PREISTORICA, Arte

Enciclopedia dell' Arte Antica (1996)

Vedi PREISTORICA, Arte dell'anno: 1965 - 1996

PREISTORICA, Arte (v. vol. VI, p. 434)

S. Tusa

Un rinnovato interesse per la preistoria e un generale successo dell'ottica interattiva fra specificità diverse della ricerca hanno prodotto un sensibile progresso nell'analisi del fenomeno espressivo «artistico» della Preistoria. A tale progresso hanno contribuito anche recenti e importanti scoperte quali, per citarne soltanto gli esempî più rinomati, quelle dei complessi figurativi di Porto Badisco (v.) in Puglia e di alcune grotte asturiane in Spagna, o quelle dei santuarî-necropoli con stele antropomorfe di Saint-Martin-de Corléans in Val d'Aosta e di Sion in Svizzera.

L'etnologia, la storia delle religioni, la paletnologia e la semiotica interagiscono ormai nelle varie teorie che molti autori, sia occidentali sia orientali, propongono all'attenzione del pubblico mondiale per spiegare questo singolare fenomeno. Si è, per un verso, cercato di superare le teorie assolutistiche miranti all'interpretazione o artistica, o magica, o religiosa, o totemistica dell'arte preistorica. A esse si sono via via aggiunte interpretazioni in chiave economica, sociale e ambientale. Ma ciò che più risulta chiaro è che l'interpretazione non può essere univoca, ma va dedotta attraverso un confronto dialettico di più spiegazioni parziali scaturite dall'analisi puntuale della localizzazione delle raffigurazioni e della loro possibile funzione in rapporto alla scelta tematica addotta.

È pertanto logico presupporre una multifunzionalità dell'arte p. che si doveva basare sull'interazione di quelle che sono state definite come le tre funzioni dominanti attraverso cui ruota la sua interpretazione: la funzione puramente estetica, quella magica (connessa alla propiziazione venatoria o legata ai riti della fecondazione) e quella di «media», necessaria per comunicare o tramandare messaggi, nozioni e scienza ad altri o ai posteri. Quest'ultima funzione è stata particolarmente privilegiata da Leroi-Gourhan che vede la struttura dell'espressione figurativa come organizzata sul contrasto tra elemento maschile e femminile, simboleggiati da bovide ed equide.

I suoi studi costituiscono, insieme a quelli di P. Graziosi, il maggior contributo alla comprensione del fenomeno artistico nella preistoria. Tuttavia, come è normale nel progresso delle scienze, la sua principale impostazione è stata superata, o meglio arricchita dai contributi più recenti. L'idea di Leroi-Gourhan di una distribuzione standardizzata delle raffigurazioni all'interno delle grotte, secondo uno schema iterativo, poggiava sulla convinzione che ogni rappresentazione fosse stata pianificata e avesse un significato mistico-metafisico da comunicare. Questa impostazione ebbe comunque il grande merito di far progredire gli studi, superando l'approccio di un altro grande della preistoria, Breuil, il quale basava le sue considerazioni sull'immagine individualizzata e personalizzata.

Lo stadio attuale della ricerca è caratterizzato dalla convinzione che tutto ciò che è artistico non è necessariamente misterioso o metafisico, ma può spesso essere il frutto di un'interazione articolata di immagini singole e composizioni che fioriscono su motivazioni molto differenziate.

Negli ultimi anni l'interpretazione puramente estetica ha subito un sensibile ridimensionamento. Le accurate analisi sulla distribuzione spaziale dei più corposi complessi figurativi franco-cantabrici e levantini hanno dimostrato, infatti, che molto spesso le figurazioni più rilevanti sul piano estetico si trovano nei recessi più reconditi delle grotte, laddove non erano certamente fruibili al pieno della loro perfezione disegnativa o cromatica.

Sul piano della ricerca l'ultimo quindicennio è stato, pertanto, caratterizzato da poche ma significative scoperte e, soprattutto, da un maggiore rigore analitico sull'enorme campionario già noto, specialmente in Francia.

Resiste, quindi, ancora saldamente lo schema tradizionale teorizzato da Leroi-Gourhan che vede cinque stadî di sviluppo dell'arte rupestre pleistocenica a partire dalle ossa incise di Pech de l'Aze attribuite all'Acheuleano (I), per passare agli oggetti incisi e scolpiti a tutto tondo dell'Aurignaziano (II), per arrivare poi alla sicurezza dell'incisione lineare realistica del Gravettiano (III) e, infine, approdare alla massima fioritura del Solutreano e Maddaleniano (IV, V).

