PREISTORICA, Arte

Enciclopedia dell' Arte Antica (1965)

Vedi PREISTORICA, Arte dell'anno: 1965 - 1996

PREISTORICA, Arte

A. M. Radmilli *
P. Graziosi *
S. M. Puglisi
E. Castaldi
S. M. Puglisi

Gli argomenti trattati in questa voce riguardano principalmente le manifestazioni artistiche nelle aree dell'Europa occidentale ed orientale e dell'Africa settentrionale, nei periodi che vanno dal Paleolitico Superiore all'Età del Bronzo. La voce quindi non esaurisce in sé tutta la materia, ma ha piuttosto funzione di coordinamento tra una numerosa serie di argomenti svolti singolarmente nella Enciclopedia (o facenti parte di voci più ampie) e che nell'insieme completano il quadro dell'arte preistorica. Lo stesso dicasi per quanto concerne la bibliografia. Nella prima parte (cronologia) è presentato uno schema di successione delle culture preistoriche, mettendo in rilievo la portata dei metodi per la determinazione cronologica sulla quale è basato lo studio dell'arte come manifestazione connessa allo svolgimento storico-culturale. Nella seconda parte è trattata l'arte paleolitica propriamente detta. Nella terza parte, dopo alcune manifestazioni anche più tarde che però strettamente si legano al mondo dei cacciatori viene trattata l'arte dal Mesolitico all'età dei metalli; è aggiunto un breve riferimento all'architettura megalitica a completamento di alcune voci specifiche (cromlech; dolmen; menhir), ponendo in rilievo i nessi con l'arte figurativa. Per le voci relative alle singole regioni e località, v. gli Indici.

1. - Cronologia. - L'archeologia preistorica si propone di ricostruire, in base a dati archeologici, il comportamento di società umane ed inoltre si pone il compito di determinarne la datazione; cerca cioè di riconoscere, con i varî mezzi a sua disposizione, la sequenza delle varie culture, tenta di stabilirne la durata e possibilmente la cronologia assoluta. A questo riguardo è possibile distinguere due campi di ricerca: uno interessante le civiltà svoltesi durante il Pleistocene, il primo grande periodo dell'èra geologica quaternaria, denominate, con termine generale, paleolitiche e da studiarsi sempre in relazione all'alternarsi dei periodi glaciali e interglaciali; l'altro, più limitato, che abbraccia gli aspetti culturali dell'Olocene, ossia approssimativamente degli ultimi 10 millennî, i quali appaiono definiti archeologicamente, ma che non sono inquadrabili in sostanziali eventi geologici.

Agli inizî dello sviluppo dell'archeologia preistorica, una prima sistemazione dei fatti culturali si ottenne suddividendoli in età le quali furono considerate come stadî generali nell'evoluzione della civiltà. In base a criterî tipologici e stratigrafici si stabilì infatti una sequenza di aspetti della cultura materiale, ognuno considerato distintivo di periodi ai quali fu riconosciuta validità universale. Tale sistema, dipendente dal concetto di un'evoluzione utilineare, fu poi superato dall'idea che un insieme tipologico poteva caratterizzare non solo periodi distinti, ma anche società differenti entro un medesimo periodo. Attualmente si tende a svincolare il concetto di cultura dallo schematismo implicito nella suddivisione in "epoche" od "età", intendendola non necessariamente come una concezione cronologica, ma piuttosto come civiltà in un'area particolare. Secondo la nuova interpretazione del fenomeno culturale, questo si configura più come processo di formazione ed elaborazione che come unità statica, esattamente delimitabile nello spazio e nel tempo; si deve tenere presente che a tale concetto vanno quindi rapportati gli elementi forniti dalla stratigrafia e dalla determinazione della cronologia assoluta. Lo studio tipologico dei prodotti dell'attività umana, connesso con la loro posizione stratigrafica, permette di conoscere la cronologia relativa delle culture preistoriche che si susseguono in una specifica località. Quando in un giacimento paleolitico entro grotta oppure in depositi fluviali, lacustri, ecc., si rinviene una sovrapposizione di industrie tipologicamente differenti, le quali possono anche essere separate da strati sterili, cioè privi di resti archeologici, è evidente che quelle situate più in basso sono più antiche, se il deposito non ha subìto sconvolgimenti; questa datazione relativa è valida però solamente nell'ambito del singolo giacimento e lo spessore dei varî strati non può indicare la durata della loro formazione, perché intervengono diverse condizioni naturali, che variano nel tempo. Se assieme agli strumenti esistono anche determinate specie di animali ed indicazioni di carattere climatico, si ha la possibilità di riferire questi strumenti ad una cultura che compare nella zona in un periodo glaciale o in uno interglaciale; cioè le variazioni dell'ambiente geografico, climatico, geologico e paleontologico, offrono i dati di riferimento per la datazione relativa. Il confronto di serie stratigrafiche di varie regioni, anche distanti fra di loro, ha permesso, in base all'identità tipologica, ambientale e climatica, di suddividere convenzionalmente il Paleolitico in Paleolitico Inferiore (Prechelleano, Chelleano o Abbevilliano, Acheuleano), Paleolitico Medio (Levalloisiano-Musteriano) e Paleolitico Superiore (Aurignaciano-Perigordiano, Solutreano e Maddaleniano). È evidente che si può parlare di contemporaneità, entro ampî limiti di tempo, di due culture paleolitiche tipologicamente identiche, solamente quando sussistono analogie geologiche e climatiche; altrimenti, per le culture del Paleolitico Inferiore, durate molto a lungo, un giacimento può appartenere all'interglaciale, mentre l'altro con tipologia analoga, al successivo periodo glaciale. Per i giacimenti di superficie, dove può sussistere un'associazione di strumenti appartenenti a varie culture, oltre al criterio tipologico, si tengono presenti le caratteristiche dell'alterazione superficiale degli oggetti, cioè della patina; essa può essere più o meno frusta o lucente a seconda delle condizioni di giacitura dell'oggetto e del tempo trascorso. Il metodo della patina viene anche utilizzato, insieme alla determinazione dello stile, dei soggetti ed alla sovrapposizione di figure, per la datazione relativa delle produzioni artistiche sulle pareti rocciose, qualora queste non presentino alcun riferimento con un deposito archeologico. Per la cronologia relativa delle culture più recenti, del periodo attuale, olocenico, vengono meno molti dati utilizzabili per il Paleolitico, perché lo sviluppo di queste culture si è prodotto con un ritmo molto più rapido, mentre non si verificano i grandi sconvolgimenti climatici, proprî del Pleistocene; da ciò deriva che mentre è facile riconoscere la successione delle culture presenti in un giacimento (e talvolta si riesce con elementi forniti dalla fauna e dalla flora a riconoscere anche il periodo stagionale dell'insediamento), è molto difficile sincronizzare due giacimenti con analoga cultura, distanti fra di loro, perché in alcune regioni si può avere un susseguirsi di differenti culture in breve tempo, mentre in altre può esistere una più ampia continuità culturale. Nella successione olocenica si sono distinti stadî culturali che sono stati convenzionalmente denominati Mesolitico, Neolitico, Eneolitico (Calcolitico, Bronzo I), Civiltà del Bronzo e del Ferro. Riguardo a queste civiltà l'orientamento cronologico è fornito anche dai caratteri della fauna in dipendenza dell'economia nelle singole culture, sempre nel ristretto ambito di una regione. Un altro metodo utilizzato per la cronologia relativa consiste nel computo del contenuto in fluoro delle ossa che si rinvengono nei giacimenti preistorici. Per la cronologia assoluta si hanno oggi molte possibilità, offerte da metodi esclusivamente naturalistici per le culture paleolitiche e da documenti storici per le culture più recenti. Una cronologia assoluta è stata costruita da A. E. Douglas studiando gli anelli annuali di crescita delle piante legnose di alto fusto, i quali risentono, nel loro sviluppo, delle condizioni ambientali e si presentano più stretti in condizioni di clima sfavorevole. Ponendo in relazione gli anelli annuali interni degli alberi più giovani con quelli esterni degli alberi vecchi, il Douglas riuscì a fondare la cronologia assoluta degli ultimi due millenni, che è stata applicata per la datazione dei villaggi indiani, poiché questo metodo consente di datare anche il legname utilizzato dall'uomo nelle sue costruzioni. Il geologo De Geer studiando i sedimenti formati da straterelli alternati di argilla fine ed argilla più grossolana, dovuti al deposito di dissolvimento dei ghiacciai nel periodo epi- e post-glaciale nel Baltico e nella Scandinavia, ha impostato una cronologia assoluta, datando a 18.ooo anni l'età della glaciazione in Pomerania, che probabilmente corrisponde alla fine della nostra glaciazione würmiana (Würm III). Questo risultato si deve ad un ingegnoso sistema di correlazioni dei banchi argillosi di località diverse, accompagnanti verso il N il ritiro della fronte glaciale, che hanno formato una serie continuativa di strati argillosi, corrispondenti allo scioglimento annuale dei ghiacciai. Per la datazione assoluta degli eventi climatici del Pleistocene, esiste il calendario (o curva) di M. Milankovitch. Questi, prendendo in esame varî dati astronomici, è riuscito ad impostare una teoria matematica dell'insolazione dei pianeti e dell'effetto termico di questo fenomeno ed ha definito con una curva le variazioni della radiazione solare estiva sulla terra, dalla quale dipende in gran parte l'estensione dei ghiacciai continentali. In questa curva del Milankovitch, misurata in anni, i punti minimi di radiazioni coincidono con le glaciazioni denominate würmiana, rissiana, mindeliana e gonziana e le oscillazioni della curva riferibili ai periodi freddi e a quelli interposti, trovano conferma nei dati offerti dalla geomorfologia e stratigrafia quaternarie. La datazione assoluta degli eventi climatici è estensibile quindi alle culture paleolitiche ad essi corrispondenti; vale a dire una cultura abbevilliana trovata in un deposito interglaciale (Minde-Riss), secondo la curva, può essere datata da 400 a 280 mila anni, una cultura acheuleana del glaciale rissiano da 240 a 180 mila anni, una cultura levalloisiana, situata in un deposito dell'ultimo interglaciale (Riss-Würm) da 180 a 120 mila anni e così di seguito. Queste cifre rappresentano la datazione assoluta di una cultura entro vastissimi limiti di tempo ed alcuni studiosi mettono delle riserve al metodo del Milankovitch, proprio perché sembrano iperboliche le durate delle diverse fasi assunte dalle primitive culture umane. Queste riserve sembrano trovare conferma nella datazione con il metodo del radiocarbonio, che data fino a 40.000 anni or sono e finora ha dato valori inferiori a quelli ricavati con il metodo Milankovitch. La datazione con il radiocarbonio si basa su un calcolo della disintegrazione progressiva del carbonio radioattivo presente negli organismi dopo la loro morte; l'applicazione pratica consiste nel prelevare da uno scavo, con opportuni accorgimenti, i residui di materiali organici contenenti carbonio, cioè carboni, ossa combuste, conchiglie, ecc. Queste sostanze, con un procedimento chimico, vengono trasformate in carbonio puro, il quale viene introdotto in un contatore di Geiger, che misura la radioattività residuale del carbonio che diminuisce con il trascorrere del tempo, secondo una ben individuata progressività. Questo metodo ha fondamentale importanza per la datazione delle culture dal Neolitico in poi; per queste culture la datazione assoluta può essere ottenuta anche basandosi sui dati della cronologia storica delle grandi civiltà onentali. A questo fine si ricorre al metodo denominato cross-dating dagli autori inglesi e consistente nel datare i giacimenti di una cultura in base alla presenza in questi di elementi di altre culture di cui si ha una migliore determinazione cronologica. Nelle civiltà litterate orientali i fatti archeologici si possono datare in relazione a documenti scritti ed a volte è possibile estendere da tali province una rete di sincronismi che giunga ad abbracciare culture fuori di tali aree.

