ASSISE DI GERUSALEMME

Federiciana (2005)

Assise di Gerusalemme

Gianfranco Stanco

Le Assise di Gerusalemme sono comunemente collegate ad una serie di trattati giurisprudenziali di Outremer del sec. XIII. Uniche eccezioni sono gli Acta del parlamento di Nablus (1120) e il Livre au Roi (1197-1205). Proprio sulla base delle considerazioni espresse dai giuristi Filippo di Novara (v.; Livre de forme de plait, 1250-1260) e Giovanni d'Ibelin (v.; Livre des Assises de la Haute Cour, 1258-1266), ben presto si diffuse la tradizione secondo la quale Goffredo di Buglione, advocatus Sancti Sepulcri, sarebbe stato l'ispiratore di un codice di leggi che andava a fissare le regole disciplinanti il potere e le rispettive competenze dell'uomo che regnava, primus inter pares, e dell'aristocrazia che lo aveva scelto; naturalmente il tutto concepito su una base di relazioni tipicamente feudale.

La più moderna storiografia, rifiutando l'idea di Goffredo di Buglione il Legislatore e di un Regno latino (v. Impero bizantino) espressione di 'puro feudalesimo', ha ben evidenziato che l'organizzazione del Regno, lungi dall'essere un mero fenomeno di importazione, fu messa insieme pezzo per pezzo nel corso dei decenni nel rispetto dell'esperienza europea e della realtà locale.

Poco si conosce della legislazione degli albori, che certamente non seguiva le direttive di un piano precostituito rivolto alla creazione di un codice di leggi omogeneo. Essa, invece, rispondeva alla sfida di particolari necessità e contingenze rivolgendosi a una società caratterizzata dal permanente stato di guerra e dai continui flussi d'immigranti e colonizzatori. Si pensi ai decreti del concilio di Nablus, riguardanti problemi relativi ai diritti di giurisdizione, delle decime, o caratteristici di una società mista (bigamia, relazioni con donne musulmane, ecc.). Come anche alla Assise de la teneure e alla Assise de vente, miranti l'una a prevenire un exodus dal paese, l'altra ad agevolare la creazione di un ceto nobiliare stabile con interessi prevalentemente rivolti al Regno.

Il Livre au Roi, collezione non ufficiale di materiale consuetudinario, giurisprudenziale e legislativo del Regno, realizzata dopo la caduta di Gerusalemme tra il 1197 e il 1205 (secondo altri studi si tratterebbe del tentativo di codificazione del re Amalrico II), consente di analizzare le tappe fondamentali dello sviluppo del diritto feudale a partire dal regno di Baldovino II (1118-1131) in poi. L'opera può essere suddivisa in tre parti. La prima è dedicata alle prerogative regali, regalia, dove emerge per importanza la assise sulla confisca dei feudi (establissement dou roi Bauduin segont), che consentiva al re di esercitare il diritto di confisca del feudo di un proprio vassallo "sans esgart de cort". Manifestazione di una realtà arcaica, precedente all'epoca del re Amalrico (1163-1174), posta a prevenire tendenze particolaristiche e centrifughe. Ma interessante esempio di normativa modellata sulle di-sposizioni del Digesto (D. 48.4, 1-3), del Codice (C. 9.24.2) e delle Exceptiones Petri, inquadrata nel contesto di quella prima fase della 'romanistica' europea non riconducibile alla Scuola di Bologna, con sorprendenti analogie con la Normandia (charte de Saint-Evroult, 1050 ca.), l'Inghilterra normanna (Leges Henrici primi, 1114-1118) e il Regno normanno di Sicilia (Assise di Ariano, 1140). La seconda parte del Livre au Roi è rivolta ai diritti e agli obblighi dei vassalli. Prerogative dei grandi vassalli erano quelle di "tenir cort" e "poer d'aver coings et de ceeler leur dons". L'ultima parte disciplina il feudo.

Sotto Amalrico il Regno latino raggiunse il suo apogeo politico. A lui si deve la legge scritta più famosa di Outremer: la Assise sur la ligèce (1170 ca.), diretta a prevenire l'arbitraria confisca dei feudi senza il giudizio di una corte. Oltre ai feudatari diretti del sovrano, tutti i vassalli e valvassori di qualsiasi rango erano tenuti a prestare un preventivo e diretto omaggio di sottomissione al re, in aggiunta all'omaggio di fedeltà al loro signore. In tal modo i grandi signori, vassalli e valvassori venivano ad essere di pari grado tra loro e tutti direttamente legati al re, con il diritto di partecipare alle sedute dell'Alta Corte, corpo legislativo nonché corte di giustizia con giurisdizione civile e penale sui nobili e i cavalieri (optimates, milites).

