ARMENIA

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1991)

ARMENIA

N. Thierry

(gr. 'Αϱμενία; lat. Armenia; armeno Hayastan)

Vasta regione storica dell'Asia anteriore che, verso i secc. 7° e 6° a.C., prese ad assumere fisionomia propria per caratteri etnico-culturali derivati forse dalla fusione di elementi locali con popolazioni indoeuropee provenienti dalla Tracia e dall'Asia Minore. Il paese, ove la lingua nazionale si andava imponendo rispetto al greco e al persiano, acquistò unità anche politica con il re Tigrane II (95-55 a.C.), detto il Grande, sovrano di un vastissimo territorio esteso dal Mediterraneo alla Media e al Ponto, il quale, dopo essere stato accanito oppositore dei Romani, ne fu alleato (66 a.C.). Divenuta una sorta di stato cuscinetto e sede di scontri tra i Romani e i Parti, l'A. (che fu provincia romana solo per due anni, 114-116 d.C., sotto Traiano) mantenne la sua indipendenza sino all'occupazione persiana del 225, dopo di che fu di nuovo teatro dei conflitti tra Bisanzio e i Sasanidi, culminati nel 6° secolo.Dopo l'occupazione araba (dalla metà del sec. 8° alla metà del 9°), l'A. recuperò autonomia e indipendenza a opera di alcune famiglie feudali, soprattutto i Bagratidi, che attraverso alleanze e collegamenti dinastici arrivarono a dominare quasi tutte le regioni settentrionali, e gli Arcruni, che dalle loro sedi a S del lago di Van estesero, in una politica di accordi con Bisanzio, la propria influenza verso l'Occidente, ottenendo in feudo nel 1021 la regione di Sebaste (od. Sivas, Turchia), detta anche A. Minore. Dopo la caduta di Ani nel 1064 e la determinante sconfitta bizantina a Manzikert nel 1071, l'unità culturale e politica dell'A. sopravisse, sino a tutto il sec. 13°, nelle regioni settentrionali rette da principi sostenuti dai re di Georgia.Un principato, poi regno, armeno, formatosi nel 1080 sulla costa del Mediterraneo orientale in Cilicia (v.; detta da allora anche Piccola A.), conservò la sua indipendenza, pur senza continuità territoriale con la madrepatria, sino alla conquista mamelucca del 1375.Priva di confini naturali precisi e di frontiere politiche stabili nel corso dei secoli, l'A. può dirsi geograficamente delimitata a N dalla parte orientale dei monti Pontici e dalle pendici meridionali del Piccolo Caucaso, a S dai monti del Tauro Armeno; essa è costituita da un sistema di vasti altipiani, includenti i grandi bacini interni del lago Sevan e del lago di Van e solcati da un sistema di corsi d'acqua, i maggiori dei quali sono l'Arasse e l'Eufrate orientale. Il territorio dell'A. storica è oggi suddiviso tra la Rep. Socialista Sovietica d'A. e alcune prov. della Turchia orientale, della Rep. Socialista Sovietica d'Azerbaigian e dell'Azerbaigian iraniano.

Architettura

L'architettura dell'A. medievale affonda le sue radici nei primissimi secoli del cristianesimo, allorché il potente irradiamento dalla capitale religiosa Valašapat (od. Eǰmiacin; v.) e dalla capitale politica Dvin (v.) riuscì a costituire comunità civili e luoghi di culto sin nelle regioni periferiche del paese: dalla prov. del Gugark' nell'estremo N (in contatto con la Georgia meridionale che si andava allora cristianizzando), a quella del Syunik' a E (da cui, attraverso le regioni montuose dell'Arc'ax, la predicazione raggiunse la terza nazione cristiana del Caucaso, l'Albania, ove si conservano importanti vestigia cristiane di questo periodo), a quelle del Vaspurakan e del Mokk' nell'estremo S (in contatto con le comunità cristiane dell'Alta Mesopotamia). Nel periodo formativo della cultura architettonica armena - che si colloca tra la fine del sec. 4° e la seconda metà del 7° - si distingue una fase iniziale, sino a tutto il sec. 5°, della quale si conoscono essenzialmente gli edifici di culto, per lo più in muratura con forti paramenti in blocchi di pietra squadrati, riconducibili ai tipi del mausoleo, della chiesa 'a sala' e della basilica, che furono poi abbandonati, o comunque adottati con minor frequenza, allorché si diffusero le grandi architetture a cupola.La maggior parte dei mausolei, cappelle memoriali o martyria di santi, frequentemente ricordati dagli storici e pervenuti in numerosi esempi di forme e caratteristiche diverse, talvolta ispirati ad analoghi monumenti tardoantichi e paleocristiani della Siria, era formata da camere sepolcrali in tutto o in parte sotterranee, coperte a volta (è il caso di Alc῾, Amaras, Naxičevan, S. Vardan di Zovuni, S. Hṙip῾simē di Eǰmiacin), che talvolta servirono da cripte di edifici maggiori o costituirono il nucleo iniziale di un complesso di culto includente una grande chiesa. Da tali ambienti potrebbero discendere le cappelle a navata unica e quelle a forma di croce, ma non mancano altresì esempi di mausolei dotati di stele memoriali su alti podi gradonati (come quelli di Ałc῾, ǰrvež, Avan di Erevan) o protette da arcate libere sopra un alto basamento (è il caso di Ojun e di Ałudi), dalle quali si ritiene siano derivati i xač'k'ar, le ben note croci di pietra frequentissime nei luoghi di culto a partire dal 9° secolo.Il secondo importante gruppo di edifici dei primissimi secoli è formato dalle chiese a sala longitudinale absidata: si tratta di ambienti improntati a un'estrema semplicità compositiva, il cui spazio interno, orientato all'altare posto in un'abside per lo più semicilindrica, si dotava talvolta di archi trasversali che scandivano la navata in campate, o si dilatava in una serie di espansioni laterali più o meno profonde che interrompevano la continuità delle superfici verticali dei muri d'ambito (per es. ǰrveǰ, Balanis, ǰazǰaris).Il più elaborato dei tipi non cupolati fu, in A. come in altre regioni del mondo cristiano dei primi secoli in Oriente e in Occidente, la basilica a tre navate, un organismo anch'esso molto semplice, ma al tempo stesso aulico e solenne, destinato, assieme alle più vaste tra le chiese a sala, alle assemblee di comunità numerose. Le basiliche coordinano, entro un contesto di maggior respiro spaziale, elementi architettonici e funzionamenti liturgici in tutto simili a quelli delle chiese a navata unica: l'aula ecclesiale (che però si articola in navate oltre che in campate, mediante due file di pilastri liberi che sostengono, assieme ai muri longitudinali, le arcate e le volte di copertura); il presbiterio absidato e per lo più sollevato di alcuni gradini, con gli ambienti a esso accessori, di norma accessibili dalle navatelle; i portici laterali (ed eccezionalmente frontali). I non numerosi esempi di questo tipo che sono pervenuti, una decina in tutto, in diverso grado di conservazione e talvolta con importanti trasformazioni successive, o che sono noti da buone documentazioni, consentono di ricostruire un percorso di ricerca progettuale tendente a realizzare ambienti sempre più ampi, luminosi e complessi. Per quanto riguarda la zona orientale della basilica, si osserva come l'abside, ancora denunciata all'esterno