PASQUALE III, antipapa

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 81 (2014)

PASQUALE III, antipapa

Andrea Antonio Verardi

PASQUALE III, antipapa. – Al secolo Guido da Crema, città nelle cui vicinanze forse nacque sul finire dell’XI secolo o nei primi del XII, Pasquale non è documentato prima del 1145, quando risulta essere cardinale diacono di S. Maria in Portico, titolo con il quale sottoscrisse una serie di privilegi emanati dai pontefici Eugenio III, Anastasio IV e Adriano IV, che avevano come destinatari vescovadi o monasteri lombardi.

Secondo una tarda storia della città di Crema che venne redatta dall’erudito Alemanno Fino nel 1566, egli sarebbe stato nipote del cardinale Giovanni, influente membro della Curia romana particolarmente attivo al tempo del pontificato di Callisto II; e come costui sarebbe appartenuto all’importante famiglia cremasca dei conti di Camisano. Ciò sulla base di un antico libro di famiglia della casata cremasca dei Cimavolo, oggi perduto. La notizia non è dunque supportata da alcuna evidenza documentaria.

Da cardinale diacono, Guido da Crema operò come legato pontificio, dimostrando notevoli capacità diplomatiche, in particolare nei rapporti con la parte imperiale durante gli anni difficili dell’ingresso di Federico Barbarossa in Italia. La prima attestazione di una sua legazione risale al 1146, anno in cui Guido venne convocato dal patriarca di Grado Enrico a Verona, dove compose una vertenza tra il vescovo Tebaldo, e Gilberto arciprete del capitolo. Nel 1149 invece egli intraprese un viaggio in Sassonia su invito dell’abate Wibaldo di Stablo (nella diocesi di Lüttich) per sostenere il tentativo del duca Ladislao II di Polonia, esiliato in Boemia, di recuperare il titolo di granduca di Polonia, usurpatogli dal fratello minore Boleslao IV.

La vicenda toccava da vicino gli equilibri politici della Germania. Gli ultimi due imperatori tedeschi, infatti, Lotario III (1125-37) e Corrado III di Hohenstaufen (1137-52), erano riusciti con difficoltà a imporre la loro autorità su queste regioni. A causa di questa debolezza gli imperatori avevano anche progressivamente rinunciato a far valere i loro diritti nelle elezioni episcopali al di qua delle Alpi, con il chiaro intento di garantirsi un appoggio da parte del clero ‘gregoriano’, lasciando così che i chierici riformatori si insediassero in quasi tutti gli episcopati tedeschi. Fu forse per questi motivi che nello stesso anno della legazione polacca Guido si occupò anche di questioni relative all’organizzazione delle strutture ecclesiastiche tedesche, rivendicazioni di giurisdizioni, recupero materiale degli edifici di culto. Nell’agosto 1149, per esempio, si recò a Francoforte su richiesta dell’abate Wilbaldo di Corbie per trattare il restauro della chiesa di Kemnade nella diocesi di Paderborn.

Forse fu in virtù delle sue frequentazioni tedesche che a Roma, tra il dicembre 1151 e il gennaio 1152, venne designato come componente della delegazione cui papa Eugenio III affidò il compito di intavolare trattative con i rappresentanti dell’imperatore Federico Barbarossa riguardo alle sue intenzioni nei confronti del papato e, più in generale, riguardo alla gestione della complessa situazione romana.

Nell’Urbe si era infatti creato un forte partito antipapale, rappresentato in primis dagli esponenti del neonato Comune romano, insediatosi nel 1143, cui si era aggiunto più tardi il canonico Arnaldo da Brescia che, con la sua accesa predicazione, sperava di poter finalmente realizzare, dal cuore della cristianità, il suo desiderio di riforma della Chiesa.

Le trattative ebbero buon esito e i patti raggiunti in quella occasione vennero solennemente confermati dall’imperatore con il trattato di Costanza del 23 marzo 1153: Barbarossa si impegnava a non trattare la pace o la tregua con il Comune romano senza l’accordo papale, a controllare l’azione dei romani, a difendere le regalie ecclesiastiche contro qualsiasi usurpatore e recuperare quelle perdute.