I borghesi, invece, rappresentavano la popolazione franca non nobile (predites, burgenses) ed erano sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Borghesi. Il Livre des Assises de la Cour des Bourgeois (1240 ca.) è il più antico trattato giuridico avente ad oggetto specificamente la classe sociale dei borghesi, scritto da un anonimo pratico del diritto, che utilizzò come modello una versione latina del trattato di diritto romano Lo Codi (Arles, 1149 ca.), una Summa del Codice giustinianeo in provenzale. Il libro si presenta come un'efficace opera di sintesi di diritto romano consuetudinario importato dai pays de droit écrit, adattato al contesto del Regno insieme alla tradizione 'romano-siriana' e agli usi italiani, con il diritto consuetudinario dei pays de droit coutumier. E rappresenta una fonte preziosa per evidenziare l'esistenza in Oltremare di tracce di una tradizione romanistica locale precedente all'influsso bolognese, che si innesta a pieno titolo in quel quadro europeo di nuova riflessione sul diritto che nel XII sec. in Italia, come in Francia, Inghilterra e Spagna, produsse una larghissima ripresa dello studio del diritto romano.

Mentre il Regno di Gerusalemme attraversava il periodo più buio della sua esistenza, caratterizzato per lo più da re consorti, poco più che reggenti, si affacciò alla ribalta dell'Oriente latino Federico II. Questi giunse ad Acri nel 1228 per assumere la reggenza del figlio Corrado. E l'anno successivo, in seguito al trattato di Giaffa con il sultano d'Egitto al-Kāmil, riuscì a ottenere per via diplomatica la restituzione di Gerusalemme, Betlemme, Nazareth e delle vie di accesso al mare.

Alla nobiltà franca, ossessionata come era da una situazione di guerra permanente con il confinante i-slamico, non interessavano certo gli argomenti della Chiesa sulla scomunica di Federico e sulla sua crociata, in gran parte estranea al fervore religioso e alla partecipazione di massa. Preoccupava di più l'atteggiamento assunto dall'imperatore, fresco della corona regale di Gerusalemme, che mostrava una concezione esagerata delle proprie prerogative nell'Est latino, facendo trasparire la mancata conoscenza o peggio l'indifferenza verso le tradizioni legali e politiche, che avevano da tempo sancito la supremazia del potere nobiliare rispetto alla Corona.

Federico ben presto dovette fare i conti con questa realtà, e costatò a sue spese, nel fallito tentativo di affidare Toron e Chastel Neuf ai Cavalieri teutonici a danno della principessa Alice d'Armenia, la totale chiusura, garantita da un consolidato patrimonio giuridico, al recepimento di modelli imperiali di sovranità. Ogni questione riguardante la confisca di feudi doveva essere portata davanti all'Alta Corte, pena, secondo l'interpretazione baronale della Assise sur la ligèce, il rifiuto del vincolo vassallatico.

Certamente questa esperienza servì a Federico II che, al ritorno in Sicilia, pianificò la controffensiva affidandola nel 1231 al luogotenente Riccardo Filangieri. Gli obiettivi militari contro l'opposizione baronale avevano il loro peso, ma il punto nevralgico dell'operazione doveva consistere nell'assumere consapevolmente la direzione del regime politico e degli assetti costituzionali dell'Est latino. È per questo motivo che il maresciallo, invece di adottare la procedura ordinaria che voleva la convocazione dell'Alta Corte per esporre la nuova politica del governo e mostrare le lettere di Federico che lo designavano come balì (convocazione che sarebbe spettata legalmente al bailli in carica Baliano di Sidone), ricorse ad un meccanismo inedito: la convocazione di una speciale e straordinaria riunione di nobili e borghesi nel gran palazzo del castello di Acri. Si cercava in tal modo di rompere il monopolio del potere detenuto dai baroni e nel contempo di ingraziarsi il favore dei ceti subalterni.

Questa era una novità assoluta negli assetti costituzionali del Regno, che non contemplavano un'istituzione mista. Le porte del gran palazzo, consueto luogo delle riunioni della corte reale, venivano così spalancate ai valvassori (la cui presenza per effetto della Assise sur la ligèce era limitata solo ad alcune circostanze specifiche) e ai borghesi di Acri. La risposta della nobiltà non si fece attendere, forte dell'appoggio di una grande scuola di giuristi, con una classe semiprofessionale di consulenti legali, i patrocinatori, i cui servigi erano richiesti in tutte le corti feudali, data la complessità delle procedure.