nelle chiese più antiche (Eǰmiacin, Aparan, Tekor), ma anche negli esempi più tardi di Dvin ed Elvard, e per lo più priva di ambienti ausiliari di uso liturgico, prese in seguito a essere affiancata dai pastophoria (uno solo ad Aparan e ad Alc', due a Eǰmiacin, a Tekor e a Dvin), disposti trasversalmente, che finirono per determinare, negli esempi più maturi (per es. Aštarak e Ciceṙnavank'), una struttura più compatta, organicamente collegata alle navate e tutta inglobata entro un perimetro rettangolare.La seconda fase del periodo formativo (secc. 6° e 7°), corrispondente a un importante processo di sviluppo e di consolidamento della coscienza nazionale, comportò tra l'altro l'edificazione di complessi residenziali di vasta concezione, di cui si conservano tracce in alcune residenze principesche, quali Aruč e Ani (v.), e patriarcali, quali Dvin, Zvart'noc' (v.) e Avan, dove gli ambienti più rappresentativi, che si ritiene fossero sale d'udienza, adottavano forse una copertura in legno del tipo a falsa cupola in travi sovrapposti, con presa di luce dall'alto, corrispondente aulico di analoghe soluzioni tuttora in uso nell'architettura contadina tradizionale della regione.Fu comunque nella costruzione dei grandi monumenti religiosi che si concentrò l'attenzione di architetti e committenti, anche per quanto riguarda l'uso di tecniche e materiali destinati a sfidare i secoli: il che spiega l'assoluta prevalenza numerica di tali monumenti rispetto a tutti gli altri edifici conservati. In questo periodo (nonché in seguito, soprattutto tra i secc. 9° e 14°) elemento ricorrente e caratteristico, e preoccupazione centrale dei progettisti, fu il ruolo dominante della cupola (gmbet), comune a tutti i tipi e sottotipi adottati, nel suo doppio aspetto: da un lato di conclusione magnifica - affidata a una forma perfetta, immagine della volta celeste - del settore centrale dell'aula, proiettato in altezza dalle ampie arcate e dalla cavità del tamburo; dall'altro di enfasi monumentale a coronamento del volume esterno, sotto forma di alto tamburo cuspidato che, pur nascondendo la forma emisferica interna, ne rafforza con il suo peso la stabilità, aumentandone al tempo stesso l'emergenza rispetto alle costruzioni circostanti e la visibilità a distanza.L'invenzione più importante, tuttavia, fu quella di imporre la cupola non solo sugli edifici a pianta centrale, ma anche su quelli a sviluppo longitudinale, a una o a tre navate, con l'intento di trarre partito dall'integrazione e dalla sapiente combinazione dei due tipi di spazialità e dai rispettivi caratteri funzionali e simbolici. Delle chiese a sala cupolata dei secc. 6° e 7° restano solo gli esempi di Ptlni, Aruč, Dedmašen (capostipiti di un tipo che ebbe la massima diffusione nel periodo maturo, tra i secc. 9° e 13°), le cui cupole sorgono su arcate poggianti su massicci pilastri solidali alle murature d'ambito longitudinali e sporgenti da queste verso l'interno, suddividendo lo spazio complessivo in tre settori abbastanza diversificati: il vano d'ingresso formato da un braccio voltato a botte, dotato di due espansioni laterali, coperte anch'esse da volte a botte, ma trasversali; il vano centrale cupolato, determinato dall'intersezione della navata maggiore con una sorta di braccio trasversale corrispondente alla campata mediana, le cui volte formano una grande croce tridimensionale nettamente individuata anche all'esterno dall'andamento dei tetti; il settore orientale, formato di norma da un corto braccio voltato, anteposto al presbiterio absidato e sopraelevato, detto in armeno bem, e dai due ambienti ausiliari (analoghi ai pastophoria bizantini) che lo affiancano.Nelle basiliche a tre navate il supporto della cupola fu affidato al sistema statico rigido formato contestualmente dai pilastri liberi e dalle murature laterali, collegate da un dispositivo di volte a botte ad andamento cruciforme, analogo a quello delle chiese a sala.I diversi esempi noti di basiliche a cupola (Tekor, Bagavan, S. Gayanē, Zor, Ojun, Dvin, T῾alin, Mren, v.) presentano a loro volta notevoli varianti compositive, corrispondenti ad altrettante interpretazioni del modello, dove è possibile riconoscere tra l'altro la tendenza a porre il volume della cupola verso il centro della composizione (per es. a Ojun e a Zor). Il processo di dilatazione in più direzioni già osservato per le chiese non cupolate trovò invece la più completa espressione nella cattedrale di T'alin (v.) - nonché nell'analogo esempio, ora distrutto, del rifacimento della cattedrale di Dvin -, sintesi felice ed equilibrata di una basilica, riconoscibile nell'andamento delle navate, e di una chiesa triconca a cupola, visibile nell'ampia sagoma esterna delle tre absidi sporgenti.Anche per le chiese a pianta centrale, che formano l'altro grande filone di sperimentazione dell'architettura armena, è interessante osservare il processo di complicazione delle piante e dei congegni volumetrici come traccia di uno sviluppo logico, non sempre confermato però da precise successioni cronologiche, della ricerca progettuale applicata al notevole campo di variazione di questo tipo. Lo schema più elementare è evidentemente quello c.d. a croce libera, caratterizzato da quattro bracci innestati su un vano centrale per lo più quadrato. Esso è rappresentato in A. da una quarantina di esempi raggruppabili in sottotipi a seconda del numero dei bracci absidati: chiese a quattro absidi (per es. Crviz, Ošakan, P'aṙpi); chiese a tre absidi con vano d'ingresso rettangolare (per es. Alaman, T'alin, Dorbantivank'); chiese a una sola abside, nel braccio orientale (per es. Aštarak, Byurakan, Šenik). Gli stessi edifici sono del resto aggregabili secondo altre categorie che tengano conto del maggiore o minore sviluppo in senso E-O, stabilendo allora una progressione da quelli in cui i due assi di simmetria sono perfettamente uguali (per es. Ošakan, P'aṙpi, Šołagavank, Bǰni) a quelli decisamente longitudinali (per es. Dorbantivank', Alaman, Hnevank', Byurakan).Un primo arricchimento di tale schema consistette nell'innestare le quattro conche non già su un vano largo quanto i bracci della croce, ma sugli assi di un ambiente quadrato molto più ampio, che dà luogo a una cupola di maggior luce e altezza. Tale dispositivo fu realizzato in due modi abbastanza diversi: talvolta (è il caso di Bagaran e di Eǰmiacin) facendo poggiare le coperture voltate su quattro pilastri liberi; altre volte - con l'intenzione evidente di creare uno spazio unitario privo di sostegni intermedi, del quale fosse possibile percepire con un solo colpo d'occhio tutto il contorno - impostando la cupola, tramite tamburo e raccordi, sugli stessi muri d'ambito (è il caso di Mastara, Art'ik, Oskepar).Un'altra interpretazione del tetraconco, originale e complessa, da ritenere, proprio per la sua area di diffusione, una invenzione esclusivamente armena, presente nell'architettura cristiana del Caucaso sin dal sec. 