Nel 1155 Guido fece nuovamente parte di una delegazione che aveva il compito di mediare tra le posizioni del nuovo pontefice Adriano IV, succeduto a Eugenio III nel 1154, e quelle dell’imperatore che, sconfitte le resistenze di alcune città, tra cui Tortona, si trovava in Toscana con l’intenzione di raggiungere Roma. Il nuovo papa, che nel frattempo era riuscito a far cacciare dalla città Arnaldo minacciando i romani di non celebrare in città i riti pasquali, pensò dunque di utilizzare la carta dell’incoronazione imperiale per tentare di costringere Federico Barbarossa a stipulare patti favorevoli per la Chiesa romana. Egli incaricò dunque Guido e i cardinali Giovanni di Ss. Giovanni e Paolo e Guido di S. Pudenziana di incontrare l’imperatore per fissare i termini di un incontro tra questi e il papa e chiedere l’arresto e la consegna di Arnaldo da Brescia, che si era rifugiato nel frattempo presso i visconti di Campagnatico (nella Tuscia), sembra raccogliendo attorno a sé l’appoggio di alcuni membri della stessa Curia. Gli ambasciatori portarono a termine la missione: fissarono l’incontro tra le due autorità per i primi di giugno a Sutri, e ottennero la consegna del canonico, il quale venne giudicato e giustiziato dal prefetto della città di Roma.

Anche negli anni immediatamente successivi, Guido si rivelò sempre personaggio importante per il dialogo tra le due istituzioni: presso la corte imperiale godeva di larga fiducia, e nella Curia fu sempre fermo sostenitore di una naturale alleanza tra la Sede apostolica e l’imperatore (anche quando Barbarossa intraprese la politica di rivendicazione delle prerogative imperiali sull’Italia centro-settentrionale), e contrario invece a un avvicinamento del papa al re di Sicilia Guglielmo. Fu probabilmente in segno di apprezzamento per la sua attività diplomatica con l’imperatore che Adriano IV nel 1158 nominò Guido cardinale presbitero dell’importante basilica di S. Maria in Trastevere.

La nuova nomina coincise con un’intensificazione dell’attività diplomatica, dovuta anche a un progressivo avvicinamento dell’imperatore al Comune romano. Nel novembre 1158 Guido fu inviato dal papa alla dieta di Roncaglia, nella quale l’imperatore rivendicò i diritti regi contro le pretese di alcuni Comuni; nella primavera del 1159 fece parte della delegazione papale che a Ravenna negoziò con l’imperatore il rinnovo dei patti. I risultati furono tuttavia tutt’altro che esaltanti: Federico infatti considerò inaudite le pretese papali del riconoscimento di una piena autorità sulla città di Roma.

La situazione venne complicata dall’improvvisa scomparsa di Adriano IV, il 1° settembre 1159, che rivelò la profonda frattura all’interno del Collegio cardinalizio, diviso da opposte prospettive riguardo alle scelte politiche della Sede romana. Sotto la spinta del cardinale cremasco, un partito elesse papa Ottaviano di Monticelli con il nome di Vittore IV; un altro invece si pronunziò per il cardinale Rolando Bandinelli, eletto con il nome di Alessandro III. Da alcune lettere del periodo immediatamente successivo, nelle quali Guido appare schierato apertamente per Vittore IV, si constata che la causa principale dello scisma fu appunto l’orientamento di Adriano IV e di una parte del Collegio a perseguire un’alleanza con i normanni di Sicilia, a danno dell’impero.

La posizione del cardinale cremasco si rivelò anche in occasione del concilio tenutosi a Beauvais a fine luglio 1160: egli sostenne con forza la legittimità di Vittore IV, ma con scarsi risultati, perché i re di Francia e d’Inghilterra, con i rappresentanti delle rispettive Chiese, riconobbero come legittimo Alessandro III. Per tutta la durata del pontificato dell’antipapa Vittore – riconosciuto inizialmente da parte del clero e del popolo di Roma, e poi progressivamente abbandonato – Guido rimase tra i cardinali a esso più vicini.

Fu anche per questo motivo che a Lucca, due giorni dopo la morte di Vittore IV, il 22 aprile 1164, egli venne eletto papa dai cardinali presenti in città – per la maggior parte si trattava di cardinali creati da Vittore IV – con il nome di Pasquale III, alla presenza di numerosi vescovi e chierici della Lombardia e della Tuscia, del prefetto della città di Roma, di molti nobili romani e del cancelliere imperiale e vescovo di Colonia, Rainaldo di Dassel, suo principale sostenitore per l’elezione. Fu proprio Rainaldo a radunare, il 26 aprile, il clero e il popolo di Lucca affinché prestassero giuramento al nuovo pontefice.

