genesi delle stelle.

È certo che nelle diverse nebulose a spirale viste di profilo o di faccia si vede scritta tutta la storia del loro sviluppo, dalla massa regolare a forma ellissoidica, ugualmente distribuita, a quella in cui si scorge un principio di espulsione della materia, dovuto probabilmente a effetti di marea provocati da corpi vicini. Tali effetti si rendono palesi con un rigonfiamento e una fascia oscura di materia già più fredda lungo l'equatore delle nebulose. Le parti espulse seguendo la legge della teoria dinamica vengono proiettate dal nucleo centrale per rami che si staccano da punti antipodali, come si può vedere e misurare nelle fotografie di nebulose a spirale viste di fronte. Quando la forza di gravità tra le particelle del gas vince la sua forza di espansione, allora il getto di gas si rompe in tanti globuli separati, dei quali si può calcolare la grandezza, la massa e la mutua distanza. E tale è appunto l'apparenza delle nebulose più evolute, che ci fanno assistere veramente alla nascita delle stelle formate di gas di piccolissima densità, cioè delle stelle giganti alla cui successiva evoluzione si è dianzi accennato.

Un'altra classe di corpi celesti che si presentano non in grande numero, ma che è anch'essa importante per la cosmogonia, è quella degli ammassi stellari con grande varietà nella condensazione e nel numero delle stelle che li compongono. Essi si possono dividere in ammassi aperti, come quello del Presepio, o i gruppi stellari del Toro e delle Pleiadi, animati dallo stesso movimento nello spazio, e in ammassi globulari, tipico quello della costellazione di Ercole, di apparenza circolare con stelle sempre più numerose e fitte verso il centro. In realtà questi ammassi globulari, come risulta dalle ricerche di Shapley e di altri investigatori, hanno una struttura ellittica e presentano un piano di simmetria, come se fossero il prodotto finale delle nebulose a spirale rotanti. Anche per questi ammassi la determinazione della loro distanza, e quindi delle loro dimensioni e della grandezza assoluta delle stelle che li compongono, è di fondamentale importanza. Recenti ricerche, principalmente basate su stelle variabili Cefeidi, hanno portato a una valutazione sufficientemente attendibile della parallasse di questi ammassi. Il metodo è basato sulla relazione che passa fra la grandezza assoluta e il periodo di variazione di luce per questo tipo di variabili. Estendendo tale relazione alle Cefeidi che si trovano negli ammassi, e adottando la plausibile ipotesi che quelle di un dato periodo siano paragonabili tra loro, comunque siano situate nello spazio, si può ricavare la parallasse di qualsiasi ammasso contenente delle Cefeidi. Per 70 ammassi globulari la distanza, secondo Shapley, varia tra 20.000 e 200.000 anni-luce, e le stelle più luminose che appaiono negli ammassi più distanti sono inferiori alla 17a classe di grandezza apparente. La loro luminosità reale è invece maggiore o eguale a quella del nostro Sole, tanto che per esempio nel grande ammasso della costellazione di Ercole, che ha una distanza di 36.000 anni-luce, si contano 35.000 stelle tanto luminose quanto il Sole, e tre lo sono cento volte di più, mentre il diametro totale dell'ammasso misura circa 350 anni-luce

Ora la domanda che viene naturale è se questi sistemi, nebulose spirali e ammassi, a distanze così enormi dal sistema solare, appartengano alla Via Lattea, o siano da questa fisicamente dipendenti, oppure se siano del tutto indipendenti e ve ne siano alcuni paragonabili a quella in grandezza. Il problema sta tutto nella determinazione delle dimensioni del sistema della Via Lattea e dei confini che a questa si possono dare. Lo stato odierno delle nostre conoscenze non permette ancora di dare una risposta definitna; tuttavia le più probabili ipotesi, che fino da questo momento si possono fare, portano a concludere che la Galassia forma un sistema o aggregato di stelle della forma di un disco molto schiacciato con un diametro di circa 300.000 anni-luce, in cui il sistema solare si trova a una notevole distanza dal centro. Lo spessore del disco sarebbe un ottavo del diametro, cioè di circa 37,500 anni-luce.