6° (e ripresa a sua volta nei secc. 9° e 10°), è quella che comporta uno spazio interno delimitato da quattro absidi e da quattro nicchie cilindriche sulle diagonali, che sdoppiano i sostegni della cupola in otto pilastri uguali raccordati a due a due da archetti di scarico. Di tale impianto, denominato 'tetraconco a nicchie d'angolo', si riconoscono due prototipi dotati di involucri ispirati a istanze espressive di segno opposto: quello del S. Giovanni di Avan, che dissimula e ingloba le articolazioni interne, tutte definite da accostamenti di cilindri cavi, entro un volume basamentale compatto, e quello della Santa Croce di Ałbak, che lascia invece trasparire all'esterno, tramite muri di spessore pressoché costante, quasi ogni risalto delle murature interne. A quest'ultimo prototipo possono concettualmente assimilarsi sia l'edificio di Sarakap, le cui murature di base, uniche superstiti, consentono di ipotizzare una insolita articolazione stellare denunciata anche all'esterno, sia la chiesa di Mokhrenis, da considerare il capostipite di una serie di esempi, per lo più georgiani, impostati su due assi di simmetria pressoché equivalenti. La soluzione più frequentemente adottata fu comunque quella intermedia, che segnala all'esterno le articolazioni interne mediante profonde nicchie diedriche, come si vede negli esempi ben conservati di S. Hṙip῾simē a Eǰmiacin, Gaṙnahovit, Sisavan, Arcuaber.Una variante notevole è offerta pure dalle cappelle ad absidi radianti, riconoscibili per la caratteristica pianta a corolla, dotata di tre o di quatto assi di simmetria quasi equivalenti, poiché l'asse E-O, corrispondente al percorso ingresso-altare, prevale sempre sugli altri, anche se di poco. Di quelle a tre assi, che danno luogo a un vano interno esaconco, si conosce solo l'esempio di Aragac, antecedente dei numerosi edifici analoghi dei secc. 10° e 11°, tutti costruiti nell'ambito della 'scuola di Ani'; di quelle a quattro assi, che generano uno spazio ottoconco, si conoscono gli esempi di Zoravar, presso Ełvard, e di Irind, da cui si può far derivare, tra l'altro, il Salvatore di Ani, dell'11° secolo. Il massimo della complessità spaziale fu raggiunto tuttavia attraverso un più elaborato progetto di vasta e solenne concezione monumentale che, in vista di una concatenata sequenza di volumi ascendenti, trafora alla base le murature delle conche mediante arcate su colonne libere e le circonda con un peribolo di una certa ampiezza, disarticolando le strutture di sostegno in quattro massicci piloni a supporto della cupola e in un muro continuo, da questi indipendente, che corre tutto attorno. Appartengono a questo tipo, oltre le primitive costruzioni di Išxan e Banak nel Tayk', trasformate entrambe nei secoli successivi, la chiesa palatina di Zvart'noc', eretta tra il 643 e il 659, che all'inizio del sec. 11° servì da modello per il mausoleo di Gagik ad Ani, nonché la chiesa di Liakit nell'Albania caucasica, una regione dove è stato pure trovato, a Kilisedagh, un analogo edificio semplificato con il vano interno circolare anziché tetraconco.Dopo una lunga stasi, tra la fine del sec. 7° e la seconda metà del 9°, dovuta in gran parte all'occupazione araba della regione, si manifestò, in tutta l'A. tornata indipendente, un periodo di forte ripresa e rinascita culturale che si protrasse sino all'inizio del 14° secolo. Si tratta del 'periodo maturo' dell'architettura armena, segnato da un originale recupero dei modelli tipologici e delle forme stilistiche del 'periodo formativo', la cui fase di avvio, tra la fine del sec. 9° e la fine dell'11°, si caratterizza per una produzione abbastanza diversificata che denota l'esistenza di scuole regionali, ricollegabili ai centri di potere delle grandi famiglie reali. La regione che prima delle altre dette segni di ripresa, con nuove fondazioni di una certa importanza, fu il Syunik῾ - corrispondente ai vasti territori a S e a S-E del lago Sevan - i cui sovrani si segnalarono come munifici mecenati, fondatori di chiese e conventi sin dalla metà del 9° secolo. L'architettura medievale della 'scuola di Syunik῾' appare marcata, sin dall'inizio, dal carattere di severo misticismo che assumono gli spazi interni, anche per la scabra finitura degli apparati costruttivi e la sobrietà dell'ornamentazione. Per l'aspetto tipologico, i modelli più frequenti, almeno per le chiese principali dei complessi monastici, sono: il triconco (è il caso di Hac'arat, a bracci liberi, delle due chiese di Sevan, dell'874, di Mak'enoc'ac'vank' e Masrac' Anapat, con tre ambienti angolari, di Kòtavank' e Orotnavank῾, con quattro ambienti angolari, di Šolagavank', che sperimenta eccezionalmente nicchie esterne semicilindriche); il tetraconco (è il caso di Hayravan sul Sevan, a bracci liberi estradossati, di Vanevan, di C'ałac'k'ar ovest, dotata di cappelle angolari); il tipo a croce dai corti bracci, inglobati in una muratura rettangolare (come nel caso di Ilkavank').Non mancano naturalmente esempi di chiese a sala absidata, per lo più di piccole dimensioni (è il caso delle cappelle di Mak'enoc'ac'vank', di Orotnavank', di Aratesvank', di Noravank' Amalu e di S. Stefano a C'alac'k'ar est), ma talvolta molto più vaste del consueto, come nel caso di Vahanavank', del 911, suddivisa in campate da una serie di archi trasversali. Non erano escluse neppure le sale a cupola, sia del tipo compatto con quattro cappelle angolari (è il caso di Tat'ev, di K'arkop', del S. Karapet a C'ałac'k'ar est, del 1014, con elementi decorativi influenzati dallo Širak), sia del tipo con espansioni del braccio occidentale aperto sulla navata (è il caso di Batikyan, della S. Maria di Noratus, della chiesa meridionale di Aratesvank'), sia ancora del tipo semplificato adottato per cappelle memoriali (è il caso della S. Maria di Tat'ev, del 1087, analoga per le sue ridotte dimensioni ad alcune piccole chiese a cupola dello Širak, come la chiesa meridionale di Bagnayr e tre delle cappelle, ora distrutte, di Xc'konk'). Tra le maggiori istituzioni va ricordato il monastero di Tat'ev (la cui chiesa principale risale all'895-906), che fu per secoli il centro religioso e culturale più importante di tutta l'A. orientale e divenne sede di una famosa università che attirava studiosi e studenti anche da paesi lontani. Situato in posizione inaccessibile e dominante, dotato di una cinta fortificata, che racchiudeva anche le aule di insegnamento e le residenze dei monaci, tutte costruite in solida muratura di pietra, esso fu continuamente arricchito da donazioni regali tra cui un gran numero di fortezze, villaggi e territori coltivati.Un'altra regione che non tardò a rinascere fu quella a S del lago di Van, retta dalla famiglia reale degli Arcruni, la cui capitale si articolava in tre sedi distinte: Van, sede di strutture commerciali e difensive; Vostan, sede del governo e dell'amministrazione; Ałt'amar, residenza dei sovrani e poi dei patriarchi. Gran parte dell'attività