GRUMELLO, Antonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 60 (2003)

GRUMELLO, Antonio

Stefano Meschini

Nacque probabilmente a Pizzighettone, nel territorio di Cremona, fra il 1460 e il 1470 da Lancillotto, famiglio d'arme di Galeazzo Maria Sforza, e Margherita Vermezzi. Ebbe come fratelli Giovan Stefano, probabilmente il primogenito, Galeazzo e Alessandro.

Il padre apparteneva a un'antica famiglia del contado di Lomellina, i De Capitani di Grumello e di Galliavola, già signora di Grumello pavese per conto dei conti palatini di Lomello e poi annoverata fra le famiglie decurionali pavesi. Benché fra il 1250 e il 1283 due membri della famiglia avessero ricoperto l'ufficio di podestà a Pavia e nel 1329-30 un altro esponente avesse retto la podestaria di Milano, i Grumello ancora nel XV e XVI secolo avevano il grosso dei loro possedimenti in Lomellina: nel 1403 Galeazzo ricevette l'investitura feudale di Lomello da Filippo Maria Visconti, mentre nel 1464 Francesco Sforza concesse in feudo a un altro Galeazzo Grumello le terre di Gallia e Galliavola. È certo però che il G., benché imparentato con i Grumello di Pavia e Lomellina, appartenesse al ramo della famiglia insediato a Pizzighettone: il padre Lancillotto, negli anni 1465-70, deteneva con il fratello Carlo, anch'egli famiglio d'arme ducale, alcune terre a Grumello cremonese. Dopo la morte di Lancillotto, avvenuta entro il luglio 1480, i quattro figli continuarono a vivere, come attestano i documenti notarili, fra Pizzighettone e Grumello cremonese, e fra il gennaio e l'ottobre 1498, quando li troviamo impegnati a Pavia in una causa ereditaria con lo zio Carlo, essi sono appunto ricordati nelle carte, oltre che con la qualifica di nobiles, anche come cives Cremonenses.

Il G. e i suoi fratelli erano profondamente devoti alla dinastia sforzesca. Lo si desume dai ricordi autobiografici inseriti nella Cronicha del G., conservata in esemplare unico dal codice 1387 della Biblioteca Trivulziana di Milano, che narra in terza persona alcune gesta dei fratelli Grumello. Il manoscritto assegna la Cronicha al G., che non fa mai espressamente il suo nome nell'opera ma chiama uno dei quattro fratelli, protagonista delle azioni narrate, Marco Antonio: come aveva intuito Muller e come certificano alcuni documenti notarili in cui i nomi si alternano, questi altri non è che il Grumello.

Le vicende dei fratelli Grumello ricordate nella Cronicha iniziano con il gennaio 1500, quando Ascanio e Ludovico Sforza, dopo l'occupazione del Milanese a opera di Luigi XII di Francia, nel settembre 1499, dalla Germania scesero nel Ducato di Milano per riconquistarlo. I quattro fratelli, che abitavano a Pizzighettone, allora in mano veneziana, si impadronirono della rocca e aderirono alla rivolta sforzesca. Mentre gli altri fratelli si portarono a Pavia e si posero senz'altro agli ordini del duca (Giovan Stefano, catturato dai Francesi durante un attacco a Mortara, venne subito riscattato dallo Sforza), il G., lasciato come castellano a guardia di Pizzighettone, la tenne fino all'arrivo di preponderanti forze veneziane. Costretto a ritirarsi, raggiunse anch'egli nel marzo l'esercito sforzesco a Novara, dove assistette alla disfatta militare e alla cattura del duca.

Il Ducato di Milano ricadde sotto il dominio francese, ma Pizzighettone e Cremona, secondo il trattato franco-veneto di Blois, vennero confermate alla Repubblica di Venezia. I quattro fratelli, come promotori della rivolta, ebbero senz'altro dei guai con la giustizia e forse subirono un periodo di confino: questo spiegherebbe la presenza di Galeazzo alla battaglia della Cerignola (aprile 1503) e il fatto che nel febbraio 1506, come attesta un documento, Alessandro, che pure si trovava a Pizzighettone, promise a Giovan Stefano e al G., per ciascuno di essi, la terza parte delle spese sostenute e da sostenersi per la sua liberazione.

I fatti d'arme del 1509-10 videro i fratelli Grumello di nuovo in prima linea contro i Veneziani: nella Cronicha il G. afferma di avere visto i corpi dei caduti ad Agnadello (maggio 1509); particolari sulla presa di Peschiera (giugno 1509) e sull'eccidio commesso dai Guasconi l'anno dopo a Barbarano (giugno 1510) indicano la presenza in loco del G. o dei suoi fratelli (nell'agosto 1510 il G. si trovava comunque a Grumello, come prova un documento notarile).

