Argentina

Dizionario di Storia (2010)

Argentina


Stato dell’America Meridionale, Repubblica federale con capitale Buenos Aires.

La fase precolombiana

Varie popolazioni amerindie vivevano nel territorio argentino prima della colonizzazione europea. Alcune di esse erano estremamente arretrate, mentre nelle province del Nord-Ovest un gruppo di popolazioni sedentarie, i diaghiti, possedeva una civiltà più elevata, affine a quella dell'antico Perù. Tribù di cacciatori (puelche, querandí, mocoví, abipón) popolavano invece le Pampas e il Chaco meridionale. Nelle Ande si trovavano gli araucani, mentre tribù guaraní vivevano fra il Paraná e l'Uruguay, e tribù patagoniche e fuegine nei territori australi. Nelle pianure boscose del Chaco centrale e settentrionale vivevano invece le tribù mataco, toba, pilagá, ecc., la cui economia era basata essenzialmente sulla caccia e la pesca. Complessivamente la popolazione era scarsa, dato anche il livello tecnologico modesto delle tribù indigene, che non consentiva di sfruttare le potenzialità agricole del territorio.

Dalla conquista all’indipendenza

La penetrazione europea in A. iniziò nel 1516, anno in cui Juan Díaz de Solís toccò l’estuario del Rio della Plata. I territori del Rio della Plata, occupati definitivamente dagli spagnoli nel 1536, quando fu fondata Buenos Aires, furono retti fino al 1591 con il sistema degli adelantados, poi con quello del governatorato. Solo nel 1602 la colonia ottenne dalla Spagna il primo permesso di esportazione, che ne favorì lo sviluppo. Nel 1776 fu elevata a vicereame del Rio della Plata, poi suddiviso in 8 intendenze, a capo di ognuna delle quali era un governatore intendente. Le prime aspirazioni all’indipendenza maturarono in età napoleonica: nel 1806-07 furono le forze locali, con S. de Liniers, a combattere vittoriosamente gli inglesi e nel maggio 1810 i patrioti sostituirono al viceré B. Cisneros una «Giunta governativa provvisoria del Rio della Plata». Avvenne così il distacco definitivo dalla Spagna, ma emersero subito forti contrasti interni, dovuti da una parte alle divergenze fra il conservatore C. Saavedra e il democratico M. Moreno, e dall’altra alla tendenza verso il caudillismo, fenomeno diffuso in tutta l’America Latina per cui la direzione politica di un paese veniva affidata al capo militare che si era impadronito del potere con un colpo di Stato. Proclamata ufficialmente l’indipendenza al Congresso di Tucumán (9 luglio 1816), dotata l’11 maggio 1819 di una Costituzione repubblicana e moderatamente liberale, l’A. conobbe un periodo di grave anarchia (1819-21), dalla quale uscì grazie a B. Rivadavia, ma con la triste eredità di un’aspra lotta tra federalisti e unitari, che continuò anche dopo la feroce dittatura di J.M. de Rosas, sfociata nel distacco di Buenos Aires e chiusa solo nel 1862, con l’avvento del presidente B. Mitre, che seppe inserirsi con successo nella lotta tra J.J. de Urquiza e M. Derqui. Poco dopo, con la lunga guerra contro il Paraguay (1865-70) si chiudeva la fase dei conflitti internazionali cui l’A. aveva partecipato: l’annosa questione di confine con il Cile fu regolata pacificamente mediante gli accordi del 1881 e del 1896.