(A. M. Radmilli *)

2. - Arte paleolitica ed epipaleolitica. - Le prime manifestazioni d'arte dell'umanità compaiono, almeno a quanto ci dice la documentazione fino ad oggi venuta in luce, in una fase già avanzata dello sviluppo culturale, pur risalendo a quell'epoca preistorica notevolmente lontana da noi chiamata Paleolitico Superiore che si concluse alla fine dell'età geologica detta Pleistocene.

Siamo ancora in quella fase di civiltà durante la quale l'uomo viveva esclusivamente di caccia, non conosceva né l'agricoltura né la pastorizia e usava come materie prime per la fabbricazione delle armi e degli strumenti, la pietra e l'osso, essendo ancora del tutto ignota la lavorazione dei metalli. Tuttavia già abitavano le nostre regioni tipi umani ad uno stadio d'evoluzione somatica identico a quello dell'umanità attuale, e nessuna traccia ormai più esisteva dell'antica razza detta di Neanderthal, così primitiva sia dal punto di vista somatico che da quello culturale. Prima della comparsa dell'uomo del Paleolitico Superiore, e durante un periodo infinitamente più lungo di quest'ultimo, che si calcola in qualche centinaio di migliaia di anni, l'umanità aveva compiuto una lenta trasformazione nella struttura fisica e nelle sue culture, senza però lasciarci, insieme alla molteplice e copiosissima documentazione della sua attività, alcuna testimonianza di aver prodotto opere d'arte, sia pure attribuendo a questa espressione il significato di semplice, rudimentale manifestazione grafica o plastica. Se assumiamo in senso piuttosto lato le moderne determinazioni di cronologia assoluta, basate, come è noto, su metodi d'indagine che si avvalgono di molteplici elementi tratti dal campo delle scienze naturali, noi potremo all'incirca far risalire le prime manifestazioni d'arte dell'umanità fino ad oggi note, ad una trentina di migliaia d'anni fa. Da questo momento, e durante tutto il Paleolitico Superiore, l'arte compie in varie regioni d'Europa una continua trasformazione che la porta, in quel periodo detto Maddaleniano col quale si chiude l'età paleolitica, a produrre opere di un'importanza e di una perfezione tecnica che mai più verrà raggiunta in età preistorica e neppure presso popoli primitivi moderni. Con la fine del Paleolitico si assiste, nel Mesolitico, nel Neolitico e nelle civiltà dei metalli, alla scomparsa quasi improvvisa di queste eccellenti produzioni artistiche: i popoli agricoltori e pastori, che sostituirono in età olocenica, in Europa, le popolazioni ad economia venatoria del precedente periodo, ci hanno lasciato in generale, una documentazione che ci parla di un mondo artistico del tutto diverso da quello Paleolitico.

Durante il Paleolitico Superiore, in quella grande provincia artistica cosiddetta franco-cantabrica, che si estende dalla Francia alla Spagna e che ha dato le più importanti opere d'arte, tutte le tecniche sono state usate e cioè la scultura a tutto tondo, la scultura a basso e ad alto rilievo, il graffito, la pittura. Però si constata che, in generale, ognuna di queste tecniche, benché presente in tutti i periodi e le fasi culturali del Paleolitico Superiore, sembra prevalere o per quantità o per eccellenza di opere in uno o nell'altro dei periodi suddetti.

Il primo periodo del Paleolitico Superiore (Aurignaco-Perigordiano della Francia) è caratterizzato in particolar modo da una grande produzione di statuette antropomorfe a tutto tondo, la cui area di diffusione si estende in tutta l'Europa e giunge fino alla Siberia. Non mancano però le incisioni e le pitture, che assumono notevole sviluppo alla fine di quest'epoca. Il secondo periodo del Paleolitico Superiore (Solutreano) ci ha lasciato alcuni bassorilievi di una grandiosità e di una singolarità tutta particolare. Il Maddaleniano, l'ultimo periodo del Paleolitico Superiore, eccelle per la meravigliosa produzione di opere pittoriche e di graffiti. Sono anche numerose le sculture, ma tutte, ad eccezione dei bassorilievi, di piccole dimensioni e rivolte quasi sempre all'ornamentazione di strumenti e di armi d'osso e di avorio.

Il primo documento d'arte paleolitica venuto in luce in un giacimento chiaramente datato (quello della Madeleine in Francia) fu trovato in pieno deposito maddaleniano, nel 1874; si trattava di un frammento di zanna di mammuth fossile, il grande elefante villoso vissuto durante il Pleistocene, portante incisa la figura di quello stesso pachiderma. Da quel giorno le scoperte andarono moltiplicandosi e i musei di Francia e di altri paesi d'Europa si arricchirono d'opere d'arte preistorica. Nel 1879 furono scoperte le prime pitture parietali paleolitiche, quelle della celebre grotta di Altamira (v. altamira). Oggi le grotte dipinte e graffite di età paleolitica si conoscono in gran numero in Francia e in Spagna ed anche in altri paesi d'Europa e si continua a scoprirne di nuove. Per merito specialmente delle accurate, costanti ricerche del Breuil, l'arte parietale paleolitica franco-cantabrica può oggi essere seguita nei suoi sviluppi e suddivisa in distinte fasi stilistiche e cronologiche. La documentazione sino ad ora venuta in luce non ci permette ancora di dire una parola definitiva circa la genesi di quest'arte. Si ha infatti l'impressione che buona parte delle più antiche opere conosciute siano da riferirsi ad uno stadio artistico già notevolmente sviluppato e costituiscano nel loro genere manifestazioni d'arte già mature e complete: questo vale precisamente per la scultura, mentre graffito e pittura ci appaiono, nelle loro espressioni più remote, ad un grado di sviluppo assai primitivo. Questa differenza di maturità tra scultura e disegno, se verrà con sicurezza confermata attraverso un'ulteriore documentazione, potrebbe spiegarsi come uno sfasamento iniziale nell'evoluzione delle due tecniche, più rapida nei riguardi della scultura.

La scultura a tutto tondo è rivolta, durante la prima parte del Paleolitico Superiore, alla rappresentazione quasi esclusiva del corpo umano e, più esattamente, del corpo femminile. La scultura antropomorfa paleolitica prende il suo maggior sviluppo in questo periodo, perché in quelli successivi si avranno, salvo rare eccezioni, rappresentazioni di animali. Si tratta di statuette in pietra o in avorio di mammuth, che stupiscono per la sapiente tecnica e per il profondo realismo che talvolta le pervade, come nelle statuette di Willendorf e di Brassempouy. Talvolta, però si nota in talune una particolare stilizzazione (per esempio nella statuetta francese di Lespugue) ma nonostante ciò, tutti più o meno gli esemplari finora noti possono inquadrarsi perfettamente in una concezione unitaria: essi appaiono infatti legati tra di loro da un medesimo gusto, che si manifesta in una ben definita formula estetica. Rappresentano un tipo di donna con singolari caratteristiche somatiche: masse adipose abbondanti, seni sviluppatissimi e, in alcuni esemplari, un accumulo eccezionale di adipe nella regione dei glutei. I particolari del viso non sono quasi mai rappresentati e la testa assume, talvolta, forma più o meno allungata e appuntita, o è addirittura sostituita da un'appendice conica. Le estremità inferiori, prive di piedi, terminano a punta e spesso le braccia, sottili e appena delineate, si ripiegano sui seni. Queste statuette aurignaziane vengono comunemente indicate col termine di "Veneri", perché furono considerate, dai vecchi paletnologi, come rappresentazione dell'ideale della bellezza femminile del tempo. Tutto fa supporre che queste statuette fossero legate al culto della fecondità e della maternità, ed abbiano costituito, durante l'Aurignaziano, dei veri e proprî idoli, simboli della forza creatrice della natura, sorta di "Dea mater" paleolitica, il cui culto sarebbe stato diffuso su di un immenso territorio, dall'estremo O d'Europa alle pianure della Siberia. Tra le più note ricorderemo: in Francia le statuette frammentarie in avorio di Brassempouy, tra cui un bel frammento di un sapiente e morbido modellato ed una testina provvista di una curiosa pettinatura a piccole trecce, testina che, caso eccezionale, presenta indicati i particolari del viso. La Venere di Lespugue (Alta Garonna), già ricordata, statuetta in avorio di forma curiosissima, dalle sottili braccia appoggiate sui seni sviluppatissimi che ricadono sull'ampio ventre in forma di otri. Le spalle esili, la testa piccola, ovoidale e priva di lineamenti, piegata in avanti, contrastano con l'esuberante voluminosità della parte inferiore del corpo. In Italia la Venere di Savignano, trovata a Savignano sul Panaro (prov. di Modena) nel 1926, scolpita in roccia serpentinosa, può considerarsi, per l'eccellente fattura, tra i migliori esemplari d'arte scultorea antropomorfa; essa è in perfetto stato di conservazione e le sue dimensioni (cm 22 di altezza) superano quelle di tutte le altre statuette. Un gruppo di sculture di piccole dimensioni, pure esse in pietra, sono state raccolte nelle celebri grotte dei Balzi Rossi a Grimaldi presso Ventimiglia; un'altra piccola statuetta femminile proviene da un luogo imprecisato del Lago Trasimeno e infine, per terminare la rassegna delle statuette femminili italiane, ricorderemo l'interessante statuetta in pietra, trovata una decina d'anni or sono, in condizioni di giacitura piuttosto incerte, a Ghiozza di Scandiano presso Reggio Emilia. Tra le più interessanti statuette aurignacio-perigordiane europee, dobbiamo annoverare la Venere trovata nel 1908 a Willendorf, in Austria, scolpita in calcare e nella quale un senso di vivo realismo scaturisce dalla sapiente disposizione dei volumi e dalla esuberante espressività delle masse adipose. Un giacimento perigordiano, quello del riparo di Laussel in Dordogna, ha dato anche figure umane in bassorilievo: figure femminili che ripetono le caratteristiche delle statuette, alle quali si accompagna pure una figura maschile, caso rarissimo nell'arte aurignaziana. L'incisione e la pittura, in questa prima parte del Paleolitico Superiore, si presenterebbero, secondo lo schema del Breuil (schema che ha costituito fino a pochi anni or sono la base per lo studio della cronologia dell'arte parietale paleolitica, ma che necessita oggi di un'ampia e sostanziale revisione) dapprima di semplici profili incisi o dipinti con ocra o manganese sulle pareti delle profonde grotte di Francia e di Spagna. Secondo la successione cronologica dello schema suddetto, da meandri senza alcun significato apparente si passerebbe poi a forme più definite rappresentanti animali, per giungere infine a incisioni e pitture zoomorfe sempre più aderenti alla realtà. Non mancano anche riproduzioni, per quanto assai rare, di figure antropomorfe. In varie grotte di Spagna e di Francia compaiono impronte di mani, negative e positive, ottenute cioè scontornando col colore una mano oppure imprimendo la mano stessa dopo averla spalmata di colore, e figure e segni di oscuro significato. Verso la fine dell'Aurignaco-Perigordiano, l'arte pittorica ha già raggiunto un grado di notevole maturità, che si manifesta con bellissimi profili di animali, bisonti, mammuths, cavalli, cervi, ecc., pieni di vita e di movimento, quali, ad esempio, quelli delle grotte spagnole del Castillo, di Covalanas e di altre della regione cantabrica. Secondo l'opinione di molti studiosi apparterrebbe alla fine dell'Aurignaziano gran parte almeno delle stupende pitture della famosa grotta di Lascaux (v.) in Dordogna, scoperta nel 1940.