costruttiva si concentrò anche qui nei centri monastici sviluppatisi in luoghi già consacrati da memorie di predicatori apostolici, da antiche presenze eremitiche, o prescelti per ospitare sante reliquie. Tra i principali vanno ricordati Narekavank', fondato nel 935; Iluvank', risalente al sec. 10°; Varagvank', dove la chiesa della Santa Sofia fu eretta nel 981, e infine quello della Santa Croce di Aparank', del 983. Gli ultimi due edifici furono costruiti per volere di Gagik I (989-1020), cui si assegnano anche i conventi di Karmrakvank', di S. Tommaso di Ganjak e di S. Giorgio di Gomk, tutti destinati a svilupparsi ulteriormente nei secoli seguenti. Anche i più antichi edifici di culto dei monasteri di S. Taddeo di Artaz (od. Maku), di S. Bartolomeo di Ałbak (od. Sikefti), di S. Stefano Protomartire a ǰula (od. Jułfa), furono eretti in questo periodo di intensa attività. Altre istituzioni monastiche di grande prestigio e capacità attrattiva si svilupparono, a O del Vaspurakan, nella contigua prov. di Taron (od. Muş): tra i principali conventi si ricordano quelli di S. Hovhannēs, di S. Aṙak'eloc' e di S. Karapet, quest'ultimo erede del ruolo di centro di pellegrinaggio che era stato del santuario pagano nella non lontana città di Aštišat, divenuta, dopo la conversione, la prima sede episcopale dell'Armenia. Per l'aspetto puramente tipologico, oltre a un certo numero di chiese a sala absidata sia di uso parrocchiale (Uranc', Kerdivan, Pert'av, Pančas) sia conventuale (S. Cristoforo a Pori, Pułenc, Baṙ, Ginekanc', Arcuaber), sono presenti, naturalmente, le chiese a sala cupolata, come la già citata Santa Sofia a Varagvank' (del 981), la chiesa di Hzaruvank', S. Isacco a Ererin e la più vasta delle chiese del Vaspurakan, la Santa Croce di Aparank' (del 983), costruita interamente in mattoni, a suo tempo ricoperta all'interno da un ciclo di affreschi.Non mancano, del resto, a riprova della ben nota versatilità dei costruttori armeni, il triconco e il tetraconco, realizzati, analogamente a quanto si è visto nel Syunik', sia con bracci parzialmente liberi, anche se di perimetro esterno rettangolare o poligonale (è il caso di S. Tikin a Sortkin e di Butacvank', risalenti forse a epoca più antica), sia iscritti in un involucro parallelepipedo (è il caso, per es., di S. Maria a Iluvank', del 941, e di S. Giovanni a Varagvank', della fine del sec. 10°).La più ricca e la più evoluta delle aree culturali dell'A. medievale fu lo Širak (corrispondente alla valle dell'Axuryan, affluente di sinistra dell'Arasse), centro geografico ed economico della regione e sede della famiglia reale dei Bagratidi che, tramite alleanze e collegamenti dinastici, controllava molti altri territori feudali vicini. L'attività costruttiva si concentrò dapprima nelle capitali 'provvisorie' (Kars, Širakavan, Argina) e, dopo il 970, ad Ani e nei capoluoghi provinciali, dove si sviluppò un'intensa civiltà urbana basata su un elevato livello di organizzazione, secondo il modello orientale tripartito: cittadella del sovrano e della sua corte; città dei nobili, circondata ugualmente di mura; città esterna (o sobborgo) del popolo e degli stranieri. Ognuna delle tre entità era provvista di spazi ed edifici differenziati per le diverse attività e di luoghi deputati all'incontro dei gruppi e delle etnie soggette all'autorità del re. Le città armene erano dotate di vie lastricate, di reti sotterranee di fognature e acquedotti per l'approvvigionamento idrico di palazzi ed edifici pubblici (alberghi, caravanserragli, fondaci, depositi di merci, agenzie commerciali, bagni, uffici delle imposte), di conventi, scuole, scriptoria, laboratori: istituzioni necessarie allo sviluppo dell'istruzione e della vita culturale e all'esercizio di diverse attività artistiche, letterarie e scientifiche.Tra le varie tipologie chiesastiche, si elaborarono due diverse interpretazioni della sala a cupola: la prima, più fedele ai modelli classici di Ptłni e Aruč, conserva l'andamento longitudinale dell'edificio e l'unitarietà del suo spazio interno, includente le espansioni laterali del braccio occidentale aperte completamente sulla navata (è il caso di Širakavan, del sec. 9°-10°, del S. Nšan di Hałbat, del 972, di Argina e Haykajor, del sec. 10°, di Bagnayr, del S. Miniato e del S. Giovanni di Hoṙomos, del sec. 11°, e di molte altre); la seconda, che tende alla formazione di un volume compatto, al limite di pianta quasi quadrata, realizza invece uno spazio interno cruciforme - molto diverso però da quello della 'croce inscritta' bizantina perché privo di pilastri liberi - in cui i vani laterali del braccio occidentale si chiudono a formare cappelle absidate, talvolta a due piani, come nel caso di S. Maria, del 934, e del Salvatore a Sanahin, delle chiese più antiche di Mak'aravank' e Hałarcin, dei secc. 9°-10°, della chiesa principale di Mravyan, del sec. 10°-11°, della chiesa meridionale di Ṃarmašen, delle chiese di Amberd e Nelucivank', del sec. 11°, della 'cattedrale' di Kečaris, dell'inizio del 12° secolo. Se tali tipi figurano contemporaneamente anche in altre regioni del paese, quasi esclusivi della 'scuola di Ani' risultano invece in questi due secoli gli organismi centrali a cupola, anch'essi presenti, come si è visto, sin dal periodo formativo, in una vasta gamma di varianti e sottotipi dagli esiti spaziali anche molto diversi. Di questi, gli architetti operanti nello Širak e nelle regioni che ne dipendevano culturalmente sembra prediligessero non tanto le espressioni più semplici a croce libera, quanto le applicazioni più complesse e articolate, capaci di rispondere a ricerche di geometrie multiple e di realizzare volumetrie a sviluppo verticale con andamento piramidale. Tali edifici offrivano occasioni per nuove sperimentazioni al limite del virtuosismo compositivo e costruttivo, fornendo stimolanti temi di progettazione ed esecuzione di complicate geometrie tridimensionali, con insolite ma controllate intersezioni e incastri di spazi e di volumi. Tra i tipi a pianta centrale molto frequente era l'esaconco, concettualmente singolare, in quanto denotante il passaggio da una geometria impostata sulla divisione del quadrato a un'altra geometria basata sulle leggi del cerchio e dell'esagono, che consente di costruire e verificare le potenzialità espressive di spazi svincolati dalla giacitura dei punti cardinali, tendenti invece a recuperare i concetti di unità e totalità espressi dalle figure legate a matrici circolari e, in definitiva, dotati di un solo asse, quello verticale, determinato dall'intersezione di tutti i piani di simmetria passanti per il centro della figura geometrica che disegna la pianta dell'edificio.La seconda fase del periodo maturo, tra la fine del sec. 12° e l'inizio del 14°, comportò una ulteriore ripresa dell'attività edilizia dopo l'occupazione dei Turchi selgiuqidi, con la cui cultura architettonica e figurativa i costruttori armeni stabilirono peraltro un attivo