Alessandro, nel testamento rogato il 24 genn. 1510 a Cremona (perfezionato con codicillo del 3 febbraio), in cui dichiara di essere ferito, lasciò alcune terre a Grumello al figlio naturale e minore Altobello, che doveva essere legittimato, ma nominò erede universale e amministratore dei beni Giovan Stefano, stabilendo però che il G. (Galeazzo era già morto) dovesse godere a vita un usufrutto sul patrimonio di famiglia.

La Cronicha ricorda un ultimo fatto del quale fu protagonista Giovan Stefano. Nel giugno 1512, mentre era di stanza a Pizzighettone la guarnigione francese di Teodoro Trivulzio, lasciò la piazza e, raggiunto il campo svizzero-veneto al comando del cardinale M. Schiner accampato a poca distanza e nel quale militava il vescovo di Lodi Ottaviano Sforza, avrebbe fornito utili indicazioni logistiche ai capitani dell'esercito della Lega onde facilitare il passaggio dell'Adda. Poi, unitosi ai fautori sforzeschi, dopo la presa di Pavia si recò in Lomellina per approntare alcuni ponti; venuto alle mani con alcuni soldati veneziani, fu ferito e morì alcuni giorni dopo: il testamento di Giovan Stefano, rogato a Sannazzaro de' Burgondi (Pavia) il 26 giugno di quell'anno conferma il racconto e designa il G., unitamente alla seconda moglie Elisabetta Riccardi e al cognato, come tutore dei figli ed eredi Lancillotto, Camillo e Gerolamo.

Dopo il 1512 nella Cronicha gli inserti autobiografici si fanno più rari. Sembra certo che il G. si trovasse a Milano nel giugno 1521: un documento notarile del 4 giugno indica che aveva acquistato per 1200 lire imperiali da un cittadino milanese terreni a Pizzighettone, dove comunque egli risulta abitare dal novembre 1520 al novembre 1521. In questo tempo la sua condizione appare florida dato che continuò ad acquistare terre nel contado. Tuttavia, entro fine novembre 1521, contemporaneamente alla riconquista sforzesca di Milano, il G., come fautore degli Sforza, venne espulso con altri cittadini da Pizzighettone dalle truppe franco-veneziane che continuavano a mantenere il controllo della parte orientale del Ducato. Il 10 dicembre anzi, dal vicino villaggio di Camairago, in una lettera indirizzata a Lodi al capitano cesareo Giovanni Gonzaga, il G. fornisce indicazioni sugli spostamenti delle truppe nemiche, dando pure suggerimenti circa le forze necessarie per un eventuale attacco a Pizzighettone. In quei mesi, fino a quando la battaglia della Bicocca (aprile 1522) sancì la totale sconfitta e la ritirata francese Oltralpe, il G. fu probabilmente a Milano o a Pavia insieme con le truppe imperiali-sforzesche. Nel dicembre 1522 era già rientrato a Pizzighettone, dove si trovava pure nel febbraio 1523.

Non si sa quando il G. mise mano alla Cronicha, che rivela una notevole competenza nella tecnica militare del tempo e si configura come una storia militare della Lombardia fra il 1494 e il 1529. Sul codice su cui si basa l'edizione (Cronaca di Antonio Grumello pavese dal 1467 al 1529, a cura di G. Muller, in Raccolta di cronisti e documenti storici lombardi inediti, I, Milano 1856, pp. 1-499) pesa il sospetto di un rimaneggiamento: la divisione in dieci libri e di questi in capitoli (da 20 a 50 per libro), ciascuno con un suo titolo, sembrano rimandare a un ordinatore contemporaneo all'autore; inoltre, talvolta i titoletti non sono del tutto conformi al contenuto.

La Cronicha è dedicata quasi esclusivamente ai fatti militari: le negoziazioni diplomatiche e i maneggi della grande politica sono in genere appena accennati e come sullo sfondo, e non vi è poi alcun interesse per i fatti interni di altro ordine. La narrazione non si limita ai fatti della Lombardia o dell'Italia del Nord ma si estende a tutta la penisola, talvolta all'Europa (notevole è l'attenzione per l'espansionismo turco, come mostrano le notizie sulla guerra turco-persiana o la conquista di Rodi e dell'Ungheria), appena introdotti dai preliminari diplomatici o da eventi di ordine più generale. Le informazioni sono però ovviamente assai maggiori e di prima mano per le vicende lombarde; un'eccezione è costituita dai fatti relativi al Regno di Napoli, narrati con precisione sia relativamente alle imprese del 1494-95, sia alla lotta franco-spagnola del 1502-04, sia al soggiorno di Ferdinando il Cattolico e alla spedizione di Odet de Foix, visconte di Lautrec. Nonostante la narrazione prenda avvio dalla morte di Francesco Sforza, la breve parte anteriore al 1494 funge per così dire da antefatto alla spedizione di Carlo VIII, con la quale il racconto prende ad ampliarsi considerevolmente; la trattazione degli eventi fra il 1520 e il 1529 poi copre quasi metà dell'opera e si segnala per una minuziosità, che la qualifica come fonte di primaria importanza per le vicende di quegli anni.