Il secondo periodo del Paleolitico Superiore, il Solutreano, caratterizzato da una particolare industria litica (punte a "foglia di lauro" e "punte a intacco" accuratamente ritoccate) ci ha lasciato, anche opere d'arte mobiliare come figure di animale incise su frammenti di pietra (per esempio nella grotta del Parpallò). In complesso però è una documentazione assai scarsa, in confronto a quella degli altri periodi del Paleolitico Superiore, ma è nell'arte del bassorilievo che gli uomini del Solutreano hanno creato le opere più importanti. Lo splendido fregio scolpito del riparo del Roc (Charente), scoperto nel 1927, costituisce una tra le più belle e interessanti opere scultoree della preistoria. Si tratta di varî blocchi di calcare, taluni di notevoli dimensioni (m 1,64 × 0,60), scolpiti in basso ed alto rilievo con figure di buoi, cavalli ed uomini. Esiste qui il senso della composizione: effettivamente le figure umane sono in relazione a quelle degli animali a formare delle scene. Interessante quella di un grosso bue che insegue a testa bassa un uomo. Il fregio del Roc colpisce per la sua realistica potenza e ci parla di un'arte più rude, ma più spontanea e vitale, forse, delle opere sapienti ed elaborate del successivo periodo Maddaleniano.

Anche il Maddaleniano ci ha tramandato sculture in basso ed alto rilievo, opere veramente notevoli, come quella del riparo del Cap Blanc in Dordogna: in essa scorgiamo, appunto, quei caratteri di maggiore maturità tecnica, di più approfondita ed equilibrata ricerca della forma, che ne costituiscono gli elementi di differenziazione dalle sculture del Roc ora ricordate. Una fila di cavalli, purtroppo in gran parte assai deteriorati, si snoda sulla parete calcarea e ci offre figure di una purezza di linee che potremmo definire classica. Se nell'Aurignaco-Perigordiano le rappresentazioni antropomorfe costituivano la regola, nel Maddaleniano avviene l'opposto. La figura umana non è rappresentata che molto di rado e, in generale, in modo assai scadente, mentre invece gli artisti maddaleniani ci hanno lasciato in gran numero magnifiche riproduzioni di animali, pervase da un profondo senso del vero. Si tratta di un'arte naturalistica, di un naturalismo sapiente e straordinariamente analitico. Nel Maddaleniano la pittura e le incisioni sulle pareti delle caverne ci appaiono nel loro massimo sviluppo, e così dicasi del l'arte mobiliare, cioè ciottoli graffiti e sculture e incisioni generalmente rivolte alla decorazione di armi, strumenti e oggetti di vario uso in corno di renna e in avorio. Sculture di valore ci ha lasciato l'arte maddaleniana: basti ricordare le due renne e il mammuth in avorio di Bruniquel, la testa d'orso in pietra di Isturitz, i bisonti d'argilla del Tuc d'Audubert, lo stambecco in avorio e la famosa testa di cavallo in corno di renna del Mas d'Azil, ecc. L'incisione, sia sulle pareti delle caverne, sia su oggetti d'osso e d'avorio, e su frammenti di pietra ci offre pure nel Maddaleniano bellissimi esempî. Anche qui dominano le rappresentazioni zoomorfe; quasi tutte le principali specie di fauna vissute durante il Paleolitico Superiore sono state graffite dai maddaleniani sui loro "bastoni di comando", sui loro arpioni, sui propulsori o sulle pareti delle grotte. Ricorderemo tra i più noti esemplari di quest'arte i bisonti di Teyjat, i mammuths della Grotta delle Combarelles, i mirabili cervi di Lorthet, i cavalli di ‛Bruniquel, la renna brucante di Thayngen, le foche di Montgaurdier, la lepre di Isturitz, il leone delle Combarelles, l'orso di Teyjat, ecc. Invece, come è stato detto, la figura umana viene assai raramente rappresentata e, quando lo è, si tratta di figure mostruose o mascherate, scadenti dal punto di vista artistico. Ma è la pittura che, nel Maddaleniano, si manifesta con la più vistosa fioritura di opere. Le grotte francesi e spagnole ci hanno rivelato una dovizia eccezionale di bellissime figure dipinte a semplice profilo oppure a colore pieno, monocrome, o in policromia, nelle quali il gioco dei chiaroscuri e le più lievi sfumature dei colori sono ottenute in modo mirabile. E tutto questo col semplice impiego di ocra e di manganese. Le figure di animali costituiscono, anche nella pittura parietale, la regola, mentre quelle antropomorfe l'eccezione. Esistono, ma più rare, anche figure di oscuro significato, generalmente indicate col termine di figure "tettiformi": figure a forma rettangolare, semilunare o losangica, interpretabili forse come capanne o tende o trappole. Circa lo scopo essenziale che gli artisti maddaleniani perseguivano nel ricoprire di gran numero di pitture e di graffiti le pareti e la vòlta delle caverne, le opinioni degli studiosi sono oggi, in gran parte, concordi. Quelle opere trovavano la loro origine in un movente fondamentalmente utilitario, e cioè nelle pratiche magiche, propiziatorie della caccia e della riproduzione degli animali che costituivano l'obbiettivo dell'attività venatoria. Bisogna tener presente infatti che su tale attività si era precedentemente basata tutta l'economia di quelle popolazioni e che la cattura della selvaggina costituì per decine e decine di millennî il principàle scopo degli uomini paleolitici. La magia propiziatoria della caccia va dunque considerata alla stregua di una vera e propria arma, forse la più complessa da essi creata Infatti nelle caverne franco-cantabriche sono generalmente figurati quegli animali da cui l'uomo traeva il proprio sostentamento; gli animali inutili o quelli dannosi sono, in genere, raramente rappresentati. D'altra parte il dubbio che tutte quelle figure siano state dipinte o incise col solo scopo ornamentale cade quando si tenga presente che esse furono quasi sempre eseguite nelle profondità di grotte completamente buie e talvolta anche, entro piccoli crepacci dove sono appena visibili; assai spesso appaiono tra loro sovrapposte in caotico disordine e l'una oblitera l'altra, sì che riesce talvolta impossibile distinguerle. In realtà le grotte dipinte dovettero rappresentare veri e proprî sacrarî nei quali si compivano riti propiziatorî della caccia ed una prova di ciò ci è data dalle frequenti rappresentazioni di animali con zagaglie ed arpioni infissi in varie parti del corpo o portanti segni di ferite, oppure posti vicino a trappole o addirittura imprigionati in esse.

Al di fuori dell'area di diffusione della grande arte franco-cantabrica, si ritrovano in Europa altri centri di arte paleolitica che appaiono come qualcosa di circoscritto e locale, pur mostrando con la prima evidenti rapporti stilistici e concettuali. Un gruppo a sé formerebbero quelle manifestazioni d'arte paleolitica, mobiliare e rupestre, distribuite nell'area mediterranea, che si presentano sia come espressioni grafiche veriste sia con spiccata tendenza verso lo schematismo e il geometrismo.