rapporto di interscambio, ulteriormente sviluppatosi, soprattutto nel sec. 13°, anche nei riguardi dei Mongoli ilkanidi. Gran parte dell'attività costruttiva si concentrò nelle regioni settentrionali del paese, dove le più importanti opere pervenute interessano ancora una volta l'architettura dei centri monastici, i quali, quando non si trattava di fondazioni ex novo, si svilupparono attorno a luoghi di culto preesistenti, come attesta la presenza di chiese o cappelle del periodo formativo (è il caso di Hovhannavank', Astvacenk'al, Hogevank', Haričavank'), o dei secc. 10° e 11° (è il caso di Sanahin, v., Hałbat, Mak'aravank', Hałarcin, Bagnayr, Hayravan sul Sevan, Dadivank', Noravank' Amału, Aratesvank'), che servirono da nucleo iniziale per una crescita organica dettata dalle necessità e dalle concrete possibilità di espansione. Per la costruzione dei complessi, in assenza di un progetto unitario da realizzare poi per fasi, il procedimento più comunemente adottato era infatti quello di aggregare via via, per giustapposizione e quasi per gemmazione, edifici dotati ciascuno di autonomia volumetrica e funzionale, collegati tra loro non da un'entità concreta (per es. da una grande abbazia o da un chiostro, come avveniva nell'architettura del Medioevo occidentale), ma dal principio astratto di ripetere e accostare elementi tra loro simili, accomunati di norma dall'analoga articolazione delle coperture che realizzano una grande croce tridimensionale, sollevata da terra, sormontata all'incrocio dei bracci dal tamburo cuspidato.Nei monasteri più importanti le frequenti donazioni di nobili e di ricchi mercanti consentivano la realizzazione non solo di edifici di culto, ma anche di vasti ambienti accessori: oltre alle abitazioni dei monaci, quasi sempre andate perdute perché costruite in materiale precario o ricavate in grotte nei dintorni, era frequente la compresenza di due o più chiese, che potevano disporre di numerosi altari, spesso in cappelle sovrapposte nel caso di comunità numerose, con uno o più ambienti di riunione (narteci coperti, refettori, biblioteche, aule di insegnamento) e altri elementi minori (mausolei, stele commemorative, campanili, fontane, nonché cucine, frantoi, mulini e depositi). Sono esempi di tale tipo di aggregazione Hałbat, Sanahin, Hałarcin, Gošavank', Gełard, Mak'aravank', Tat'ev, Dadivank'.Una cinta muraria, spesso munita di torri, racchiudeva talvolta la maggior parte di questi elementi, conferendo al convento il carattere di una cittadina fortificata (è il caso, per es., di Axt'ala, Hałbat, Hovahnnavank', Noravank', Tat'ev). Per le chiese il tipo più comune resta, come sempre, la sala a cupola, nelle due varianti sopra segnalate per l'architettura dello Širak.Merita attenzione, nell'ambito dell'architettura monastica, un particolare ambiente, destinato a usi diversi, religiosi e civili: il gavit', una sorta di vasto nartece non porticato, divenuto il necessario complemento delle chiese maggiori, che spesso supera in monumentalità per le dimensioni e per la ricercata concezione architettonica.Riprendendo l'articolazione interna, già assunta nel sec. 11° a Hoṙomos, i gavit' del sec. 13° ne abbandonarono però l'andamento longitudinale per consacrare la forma matura di grande vano pressoché quadrato, illuminato dall'alto da una lanterna di variata e sapiente composizione geometrica - il che lo differenzia concettualmente dalla chiesa, che ha sempre la cupola chiusa in alto - e suddiviso di norma in nove settori a mezzo di grandi arcate poggianti sui muri d'ambito e su quattro colonne libere. L'evoluzione tipologica sembra indicare una ricerca, analoga a quella osservata per altri tipi, di progressiva dilatazione dello spazio, in cui dapprima i pilastri addossati si inseriscono nei muri perimetrali - come avviene nella maggioranza degli esempi noti -, quindi gli stessi pilastri liberi tendono a scomparire per dar luogo a spazi unitari senza appoggi intermedi, coperti raramente da volte a padiglione (come a Noravank'Amału e nel convento rupestre di Martiros), più spesso da volte su archi intrecciati (come a Xorakert, a Deljunutivank', ad Aṙak'eloc' di Getašen, a Bart'ułimeosvank'), che si espandono ulteriormente allungandosi verso l'ingresso (come a Mškavank' e Ganjasar) o estendendosi anche in vasti vani laterali e verso l'alto, con un secondo sistema di archi intrecciati a sostegno della lanterna (come a Hałbat e a Mškavank').Il dispositivo delle coperture su archi incrociati - non esclusivo dei gavit', perché si ritrova in altri ambienti monastici, come biblioteche, campanili e, raddoppiato, nei refettori di Hałarcin e Hałbat, o con varianti (Aratesvank', biblioteca di Sałmosavank'), o dinamizzato da disposizioni diagonali (Aṙak'eloc'vank' di Ani, Hoṙomayr) - va considerato uno dei temi compositivi e costruttivi che in A. trovarono più frequente e più compiuta realizzazione. È proprio in quest'epoca che si manifesta un altro tipo edilizio, quello dei monumenti sepolcrali a più piani, il cui sviluppo in altezza tendeva a sottolinearne il carattere memoriale, assolvendo anche a compiti pratici, quali la distinzione tra cappelle e camere tombali e l'installazione sopraelevata di stele o celle campanarie.Tali dispositivi, che riprendono in realtà l'analoga struttura a elementi sovrapposti propria di alcuni monumenti del periodo formativo (come quelli di Ojun e Aludi), svilupparono e portarono a maturazione un tema architettonico sperimentato con notevoli varianti già nel sec. 11° (per es. nella chiesa del Pastore ad Ani, del 1040, e in quella di S. Maria a Tat'ev, del 1087); oltre che ad alcuni esempi realizzati nel corso del sec. 13° (mausoleo dei ṙuzukan a Hoṙomos, del 1215, cappella-campanile di Hałbat, del 1245, cappella funeraria-campanile di Kobayr, del 1279; cappella-biblioteca di Gošavank', del 1291), esso fu applicato in numerosi monumenti della prima metà del sec. 14° (mausoleo nel convento di Hovhannēs Karapet, del 1301-1321, edicola di Spitakavor, del 1321, mausoleo di Ełvard, del 1321-1328, cappella di S. Maria a Noravank' Amału, del 1339, mausoleo di Kaptavank' S. Minas, del 1349).La produzione architettonica dell'A. cristiana non si arrestò del tutto con la perdita della sovranità politica verso la metà del sec. 14°; essa continuò, pur con fasi alterne, nei secoli seguenti, contribuendo a mantener viva l'identità nazionale durante i lunghi periodi d'insicurezza e di dipendenza del paese da potenze straniere - l'Iran safavide e qājār, la Sublime Porta ottomana, l'impero russo degli zar - in perenne contesa per il controllo strategico dell'altopiano armeno. Anche se non priva di contributi originali, soprattutto in alcune aree regionali e in alcune fasi storiche, l'architettura del 'periodo tardo' (dal sec. 15° al 19°) comportò in generale una fedele ripetizione dei modelli tradizionali, protraendo intenzionalmente i tipi e i caratteri medievali sin quasi alla soglia del nostro secolo.

