Appello. Diritto amministrativo

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Nel generalizzare il principio del doppio grado di giurisdizione, la l. n. 1034/1971 ha disciplinato, come mezzo ordinario di impugnazione delle sentenze emesse dai Tribunali amministrativi regionali (TAR), l’appello al Consiglio di Stato (o, relativamente alla Sicilia, al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana), quale mezzo di riesame integrale della controversia decisa in prime cure.

Con l’entrata in vigore del Codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104/2010), la disciplina dell’appello ha trovato una collocazione agli artt. 100 e ss. del Codice, nell’ambito del Titolo III relativo ai mezzi di impugnazione delle sentenze dei Tribunali amministrativi regionali.

L’appello è un rimedio, a critica libera, che la parte soccombente può esperire per far valere, oltre agli errori e ai vizi, anche l’ingiustizia della sentenza impugnata. Tradizionalmente si classifica l’appello nell’ambito dei rimedi rinnovatori o sostitutivi, caratterizzato dall’effetto devolutivo, cioè dalla possibilità di riproporre l’intera controversia dinanzi al giudice di secondo grado, che ha i medesimi poteri di cognizione e di decisione del primo giudice, e dal divieto dello ius novorum, essendo inammissibili censure nuove rispetto ai motivi di ricorso già dedotti dinanzi al TAR.

Allo stesso modo, l’ammissibilità di nuove prove (su cui Prova. Diritto amministrativo) è legata alla verifica della sussistenza di una causa non imputabile, che abbia impedito alla parte di esibirle nel giudizio di primo grado, ovvero alla valutazione della loro indispensabilità (art. 104, comma 2, c.p.a.).

Il termine per proporre l’appello è di 60 giorni, a decorrere dalla notificazione della sentenza del TAR; in difetto di notificazione della sentenza, il termine per proporre appello è di 6 mesi (art. 92 c.p.a.). Nelle materie di cui all’art. 119 del Codice (perlopiù coincidenti con le materie di cui all’art. 23 bis della l. n. 1034/1971, come modificato dalla l. n. 205/2000) il termine per proporre l’appello è di 30 giorni dalla notificazione della sentenza.

La legittimazione attiva è riconosciuta a ciascuna delle parti del giudizio di primo grado che sia portatrice di un interesse, inteso come possibilità di conseguire un vantaggio di carattere sostanziale a seguito della proposizione dell’appello, pena, in mancanza di tale interesse, la dichiarazione di improcedibilità. Il ricorso in appello va notificato a tutti i soggetti che hanno partecipato, in qualità di parte, al precedente giudizio. Insieme al ricorso va depositata, a pena di decadenza, la decisione impugnata. Le controparti, cui è stato notificato l’appello, possono a loro volta proporre appello incidentale. Nel giudizio di appello possono intervenire tutti i soggetti legittimati a intervenire nel giudizio di primo grado.

Con riferimento agli atti impugnabili, occorre distinguere in ragione della tipologia della sentenza del Tar: ovviamente, possono essere oggetto di appello le sentenze definitive, con qualsivoglia contenuto, anche se solo processuali. Quanto, invece, alle sentenze non definitive, la parte può scegliere se adire direttamente il giudice di seconda istanza o farlo attendendo la soluzione complessiva del giudizio, formulando, in questo secondo caso, un’esplicita riserva di appello (art. 103 c.p.a.).

Come detto, l’appello è proposto, salvo il caso della Regione Sicilia, ad una delle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato. In talune ipotesi, tuttavia, l’esame del ricorso può essere deferito all’Adunanza Plenaria, che rappresenta una composizione allargata particolarmente autorevole del Consiglio di Stato. Ciò può accadere, come previsto dall’art. 99 del codice del processo, in diverse ipotesi: a) quando la sezione cui è affidato il ricorso rilevi che il punto di diritto sottoposto al suo esame ha dato luogo o possa dare luogo a contrasti giurisprudenziali; b) inoltre, prima della decisione, il Presidente del Consiglio di Stato può deferire all’Adunanza Plenaria qualunque ricorso affinché siano risolte questioni di massima di particolare importanza ovvero per dirimere contrasti giurisprudenziali; c) infine, la rimessione può essere disposta quando la sezione ritiene di non condividere un principio di diritto precedentemente enunciato dall’adunanza plenaria.

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