Le figure di carattere verista di questa "provincia mediterranea" vanno da un seminaturalismo, come a Grotta Romanelli in terra d'Otranto, ad un sapiente realismo come nelle belle rappresentazioni di animali di Levanzo nelle Egadi o del Romito in Calabria. I graffiti parietali e su ciottoli di Grotta Romanelli, in terra d'Otranto, sicuramente di età paleolitica, e sincronizzabili, come ha rivelato l'analisi del C. 14, con il Maddaleniano finale di Francia, appaiono come manifestazioni di un'arte seminaturalistica o addirittura schematica. Il rudimentale profilo di un bue e alcuni sommarî profili antropomorfi sono le sole figure chiaramente interpretabili incise sulle pareti della grotta pugliese. Un maggior numero di graffiti di significato ben definito ci offrono i ciottoli trovati in pieno deposito paleolitico nella stessa Grotta Romanelli e cioè la figura frammentaria di un felino, con un'accurata rappresentazione degli artigli, la figura di un ruminante e probabilmente di un cinghiale. Da queste realistiche rappresentazioni zoomorfe, si passa a strani segni nastriformi, alberiformi, a zig zag, a fasci di linee, dei quali non sembra possibile dare alcuna spiegazione. L'arte di Grotta Romanelli si ricollega ad analoghe manifestazioni artistiche della Spagna meridionale e della grotta del Parpallò, presso Valenza, nella quale però le figure su ciottoli ci rivelano una maggiore tendenza verso il naturalismo e per le quali sembrano possibili legami più o meno diretti con la grande arte franco-cantabrica. Motivi puramente decorativi che possono ricordare, sotto taluni aspetti, i graffiti su ciottoli di Grotta Romanelli, ritroviamo in una tipica cultura nord-africana della fine del Paleolitico Superiore, cioè nel Capsiano. Tale decorazione si trova sottilmente incisa su gusci di uova di struzzo, che furono usati come recipienti. Modesti prodotti di arte geometrica sono venuti in luce anche in Liguria: dalle grotte dei Balzi Rossi, presso Grimaldi, provengono varî ciottoli con incise linee a zig-zag o reticoli e bastoni forati in corno di alce decorati da gruppi di linee parallele; a questi oggetti si aggiungono due rudimentali rappresentazioni veriste, una testa di cavallo incisa su pietra e una testa di bovide graffita su un ciottolo. Dalla Grotta Polesini, presso Tivoli, proviene un notevole repertorio di arte geometrica, ricollegabile ai complessi della "provincia mediterranea" e comprendente ossa decorate con linee incise parallele, con segni a V e due ciottoli con disegni graffiti rappresentanti in un caso una figura a coda di pesce riempita da quadrettatura e nell'altro una figura fusiforme attraversata da linee parallele trasversali. Inoltre si sono rinvenute in questo giacimento anche manifestazioni di carattere verista, tra cui una figura raffigurante un lupo, del quale sono rappresentati l'occhio, la bocca e, a mezzo di punteggiature, il pelame; sulla superficie del ciottolo si notano numerose piccole cavità prodotte da colpi vibrati contro la figura, probabilmente in relazione a pratiche di magia venatoria, inoltre vanno tra l'altro ricordate della stessa grotta una bella testa di cavallo e una di cervo incisa su pietra e su osso che ricordano molto l'arte franco-cantabrica. Figurazioni zoomorfe di tipo naturalistico incise su pietra, provengono anche dalla grotta di Monopoli in Puglia e dalla grotta di Levanzo, nell'arcipelago delle Egadi, nota soprattutto per le sue incisioni parietali. Recentemente sono state scoperte nella Grotta Paglicci nel Gargano, insieme a pitture parietali di cavalli e a impronte di mani, figure di animali incise su pietra e su osso. Le incisioni rupestri di Levanzo, riferibili ad un epipaleolitico e che l'analisi del C. 14 ha permesso di datare tra i nove e diecimila anni fa, rappresentano animali in bello stile naturalistico, animali pieni di vita e di movimento. Le specie rappresentate sono le stesse di cui si rinvengono comunemente i resti nei giacimenti del Paleolitico siciliano, e cioè il bue primogenio, il cervo ed un piccolo equide selvaggio. Inoltre esistono anche figure di uomini mascherati che sembrano in atto di danzare. Altro gruppo estremamente interessante di graffiti parietali, scoperto in Sicilia, è quello della grotta dell'Addaura, sul Monte Pellegrino, presso Palermo. Qui, a differenza di quanto si può notare in tutta l'arte paleolitica, le figure umane costituiscono la maggioranza rispetto a quelle di animali; negli uomini dell'Addaura i tratti del volto non sono rappresentati, le teste si prolungano spesso in una sorta di becco d'uccello, e tuttavia essi sono di carattere decisamente verista, seppure di un verismo lontano dalle rappresentazioni antropomorfe franco-cantabriche, dalle quali questo complesso si distacca anche per un ben chiaro intento di composizione. Il gruppo principale rappresenta infatti una scena con due figure centrali circondate da varie altre, che sembra, tra le altre interpretazioni, potersi considerare connessa con riti di iniziazione. Esclusivamente zoomorfe (tre tori e due piccoli equidi) sono invece le figure che si sono rinvenute incise sulle pareti della grotta di Niscemi aperta sul fianco sud-ovest dello stesso Monte Pellegrino; gli animali, profilati con vigore e scioltezza, richiamano lo stile con cui sono stati eseguiti quelli di Levanzo e dell'Addaura.

Una grande e bella figura di toro, potentemente verista, di. stile "mediterraneo" è stata recentemente scoperta, incisa su di un masso, nella Grotta del Romito presso Papasidero in provincia di Cosenza. Essa era in relazione con orizzonti del Paleolitico Superiore finale di quel giacimento.

L'Europa centro-orientale fino alla Siberia rientra nella vastissima area di diffusione delle sculture antropomorfe che tanto numerose appaiono nell'Aurignaco-Perigordiano.

Imparentata dal punto di vista stilistico con le altre "veneri" europee, è una celebre "venere" proveniente, insieme ad altre statuette, dal giacimento di Dolní Vestonice in Cecoslovacchia. Si deve tuttavia notare che in questa statuetta, modellata in un impasto di materia argillosa ed osso polverizzato, non si ritrovano la morbidezza ed il realismo proprî delle sculture occidentali; i particolari naturalistici della figura si riportano, con rigida simmetria, su linee verticali e orizzontali fortemente accentuate e si può rilevare un certo carattere di stilizzazione. Il processo di stilizzazione del corpo femminile appare portato all'estremo in una figuretta in avorio, proveniente sempre da Vestonice, costituita semplicemente da un corpo allungato provvisto di due appendici ovali, interpretabili come seni. Lo stesso giacimento ha dato inoltre una testina umana in avorio finemente intagliata in cui i particolari del viso sono raffigurati correttamente e con accuratezza, caso eccezionale nel quadro dell'arte paleolitica. Anche la plastica zoomorfa, assente nell'Aurignaco-Perigordiano di Francia, è rappresentata in questo periodo a Dolní Vestonice: vi si sono rinvenute varie statuette di animali (tra cui mammuth, cavallo, rinoceronte, leone ed uccelli rapaci) modellate sommariamente, nelle quali la rappresentazione dei particolari morfologici appare ridotta all'essenziale. La stessa tendenza ad una sintesi assai accentuata si ritrova in una statuetta di mammuth proveniente da un altro luogo della Moravia, Predmosti, la quale però, più che una vera scultura, appare come ritagliata in un frammento d'avorio e con poche linee incise sui due lati. A Predmosti si sono rinvenute inoltre quattro probabili figure umane scolpite su metacarpi di mammuth, trattate in modo estremamente sommario. Sempre in Cecoslovacchia, nel giacimento di Brno si è rinvenuto un torso maschile in avorio, ma frammentario e assai mal conservato. Anche la Russia ha dato varî esemplari di scultura antropomorfa. Dal giacimento di Kostienki, sulla riva destra del corso superiore del Don, provengono un abbozzo di figura muliebre in pietra e due sculture femminili eburnee, di tipo simile; la più importante, priva di testa, presenta le gambe riunite e mutilate al ginocchio, braccia sottili e seni ricadenti sul ventre: è una raffigurazione fortemente realistica, in cui si ritrova la caratteristica interpretazione paleolitica della femminilità ed appare avvicinabile alla produzione dell'Aurignaziano occidentale. A Gagarino, ancora sul corso superiore del Don, si rinvennero sette statuette in avorio di mammuth, di cui due intatte. Alcune di queste sculturé presentano una forte rassomiglianza, per lo sviluppo delle masse adipose, per il proffio tondeggiante e la posizione della testa, con la Venere di Willendorf e, per quanto trattate più sommariamente, rientrano indiscutibilmente nella caratteristica scultura dell'Aurignaco-Perigordiano. Fuori d'Europa, a Mal'tà (v. malta), nella regione del lago Baikal, sono state trovate undici statuette femminili scolpite in osso, alquanto rigide e sommarie, nelle quali, pur potendosi notare un'aria vagamente familiare con quelle europee, è tuttavia chiara la tendenza verso una sorta di schematizzazione. Rappresentazioni di uccelli sono state considerate altre cinque sculture, provenienti dallo stesso luogo. Per il più tardo periodo maddaleniano, la cui arte mobiliare nella regione franco-cantabrica ha il proprio vertice nella produzione di graffiti su osso, si possono riscontrare manifestazioni di tipo aquitanico fino in Moravia, a Pekarna, dove si sono rinvenute spatole e corni di renna con incise rappresentazioni di animali. Dallo stesso luogo proviene una statuetta femminile estremamente semplificata, in cui particolare evidenza è data esclusivamente alla zona glutea.

Oltre queste manifestazioni, che possono considerarsi aspetti periferici dell'irradiazione aquitanica, l'Europa centro-orientale ha fornito documenti di un'arte locale decisamente schematica la cui diffusione è testimoniata fino all'Ukraina.

Quivi, dal giacimento del Paleolitico Superiore di Mezine, sulla cui esatta cronologia e sul cui aspetto culturale i pareri non sono concordi, proviene un complesso di strane sculture eburnee, interpretate comunemente come schematizzazioni del corpo femminile, decorate con motivi a rombi, a V, a zig-zag e a linee parallele, incisi sulla superficie. Nello stesso luogo si sono rinvenute inoltre un'armilla frammentata e varie lamine in avorio di mammuth, anch'esse completamente ricoperte da una simile decorazione. Tale carattere perfettamente geometrico della sintassi decorativa che usa, come motivo fondamentale, quello della linea spezzata, costituisce un'assoluta novità nel quadro dell'arte paleolitica e rivela un gusto che anticipa quello ispirante la decorazione di periodi più tardi. A Kiev si sono rinvenute zanne di mammuth con incisi disegni schematici non chiaramente interpretabili, costituiti da figure pettiniformi, scaliformi, da linee curve unite a tratti verticali e da profili che richiamano vagamente sagome animali. In Moravia, elementi geometrici analoghi compaiono nel già citato giacimento di Predmosti. Vi si sono rinvenuti frammenti d'avorio e di osso con decorazione, estesa sull'intera superficie, a linee ondulate, a zig-zag, a lisca di pesce. Inoltre un pendaglio claviforme in avorio di mammuth porta incisi singolari gruppi di cerchi concentrici. Lo stesso luogo ha poi dato un frammento di zanna di mammuth con incisa una figura interpretata come una rappresentazione muliebre fortemente stilizzata: gruppi di figure ellissoidali disegnano geometricamente i seni ed il ventre, mentre un triangolo costituisce la testa. Sulla cronologia, nell'ambito del Paleolitico Superiore, di tali manifestazioni di Predmosti non vi è accordo tra gli studiosi; sembra comunque certo che il senso della schematizzazione e della geometricità le ravvicini a quelle simili dell'Ukraina, contrassegnando quasi una provincia a parte nell'arte paleolitica, con proprie particolari caratteristiche.

Infine per l'Europa orientale vanno ricordate le pitture parietali naturalistiche rappresentanti il mammuth, il rinoceronte lanoso e il cavallo, recentemente scoperte nella grotta di Kapova negli Urali meridionali.

Una grande provincia d'arte p., che secondo ormai l'opinione dei più è da sistemarsi, almeno per quanto riguarda la gran maggioranza dei suoi prodotti, in età mesolitica, è la cosiddetta provincia "Levantina" di Spagna, o della Spagna orientale.