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Scultura

La scultura medievale armena svolse principalmente una funzione decorativa in rapporto all'architettura; non si conosce, infatti, nessuna scultura a tutto tondo, se si eccettua un ritratto del re Gagik I Bagratide (989-1020) nell'iconografia del donatore, ritrovato ad Ani all'inizio di questo secolo e subito dopo misteriosamente scomparso. Lo sviluppo di tale produzione si può seguire fin dal fiorire del precoce cristianesimo locale (inizi del sec. 4°), cui si deve la nascita di una architettura necessariamente nuova.Precedenti e parallelismi del programma ornamentale elaborato dagli artisti armeni si possono rintracciare in altre zone del mondo cristiano orientale: Siria, Alta Mesopotamia ed Egitto copto. Ma è soprattutto alla grande tradizione decorativa iranica, alla sua vasta produzione di stucchi architettonici - continuata dal pur aniconico Islam persiano e dell'Asia centrale in particolare, ma anche mesopotamico e dell'Africa settentrionale - che bisogna far riferimento per individuare le possibili fonti di un'arte di confine come quella armena, dove la mancanza di movimento e di ritmo narrativo, la rappresentazione frontale, la decorazione con teste umane, la frequenza delle scene di caccia, la massiccia presenza di animali, costituiscono altrettanti elementi riconducibili all'Iran.La scultura armena si presta a essere studiata secondo un criterio tipologico. Si può infatti distinguere la decorazione architettonica elaborata e realizzata per l'insieme di un edificio (ossia di un vero e proprio ciclo) dalla decorazione limitata o a singoli elementi, generalmente in rigorosa connessione con la funzione strutturale (capitelli, cornici, portali e finestre), o a singoli rilievi, non inseriti in cicli più ampi, spesso elementi erratici o di reimpiego. Si possono infine individuare diverse scuole regionali, abbastanza ben caratterizzabili per le diversità di stile e l'epoca del loro sviluppo.La produzione nel periodo che va dal sec. 5° al 7° - a parte una serie di stele figurate dall'inconsueta iconografia provenienti da T'alin (v.), Hariča e Ojun, cui si sostituirono le ben più diffuse e durature croci di pietra (xač'k'ar), simboli al tempo stesso della fede cristiana e dell'identità nazionale - si concentrò su capitelli e rilievi erratici, come quelli rinvenuti a Dvin, variamente datati dal sec. 5° al 7°, ma, soprattutto, su cicli decorativi più complessi. Tra questi vanno almeno menzionati quelli delle chiese di Ptlni, della fine del sec. 6°, dalle eleganti cornici intorno alle finestre, che variano dal semplice ornamento a semisfere agli elaborati motivi fitomorfi, fino ai personaggi entro medaglioni, ai cacciatori a piedi e a cavallo, agli angeli in volo; di Mren (v., 639-640), dove due portali, uno dotato anche di lunetta, sono ornati da scene storiche e religiose di notevole interesse iconografico e di grande forza compositiva; di Zvart'noc' (v.), della metà del sec. 7°, in cui il vasto programma di decorazione architettonica comprendeva una grande quantità di rilievi e numerosi capitelli.Pur restando l'A. sostanzialmente iconodula, la produzione scultorea dei secc. 8° e 9° risulta assai scarsa, come del resto quella architettonica, date le gravi vicissitudini che il paese dovette superare in seguito all'invasione araba del 642. Risale al primo quarto del sec. 10° il più completo e ricco ciclo decorativo della scultura armena, quello della chiesa di Alt'amar (v.) sul lago di Van.Di poco successiva (ca. 937) è la decorazione dei Ss. Apostoli (Aṙak'eloc') a Kars, completamente diversa per la semplicità compositiva limitata però alle figure degli apostoli sul tamburo; quest'ultimo è ornato anche da una fascia continua sotto il tetto, da una serie di arcatelle cieche e da pesanti cornici a ciglio che sovrastano le finestre aperte nel volume di base. Degna di menzione è anche la ricca decorazione scultorea della chiesa di Bleno Noravank', dei secc. 10°-11°, parte di un complesso monastico ora scomparso e forse cappella palatina del metropolita della regione, includente, oltre a elaborati capitelli e inconsueti ornamenti alla base dei pilastri, otto pannelli in pietra a rilievo con scene della Vita di Cristo di un certo interesse iconografico, un tempo applicati alle pareti esterne, secondo un uso assai raro in ambito armeno.Lo sviluppo della scultura armena dopo il sec. 10° si ricollega alla crescita di alcuni agglomerati urbani, ma, soprattutto, all'espandersi del monachesimo. Ad Ani, capitale del regno bagratide dell'A. dal 961 al 1045 e importante centro culturale tra il sec. 10° e il 13°, fiorì una scuola locale di architettura (aulica e tesa alla ripetizione dei grandi modelli dei secc. 6° e 7°), che relegava la scultura in funzione, pressoché esclusiva, del congegno volumetrico. Tale decorazione, pur accurata e abbondante, si mantiene in ambito geometrico e gli esempi con elementi figurativi (cattedrale, 980-1001; chiesa del Salvatore, secc. 12° e 13°; convento di Hoṙomos, secc. 12° e 13°; S. Grigor di Tigran Honenc', 1215) rappresentano delle eccezioni. Ma la scultura decorativa si ritrova, in questo periodo, più che altro, nell'edilizia conventuale, le cui complesse e articolate aggregazioni costituiscono, come in Europa, delle cittadelle con funzioni difensive e al tempo stesso dei laboratori per la produzione culturale e artistica. Le ampie superfici delle murature esterne delle chiese monastiche vengono utilizzate, usando spesso un linguaggio simbolico la cui chiave è andata quasi completamente perduta, per illustrare soggetti generalmente profani che ricorrono, del resto, anche nella decorazione interna localizzata sui capitelli, sulle trombe su cui si impostano le cupole e, più raramente, in altre zone della chiesa e del vasto ambiente antistante, detto in armeno gavit' o žamatun. La decorazione più elaborata ed estesa appare senz'altro nelle chiese conventuali dei secc. 12° e 13°, periodo di notevole ripresa e di grande fervore costruttivo. Vanno ricordati per l'insieme decorativo ricco, anche se frammentario, i complessi del sec. 13° di Nor Varagvank', Hałbat, Xoranašat (tutti nel Nord del paese), Haričavank', Salmosavank', Hovhannavank', Gełard (nella zona centrale), cui si deve aggiungere la chiesa di S. Astvacacin a Elvard della prima metà del sec. 14° e T'anadivank' (nella regione orientale del Vayoc' Jor).Il programma iconografico include solo raramente le facciate delle chiese, data anche la diffusa presenza del gavit' addossato al muro ovest; una notevole eccezione è rappresentata dalle imponenti figure di s. Pietro e di s. Paolo, alte m. 1,70, che fiancheggiano l'ingresso della chiesa ad Aljoc'vank' (sec. 13°), nelle quali si avvertono modi occidentali soprattutto nella resa del panneggio. Scarse sono le testimonianze dell'apparato decorativo interno: restano a Tełenyac'vank' (secc. 12°-13°), in cui all'alto gradone del presbiterio sono addossate sei lastre marmoree, rinvenute di recente, a motivi geometrici e fitomorfi con due uccelli variamente stilizzati, e a Makaravank' - complesso di edifici religiosi che vanno dal sec. 9° al 13° con