Assemblea costituente

Dizionario di Storia (2010)

assemblea costituente


Assemblea eletta dal popolo allo scopo di elaborare le norme fondamentali dell’ordinamento dello Stato (costituzioni e leggi costituzionali). In Italia, già durante il Risorgimento l’appello alla a.c. era stato un motivo continuo della predicazione mazziniana e di non poche voci eterodosse di patrioti. Lo Statuto albertino, emanato (1848) in un momento caratterizzato da forti moti popolari che investivano gli Stati europei e l’Italia, rappresentò un tipico caso di costituzione concessa unilateralmente da un sovrano che decise di autolimitare le attribuzioni regie, rinunciando alla propria autorità esclusiva e contemperando il principio monarchico con quello rappresentativo. Dopo la fine della Prima guerra mondiale, l’appello alla a.c. era stato ripreso da varie forze politiche e sindacali, e in particolare dalla CGdL e da socialisti quali C. Treves, e pochi anni dopo questa proposta torna nell’elaborazione di A. Gramsci. Si giunse però alla sua convocazione solo dopo la caduta del regime fascista. P. Togliatti la propose già nel 1944 come unica sede in grado di risolvere la questione della forma istituzionale dello Stato, e su questo obiettivo conversero le maggiori forze antifasciste riunite nel Comitato di liberazione nazionale, al cui interno era ormai maturata la consapevolezza della necessità di fondare un nuovo ordine giuridico, contrapposto a quello fascista ma anche in netta discontinuità con quello dell’Italia liberale. Il 2 giugno 1946 si votò per eleggere i deputati della A.c. ai quali sarebbe stato affidato il compito di redigere la nuova Costituzione, come stabilito dal d.l.l. n. 151 del 25 giugno 1944. L’A.c. tenne la sua prima riunione a Roma, a palazzo Montecitorio, il 25 giugno 1946, sotto la presidenza del socialista G. Saragat. Tra i suoi primi atti (il 28 giu.) fu l’elezione del capo provvisorio dello Stato, nella persona del liberale E. de Nicola. Al suo interno fu creata un’apposita commissione, composta da 75 membri – comunemente denominata «Commissione dei 75» – nominati dal presidente dell’A.c. su designazione dei vari gruppi politici, in modo da rispettarne le proporzioni, con il compito di elaborare il progetto di costituzione. La commissione si suddivise, a sua volta, in tre sottocommissioni, competenti a elaborare ciascuna una parte del progetto (Diritti e doveri dei cittadini, presidente il democristiano U. Tupini; Organizzazione costituzionale dello Stato, presieduta dal comunista U. Terracini; e Rapporti economici e sociali, presidente il socialista G. Ghidini). Fu poi costituito un Comitato per il coordinamento complessivo del lavoro delle sottocommissioni, denominato «Comitato dei 18» e in seguito «Comitato di redazione». Per la sua composizione bilanciata, per la competenza tecnica e l’autorità intellettuale e politica dei suoi membri, il Comitato finì per svolgere un ruolo primario nell’elaborazione del progetto costituzionale. La Commissione dei 75 terminò i suoi lavori nel gennaio 1947. A febbraio Terracini subentrava a Saragat come presidente dell’A.c., e a marzo iniziava il dibattito in plenaria. Al termine di circa dieci mesi di lavoro, caratterizzato da contributi notevoli per sensibilità politica e lucidità giuridica, l’A.c. approvò l’intera Carta nella seduta del 22 dicembre 1947, con 453 voti favorevoli e 62 contrari; una maggioranza molto ampia che ben esprimeva il carattere di sintesi fra orientamenti ideologici e culturali diversi, propri della nostra Costituzione. Quest’ultima fu poi promulgata dal capo provvisorio dello Stato il 27 seguente ed entrò in vigore il 1° gennaio 1948. L’A.c. del 1946, oltre all’attività diretta all’elaborazione della Costituzione, esercitò attività legislative e politiche. I disegni di legge deliberati dal Consiglio dei ministri dovevano esserle trasmessi e l’A.c. avrebbe poi deciso di volta in volta quali dovessero essere deferiti alla propria deliberazione. L’A.c. prorogò due volte la sua durata ed esplicò le sue funzioni fino al 31 gennaio 1948.

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