A proposito degli inizî dell'arte p. molto si è detto dei timidi accenni in tal senso fin dal Paleolitico Inferiore e, soprattutto, Medio. Ma è tuttora opinione comune che è nel periodo corrispondente alla diffusione della cultura aurignaziana (fasi iniziali del Paleolitico Superiore: 35.000 anni fa) che si può parlare di presenza di chiare e reiterate forme di espressività comunemente definite artistiche.

In associazione con l'Aurignaziano compaiono una vasta gamma di segni incisi su oggetti varî, nonché rappresentazioni a tutto tondo di animali. Rara è ancora la rappresentazione umana, spesso definita attraverso sue parti anatomiche significanti.

A proposito dell'arte del periodo maddaleniano sono da segnalare numerosi lavori di verifica o rianalisi approfondita dei complessi già noti. L'esame effettuato da Vialou sulle grotte dell'Ariège (Grotte du Cheval a Foix, Trois- Frères, Mas d'Azil, Bédeilhac, Eglises, ecc.), famose per la finezza dell'incisione zoomorfa, è stato condotto seguendo uno schema metodologico ben preciso. Lo studio del quadro ambientale e archeologico ha definito lo spazio maddaleniano, mentre l'esame della distribuzione delle rappresentazioni definisce lo spazio parietale, preceduto dalla ricostruzione della composizione dello spazio grafico. L'analisi descrittiva delle rappresentazioni costituisce il secondo momento della ricerca. L'esame minuzioso dei fatti tecnici ha permesso di analizzare la costruzione dei dispositivi parietali che, per fare due esempî, a Fontanet erano prodotti dall'incisione, mentre a Marsoulas dal colore. È dimostrato un progressivo appropriarsi dello spazio sotterraneo da parte delle etnie del Maddaleniano IV. Si è visto, infatti, che la distribuzione della presenza del Maddaleniano VI non trova diretta concordanza con le rappresentazioni parietali. Tale rappresentazione può essere continua o discontinua. A Niaux, malgrado la discontinuità della distribuzione, il dispositivo parietale appare omogeneo, mentre a Trois-Frères sono riconoscibili più fasi parietali. La localizzazione delle rappresentazioni caratterizza la loro relazione con il supporto e con l'ambiente immediatamente circostante. A Marsoulas, malgrado l'uniformità delle gallerie, la localizzazione delle rappresentazioni corrisponde a una segmentazione dello spazio parietale. A Trois-Frères gli insiemi sono distinti: la composizione grafica del dispositivo parietale appare meravigliosamente organizzata e, al di là della confusione illusoria dovuta alle sovrapposizioni, vi è una strutturazione molto fine ed equilibrata dello spazio. Sempre a Trois-Frères il pannello delle renne mostra che lo spazio grafico è stato ricomposto non secondo le tre dimensioni, ma in funzione di una moltitudine di direzioni che introducono una nuova dimensione temporale tradotta con il movimento e le posizioni di ogni singolo animale.

La tendenza all'espressione realistica degli animali è peculiare nei siti maddaleniani dell'Ariège e riposa su mezzi tecnico-stilistici molto elaborati; dalla finezza e dal realismo degli animali si è certi che tali raffigurazioni appartengono agli ultimi millenni del Würm pirenaico.

L'espressione figurativa della cultura maddaleniana dell'Ariège testimonia un ambiente culturale regionale omogeneo dove è avvenuta una segregazione delle costruzioni simboliche che portò alla formulazione, nell'oscurità delle grotte, di miti autenticamente originali.

In conclusione Vialou, dopo questo complesso studio sulla distribuzione delle figure in ogni sito, conferma la teoria secondo la quale ogni grotta è differente, non essendoci omogeneità al di là dell'unità tematica di base.

Anche nel famosissimo complesso di Lascaux recenti analisi sui raggruppamenti figurativi portano ad accrescere il livello di conoscenze scaturite dal monumentale lavoro di Breuil. Egli stabilì dei gruppi e delle serie secondo criterî tecnici e morfologici. Appellaniz ha invece studiato le tecniche e le forme di ogni figura, nonché le tendenze di ciascuna serie. L'analisi interna delle raffigurazioni dipinte porta a riconoscere dei sistemi di omogeneità; in particolare certi dettagli nella costruzione del contorno, ripetuti da una figura all'altra, fanno pensare a un solo artefice. Si riesce così a raggiungere un livello di finezza interpretativa tale da riconoscere mani e maniere dell'arte rupestre, specialmente paleolitica. Quest'ultimo tipo di analisi ha avuto particolare successo anche nell'esame delle figure animali di talune grotte della zona di Santander.