molti rilievi a soggetto prevalentemente zoomorfo -, in cui un analogo paramento di pietra presenta stelle a otto punte che inquadrano motivi geometrici, vegetali e animali, vicini, soprattutto questi ultimi, alla coeva scultura selgiuqide.I conventi delle zone periferiche, rispetto ai grandi centri della cultura armena, sono generalmente privi o quasi di decorazione sia per la presenza del laterizio come materiale da costruzione sia per l'aspetto globalmente dimesso che li caratterizza; sono quindi da considerare come casi eccezionali i complessi di Ganjasar e di Dadivank, entrambi nell'Arc'ax (oggi prov. autonoma del łarabał, nella Rep. Socialista Sovietica d'Azerbaigian). Il primo, del sec. 12°, rivela un ricco apparato scultoreo esterno: il timpano ovest, caratterizzato dall'inconsueta croce con figure scolpite sulla parete, l'elaborato portale ovest, arricchito da marmi policromi, e soprattutto il tamburo poliedrico in cui ogni faccia presenta un diverso repertorio (due donatori seduti all'orientale che reggono il modello della chiesa al di sopra del proprio capo, angeli, teste di animali, uccelli ad ali spiegate, motivi geometrici). Anche all'interno abbondano gli elementi decorativi: cornici, fregi, nonché la superficie del gradone del presbiterio, interamente scolpita con motivi nastriformi entro una doppia cornice. Nel secondo (secc. 12°-13°), la decorazione, più semplice, si limita a rilievi geometrici, a rozze figure di donatori e a un originale portale la cui lunetta suggerisce, con una serie di triangoli contrapposti, il motivo di un tendaggio. La chiesa di Bardutimeosi vank' nel Vaspurakan (oggi parte del vilayet di Van, in Turchia), risalente al periodo che va dal sec. 12° al 14°, rappresenta un caso ancora più raro. Qui il portale ovest, di grandi dimensioni e ricavato nello spessore del muro, è stato concepito come monumentale accesso alla chiesa, nell'ambito di un compiuto, anche se poco chiaro, programma iconografico comprendente due grandi lunette, di cui la superiore, ad altorilievo, con la Trinità, angeli e animali, e l'inferiore con un cavaliere che disarciona l'avversario, nonché delle figure appiattite con la testa in forte aggetto scolpite nell'estradosso.Nel Vayoc' Jor è stata individuata una scuola scultorea attiva nei secc. 13° e 14°, gravitante attorno alla figura di Momik, primo scultore di cui si abbiano notizie certe. In questa regione la produzione, come sempre in funzione della raffinata architettura, si presenta particolarmente abbondante, come testimoniano le decorazioni di Arates (1270), Alayaz (1273), Areni (1321), Spitakavor (1321), Noravank' Amalu (1261-1339). In particolare il complesso di Noravank' Amalu presenta la massima concentrazione di sculture di notevole valore formale, spesso accostate globalmente alla produzione di Momik, fra le quali spiccano le due lunette della facciata ovest del gavit', diverse sotto l'aspetto tecnico e stilistico, ma accomunate da una concezione dogmatica unitaria (quella superiore, in altorilievo, con un'imponente figura del Creatore; quella inferiore, in bassorilievo, con la dolce immagine della Vergine con il Bambino su uno sfondo iperdecorato), e la complessa ornamentazione della cappella sepolcrale di S. Astvacacin risalente al 1339, concordemente attribuita a Momik, la cui decorazione esterna, caratterizzata da due elaborati portali sovrapposti, rappresenta forse il culmine dell'arte plastica armena.Con Momik e la sua scuola si chiuse il periodo medievale della scultura armena, in seguito relegata al ruolo di mera decorazione architettonica, peraltro sempre più scarsa; continuò invece con grande dovizia di esemplari la produzione dei xač'k'ar, generalmente aniconici e quasi sempre anonimi, utilizzati spesso come sobri monumenti funebri.Resta da accennare alla produzione lignea, che per la natura stessa del materiale raramente ha potuto sopravvivere alle tempestose vicende dei centri monastici e delle chiese per le quali veniva realizzata. Testimoniano la grande capacità compositiva degli artisti armeni due capitelli provenienti dal gavit' di S. Astvacacin a Sevan databili al sec. 9°, con colombe contrapposte su sfondo a motivi fitomorfi. Risale all'inizio del sec. 11° la composta e pur vibrante Deposizione dalla Croce, proveniente da Havuc t'ar, detta di Grigor Magistros, dallo sfondo completamente liscio (di controversa attribuzione armena o georgiana). Una certa sovrabbondanza decorativa caratterizza invece la porta proveniente da Aṙak'eloc'vank' di Muş (1134), in cui una larga fascia esterna (architrave e montanti), scolpita senza soluzione di continuità con un gran numero di figure umane e animali, incornicia battenti decorati fittamente e suddivisi in varie zone da elaborati motivi geometrici.

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Pittura e miniatura

L'arte pittorica assunse in A. aspetti molto diversificati a causa della frammentazione geografica e politica del paese. La pittura monumentale fu usata raramente a causa del prevalere presso il clero locale della tendenza monofisita; questo tipo di decorazione si sviluppò invece nelle epoche e nelle regioni in cui maggiormente fu avvertita l'influenza del concilio di Calcedonia (451). La miniatura conobbe, al contrario, uno sviluppo continuo e importante.Nel corso del sec. 7° molte delle chiese armene furono decorate con pitture, alcune completamente (Mren, del 639-640; Aruč), altre solo nella parete orientale e nell'abside (Lmbatavank', Koš, T'alin); solo il ciclo di Lmbatavank', con Cristo in gloria e santi cavalieri, è ben conservato. A quest'epoca risalgono anche le quattro notissime miniature dell'Evangeliario di Eǰmiacin (Erevan, Matenadaran, 2374), con le rappresentazioni dell'Annuncio a Zaccaria, dell'Annunciazione, del Battesimo di Cristo e dell'Adorazione dei Magi. Conformi alla simbologia paleocristiana, esse testimoniano di una cultura orientale ellenizzata.L'epoca dei regni armeni (secc. 9°-11°) non è caratterizzata da alcuna tradizione pittorica. Nel regno di Ani la pittura parietale fu esclusa per timore che i fedeli, da essa influenzati, adottassero l'eresia calcedonica, identificata con il culto delle immagini. Nel Syunik' orientale, dove i vescovi volevano conservare la propria indipendenza rispetto al Cattolicosato d'A., alcune chiese furono decorate nel corso del 10° secolo. Lo storico Step'anos Orbelian fornisce alcuni dettagli su due di esse: le decorazioni di Gndevank', di cui non resta che un piede del Cristo nell'abside, furono opera dell'armeno ēŁišē, mentre quelle di Tat'ev, consacrata nel 930, si dovevano ad artisti "di nazionalità franca". Si conservano alcuni frammenti del Giudizio finale e della Natività di Cristo che testimoniano, effettivamente, del contatto con l'arte occidentale postcarolingia.All'influsso del concilio di Calcedonia deve essere ricondotto l'uso della pittura murale nel regno di Vaspurakan: Gregorio di Narek ha lasciato la descrizione del ciclo agiografico che decorava la chiesa di Aparank' (ca. 983), di cui non restano che tracce nell'intonaco, così come nel S. Tommaso di Ganjak.Le pitture della Santa Croce di Ałt'amar (915-921), in