D'altra parte la risoluzione della nebulosa di Andromeda e di altre nebulose a spirale in una moltitudine di stelle che è stata possibile con i moderni potenti mezzi ottici, e la scoperta, in queste regioní, da parte di Hubble, delle variabili Cefeidi permettono di valutare con maggiore certezza la distanza di tali sistemi che salirebbe fino a un milione e più di anni-luce, portandoli così a dimensioni paragonabili a quelle della Via Lattea.

Gli argomenti trattati dall'astrofisica e i suoi compiti futuri sono delineati da quanto precedentemente si è detto, e le conclusioni generali alle quali questo studio conduce possono essere riassunti come segue.

I corpi celesti sono composti di materia simile a quella che costituisce il nostro globo, materia che può assumere una infinità di forme, da quella più tenue, che si trova nelle nebulose, a quella di grande densità, che si trova nei corpi già solidi o in stelle eccezionali, come sembra essere il compagno di Sirio.

I corpi celesti che emanano luce propria sono masse di gas così compresse dalla gravità verso un centro comune che le loro proprietà combinano quelle delle tre forme a noi conosciute. Nell'amhito del sistema solare i quattro grandi pianeti sono probabilmente ancora allo stato gassoso, mentre il caso di corpi, che, come la nostra Terra e Marte, sono solidi, è forse limitato ai corpi più piccoli dell'universo. Una caratteristica generale dei corpi celesti incandescenti è la loro altissima temperatura interna, con i loro strati superficiali, sempre ad alta temperatura, ma relativamente più freddi per effetto della radiazione nello spazio. Si è indotti a ritenere che il calore interno dei corpi celesti sia dovuto a una forma di attività molecolare simile a quella che presenta in modo così notevole il radio.

La scoperta della radioattività, spiegando forse il calore interno dei corpi celesti, risolve un problema che fu invano discusso da fisici e geologi nel secolo scorso, cioè quello di metter d'accordo la lunga durata che i geologi assegnano alla crosta terrestre con il periodo durante il quale, secondo i fisici, è possibile che il Sole abbia irradiato calore. Sembra si possa ammettere che il Sole e le stelle siano corpi radioattivi, e che le emazioni che provengono dai corpi celesti e arrivano sulla Terra abbiano su di essa notevole influenza.

Non si deve dimenticare infine che una limitazione dei nostri mezzi di ricerca è data dal fatto che lo spettroscopio rivela soltanto la costituzione degl'inviluppi gassosi esterni dei corpi celesti e soltanto per profondità molto limitate. La nostra conoscenza della costituzione chimica e fisica delle stelle è quindi limitata alla loro atmosfera, e le conclusioni sulla costituzione delle loro masse interne debbono e dovranno essere dedotte con altri metodi.

Bibl.: H. A. Secchi, Le Soleil, 2ª ed., Parigi 1875-77, voll. 2; A. M. Clerke, A popular history of astronomy during the nineteenth century, 4ª ed., Edimburgo 1902; G. E. Hale, The study of stellar evolution, Chicago 1908; J. Scheiner, Populäre Astrophysik, Lipsia 1912; The Adolfo Stahl lectures in astronomy, San Francisco 1919; J. Hartmann, Astronomie, in Die Kultur der Gegenwart, III, Lipsia 1921: P. Maffi, Nei cieli, Torino 1923; G. E. Hale, The new heavens, New York 1922; id., The depths of the universe, New York 1924; id., Beyond the Milky way, New York 1926; H. Dingle, Modern astrophysics, Londra 1924; F. J. M. Stratton, Astronomical physics, Londra 1925; C. G. Abbot, The Earth and the Stars, New York 1925; A. Nodon, Éléments d'astrophysique, Parigi 1926; Russell, Dugan, Stewart, Astronomy, II, Astrophysics and stellar astronomy, Boston 1927; K. Graff, Grundriss der Astrophysik, Lipsia 1927; von Eberhard, Kohlschütter, Ludendorff, Handbuch der Astrophysik, Berlino 1928; A. S. Eddington, Stars and atoms, Oxford 1927.

Il rapido progresso delle ricerche astrofisiche fa sì che molto materiale recente si trovi ancora soltanto nelle pubblicazioni degli osservatorî o nei periodici scientifici.

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