A proposito di animali, interessante è l'analisi della distribuzione delle raffigurazioni di bisonte nell'arte parietale francese. È l'animale di gran lunga più comune, ricorrendo ben 812 volte per un valore del 25,84% del campionario animalistico globale; risulta particolarmente dominante nella zona pirenaica.

Morshock si è invece rivolto allo studio della funzione, applicando l'osservazione microscopica e l'analisi spettrografica degli elementi adoperati (pitture) o delle tecniche impiegate (incisione, politura). Egli dimostra che una delle funzioni preponderanti delle figure rappresentate era quella di essere costantemente riutilizzate per fini diversi, e arriva quindi a ipotizzare una sorta di multifunzionalità di una stessa figura raggiunta grazie ad aggiunte o aggiustamenti periodici. In verità si tratta di una metodologia ampiamente adoperata dagli studiosi del passato per individuare sovrapposizioni, e quindi, diacronie, dell'arte rupestre. In questo caso lo studio della diacronia non serve per l'enucleazione dell'oscillare degli stilemi e dei linguaggi artistici, bensì per l'individuazione delle dinamiche funzionali delle stesse raffigurazioni.

Un significativo avanzamento si è avuto nello studio dei ciottoli dipinti o incisi aziliani pirenaici. Coraud, grazie all'esame delle relazioni esistenti fra una serie di ciottoli, datati con precisione, e alle dinamiche generali del loro disegno, è riuscito a elaborare una significativa cronologia stilistica.

In Italia è ormai comprovato da numerose ricerche l'inizio dell'arte rupestre intorno alla fine del Würm III; pertanto, a differenza di ciò che avviene nel resto dell'Europa, le culture iniziali del Paleolitico Superiore (Uluzziano e Aurignaziano) non offrono che pochi oggetti di ornamento personale. La grande arte figurativa zoomorfa si sviluppa fino all'epilogo del Würm IV e interessa totalmente le culture gravettiane ed epigravettiane. All'inizio i temi rappresentati sono rigidamente ancorati allo spettro delle specie venatorie, ma nelle fasi finali del Paleolitico Superiore (Epigravettiano Evoluto e Finale) viene acquisita una minore rigidità tematica e gli animali rappresentati coinvolgono anche quelli non direttamente legati alla produzione alimentare. Inoltre compaiono le prime scene composite, e parallelamente, il linguaggio muta, abbandonando progressivamente il realismo e sostituendolo con geometrismo e astrattismo.

Sul piano delle novità di rilievo si collocano le incisioni su osso e calcare rinvenute a Vado all'Arancio (Grosseto). Si tratta di raffigurazioni in linguaggio naturalistico di animali e figure umane con sovrapposizioni di tacche e altri segni. Particolarmente significativa è la testa di cerbiatto volta a sinistra con occhio, orecchio e tracce di manto peloso segnati. A queste vanno associate le novità scaturite nel prosieguo della ricerca alla grotta Polesini, presso Ponte Lucano di Tivoli, dove si conosceva già un consistente numero di incisioni su ciottoli a soggetto naturalistico e geometrico. Recentemente è stato portato alla luce un ciottolo con figure umane schematiche del tutto nuove in contesto di tipo romanelliano.

Poco rilievo hanno avuto nella bibliografia le importantissime scoperte del Cardini effettuate presso la grotta Romanelli (Tardigravettiano Finale), caratterizzate da figure seminaturalistiche graffite, a Praia a Mare e alla grotta delle Arene Candide, che hanno restituito ciottoli dipinti con figure antropomorfe schematiche di tipo aziliano.

Porto Badisco, sorprendentemente ricca di figure dipinte in nero, presenta numerose scene di caccia al cervo variamente schematizzate. L'animale è spesso presentato secondo la realizzazione a pettine, mentre la figura umana è del tipo a doppio triangolo o a croce o raggiunge il massimo dell'astrazione divenendo una complicata spirale. Interessante è la composizione costituita da due serpenti con le teste rigonfie, sollevati in modo da formare una doppia spirale.

A Porto Badisco si è avuta l'opportunità di analizzare i pigmenti usati: i rossi erano in genere prodotti con il materiale ocraceo dovuto alla dissoluzione dei calcari e consistono in ossidi e idrossidi di ferro; i neri sono, invece, di natura organica essendo costituiti da guano subfossile.