I documenti di quest'arte sono stati individuati, e si vanno continuamente scoprendo tutt'oggi, in un vastissimo territorio che all'incirca si estende dalla Catalogna sino al S della Spagna e dalla costa si addentra anche verso occidente in piena meseta. Si tratta di un'arte pittorica che si stacca notevolmente, dal punto di vista dello stile, dello spirito che l'anima e dei soggetti rappresentati, dall'arte franco-cantabrica, ma non può escludersi che con questa, nelle sue fasi più antiche, abbia avuto rapporti: l'arte levantina si esplica infatti con opere eccellenti, nelle quali, pur mostrando tendenze a deformare o meglio ad esagerare la realtà, mantiene tuttavia nel suo insieme spiccato carattere naturalistico. Le figure sono in generale di piccole dimensioni, monocrome a tinta piena e piatta, senza accenno a chiaroscuro. Sono pervase da un potente dinamismo: uomini e animali sono rappresentati in movimento, in corsa. A differenza dell'arte maddaleniana appare qui assai spiccato il senso della composizione: gli uomini e gli animali appaiono riuniti a formare scene di caccia, di guerra, di danza, di vita domestica. La figura umana domina nell'arte della Spagna orientale ed è caratterizzata da spalle larghe, vita sottile, gambe massicce (tipo pachipodo), oppure è esilissima, filiforme (tipo nematomorfo). Gli uomini sono armati di grandi archi, di frecce, di turcasso, portano vistose acconciature piumate sul capo, ornamenti alle braccia e sotto il ginocchio. Le donne sono rappresentate a torso nudo e rivestite di una lunga gonna campaniforme. Tra i complessi più interessanti di arte rupestre levantina ricorderemo quelli dei ripari della Gasulla, di Cogul, di Valltorta, di Alpera, di Minateda, de la Araña, ecc. Sono state già da tempo messe in evidenza le innegabili affinità di stile che intercorrono tra queste figure e quelle cosiddette "boscimane", che si incontrano numerosissime dipinte nei ripari sottoroccia del Sud-Africa, nonché con le pitture rupestri del Sahara e di altre regioni del continente africano; accostamenti sono stati fatti anche con l'arte cretese-micenea. I giacimenti non ci hanno però offerto fino ad ora, a differenza dell'arte franco-cantabrica, elementi sicuri per la datazione di queste pitture. Questa è la ragione per cui tanta incertezza si è avuta in passato nella loro determinazione cronologica, la quale ha suscitato vivacissime discussioni fra gli studiosi di ogni paese. In ogni modo è certo che si tratta, come dimostrano i soggetti rappresentati, di manifestazioni artistiche di popoli cacciatori: l'assenza di riproduzioni di tipica fauna quaternaria e di animali domestici è una prova della non appartenenza dell'arte levantina al Paleolitico, e neppure al Neolitico o a culture più tarde.

(P. Graziosi *)

3. - Arte dal Mesolitico all'età dei metalli. - Nei tempi mesolitici, profondi mutamenti climatici condussero alla rarefazione della grande selvaggina che in vaste regioni euroasiatiche aveva nutrito per centinaia di millennî i cacciatori paleolitici. Si produsse una crisi ambientale che, preludio al mutamento di economia apportato dall'agricoltura, influenzò nettamente anche le manifestazioni artistiche. In questo nuovo ambiente l'arte si svincolò progressivamente dai suoi significati magico-venatori, affermandosi la tendenza allo schema, alla rapida grafia impressionistica.

Al Mesolitico vanno ormai riferite le manifestazioni artistiche della cosiddetta provincia "Levantina" di Spagna (vedi paragrafo precedente). Quali manifestazioni più tipiche possono attribuirsi al Mesolitico una serie di ciottoli dipinti scoperti da E. Piette in una grotta dell'Ariège (Mas d'Azil), i quali mostrano la figura umana estremamente schematizzata e che sono stati da alcuni autori assimilati nel loro significato ai ciuringa (analoghi oggetti simbolici che, presso tribù australiane, sono connessi a credenze manistiche). Successivamente, nel 1915, H. Obermaier avvicinerà le figurazioni del Mas d'Azil ad una serie di pitture rupestri schematiche della penisola iberica. Questo accostamento tra oggetti trovati in un livello archeologico determinabile e le pitture rupestri, risulta convincente per la determinazione cronologica di una parte delle figurazioni spagnole, in cui lo schematismo appare in pieno sviluppo nei tempi successivi al Paleolitico Superiore. Non è improprio affermare che nel Mesolitico il richiamo della forma reale svaniva con la stessa realtà del mondo magico. Le discussioni sulla natura autonoma delle manifestazioni artistiche in genere o sulla loro correlazione con la situazione ambientale, trovano nel campo preistorico motivo per interessanti osservazioni. Nessuno oggi pensa in maniera categorica che il fenomeno dell'arte segna un suo proprio svolgimento (di sviluppo, di decadenza, di rifioritura e così via) tralasciando di considerare che l'arte, come le altre manifestazioni umane, è uno degli elementi della cultura e quindi fa parte integrante di un complesso di atteggiamenti che l'umanità assume di fronte al mondo esterno in determinati tempi ed in determinati luoghi. Di questi atteggiamenti, che possono a volte essere contraddittorî e contenere qualche elemento che può apparire eccezionale o "precursore", spetta allo studioso di cogliere l'essenza che caratterizza il comportamento di una società in una determinata epoca e riconoscere quali sono le manifestazioni che hanno valore universale, cioè accettate da intere comunità come parte integrante della loro cultura. Lo schematismo mesolitico non manca di premesse nel Paleolitico Superiore (soprattutto nell'Europa orientale) in cui appare qualche testimonianza di questa tendenza artistica, mentre il geometrismo decorativo, proprio delle assai più recenti culture con ceramica, si esplica nell'ornamentazione di qualche oggetto (Predmostí, Dolní Vestonice, Brno; [Moravia], Mezine [Ukraina]; Grotta Romanelli [Puglia]; Grotta Polesini [Lazio]); e l'imprecisione figurativa, voluta o determinata da carenza di mezzi espressivi, poteva essere integrata da contenuti simbolici (Altamira, Hornos de la Peña) senza che per altro la maniera di esprimersi universalmente perseguita dagli artisti paleolitici sia venuta meno a quell'aderenza alle forme reali in armonia con la loro prassi quotidiana di esistenza, permeata di valori magici strettamente connessi con la loro cultura di cacciatori. I pochi esempî di schematismo nell'arte paleolitica sono da considerare piuttosto elementi abnormi che continuamente si manifestano nell'ambito di qualsiasi cultura, essendo connaturati con l'inventiva dell'uomo, col suo molteplice modo di essere e di sentire; si avvertono tentativi di affermazione e di parziale elaborazione di tali elementi che rappresentano d'altra parte premesse per ulteriori sviluppi, qualora, modificandosi l'ambiente culturale, trovino un terreno di adattabilità. Il divenire storico, specialmente in un'epoca di intensi mutamenti ambientali quali si sono verificati nel Paleo, e Mesolitico, riposa anche sulla molteplicità di tendenze, sulla possibilità di divergenza da ciò che la società ha accettato come norma. Si potrebbe affermare che ogni civiltà possiede una sua fisionomia, in fatto d'arte, mantenendo tuttavia una riserva latente di modi di esprimersi qua e là affioranti.

Nell'Europa orientale, i pochi esempî di arte attribuibili a tempi mesolitici, appartenenti all'area baltica dei cacciatori di renne e pescatori, appartengono al più puro repertorio geometrico (linee parallele, fasci di linee incrociate o convergenti, zig-zag). Questi motivi, diffusi soprattutto nella cultura di Kunda-Maglemose, incisi su strumenti di osso e corno, rappresentano una estrazione, e probabilmente una cristallizzazione, di quel filone geometrico-ornamentale che segue una sua linea parallela allo svolgimento dell'arte figurativa. L'eredità artistica raccolta dai contadini neolitici fu in prevalenza schematico-geometrica; questo linguaggio figurativo ebbe in realtà nel mondo neolitico un terreno adatto per germogliare, costituito soprattutto dalla ceramica (v. ceramica). Lo studio della produzione vascolare e della sua ornamentazione rivela la tendenza a superare ben presto la semplice funzionalità ricettiva, mercé la modificazione del profilo dei vasi, l'aggiunta di anse ornamentali e di basi di sostegno sagomate. E se nel Neolitico più antico euro-afro-asiatico il primo tentativo di raggiungere un effetto ornamentale si manifestò con una serie di impressioni minute praticate sulla superficie del vaso, usando spesso come stampo il peristoma di conchiglie (v. cardinale, decorazione), è soprattutto con l'uso del colore che la decorazione dei vasi assunse aspetti di livello artistico, in cui vengono anche ad inserirsi elementi figurativi. La presenza di raffigurazioni che si richiamano alla realtà organica attraverso il Neolitico, sia nella plastica sia nell'espressione disegnativa, mostra come il filone del figurativismo non si è estinto con l'avvento dell'economia agricola, ma si è stilisticamente adeguato al prevalere della tendenza verso il geometrismo decorativo.

Nel Vicino e Medio Oriente, dove dal V millennio a. C. prosperavano le comunità agricole, questa tendenza si rivela chiaramente. Nella Mesopotamia settentrionale, la ceramica di Samarra si distingue per la disposizione in zone di motivi geometrici, tra cui spesso si inseriscono figure di animali stilizzati, concepite in funzione dell'insieme della composizione ornamentale. La decorazione dipinta di Tell Ḥalaf svolge temi minutamente geometrici, combinati con bucranî, cavalli o cervi stilizzati, raggiungendo l'estremo limite della schematizzazione degli elementi figurativi, armonicamente fusi nell'insieme dell'ornamentazione, concezione ripresa dalle ceramiche di Susa I. Nella valle del Nilo, la civiltà predinastica di el-Amrah (dall'omonima località presso Abido) manifesta nella ceramica uno spiccato estro ornamentale e figurativo, allontanandosi dal rigore della geometrizzazione e disponendo scene con personaggi ed animali in modo autonomo sulla superficie dei vasi. La singolarità delle figurazioni, ricche di efficace vitalità pur nella loro semplificazione disegnativa (in cui appaiono animali feroci, mostruosi o nocivi, quali scorpioni e coccodrilli), ha suggerito l'idea dell'esistenza, nel periodo di el-Amrah, di comunità raggruppate sotto contrassegni totemici. Lo stesso stile si perpetua, accentuandone la stilizzazione e con l'aggiunta di temi nuovi (spirali, battelli), nella successiva cultura di Gerzeh (Medio Egitto) (v. egiziana, arte).

Ma è nella plastica che la tendenza naturalistica persiste più a lungo, attraverso il Neolitico, fino a dissolversi in una concezione del tutto nuova ed essenziale della realizzazione a tutto tondo nella prima età dei metalli.