L’Argentina nel Novecento e l’esperienza peronista

All’inizio del 20° sec. la politica interna era accentrata sui contrasti tra il Partito radicale, che governò dal 1916 al 1930 ed ebbe il suo massimo esponente in H. Irigoyen, e quello conservatore (poi detto democratico nazionale). Deposto Irigoyen da un colpo di Stato, il potere passò al gruppo della concordancia (coalizione di conservatori, radicali, dissidenti e socialisti indipendenti) con i presidenti A. Justo (1932-38) e R. Ortiz (1938-42). Scoppiata la Seconda guerra mondiale, l’A. accentuò la politica di autonomia dagli USA e, pur accettando la «solidarietà continentale» (conferenze di Lima, 1938, e di Rio de Janeiro, 1941), si sforzò di rimanere neutrale verso le potenze del Tripartito, soprattutto sotto la vicepresidenza di R. Castillo (luglio 1940). La tensione con gli USA, e con altri Stati americani, si acuì dopo i colpi di Stato militari del 4 e 7 giugno 1943, attuati da P. Ramírez, favorevole all’Asse, e si alleviò soltanto quando E.J. Farrell dichiarò guerra alla Germania e al Giappone (27 marzo 1945) e aderì all’Atto di Chapultepec (1945), ottenendo l’ammissione alla Conferenza di S. Francisco (firma del Patto delle Nazioni Unite, 8 sett. 1945). Era iniziata intanto l’ascesa politica del colonnello J.D. Perón, il quale nel 1946 ottenne la vittoria alle elezioni presidenziali, sull’onda della reazione nazionalista contro le «pressioni nordamericane », e riuscì a rafforzare gradualmente il proprio potere, favorito anche dalla popolarità della moglie Eva Duarte, detta Evita. L’11 marzo 1949 l’Assemblea costituente votava una nuova Costituzione ispirata a ideali nazionalistici e al proposito di rinsaldare l’autorità presidenziale (rivendicazione delle isole Falkland, autarchia economica e riforme sociali, limitazione della libertà di discussione e di stampa) e l’11 novembre 1951 Perón fu rieletto presidente. Mentre la moneta subiva una forte svalutazione, a seguito delle ingenti spese militari, crebbe l’opposizione tra i ceti conservatori e cattolici. Nel giugno 1955 si ebbe un primo tentativo di rivolta dell’aviazione navale, respinto con forza dai peronisti; tre mesi dopo, una nuova sollevazione della marina, appoggiata da reparti dell’esercito e dell’aviazione, ebbe successo: Perón fuggì nel Paraguay e la presidenza fu assunta dal generale E. Lonardi, estromesso pochi mesi dopo dal generale P.E. Aramburu. Il governo provvisorio cercò subito di ripristinare la normalità democratica, ma le masse degli operai, che avevano visto il loro tenore di vita aumentare, si dimostrarono fedeli al dittatore deposto. Le elezioni del marzo 1958 diedero la vittoria ai cosiddetti intransigenti di A. Frondizi, il quale si rivelò abile nello sfruttare i contrasti all’interno delle forze armate, divise fra golpisti e legalisti, ma si attirò le critiche dei peronisti e delle sinistre per aver reintegrato i privilegi tolti alla Chiesa da Perón. Nonostante gli sforzi compiuti per risanare l’economia nazionale, alla fine del 1961 la crisi economica appariva sempre acuta. Quando poi, nelle elezioni regionali del 1962, il partito peronista Frente Justicialista, riammesso nella legalità, ottenne una sorprendente vittoria, Frondizi venne deposto dai militari, capeggiati dal generale J.C. Onganía. Il governo del paese passò quindi nelle mani del presidente del senato J.M. Guido, e dal 1963 in quelle di A. Illía, vincitore delle elezioni di luglio con la Unión cívica radical del pueblo. Ma il peggioramento della situazione economica e il tentativo di Illía di conciliazione verso i peronisti portarono a un nuovo colpo di Stato militare (1966) e al regime dittatoriale del generale Onganía. L’opposizione si intensificò; si costituirono gruppi armati dediti alla guerriglia urbana; forti tensioni presenti nel movimento peronista portarono inoltre alla scissione della potente Confederación general del trabajo (CGT), tra un’ala ortodossa e una più orientata a sinistra. Nel 1970 un nuovo golpe militare rovesciò Onganía cui subentrò il generale R.M. Levingston, seguito, il 25 marzo 1971, dal generale A. Lanusse. Questi cercò di avviare un’opera di pacificazione nazionale e annunciò elezioni generali per il 10 marzo 1973. Ma tale data segnò il clamoroso successo di H. Cámpora, un fedelissimo luogotenente di Perón che presto si dimise per lasciare il posto a quest’ultimo. Tornato in A. dal lungo esilio spagnolo, Perón fu quindi confermato alla presidenza da una trionfale consultazione popolare. Alla vicepresidenza fu designata la giovane moglie di Perón, M.E. Martínez, detta Isabelita, incaricata di garantire la continuità in caso di impedimento dell’ormai anziano presidente. Questo singolare evento, definito «colpo di Stato consensuale», ebbe l’approvazione dei militari e dell’opposizione politica. Quando Perón morì, il 1° luglio 1974, gli succedette, come previsto, la moglie, che confermò nel ruolo di segretario alla presidenza il ministro del Benessere sociale J.L. Rega, appartenente all’ala conservatrice del partito e inviso ai giovani peronisti. Riprese l’attività di guerriglia antigovernativa dei montoneros, mentre le squadre di estrema destra denominate Alianza anticomunista argentina (AAA) creavano un diffuso clima di terrore. Decretato lo stato d’assedio già nel 1974, l’anno dopo Rega, accusato di ispirare l’azione delle AAA, fu costretto a dimettersi.