Alle raffigurazioni serpentiformi, nonché alla tipologia labirintiforme di Porto Badisco si collegano alcune pitture recentemente scoperte in Sicilia (Grotta dei Cavalli, San Vito lo Capo) che potrebbero analogamente datarsi alla prima età dei metalli.

Ma grande sviluppo ha avuto, sia in Italia che altrove, l'approfondimento dell'espressività artistica delle popolazioni che vissero durante i periodi post-pleistocenici; in particolare è stato approfondito lo sviluppo dell'arte camuna. Alla base dello sviluppo culturale ed espressivo si colloca attualmente lo stile sub-naturalistico o proto-camuno, che dovrebbe essere pertinente ai gruppi di cacciatori del Paleolitico Superiore che vissero nella Valcamonica. Con il Neolitico si sviluppano nuove ideologie basate sul modo di produzione agricola. Ciò continua nel Calcolitico, ma è nell'Età del Bronzo, attraverso una spiccata personalizzazione, e soprattutto grazie all'enfatizzazione degli attributi di rango (armi), che è possibile tracciare un quadro esauriente dell'articolarsi dinamico della società con l'emergere dei capi guerrieri.

A questo proposito sono da ricordare le incisioni di Monte Bego, a c.a 80 km a Ν di Nizza, nelle Alpi Marittime. Si tratta di numerosissime incisioni rupestri che evocano una civiltà di agricoltori e di pastori vissuta 1800-1500 anni prima di Cristo. I temi iconografici sono poveri e sono pazientemente incisi grazie a una picchiettatura regolare della superficie dello schisto eseguita con strumenti in quarzo. Dominanti risultano gli elementi corniformi, simboli del bue o del toro celeste della mitologia mediterranea. Sulla base di questa considerazione De Lumley ipotizza per il Monte Bego la funzione di montagna sacra dell'Età del Bronzo.

Il discorso sull'arte camuna introduce direttamente a quello sulla statuaria antropomorfa. Il progresso delle ricerche non ne ha mutato sostanzialmente il quadro di diffusione, ma ne ha chiarito meccanismi, cronologie e funzioni. Il fenomeno appare concentrato in alcune aree ben identificate. In Italia queste sono l'arco alpino, la Lunigiana, la Puglia settentrionale e la Sardegna. Al di là di ulteriori arricchimenti concettuali o ampliamento dell'evidenza materiale, ciò che più ha contribuito a migliorare il livello di conoscenze sono le scoperte della Sardegna e dei siti alpini di Petit-Chasseur (Sion, Valais) e di Saint-Martin-de Corléans (Val d'Aosta).

Appaiono sempre più numerose, in Sardegna, le forme «protoantropomorfe» in relazione a necropoli ipogeiche attribuibili al periodo o alla tradizione di Ozieri (Neolitico Finale-prima Età dei Metalli). Sulla base di variazioni formali, iconografiche e degli elementi figurativi, si è potuto procedere all'enucleazione di raggruppamenti areali e culturali. È soprattutto nel Sarcidano che si sono localizzati numerosi di questi raggruppamenti di statue-menhir maschili e femminili. Ma il risultato più significativo è la raggiunta connotazione cronologica e culturale di questo cospicuo «corpus» di statuaria antropomorfa preistorica. Si tratta con certezza di un fenomeno collegato alla cultura di Ozieri e di Abealzu-Filigosa; recenti ricerche in Corsica confermano questo dato ponendo la statuaria antropomorfa corsa nell'ambito del Calcolitico Terriniano.

È interessante notare che in Sardegna la fioritura di scultura primordiale sia preceduta dalla produzione di idoletti femminili in pietra, raffiguranti verisimilmente la «dea madre», rinvenuti nei contesti neolitici pre-Ozieri della cultura di Bonu Ighinu.

A questo gruppo sardo-corso si collega la statuaria antropomorfa del Midi della Francia. Significativa è la diffusione degli schemi facciali a T. In seguito ai lavori di J. Arnal è possibile sia collocare l'inizio di questo fenomeno alla fine del Neolitico (cultura di Ferrière), sia comprendere la posizione di siffatti manufatti. In Languedoc e nel Gard essi sono associati a stele aniconiche e inseriti su un «cumulo» di pietre e blocchi topograficamente preminente.

Nel gruppo Rougerat (Aveyron, Torn) essi occupano, invece, luoghi più isolati ed esterni ai centri abitativi.