Le "veneri" adipose delle civiltà agricole euro-asiatiche (v. idolo), in cui si materializza il concetto di fecondità-fertilità connaturato con la pratica della coltivazione del suolo, si riallacciano in qualche modo stilisticamente se non ideologicamente, alle analoghe statuine femminili del Paleolitico Superiore. Per stabilire questa connessione, importanti sono le figurine adipose ritrovate recentemente a (Çatal Hüyük (Konya), in un livello databile intorno al 6ooo a. C., attribuibili ad una comunità di cacciatori-guerrieri a contatto forse con le più antiche culture agricole dell'Anatolia sud-orientale (Mersin) e in possesso di pitture parietali stilisticamente affini a quelle dei cacciatori nordafricani e del Levante spagnolo. In realtà la realizzazione a tutto tondo opera di per se stessa, per il solo fatto tecnico, un richiamo maggiore alla forma reale, con la quale ha in comune la consistenza volumetrica. Le figurine di animali frequenti nella produzione fittile delle civiltà neolitiche a ceramica dipinta, dai Balcani all'Asia Centrale (v. tripolje-cucuteni, civiltà di), manifestano la stessa genericità dei tratti (il più delle volte è impossibile distinguere quale animale si vuole raffigurare), ma la loro efficacia risiede nella vigorosa plasticità di una modellazione essenziale.

Ben presto si inseriscono nelle manifestazioni artistiche dell'Occidente contenuti religiosi di ispirazione orientale. La grande arte del Vicino Oriente del III e II millennio (v. mesopotamica, arte; iranica, arte; asia, civiltà antica) non promana verso Occidente che la sua sostanza ideologica, tramutata in schemi formalistici. È un fenomeno di trapianto che si manifesta soprattutto nel Mediterraneo ad opera di trafficanti-guerrieri di provenienza egeo-anatolica, i quali trovarono probabilmente nell'avventura marittima uno sbocco alla loro origine di nomadi continentali.

Sull'altopiano anatolico infatti, parallelamente allo sviluppo delle civiltà agricole a ceramica dipinta nella Grecia continentale e in Macedonia (v. dimini; sesklo; rakmani), Valacchia, Dobrugia, Moldavia, Bessarabia ed Ucraina, i temi mesopotamici del culto della fecondità diffusi dal Tigri al Turkestan e fino alla valle dell'Indo (v. anau; cahnu-daro; mohenio-daro), vengono rielaborati in una interpretazione stilistica tutta particolare. È da chiedersi se la tendenza allo schematismo già manifesta nell'arte paleolitica dell'Europa sud-orientale non abbia avuto una qualche incidenza nella caratterizzazione che si manifesta più tardi nella vicina area microasiatica. Infatti anche gli aspetti neolitici nell'area nord-pontica e nordcaucasica risentono di questa tendenza, quale ad esempio si avverte nelle figurine femminili estremamente convenzionali apparse nel sepolcreto di Nalchik e in quelle di animali a contorno "ritagliato" del sepolcreto di Mariupol. L'idolo femminile che nell'ambiente culturale in cui si era affermato mostrava una accentuata adiposità unita ad una sapiente ricerca di dettagli anatomici e strutturali (evidenza dei seni e dei glutei, ripiegamento delle braccia sotto i seni, triangolo pubico, ecc.), presso le genti anatoliche diviene un idolo piatto le cui fattezze umane sono appena riconoscibili nel solo contorno o còlte in superficie con indicazioni lineari assai semplici, che si riducono quasi sempre agli occhi ed alle arcate sopraccigliari. Questo tema del volto umano schematizzato della divinità femminile (indicata comunemente come "Dea dalla faccia a T" o "a volto di civetta") è quello che prevalentemente si diffonde nel bacino del Mediterraneo all'inizio dell'età dei metalli. L'idolo piatto sagomato, nella seconda metà del III millennio a. C., ha una spiccata caratterizzazione nella Troade (livelli II-V della cittadella di Troia) dove raggiunse l'aspetto di una placchetta ovale con due o quattro tacche laterali, per indicare il restringimento della vita e del collo; nello stesso periodo, la medesima schematizzazione di contorno si ritrova nell'Anatolia interna (livello I di Alişar Hüyük). Questo stile anatolico, che tende a ridurre la corporeità plastica ad uno schema disegnativo a contorno "ritagliato", influenza la produzione artistica non solo dell'Egeo, in accordo con la diffusione di altri elementi culturali asiatici nelle isole e sul continente greco (v. elladica, civiltà), ma anche delle regioni più occidentali del Mediterraneo. L'area in cui questa tendenza stilistica trovò un terreno di maggiore sviluppo e di originale elaborazione, fu quella delle isole Cicladi (v. cicladica, arte). Nel Mediterraneo centrale, l'isola di Levanzo nell'arcipelago delle Egadi ha rivelato una serie di pitture a campo pieno, in tinta nera (tranne una in rosso) in cui si mescolano elementi semi-naturalistici e schematici. Il gruppo più significativo è costituito da figure riproducenti l'idolo "a sagoma di violino". Le figurazioni dipinte sulle pareti della Grotta dei Cervi a Levanzo dimostrano che laddove si sviluppò un'arte rupestre schematica, la concezione egeo-anatolica della figura femminile "scontornata" si inserì come elemento concordante in tutto un indirizzo stilistico ed ideologico. Nell'Occidente europeo, il terreno più fertile per lo sviluppo dell'arte schematica fu indubbiamente la penisola iberica. Migliaia di figure dipinte sulle pareti rocciose dei barrancos, apparse in sempre crescenti scoperte a partire dall'inizio del secolo, crearono un grosso problema di cronologia, di attribuzione e d'interpretazione per quanto concerne uno degli aspetti più interessanti dell'arte preistorica. La determinazione dell'età delle figurazioni rupestri (salvo nel caso - rarissimo - in cui queste siano coperte da uno strato archeologico con materiale databile) è impresa ardua che può condurre a conclusioni divergenti. Il più delle volte si possono stabilire serie di sovrapposizioni, su singole pareti, di raffigurazioni con tecnica e stile diversi, ma ciò rimane un fatto localizzato dovuto al succedersi di artisti la cui maniera di esprimersi differiva dall'uno all'altro, mentre non è possibile stabilire la quantità di tempo intercorso tra l'esecuzione di una figura e la sovrapposizione di un'altra; non è lecito quindi legare la variazione dello stile figurativo osservabile su una singola parete rocciosa ad un fenomeno generale connesso con il mutare del gusto e della sensibilità artistica attraverso i tempi. Un caso tipico è quello di Minateda (provincia di Alicante), dove sulle pareti di un riparo sotto roccia si affollano serie numerose di figure umane ed animali. Il loro studio da parte di H. Breuil ha permesso di stabilire la successione di tredici momenti figurativi, evidentemente dovuti all'intervento di mani diverse, ,ma non è possibile generalizzare tale sequenza sia pure relativamente al Levante della Spagna e tanto meno limitarne lo sviluppo ad un periodo ristretto (Paleo- e Mesolitico). Vi sono studiosi come M. Almagro Basch, che vedono in queste figurazioni levantine uno spunto iniziale mesolitico ma un loro pieno svolgimento durante il Neolitico e la prima età dei metalli. Alcuni motivi che fanno parte della decorazione dei vasi, idoli piatti di scisto, d'osso e di alabastro, cilindri d'osso e falangi di animali decorati a guisa di figurine umane, diffusi nella Spagna e nel Portogallo, dimostrano che la maggior parte delle pitture rupestri che rivelano con essi strette analogie stilistiche e di contenuto, sono da assegnare all'Eneolitico. A questo periodo appartengono le tombe scoperte da L. ed H. Siret alla fine del secolo scorso nella provincia di Almeria, a Los Millares; la decorazione incisa di due vasi facenti parte dei corredi funerarî rivelò i primi nessi con l'arte rupestre (v. los millares): specialmente le figure di cervi dalle lunghe corna ramificate, le cerbiatte che rivolgono all'indietro la testa, trovano analogie vivissime con lo stile animalistico che ha raggiunto l'essenza dell'impressionismo lineare nelle pitture parietali. Ma la figurazione più interessante, da un punto di vista comparativo, è quella del volto umano semplificato a schema di occhi pupillati ed arcate sopraccigliari. Altri motivi schematici appaiono nella stessa ceramica, tra cui il cosiddetto "idolo bitriangolare" o "a clessidra" che rappresenta l'estrema geometrizzazione della figura femminile. Questa iconografia religiosa a tratti schematici ha il suo punto di diffusione, come si è detto, nel Mediterraneo orientale. Nei livelli II-V di Troia i vasi con motivi oculari (incisi sui bordi di scodelle) sono assai numerosi. Lo schema "a volto di civetta" comune sugli idoli piatti è eseguito anche in rilievo su vasi con coperchio degli stessi livelli. L'ambiente almeriano si distingue anche per i numerosi ritrovamenti di idoli in scisto, osso ed alabastro (specialmente ad Almizaraque e Los Millares) in tombe della prima età dei metalli. Essi appartengono al tipo "a contorno ritagliato" che ebbe una risonanza favorevole nello spirito di molte genti dislocate intorno al Mediterraneo. Un idolo che invece appare come una originale elaborazione della civiltà di Almeria, è quello ricavato da ossa lunghe e da falangi di bue o di cavallo, su cui sono dipinti o incisi motivi oculari arricchiti spesse volte da ornamentazioni tratte da un estroso repertorio geometrico. Nell'O dell'Iberia, particolarmente in Portogallo ed Estremadura, si ritrovano cilindri con occhi pupillati stelliformi, sopracciglia ed altri motivi decorativi. Ma in queste regioni una produzione caratteristica è rappresentata da idoli piatti di scisto, a contorno rettangolare, con o senza l'accenno della testa. La superficie interna è generalmente riempita con minute incisioni richiamanti raramente dettagli morfologici (testa, braccia), ma anche qui il disegno attinge al più puro geometrismo decorativo. Questo complesso di oggetti con la raffigurazione della divinità femminile schematizzata costituisce un vero e proprio insieme di "fossili-guida" per la datazione di molte pitture rupestri e nello stesso tempo aiuta a comprendere il fenomeno della diffusione ideologica che disponeva di modelli iconografici facilmente trasportabili. Alcuni preferiscono vedere nelle rocce dipinte iberiche luoghi sacri per il culto degli antenati, ma non mancano scene di varia interpretazione, come cerimonie matrimoniali o funerarie. Divinità funebre, custode delle tombe, si rivela in territorio francese la figura femminile "dalla faccia a T": negli ipogei del gruppo culturale Seine-Oise-Marne (v. seine-oise-marne, civiltà di), essa si trova, assai schematizzata, scolpita all'interno delle grotte artificiali funerarie. Nel Gard era raffigurata su stele che si ergevano, pare, in prossimità di alcune tombe, mentre un gruppo di statue-menhir dell'Herault, del Tarn e dell'Aveyron richiama i medesimi schemi iconografici con un particolare vigore plastico (v. Menhir).