cui si contrappongono le rappresentazioni del peccato originale (Storie di Adamo ed Eva) e della redenzione (Vita e Passione di Cristo), concorrono con le sculture esterne a fare della chiesa palatina del re Gagik un'opera di grande prestigio. Il re si era infatti circondato di artisti di varia provenienza e lo stile delle decorazioni è riconducibile a quello della Mesopotamia abbaside.A un pittore itinerante, portatore della stessa tradizione orientale, può essere attribuita una Crocifissione isolata nella chiesa monastica nr. 7 di Sabereebi, in Georgia. Alla fine del sec. 11° risale la decorazione, promossa dagli ultimi sovrani di Vaspurakan, della piccola chiesa di Kaputkoł, che comprendeva scene cristologiche e due ritratti principeschi, uno dei quali raffigurante Davit' Ardzrouni.Accanto alla pittura parietale si sviluppò in quest'epoca la produzione di manoscritti miniati, che trovarono i loro modelli in esemplari protobizantini (come nel caso dell'Evangeliario della regina Mikĕ, ca. 862, Venezia, Bibl. Armena dei PP. Mechitaristi, 1144; o delle miniature più recenti, del 989, del già citato Evangeliario di Eǰmiacin) o nelle miniature bizantine contemporanee (Evangeliario del re Gagik di Kars, ca. 1050, Gerusalemme, Armenian Patriarchate, Lib. of St Thoros, 3556; Evangeliario di Mułna, Erevan, Matenadaran, 7736, e tutta una serie di manoscritti del sec. 11° che da quest'ultimo derivano). Alla loro realizzazione collaborarono talvolta anche pittori greci, come per l'Evangeliario di Trebisonda (Venezia, Bibl. Armena dei PP. Mechitaristi, 1400). Si moltiplicarono infine i manoscritti c.d. popolari nei quali gli elementi bizantini e quelli propri dell'ambiente musulmano si fondono in maniera originale e in proporzioni variabili: è il caso, per es., delle raffigurazioni stilizzate di animali e personaggi del manoscritto Sanasarian, del 986 (Erevan, Matenadaran, 7735), o dell'Evangeliario di Baltimora (Walters Art Gall., 537) del 966, che possono essere avvicinate alle figure dipinte sulle ceramiche di Samarra. Nel sec. 11°, infine, apparve un tipo di decorazione miniata dai colori vivaci e originali, come nell'Evangeliario di Taron, del 1038, e in quello di Melitene, del 1057 (Erevan, Matenadaran, 6201 e 3784). Dopo l'invasione turca e lo stato di guerra del sec. 12°, la Grande A. cadde sotto il dominio georgiano e mongolo, mentre la Piccola A. si costituì in regno indipendente dal 1198 al 1375, caratterizzato da una cultura mediterranea e cosmopolita. Dopo che il concilio di Sis (1204) decretò che non venissero più considerate pagane le immagini di Cristo e dei santi, nelle province settentrionali vennero decorate alcune chiese: ad Ani, la cattedrale e la chiesa del Salvatore, dove restano alcune pitture di un artista armeno, Sargas P'arč'ik (ca. 1291). Nella decorazione del S. Gregorio di Ani, fatta edificare da Tigrane Honenc' nel 1215, e nella chiesa di Baxtałek furono impegnati forse pittori georgiani, così come a Kobayr (fine del sec. 12°) e Axt'ala (sec. 13°), dove l'ordine e la scelta delle figure e delle iscrizioni riportano all'area iberica. Al contrario, l'abside del Santo Segno di Halbat fu decorata da pittori di scuola armeno-georgiana e la cattedrale di Dadivank' da un artista influenzato dall'arte mongola, come quello che dipinse l'atrio del S. Gregorio di Kečaris.La miniatura della Grande A. testimonia della fioritura di talenti diversi nati dal particolarismo regionale. I principali scriptoria si trovavano nelle regioni di Ani (Evangeliario c.d. di Hałbat, del 1211; Erevan, Matenadaran, 6288), di Arc'ax (Evangeliario di Xoranašat, del 1224, ed Evangeliario di Tarkmanč'ac', del 1232; Erevan, Matenadaran, 4832 e 2743) e soprattutto nel Syunik᾽. È là che si trovavano lo scriptorium di Tat'ev, da cui proviene l'Evangeliario di Grigor del 1378 (Erevan, Matenadaran, 7842), e la celebre università di Glajor, dove lavorarono tra gli altri lo scultore e pittore Momik (cui si deve anche un evangeliario del 1302; Erevan, Matenadaran, 6792) e Thoros di Taron (cui si devono una bibbia del 1316 e un evangeliario del 1323; Erevan, Matenadaran, 206 e 6289), entrambi comparabili ai migliori artisti della Cilicia, con i quali i due erano del resto in rapporto. Dall'alta A. provengono alcuni manoscritti con maggiori o minori influenze bizantineggianti: per es. l'Evangeliario di Erez, del 1183, e l'Omeliario di Muş, del 1202 (Erevan, Matenadaran, 2877 e 7729) o ancora la Bibbia di Erez, del 1269 (Gerusalemme, Armenian Patriarchate, Lib. of St Thoros, 1925). Nel Vaspurakan apparve un'originale arte della miniatura, suddivisa in diverse scuole: più di 1500 manoscritti furono prodotti dal sec. 13° al 17°, miniati nei modesti eremitaggi della regione del lago di Van e del vicino Tauro. In queste opere l'iconografia biblica appare variata, gli ornamenti sono numerosi, il disegno è sovente schematizzato e i colori sono molto vivaci.In Cilicia (v.) la rinascenza armena coincise con un fiorire della pittura monumentale, di cui non resta però praticamente alcuna testimonianza. L'illustrazione di manoscritti conobbe in quel periodo un grande sviluppo (Der Nersessian, 1973; 1977): il Libro delle preghiere di Gregorio di Narek (Erevan, Matenadaran, 1568), scritto nel 1173 per Nersès di Lampron, annuncia il preziosismo che caratterizzò in seguito i manoscritti di committenza aristocratica della Piccola A., illustrati negli scriptoria di Drazark, Skewra e Hromkla. Thoros Roslin è il rappresentante più conosciuto di questa scuola della Cilicia (si conservano sette manoscritti da lui miniati tra il 1260 e il 1268), ma risultano di notevole livello qualitativo anche alcune opere anonime, come i mss. 197 e 9422 del Matenadaran di Erevan, dall'elegante manierismo e dall'ornamentazione composita ispirata di volta in volta a Bisanzio, all'Italia, all'Iran, all'India e alla Cina. Questi manoscritti, sovente di committenza regia, riflettono nella concezione e nella scelta delle decorazioni l'immagine della società aristocratica, colta e cosmopolita di questo regno brillante ma effimero.Alcuni esemplari di bella fattura prodotti nelle regioni della diaspora (Crimea e Italia) possono essere considerati come repliche. Si sa che le chiese armene costruite in Italia erano decorate con pitture murali e si conoscono gli scriptoria armeni di Bologna e Perugia. Le miniature prodotte in questi ambienti sono spesso di notevole qualità e risentono evidentemente di influssi bizantini e italiani, come l'Evangeliario di Surxat', del 1332, e la Bibbia di Bologna, cominciata in Italia e terminata in Crimea nel 1368 (Erevan, Matenadaran, 7667 e 2705), ed è all'Italia che l'iconografia armena deve il motivo della Vergine della Misericordia, che accoglie i fedeli sotto il suo mantello.

Bibl.: S. Der Nersessian, Etudes byzantines et arméniennes, Louvain 1973; id., L'art arménien, Paris 1977; T. Ismailova, La miniatura armena del sec. 11° (in russo), Moskva 1979; E. Korkhamazian, La miniature arménienne des XIIIe-XIVe siècles, Leningrad 1984; J.M. Thierry, P. Donabédian, Les arts arméniens, Paris 1987.N. Thierry

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