Per i giuristi, rappresentati da Baliano di Sidone, la Palestina, secondo quella che più tardi sarà definita come "la teoria feudale del governo", apparteneva ai crociati in forza di un diritto assoluto, quello di conquista, e non al papa e neppure al re. Con quest'ultimo i crociati, senza un capo riconosciuto, avevano stipulato un contratto sociale, confermato e sistematicamente rinnovato all'atto del giuramento dell'incoronazione, nel rispetto dell'inviolabilità delle leggi, garantite davanti all'Alta Corte.

Il tentativo del legato imperiale di scardinare gli equilibri costituzionali non ebbe successo. Il rifiuto di abbandonare l'assedio del castello di Beirut, dopo aver confiscato la città, e di portare il caso di Giovanni d'Ibelin davanti all'Alta Corte, come richiesto dai nobili secondo i dettami della Assise sur la ligèce, produsse l'effetto contrario. Di fronte al pericolo della minaccia imperiale di un governo arbitrario che potesse abolire o limitare le istituzioni pubbliche e i privilegi nella sfera del privato, i partecipanti all'assemblea formarono un fronte compatto. E poiché sul piano costituzionale non era possibile convocare l'Alta Corte, vista l'eterogeneità del partito degli oppositori, si scelse come soluzione giuridicamente ineccepibile il comune giuramento alla confraternita di S. Andrea di Acri, considerata la sua popolarità e il carattere dei suoi privilegi reali, che consentivano a chiunque la piena facoltà di aderirvi. La presenza di un giuramento di mutua assistenza e la competenza di agire come una persona iuris segnarono nei fatti la costituzione di una communitas o universitas, rivolta ai movimenti comunali italiani in alcuni aspetti dell'organizzazione, ma distante da essi per finalità. I ribelli, infatti, miravano al preservamento dell'integrità della struttura istituzionale del Regno, piuttosto che all'autonomia della città di Acri.

Secondo l'interpretazione baronale della Assise sur la ligèce, l'imperatore, rifiutando di far discutere la vertenza del signore di Beirut davanti all'Alta Corte, aveva legittimato tutti i vassalli del Regno a negargli il servizio militare e a prestare aiuto al loro pari per rioccupare con la forza il feudo confiscato. Ma per riuscire nell'impresa Giovanni d'Ibelin, signore di Beirut, prozio del re di Cipro, di Isabella di Brienne e leader indiscusso dell'opposizione baronale con influenze politiche in Siria e a Cipro, dovette recarsi ad Acri, dove fu eletto sindaco della comunità e, organizzato un consistente esercito, si lanciò alla riconquista dei propri feudi, culminata con la presa di Kyrenia (1233), che concluse la guerra civile a Cipro, dove Riccardo Filangieri aveva trasferito lo scontro.

La precipitazione degli eventi obbligò Federico II a rivedere le sue posizioni, con l'invio nel 1234 ad Acri del vescovo di Sidone per tentare una mediazione con Baliano di Sidone e il conestabile Oddone di Montbéliard, che vedeva la condivisione della carica di balì tra Filangieri, spostato a Tiro, e Filippo di Maugastel ad Acri. Ma il tentativo fallì miseramente, sancendo di fatto il tramonto delle pretese imperialistiche di fronte ad una nobiltà più forte e compatta che mai attorno agli Ibelin e alle 'loro' consuetudini e leggi. Poche generazioni di giuristi erano bastate per cristallizzare il diritto e la procedura del Regno, fondati su una lettura mitica del passato che non concedeva spiragli alla precedente legislazione concernente la supremazia della Corona e le prerogative regali, lasciando così lo spazio ad una normativa basata sulle consuetudini o sul sentito dire. Conseguentemente il diritto crociato, conservatore, regressivo e chiuso verso il mondo esterno, subì la sola influenza possibile, quella del diritto feudale della nobiltà.

Da qui la costituzione di un gruppo di giuristi di grande prestigio sociale, meticolosi nel ricordare e dibattere le antiche leggi (Letres dou Sepulcre), a cui si deve una produzione scritta, ragguardevole per l'epoca, che culminò nell'arco di tre generazioni con la realizzazione di una delle migliori collezioni di trattati giuridici sul sistema feudale con i libri di Filippo da Novara, vassallo di Giovanni di Beirut, di Giovanni d'Ibelin, signore di Giaffa, e di suo figlio Giacomo (1276), di Goffredo le Tor (1266-1277).

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