Il golpe di Videla, la dittatura, la tragedia dei desaparecidos

Intanto la situazione economica registrava un’impennata dell’inflazione e l’inasprirsi del conflitto fra CGT e governo. Di fronte all’aggravarsi dell’instabilità sociale veniva formato un nuovo governo e affidato il ministero degli Interni ai militari, mentre il generale J.R. Videla approfittava della crisi totale delle istituzioni per attuare, nel 1976, un colpo di Stato. Significativa fu la presentazione di un piano economico caratterizzato dal rovesciamento delle posizioni dei peronisti, cioè favorevole agli investimenti del capitale estero e al blocco dell’inflazione, in un quadro generale di ritorno a un’economia basata sui grandi allevamenti e sulla grande proprietà terriera. I militari avviarono inoltre un duro regime repressivo contro ogni opposizione politica, raggiungendo le punte più estreme attraverso il fenomeno della «sparizione» degli oppositori politici (decine di migliaia di desaparecidos) prelevati illegalmente, torturati ed eliminati. Ne derivò il crescente isolamento del regime, con conseguenze negative anche sugli investimenti statunitensi. L’insuccesso della politica economica di Videla portò a sostituirlo con il generale R.E. Viola (1981), cui subentrò dopo poco il generale L. Galtieri. Intanto parte dell’opposizione dava vita a un fronte comprendente 5 partiti (radicali, peronisti, desarrollistas, radicali intransigenti e democristiani), uniti nel nome della riconciliazione nazionale e del ripristino della democrazia. Di fronte all’aggravarsi della situazione economica e al crescere della protesta contro il regime, nella primavera del 1982 Galtieri tentò il diversivo della mobilitazione nazionalista e decise l’invasione delle isole Falkland.

La sconfitta delle Falkland e la difficile transizione alla democrazia

L’invasione delle isole Falkland determinò un conflitto militare con la Gran Bretagna, la quale prevalse agevolmente. La sconfitta delle truppe argentine accelerò la decomposizione del regime; Galtieri fu costretto alle dimissioni e il suo sostituto, R. Bignone, fu spinto dalla pressione popolare ad annunciare il ritorno alla democrazia. Le elezioni del 1983 videro la vittoria del candidato radicale R. Alfonsín, il quale aveva condotto una campagna incentrata sulla necessità di perseguire i militari responsabili delle varie dittature. Così, nel 1985 si aprivano i processi contro otto componenti delle giunte al potere dal 1976 al 1983, ma le rivolte delle Forze armate (1987) imposero un indirizzo più conciliatorio al governo che, nel maggio 1987, con la ley de obediencia debida, scagionò di fatto i quadri intermedi dell’esercito. La politica di austerità («Plan Austral» del 1985), decisa dal governo per far fronte alle difficoltà economiche e avversata duramente dalla CGT, suscitò una nuova ondata di proteste, provocando un crollo dei consensi per i radicali e la vittoria del candidato peronista C. Menem, leader del Partido justicialista (PJ), nelle elezioni presidenziali del 1989. Menem proseguì la politica di austerità, avviò un piano di privatizzazioni, impose ulteriori misure conciliatorie nei confronti delle forze armate, permettendo la scarcerazione di numerosi alti ufficiali, fra cui Videla e Viola. La politica economica, di impronta liberista, permise la rinnovata concessione di prestiti internazionali (bloccati nel 1989 dal Fondo monetario internazionale) e favorì l’afflusso massiccio di capitali stranieri in un paese ormai completamente aperto all’economia di mercato. Grazie al sostegno degli USA, l’A. guadagnava inoltre un proprio ruolo nel «nuovo ordine mondiale» emerso con la fine del bipolarismo e nel marzo 1991 sottoscriveva con Brasile, Uruguay e Paraguay il trattato di Asunción per la creazione del Mercosur. I successi di Menem in campo finanziario lo spinsero verso una riforma costituzionale per rimuovere le disposizioni che vietavano la rielezione del presidente. Eletta un’Assemblea costituente e approvato il nuovo testo fondamentale (1994), Menem fu confermato con il 49,9% dei voti (1995).