Il fenomeno dello schematismo nell'arte occidentale ha avuto dunque un lunghissimo svolgimento, documentabile almeno dal Mesolitico alla più antica età dei metalli; alla fine del terzo ed al principio del secondo millennio poi, l'Europa mediterranea rappresenta una provincia artistica in cui i temi simbolici e religiosi trovano un particolare sviluppo. La rapidità della diffusione culturale per le vie marittime durante l'Eneolitico trova nei tratti essenziali, nella peculiarità delle forme semplificate, quei modelli più facilmente trasmissibili ed accettabili da parte di popolazioni diverse, e non è escluso che molti schemi originariamente di contenuto religioso siano stati alla fine spogli di ogni significato ideologico. Questa tendenza stilistica verso la sintesi lineare e plastica non rappresenta tuttavia, ovunque, il carattere generale dell'arte nella prima età dei metalli, ma è un fenomeno legato a situazioni etnografiche le cui dimensioni non sempre siamo in grado di valutare. Nell'Europa nord-orientale, in cui persistette a lungo l'ambiente culturale dei cacciatori-pescatori subartici, mentre un filone stilistico sviluppa le tendenze schematiche già manifeste nel Paleo- e Mesolitico, parallelamente la grande corrente naturalistica dei cacciatori paleolitici si perpetua con un'ampia elaborazione di temi animalistici, d'indubbio carattere magico-venatorio, fino ai tempi in cui le culture metalliche occupavano il resto dell'Europa.

Caratteristiche le teste di alce o di orso scolpite in pietra (costituenti il più spesso l'estremità figurata di asce), apparse in tutta l'area tra la Finlandia e gli Urali, e le affini sculture in legno (tra cui cucchiai con manico figurato) di Kittilä e di Gorbunovo. Sagome di uccelli, rettili, pesci e figure umane sono inoltre tratte dalla selce accuratamente scheggiata, con sorprendente naturalismo se si tien conto del materiale usato (Baltico, Mar Bianco). Una maggiore accentuazione schematica si riscontra tuttavia in una serie di figurine umane di osso, corno, legno, argilla, selce ed ambra della stessa cerchia subartica. Specialmente nelle figure piatte sagomate di ambra della Lituania, sia per la tecnica del "contorno" sia per i tratti semplificativi del volto, sorge spontaneo di scorgere influenze meridionali, per quanto manchi ogni riferimento ad attributi femminili. Un'altra serie di figurazioni naturalistiche e semi-naturalistiche è costituita dalle incisioni su roccia situate nei pressi del Mar Bianco e del lago Onega. In esse sono rappresentati figure umane o antropo-zoomorfe, uccelli acquatici dal lungo collo, rettili, renne, alci, orsi, pesci e battelli. Malgrado l'affinità del repertorio figurativo, distinzioni risultano evidenti nelle due località, con un maggior distacco dalle forme organiche per quanto riguarda le incisioni del lago Onega, più vicine stilisticamente all'arte rupestre scandinava (figure a braccia levate, teste circolari, battelli, dischi raggiati).

Altro esempio di incidenza ambientale sull'indirizzo artistico è costituito dall'Africa settentrionale dove, nel medesimo periodo in cui nella penisola iberica fioriva la grande arte parietale schematica, le incisioni e le pitture rupestri si attenevano al più puro naturalismo degno della migliore tradizione paleolitica. In realtà l'ambiente nordafricano mantenne per tutto il Neolitico caratteri adatti allo sviluppo di società di cacciatori. Il clima umido e caldo favorì la persistenza in quelle regioni della grande fauna di tipo tropicale, la stessa che vediamo vigorosamente effigiata nell'arte rupestre più antica. Parallelamente, lungo la fascia costiera, erano insediati gruppi con ceramica impressa dediti in prevalenza alla raccolta dei molluschi. Vere e proprie società agricole, con coltivazione organizzata, non si costituirono nel Nord-Africa ad occidente della Valle del Nilo in cui fiorirono invece, favorite dall'ambiente fisico, le splendenti civiltà di contadini di epoca predinastica. È probabile che gruppi di cacciatori delle regioni confinanti con l'Egitto, spinti dalla crescente rarefazione della grande selvaggina, abbiano intrapreso spedizioni razziatorie nel territorio nilotico, ove le comunità agricole allevavano da tempo il bue dalle grandi corna, ed abbiano cominciato a costituire con questo sistema i primi patrimonî armentari che li condussero ad un'economia pastorale di tipo nomade.

Uno dei centri di questa attività aggressiva può essere stato il massiccio di el-Auenàt, ricco di incisioni e pitture rupestri, che testimonia il trapasso (come del resto tutta l'arte figurativa nordafricana) dalla vita di caccia a quella pastorale, e dove si trovano maggiori attinenze di stile e di contenuto con l'ambiente egizio predinastico. Quest'arte rupestre del periodo "pastorale" in Nord-Africa comprende certamente i tempi in cui, nelle altre regioni del Mediterraneo, erano in pieno sviluppo le civiltà contrassegnate dall'avvento dei primi metalli. Si determinò in queste terre africane che si affacciano nel Mediterraneo un ambiente culturale tutto particolare, che non risentì in maniera sostanziale, come altre regioni europee, della crisi economica dei tempi mesolitici e che non subì lo sconvolgimento pressocché totale delle proprie tradizioni in seguito ad una vera e propria "rivoluzione" neolitica. Forse per questo l'Africa settentrionale appare fuori dalle correnti diffusorie più vive delle civiltà mediterranee dell'alba dei metalli, le quali svolsero un ruolo determinante nell'imprimere all'arte figurativa l'estrema razionalizzazione della sintesi grafica. Ciò suggerisce di considerare ancora una volta la maniera artistica come connaturata con fattori ambientali e con la psicologia di determinate popolazioni, escludendo una classificazione, in senso generale, basata sulle tappe cronologiche in cui viene ripartito lo svolgimento delle civiltà preistoriche (v. sopra nr. 1: Cronologia). L'arte dei pastori nordafricani riposa in pieno sulla tradizione figurativa dei cacciatori, senza interrompere il filone stilistico del naturalismo. Il repertorio di arte rupestre del Sahara algerino e del Fezzan dimostra questa continuità. Le pitture dei Tasili degli Azger, di soggetto pastorale (mandrie bovine, a volte custodite da uomini armati), rivelano nella esecuzione delle singole figure e nella sapienza delle composizioni un sorprendente spirito di osservazione della realtà colta nell'essenza più rappresentativa della linea e del contorno colorato, specialmente per quanto riguarda gli animali di cui ritraggono gli atteggiamenti più segreti e più ricchi di naturalezza, il che rientra nella consuetudine che era già stata dei cacciatori intenti ad un'osservazione costante del comportamento della selvaggina; consuetudine che non fu certo uno dei fattori meno importanti nel determinare la rappresentazione naturalistica del mondo animale in età paleolitica. Nelle più antiche pitture di pastori del Tassili, infatti, ignorata è la figura umana, e gli elementi stilistici si accostano strettamente a quelli dell'arte di soggetto venatorio. Una differenziazione avviene in un secondo tempo, quando la pastorizia ha sostituito completamente il sistema di vita dei cacciatori ed ha stabilizzato una lunga tradizione culturale: appaiono anche figure umane ben profilate e ricche di movimento. In età più tarda, le figure umane ed animali assumono dimensioni più piccole, fino a dar luogo ad un vero e proprio "stile miniaturistico", si opera una sortà di divisionismo nel riprodurre le maculazioni del pelame bovino e la figura umana s'impone con la sua presenza articolata in scene di molteplice contenuto (danze e giochi, accoppiamenti, pratiche di culto).

Nella più antica età dei metalli prende consistenza in Europa un grandioso fenomeno, quello della diffusione dei monumenti megalitici, in molti dei quali è da riconoscere un certo rigore architettonico e la ricerca dell'effetto volumetrico basato su una organica disposizione di masse nello spazio, mentre l'arte figurativa trova in essi, in alcuni casi, un nuovo terreno di estrinsecazione monumentale. Se si considerano le manifestazioni megalitiche su un piano generale, si scopre la illimitata portata del fenomeno e la diversa posizione cronologica che esso assume in varie parti del mondo, dall'Europa all'Asia, all'Africa, all'America ed all'Oceania, nonché l'impiego di questa tecnica monumentale anche in tempi attuali (Assam, Madagascar, Indonesia, Malesia). Pur essendo questa tecnica legata in primo luogo alla disponibilità dei materiali litici in determinate regioni, tuttavia la sua espansione nell'Europa continentale e nel Mediterraneo appare strettamente connessa con sostanziali movimenti di gruppi umani, per via terrestre e marittima, cui si deve la diffusione della tematica religiosa e della particolare impronta stilistica schematizzante dell'alba dei metalli.