Ma è nell'arco alpino, nuovamente, che ci sono le novità forse più rilevanti al riguardo. Nel sito di Petit-Chasseur (Sion, Valais) a partire dalla fine del Neolitico Recente (culture di Saône-Rhône) e fino al Bronzo Antico, gli abitanti costruirono delle sepolture associate a stele antropomorfe decorate. L'insieme della necropoli fu organizzata intorno a un dolmen monumentale dalla peculiare forma triangolare allungata. Grazie a un'accurata analisi delle dinamiche insediamentali si è appurato che spesso all'erezione delle stele antropomorfe seguiva la loro mutilazione e il successivo reimpiego come materiale da costruzione per ciste litiche sepolcrali. Interessanti sono le decorazioni sulle stele, ottenute con un sapiente uso del bulino: si tratta di un'imitazione verista di elementi decorativi dei tessuti cerimoniali, di rappresentazioni di armi (pugnali e archi) nonché di varî elementi mutuati dal campionario della decorazione campaniforme.

Strettamente collegata all'evidenza di Sion è quella di Saint-Martin-de-Corléans (Val d'Aosta). Qui, intorno agli inizî del III millennio a.C., su un piano appositamente «consacrato» mediante aratura e semina di denti, vennero erette c.a quaranta stele antropomorfe riccamente decorate da intricati motivi di ispirazione tessile, nonché corredate di armi (pugnali e archi). Anche qui, sul finire del millennio, le stele vennero reimpiegate per la costruzione di quattro tombe megalitiche appartenenti a gruppi portatori del «Bicchiere Campaniforme». È interessante notare che le stele erano allineate e adiacenti, con il chiaro intento di formare una quinta continua dal carattere certamente impressionante. Quando le stele furono abbattute, per un preciso dettato liturgico-rituale, non si procedette al semplice sradicamento, bensì alla frattura della loro base.

Altrove la conoscenza della statuaria antropomorfa preistorica è progredita sensibilmente con l'accrescimento dei materiali disponibili. In Spagna si possono distinguere due grandi insiemi: gli idoli-stele e le stele dell'Estremadura. Gli idoli-stele propongono una rappresentazione antropomorfa schematica (idolo dolmenico), si diffondono in Occidente e sono databili nell'Età del Bronzo. Le stele dell'Estremadura costituiscono il gruppo più numeroso e più conosciuto, nell'ambito del quale è possibile individuare i primi contatti precoloniali con il Mediterraneo orientale.

Un discorso a parte merita la vasta zona compresa fra i Balcani e la Mongolia. Vi sono oltre mille esemplari di stele antropomorfe che fanno di questa regione la più ricca del mondo. La loro datazione è varia, oscillando fra l'Età del Bronzo e la nostra era. Di grande interesse le «Pietre dei Cervi» diffuse durante l'Età del Ferro in Mongolia, Altai e Siberia meridionale. Si tratta di stele parallelepipede scolpite su tutti e quattro i lati, che evocano la figura di un guerriero attraverso oggetti scolpiti in rigoroso ordine anatomico. Recentemente un grosso frammento di tali stele è stato trovato nel kurgan di Aržan, nella regione di Tuva, al confine fra Siberia e Mongolia. Si è chiarita così ulteriormente la loro datazione all'VIII-VII sec. a.C. Inoltre, dall'esame iconografico, si sono enucleati dei confronti con un gruppo di statue-menhir diffuse fra il Volga e il Caucaso settentrionale che testimonierebbero intensi contatti fra Europa e Siberia prima della formazione della cultura scitica.

Non così ricca di spunti è stata la recente storia della ricerca sull'arte rupestre nell'Africa settentrionale. A parte le scoperte che si sono succedute dallo wādī Zreda, nel Fezzan settentrionale, allo wādī Senaddar, nella zona centrale del Tadrart Akakus e ad Ataf Ben Dalala, nella Tripolitania meridionale, solo per citare alcuni siti più significativi, il quadro della dinamica cronologica dell'arte sahariana non è mutato. Si segnala la proposta di F. Mori di alzare alla fine del Pleistocene la fase pre-pastorale o venatoria delle «teste rotonde» nel Tadrart Akakus. A essa seguirebbero le fasi pastorali (IV millennio a.C.) e quella del cavallo (II-I millennio a.C.). Di parere opposto sembra essere Jelinek che, a proposito della Tripolitania meridionale, pone il periodo venatorio delle «teste rotonde» al Neolitico Aceramico, già distinto, tipologicamente ed economicamente, dall'Epipaleolitico.

Negli ultimi anni vi è stata la positiva tendenza a considerare con altrettanta attenzione e rigore scientifico le manifestazioni di arte rupestre delle altre parti del mondo.

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