L’Argentina all’alba del 21° secolo

La svolta si verificò con le elezioni presidenziali del 24 ottobre 1999, vinte dal leader moderato del Partito radicale F. de la Rúa che si presentò con un programma incentrato sulla lotta alla corruzione e alla disoccupazione, sul contenimento dei profitti dei grandi monopoli privati, sul rilancio dell’economia. Nuove misure, varate nel 2001 per evitare l’insolvenza nel pagamento del debito estero, che prevedevano tra l’altro il taglio delle pensioni e degli stipendi del pubblico impiego e il blocco dei depositi bancari, provocarono una vera e propria rivolta sociale, le dimissioni di de la Rúa e una gravissima crisi politica. Dopo una fase di incertezza, nel gennaio 2002 la presidenza della Repubblica fu assunta dal peronista E. Duhalde. Tra i primi provvedimenti del nuovo presidente vi furono la fine alla equivalenza peso-dollaro stabilita dalla legge sulla convertibilità del 1991, la svalutazione del 30% della moneta nel cambio controllato fissato dallo Stato per le importazioni dei beni essenziali e l’aumento del tetto massimo di prelievo dai conti bancari. Nel luglio 2002 Duhalde annunciò nuove elezioni presidenziali per la primavera del 2003, nel tentativo di stemperare il clima drammatico di protesta sociale. Vasti settori del ceto medio versavano in condizioni di povertà assoluta. Nel novembre 2002 le credenziali economiche del paese subirono un ulteriore colpo a seguito di un mancato pagamento del debito alla Banca Mondiale, che di conseguenza annunciò la sospensione di ogni ulteriore prestito. Dopo roventi polemiche e il ritiro dell’ex presidente Menem, nel maggio 2003 diventava presidente N. Kirchner, peronista dell’ala sinistra del movimento. Il neoeletto si impegnò subito in nuovi negoziati con il FMI, che nel settembre dello stesso anno condussero a un importante accordo per la dilazione nel rimborso dei prestiti a tassi agevolati. Iniziava una fase di ripresa economica, che avrebbe caratterizzato gli anni seguenti, con una crescita del PIL tra 2003 e 2005 rispettivamente dell’ 8,8, del 9 e del 9,1%. Forte dei risultati ottenuti, all’inizio del 2006 Kirchner poteva annunciare di aver saldato il debito col FMI (9,5 miliardi di dollari), che tuttavia rappresentava solo una parte minima del debito estero complessivo del paese (circa 150 miliardi di dollari). Sul fronte interno, Kirchner sostenne i ceti più colpiti dalla crisi e una politica di trasparenza rispetto al periodo della dittatura militare (nel giugno 2005 la Corte suprema fece decadere l’amnistia per gli ufficiali accusati di crimini e uccisioni). Alle presidenziali dell’ottobre 2007 come candidata del partito peronista si presentò la moglie di Néstor, Cristina Fernández de Kirchner, eletta al primo turno.

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