Nei mesi successivi (intorno alla metà dell’anno) Rainaldo si spostò a Vienne alla ricerca di appoggio politico per il nuovo eletto; Pasquale fu invece scortato dapprima a Pisa dove venne accolto con tutti gli onori, e poi a Viterbo. Qui soggiornò a lungo, non potendo recarsi a Roma, dove il popolo si era ormai schierato a favore del suo avversario Alessandro III. Furono infatti vani i tentativi compiuti dal cancelliere imperiale di piegare i romani alla fedeltà a Pasquale; essi infatti non si lasciarono persuadere né dagli atti di forza compiuti dagli imperiali nel territorio intorno a Roma, con l’aiuto del conte Gozolino, né dalle ingenti elargizioni di denaro con le quali il cancelliere provò a comprare la fedeltà dei maggiorenti cittadini.

A complicare la situazione e a volgerla completamente a favore dell’avversario di Pasquale fu l’arrivo nella primavera di quello stesso anno dell’esercito normanno, che, respingendo con forza i contingenti imperiali nelle regioni della Campagna e della Marittima, costrinse Pasquale a un nuovo ritiro verso nord.

Risulta strana la completa assenza dell’imperatore in questi primi e difficili mesi di pontificato: ma sta di fatto che si dovette aspettare più di un anno per avere il primo documento ufficiale con cui l’imperatore riconosceva apertamente il nuovo pontefice. Solo in occasione della dieta di Würzburg (24 maggio 1165) Federico prestò giuramento a Pasquale, coinvolgendo un buon numero di principi imperiali oltre ai rappresentanti del re d’Inghilterra Enrico II. Quest’ultimo infatti era in quel momento in aperta lotta con papa Alessandro III a causa dell’appoggio di questo all’arcivescovo di Canterbury Thomas Becket, che si era apertamente opposto alle costituzioni regie di Clarendon.

Risale alla fine dello stesso anno, inoltre, uno degli atti ritenuti più significativi del pontificato di Pasquale: la canonizzazione di Carlo Magno (invero non di rado sovrainterpretata). Il 29 dicembre 1165, infatti, Rainaldo di Dassel tenne una cerimonia solenne, alla presenza dell’imperatore, in cui furono elevati alla gloria degli altari i resti mortali del primo imperatore carolingio: la canonizzazione avveniva su richiesta del re d’Inghilterra, su consiglio dei principi ecclesiastici e imperiali e con il consenso di Pasquale. In questo modo Federico, con abile mossa propagandistica, intese legittimare la propria posizione nei confronti dei suoi oppositori, in particolare Alessandro III: esaltando la figura e l’autorità dell’antico sovrano, legittimava la propria, e allo stesso tempo, legando questa canonizzazione al consenso di Pasquale, provava a consolidarne la fama oltralpe.

Nella realtà però la posizione e l’attività di Pasquale, in questa come in altre vicende del periodo, rimasero del tutto marginali e scarsamente documentate, con significativi accenti solo in occasione delle sortite italiane dell’imperatore, come nel 1167 quando la discesa in Italia di Federico gli aprì le porte di Roma. In quell’occasione, il papa poté finalmente insediarsi in S. Pietro dove, il 30 luglio, celebrò la sua prima messa solenne da pontefice e, due giorni dopo, incoronò imperatore lo svevo.

La vittoria si rivelò però di durata effimera. Durante le trattative tra i rappresentati dei romani e i vincitori, un’epidemia di peste costrinse le truppe sveve a lasciare l’Urbe: con l’imperatore tornato nella pianura padana, Pasquale perse il suo principale supporto sul territorio, e fu costretto a ritirarsi a Viterbo, con la magra consolazione di aver raggiunto con i romani un accordo che avrebbe garantito il suo ritorno. I patti furono effettivamente rispettati, grazie al rientro dell’arcivescovo Cristiano di Magonza che, armi alla mano, riuscì a far rientrare il pontefice a Roma.

Pasquale risiedette in S. Pietro, ma quasi relegato, e preoccupato di un possibile nuovo rovesciamento della situazione a favore del suo avversario, fino al giorno della sua morte (20 settembre 1169). Fu sepolto nella basilica vaticana.

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