Il G. è scrittore rozzo, povero di lessico e privo di eleganza formale: la lingua che usa è sostanzialmente il volgare lombardo di fine Quattrocento, in una forma più popolare rispetto a quello in uso nella Cancelleria ducale. La narrazione è ravvivata talvolta da racconti e aneddoti di stampo novellistico, che segnano una pausa di fronte all'incalzare dei fatti militari. L'esposizione è in genere assai scrupolosa e obiettiva, anche se il G. vede i fatti dalla posizione di un partigiano degli Sforza, la cui causa sostiene senza incertezza, biasimando tradimenti e mancanze di alti funzionari e cortigiani. Le pretese dei Francesi sul Ducato di Milano gli appaiono infondate, tuttavia li rispetta; odia invece i Veneziani, che bersaglia con epiteti ironici e irridenti anche quando, durante la Lega di Cognac, essi sono alleati del duca di Milano. Con il 1521, cioè con l'inasprirsi delle lotte fra Francia e Impero nel Milanese, la Cronicha assume un tono diverso e più sofferto. Il G. comprende, proprio perché è spesso testimone oculare, che il passaggio continuo degli eserciti nella pianura lombarda, con il loro carico di saccheggi indiscriminati, vendette, massacri, conduce a un imbarbarimento della vita economica e civile. Accanto alla sempre circostanziata esposizione militare, compaiono allora veri e propri quadri della dura vita delle popolazioni durante la fase più cruenta delle guerre d'Italia e il G. interviene con commenti e riflessioni. Emerge anche la convinzione, sintomo di una religiosità semplice e tradizionale, che nulla accada senza il volere di Dio: perciò, come il sacco di Roma e i disastri di Lombardia sono punizioni divine per i grandi peccati della Curia corrotta e dei popoli, così la pestilenza che stermina il grande esercito francese accampato sotto Napoli nell'estate del 1528 è il frutto della giustizia celeste, che colpisce in questo modo Francesco I reo di non avere rispettato i patti con Carlo V, e lo stesso comandante francese Lautrec, massimo responsabile del primo tremendo sacco di Pavia. Le forze divise della Francia e dell'Impero - è la conclusione del G. - farebbero dunque meglio a unirsi per intraprendere l'unica guerra giusta e lodevole, quella contro i Turchi, nemici della Cristianità. Proprio a partire da questa consapevolezza del cumulo di rovine apportato dalle ultime guerre, nella parte finale il G. sembra prendere le distanze dagli eventi e dalla causa sforzesca, anche se il duca Francesco II, che appare, ligio ora alla Francia e a Venezia contro l'Impero, vittima impotente della situazione, è sempre giudicato con rispetto e mai criticato apertamente.

Nel marzo 1524, in base al racconto della Cronicha del vano tentativo francese di impossessarsi di Pizzighettone, sembra che il G. si trovasse ancora nel borgo; di sicuro, come attesta un documento notarile, vi era nel maggio 1526, quando vi vendeva e affittava alcuni possedimenti, ma in tale occasione egli è detto abitare a Pavia; secondo Marozzi (Pavia, Archivio storico civico, Fondo Marozzi, Schede, f. 433/2, c. 68r) il G. era a Pizzighettone anche nel febbraio 1528, nell'atto di vendere alcuni beni al nipote Altobello. Tuttavia, il documento del 1526, l'estrema precisione nella Cronicha nel descrivere l'assedio e la battaglia di Pavia (febbraio 1525), nonché i tre successivi sacchi della città (ottobre 1527 - settembre 1528) inducono a credere che il G. passasse i suoi ultimi anni in riva al Ticino.

Incerta è la data di morte del Grumello. Gli eventi descritti nella Cronicha terminano con l'aprile 1529, ma il testo è incompleto: oltre a una lacuna di due carte fra la tavola dei capitoli e il primo libro, l'ultimo libro manca del solito explicit e nella tavola è segnato il titolo del capitolo ventiduesimo del X libro, circa i fatti del maggio 1529, che manca a testo. La scomparsa del G. è dunque successiva a questi avvenimenti, ma forse non di molto, se in una supplica inoltrata l'8 luglio 1530 al duca dai tre nipoti del G., Lancillotto, Camillo e Gerolamo Grumello, relativamente ad alcuni possessi nel contado cremonese già appartenuti allo zio, di quest'ultimo non si fa alcuna menzione.