Su molte pietre dolmeniche sono incisi motivi simbolici e geometrico-schematici come la ruota solare, spirali, fasce di zig-zag, motivi oculari o di volto umano, asce, mentre una definita consistenza antropomorfa assumono le stele scolpite e le statue-menhir raffiguranti quasi sempre la divinità femminile con volto schematizzato, con corte braccia ripiegate sotto i seni, ornata a volte di collana o di ascia. Tra le figurazioni megalitiche notevoli sono quelle della Bretagna (Pierres Plates, Gavrinis, Petit Mont), della Francia meridionale (St. Sernin, Collorgues), delle Asturie (Peña Tu), dell'Irlanda (New Grange). Analogie con questa cerchia figurativa megalitica presentano le stele di Fivizzano (Liguria), pur non mancando elementi per una classificazione più tarda. Il megalitismo di vistose proporzioni continentale-atlantico ebbe probabilmente origine in seno alle comunità agricole europee (v. cromlec; dolmen; menhir). V. Gordon Childe mise in rilievo la sorprendente analogia di concezione tra le tombe megalitiche destinate a contenere deposizioni multiple, a pianta rettangolare o trapezoidale, con le case rettangolari delle civiltà protoagricole in Europa, costruite per ospitare diverse famiglie (v. casa, preistoria; danubiana, civiltà). Il megalitismo dell'Europa nordica e occidentale-atlantica con i suoi cromlech, i grandiosi allineamenti di pietrefitte e i suoi dolmen collettivi rivela una tecnica costruttiva di massa ed un sottofondo culturale che ha come base unitaria sistemi di vita marcatamente associativa. I gruppi umani più dotati di movimento nell'Europa e nel Mediterraneo tra la fine del III e per tutta la prima metà del II millennio, mostrano di possedere un megalitismo di probabile derivazione, adattato ad una propria concezione di casa-sepolcro e che si esplica principalmente in un tipo di tomba individuale, in cui vengono impiegati elementi litici di ridotte proporzioni. Quello della casa-sepolcro è forse uno dei concetti più radicati nel mondo ideologico dell'antichità preistorica, e lo si vede riaffiorare in tempi più recenti nelle urne fittili a capanna laziali e paleogermaniche (v. laziale, civiltà), nelle strutture e nelle suppellettili scolpite all'interno di alcuni ipogei dell'Etruria, nelle urne di pietra raffiguranti la casa peculiari del territorio chiusino (v. etrusca, arte). Varî sono i tipi delle tombe megalitiche, dalle semplici ciste quadrangolari di lastroni alle camere dolmeniche con corridoio di accesso (a dròmos), dalle lunghe gallerie coperte alle camere costruite con blocchi aggettanti (thòloi). In questa tipologia è difficile scorgere linee di sviluppo, costituendo piuttosto l'insieme una manifestazione articolata e risolta con aspetti originali in determinati ambienti culturali. Le genti europee e mediterranee della prima età dei metalli trovarono nei loro movimenti espansivi ambienti megalitici da cui attinsero la tecnica costruttiva e in parte esse stesse ne determinarono la diffusione, adattando gli elementi megalitici alla loro concezione costruttiva della abitazione, che è quella della capanna rotonda. Ove la natura del terreno lo consentiva, le genti pontiche e nord-caucasiche scavavano grotticelle funebri "a forno" a pianta tondeggiante (v. catacomba, tombe a), in cui si possono scorgere tipi di abitazioni sotterranee simili a quelle che usavano alcune tribù nomadi di beduini nel Negev centrale. Il concetto di casa d'altronde è palese nella costruzione dei kurgan (coevi delle tombe a forno) di cui l'interno a strutture litiche e lignee riproduce abitazioni più complesse, forse simili a quelle usate dalle famiglie dominanti le organizzazioni tribali pastoralistiche della steppa (v. maikop). Le ciste di pietra, piccoli dolmen ricoperti da tumuli, si diffondono in questo periodo dal Ponto al Baltico (v. cordicella, decorazione a); mentre nell'Europa occidentale i gruppi portatori del vaso campaniforme (v. campaniforme, vaso) sono caratterizzati allo stesso modo dalle grotticelle artificiali a forno (tipiche quelle di Palmella, in Portogallo), ma essi si muovono in un vasto orizzonte megalitico e ben presto ne fanno propria la tecnica costruttiva. Questo megalitismo di dimensioni ridotte, d'impiego esclusivamente funerario, che si richiama alla struttura circolare della capanna e della tomba a forno mercè l'aggiunta alla camera quadrangolare di anelli esterni di blocchi e di tumuli circolari di pietrame e di terra, appare una caratteristica prevalente delle costruzioni dolmeniche dei territorî peri-mediterranei.

La stessa corrente egea cui si deve il trasferimento in Occidente di elementi culturali specifici, e soprattutto di contenuti religiosi e di particolari impulsi stilistici nell'arte figurativa, accompagna il diffondersi degli usi funerarî connessi all'impiego delle grotticelle artificiali.

Cipro e le Cicladi (v. cipro; cicladica, arte) sono ambienti insulari in cui le tombe ipogeiche per la loro antichità attestano l'esistenza nel Mediterraneo orientale di centri onginarî di questa prassi funeraria; la sua diffusione, tramite probabilmente la Grecia protoelladica (v. elladica, civiltà), raggiunse la Sicilia (civiltà di Castelluccio, v. sicilia), Malta, l'Italia peninsulare (v. gaudo, civiltà di; rinaldone, civiltà di), la Sardegna, la Francia meridionale e la penisola iberica dove avvenne la più efficace compenetrazione con la tecnica megalitica (dolmen ibridi di Monte Abrahao e di Los Millares) e da dove probabilmente (attraverso il Maghreb) quest'ultima trapassò in Nordafrica. Le aree in cui la pastorizia nomade e seminomade sembra documentata in questo periodo, e cioè le regioni pirenaico-catalane, quelle franco-meridionali ad occidente del Rodano (dove si svilupparono le culture dei pastori dei plateaux), le steppe pontiche e nord-caucasiche, il Nordafrica, dimostrano che l'idea megalitica, nella sua estrazione funeraria, riscosse grande favore nell'ambiente pastorale e che vi si ricorse quando le condizioni del suolo e la disponibilità di materiale adatto lo consentivano. L'influenza egea in Occidente che accompagna la diffusione di alcuni motivi religiosi e in genere della tendenza alla sintesi figurativa, si manifesta anche attraverso soluzioni architettoniche ignote al megalitismo nordico e atlantico. La regione mediterranea di Almeria è quella che dimostra maggiormente di avere sviluppato queste innovazioni costruttive in numerosi sepolcri a pianta circolare, nei quali la copertura è realizzata "a falsa vòlta", cioè con anelli di pietre via via restringentisi verso l'alto. Un dròmos immetteva alla cella funeraria a cupola e l'insieme del monumento era ricoperto da un tumulo di terra, risultandone una analogia più stretta con le tombe a forno (a parte la tecnica costruttiva) di quanto non appaia nelle tombe dolmeniche. Nelle Cicladi la falsa vòlta era già nota verso la fine del III millennio (Syros), realizzata parallelamente alle grotticelle a forno (Eubea). La falsa vòlta in Egeo assunse poi un suo aspetto elaborato e monumentale in tempi micenei nei grandiosi sepolcri a thòlos (v. micene; minoico-micenea, civiltà), la cui influenza architettonica continuò verisimilmente a confluire nel Mediterraneo occidentale, apportando nuovi raffinamenti a questa tecnica costruttiva il cul apogeo è rappresentato dalle costruzioni megalitiche della civiltà nuragica della Sardegna (v. nuraghe). In tempi prenuragici, peraltro, essa era stata terreno di penetrazione sia per i gruppi di provenienza orientale che diffusero nell'isola gli ipogei funerarî (specialmente nel territorio di Alghero e nel Sassarese), sia per quelli di emanazione iberica e franco-còrsa apportatori dei dolmen e delle ciste di lastroni (Gallura). Ma l'ambiente insulare, balearico e sardo-còrso, già aperto alle idee megalitiche manifestatesi nella prima età dei metalli, è contrassegnato da uno sviluppo autonomo di questa tecnica costruttiva, come era già avvenuto per Malta (v. malta). Le navetas delle Baleari (v. talayot), come le "tombe di giganti" della Sardegna, sono sepolcri monumentali di tipo allungato, ricoperti da un tumulo di forma parimenti oblunga, e rappresentano una classe particolare di monumenti originati in una situazione ambientale di civiltà sedentarie la cui impronta sociologica non doveva essere molto dissimile da quella che aveva dato impulso alle vistose manifestazioni megalitiche nord-europee. Inoltre nella Corsica le statue-menhir assumono una loro specifica e distinta caratterizzazione (Filitosa).

Le civiltà della piena e tarda Età del Bronzo in Europa (seconda metà del II millennio), dopo il periodo di fermento diffusorio che accompagnò i movimenti delle genti in possesso dei primi metalli, sono caratterizzate da situazioni di assestamento e da fenomeni di accantonamento culturale che si risolvono in genere in una stasi figurativa e nella carenza dell'impulso verso le manifestazioni artistiche. Mentre nell'Egeo e nell'Oriente le civiltà urbane attingono i livelli della grande arte, in Occidente si determinano singolari circoscrizioni di fatti artistici certamente connessi con una realtà ambientale non sempre determinabile con i mezzi archeologici.

Ad uno di questi fenomeni di accantonamento è da assegnare l'arte rupestre della cerchia alpina. Nel gruppo occidentale delle Alpi Marittime (Monte Bego) ed in quello della Val Camonica vi sono certamente figurazioni che possono ascriversi all'Età del Bronzo, ma queste manifestazioni hanno avuto indubbiamente una notevole persistenza. In un certo senso, la distribuzione geografica delle statue-menhir, delle stele antropomorfe e massi incisi del territorio alpino e subalpino dell'Italia, di cui le stele di Fivizzano appaiono più vicine agli schemi franco-iberici (Triora, Borno, Cemno, Caven, Lagundo, Termeno), si accorda con questo fenomeno di relegazione montana di un ambiente culturale che aveva avuto il suo sviluppo in vaste aree europeo-mediterranee. Tra le serie di Monte Bego, un gruppo di oltre un migliaio di figure, eseguite a leggero graffito, rientra stilisticamente nel repertorio schematico dell'arte rupestre iberica (motivi antropo-zoomorfi, scaliformi, alberiformi), mentre altre decine di migliaia di figurazioni, eseguite con la tecnica della picchiettatura (come in Val Camonica), svolgono temi più ampi e più vicini alla realtà, sia pure con tratti essenziali. L'elemento compositivo nel gruppo delle Alpi Marittime è limitato: la maggior parte delle incisioni riguarda la raffigurazione del bove, a volte indicato nell'estrema semplificazione delle corna e del tronco, oppure aggiogato all'aratro; appaiono inoltre armi (pugnali ed un tipo di "alabarda"), figure umane ed altri segni di dubbia interpretazione, alcuni dei quali potrebbero rappresentare delle ripartizioni topografiche forse in relazione alle aree pascolative. In Val Camonica, oltre ad una maggiore accentuazione dei soggetti venatorî (il cervo è ampiamente raffigurato), frequenti sono le composizioni di complessa impostazione (caccia, combattimenti, scene agricole e di allevamento, tessitura, scene funerarie, gruppi all'interno o disposti intorno ad abitazioni). Pur nelle varianti tematiche, e a volte stilistiche, dei due gruppi di figurazioni rupestri alpine, dovute anche ad una probabile maggiore estensione cronologica di larga parte di quelle della Val Camonica, non si può disconoscere l'affinità di un mondo ideologico che trova nell'estrinsecazione figurativa quasi una sua imperiosa necessità. Il fatto che le incisioni si trovino in aree montane non adatte all'agricoltura (quelle di Monte Bego a quota superiore ai 2000 m) e la presenza, viceversa, di soggetti pertinenti al mondo agricolo, ha avvalorato l'ipotesi di un culto della montagna, in concordanza con analoghe manifestazioni religiose del mondo antico, e di periodiche visitazioni dei luoghi da parte di popolazioni stabilmente insediate nelle valli e nelle pianure. È viceversa probabile che le figurazioni siano dovute a gruppi di pastori-cacciatori che ebbero con quelle contatti solo su un piano antagonistico e che si possa ravvisare nelle scene agricole e, in genere, in tutta questa produzione figurativa, una manifestazione ostile di più lontana derivazione magica.

(S. M. Puglisi)

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(E. Castaldi - S. M. Puglisi)