Fonti e Bibl.: Pavia, Arch. stor. civico, Fondo Marozzi, Alberi genealogici, f. 241/A, n. 52; Schede, f. 433/2, cc. 51v, 53v, 60r, 63v, 64, 67, 68, 75r, 87r, 88r, 93v, 99r; Arch. di Stato di Pavia, Fondo notarile, filze 841, cc. 293r-300r; 1051, cc. 92r-94r, 109r-110v, 206, 214r-221r, 391r-393r; Arch. di Stato di Cremona, Fondo notarile, filze 375, 24 gennaio, 3 febbr. 1510 (1509 m.v.); 459, 8, 13 febbr. 1499 (1498 m.v.), 15 maggio, 9 luglio 1499, 24 genn. 1500 (1499 m.v.), 20 febbr. 1506 (1505 m.v.); 491, 17 ag. 1510, 21, 24 novembre, 4 dic. 1520, 11 gennaio, 7 febbr. 1521 (1520 m.v.), 30 marzo, 4 giugno, 7 nov. 1521, 22 dic. 1522, 20, 21 maggio 1526; Arch. di Stato di Milano, Fondo famiglie, cart. 87, f. Grumelli; Fondo Finanze, Confische, cart. 1539, f. Altobello Grumello; Fondo di religione, cart. 4691, 13 ag. 1498; Carteggio sforzesco, cart. 1362, 8 luglio 1530; Milano, Arch. stor. civico, Fondo Famiglie, cart. 795, f. Grumelli; Torino, Bibl. reale, A. Manno, Il patriziato subalpino, XIV (dattiloscritto), p. 599; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, II, 1, Mediolani 1745, col. 972; G. Muller, Prefazione, in A. Grumello, Cronaca…, cit., pp. IX-XXVI; G. Porro, Inventario dei codici della Trivulziana, I, Milano 1884, p. 175; E. Motta, Una lettera d'A. G. cronista pavese del Cinquecento, in Arch. stor. lombardo, XXXIV (1907), 2, pp. 477-479; H. Hauser, Les sources de l'histoire de France XVIe siècle (1494-1610), II, Paris 1909, p. 90 n. 923; F. Guasco Di Bisio, Diz. feudale degli antichi Stati sardi e della Lombardia (dall'epoca carolingia ai nostri tempi 774-1909), II, Pinerolo 1911, pp. 770, 778 s., 840; IV, ibid. 1911, pp. 1768, 1895; F. Malaguzzi Valeri, La corte di Lodovico il Moro, I, Milano 1929, pp. 29, 125; C. Santoro, Le collezioni trivulziane, in Arch. stor. lombardo, LXII (1935), p. 84; P. Pieri, Il Rinascimento e la crisi militare italiana, Torino 1952, pp. 404, 412, 464, 509, 543, 562, 571; G. Franceschini, Le dominazioni francesi e le restaurazioni sforzesche, in Storia di Milano, VIII, Milano 1957, p. 232; F. Chabod, Storia di Milano nell'epoca di Carlo V, Torino 1971, pp. 17 s. n.; F. Bernocchi, Storia di Pizzighettone, Pizzighettone 1973, p. 57; P. Verri, Storia di Milano, III, Milano 1977, pp. 82, 98, 101, 160, 177, 180 s., 183-185, 194, 200; E. Cochrane, Historians and historiography in the Italian Renaissance, Chicago 1981, pp. 187-190; G. Soldi Rondinini, Ludovico il Moro nella storiografia coeva, in Milano nell'età di Ludovico il Moro. Atti del Convegno internazionale… 1983, I, Milano 1983, pp. 43, 49; Il sacco di Brescia. Testimonianze, cronache, diarii, atti del processo e memorie storiche della "presa memoranda et crudele" della città nel 1512, I, 1, Brescia 1989, pp. 190-192; L. Casali - M. Galandra, Pavia nelle vicende militari d'Italia dalla fine del secolo XV e la battaglia del 24 febbr. 1525, in Storia di Pavia, III, 2, Milano 1990, pp. 10, 13, 15-19, 24, 29 s., 32, 42, 48 s., 53, 55, 57 s., 61-63; C. Marozzi, Stemmario delle famiglie nobili di Pavia e del principato, Pavia 1992, p. 320 e ad indicem del blasone pavese; G. Zaffignani, Lo schedario nobiliare Marozzi, in Boll. della Società pavese di storia patria, n.s., XLV (1993), pp. 351 n. 52, 357, 419; P. Margaroli, "Traitres lombardi": the expedition of Charles VIII in the Lombard sources up to the midsixteenth century, in The French descent into Renaissance Italy, 1494-95. Antecedents and effects, a cura di D. Abulafia, Aldershot 1995, p. 387.

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