Annullamento d'ufficio degli atti amministrativi

Il libro dell anno del diritto 2019 (2019)

Annullamento d'ufficio degli atti amministrativi

Michele Rimarchi
Enrico Zampetti

La disciplina dell’annullamento d’ufficio è stata interessata da interventi giurisprudenziali innovativi, o potenzialmente tali, di cui si deve dare conto per un quadro attuale e completo dell’autotutela amministrativa. Il riferimento è: alla giurisprudenza secondo cui il termine di 18 mesi previsto dall’art. 21 nonies l. 7.8.1990, n. 241, è derogabile in presenza di circostanze eccezionali che impongono una istruttoria procedimentale particolarmente complessa; alla giurisprudenza che ritiene applicabile il suddetto termine anche all’annullamento dei provvedimenti emessi prima della riforma dell’art. 21 nonies; infine, alla giurisprudenza che propone una lettura estensiva dell’art. 21 nonies, co. 2, ritenendo che il termine di 18 mesi non trova applicazione quando il provvedimento è conseguito sulla base di una falsa rappresentazione dei fatti, senza che ciò debba essere accertato dal giudice penale.

La ricognizione

Come noto, la l. 7.8.2015, n. 124 ha in parte modificato la disciplina dell’annullamento d’ufficio recata nell’art. 21 nonies l. 7.8.1990, n. 241. La novità di rilievo consiste nell’introduzione di un termine massimo di 18 mesi oltre il quale è precluso l’annullamento dei provvedimenti autorizzatori e di attribuzione di vantaggi economici. Nonostante siano trascorsi più di tre anni dall’entrata in vigore della l. n. 124/2015, la nuova disciplina lascia tuttora aperte alcune rilevanti questioni, rispetto alle quali si registrano orientamenti giurisprudenziali innovativi. In particolare, la giurisprudenza ha ritenuto: che il termine di 18 mesi previsto dall’art. 21 nonies l. n. 241/1990, è derogabile in presenza di circostanze eccezionali che impongono una istruttoria procedimentale particolarmente complessa; che il suddetto termine è applicabile anche all’annullamento dei provvedimenti emessi prima della riforma dell’art. 21 nonies, però con decorrenza dal momento di entrata in vigore della l. n. 124/2015; che l’art. 21 nonies, co. 2, vada interpretato nel senso che il termine di 18 mesi non trova applicazione quando il provvedimento è conseguito sulla base di una falsa rappresentazione dei fatti, senza che ciò debba essere accertato dal giudice penale. Alla luce della giurisprudenza più recente, rimane ancora aperta la questione della esatta qualificazione dei poteri amministrativi di verifica, sollecitati dal terzo, in ordine all’attività privata avviata in base a SCIA, con implicazioni sul contenuto discrezionale o meno degli stessi poteri e sull’effettività della tutela giurisdizionale.

Le soluzioni offerte dalla giurisprudenza amministrativa su tutte queste questioni appaiono rilevanti per la ricostruzione del quadro generale dell’autotutela, in relazione anche alla tutela dei terzi.

La focalizzazione

Nei paragrafi seguenti verranno esaminate le indicate questioni recentemente emerse nell’ambito dell’autotutela amministrativa, con particolare riferimento alla natura del termine di 18 mesi e alla sua eventuale applicabilità retroattiva, alla superabilità di tale termine in presenza di false dichiarazioni o rappresentazioni dei fatti, alla tutela del terzo a fronte di un potere qualificato in termini di autotutela.

Natura e applicabilità del termine ex art. 21 nonies

All’indomani dell’entrata in vigore dell’art. 6 l. n. 124/2015, la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che il termine di 18 mesi previsto per l’annullamento d’ufficio dal nuovo testo dell’art. 21 nonies l. n. 241/1990, abbia carattere perentorio ed esprima un principio generale di certezza del diritto nel rapporto tra amministrazione e cittadino1; tanto che, pure nelle fattispecie in cui non trova immediata applicazione, esso costituisce comunque un punto di riferimento importante per apprezzare la ragionevolezza del termine2.

Una recente pronuncia del giudice amministrativo ritiene invece pacifico che «il termine di 18 mesi previsto dall’attuale art. 21 nonies rappresenta una previsione di massima di carattere ordinario» e che tale termine ben può esser superato dall’amministrazione in presenza di esigenze superiori «che superano ed assorbono ogni profilo inerente eventuali affidamenti generati in capo al destinatario dell’atto»3.

L’affermazione appare inedita e rappresenta una novità potenzialmente molto rilevante per l’assetto dei poteri di autotutela; nondimeno, per assegnarvi la giusta importanza, bisogna considerare che il giudice l’ha formulata entro un contesto obiettivamente peculiare, che può averlo indotto ad un atteggiamento di particolare tolleranza nei riguardi del ritardo dell’amministrazione.

Nel caso di specie, infatti, l’annullamento degli atti della procedura di gara (avente ad oggetto l’affidamento dei servizi connessi alla balneazione sulle spiagge libere del litorale di Roma capitale) interveniva a conclusione di una complessa e delicata azione, condotta da organi straordinari nominati ad hoc, per il ripristino della legalità e la regolarizzazione delle gestioni nell’ambito delle competenze di un municipio di Roma capitale sciolto con decreto del Presidente della repubblica e immediatamente commissariato.

In questo contesto, il Collegio ha reputato che la violazione del termine di 18 mesi fosse recessiva rispetto all’azione straordinaria dell’amministrazione, «la quale, ispirata ad una preminente ratio di ripristino della legalità, tollera eventuali lievi scostamenti rispetto alla tempistica ordinaria».

Un’ulteriore questione emersa in giurisprudenza riguarda l’esatto ambito di applicazione del termine di 18 mesi. Più precisamente, si tratta di chiarire se il suddetto termine si applichi anche ai provvedimenti di autotutela che si riferiscono ad atti adottati anteriormente all’entrata in vigore della l. n. 124/2015, essendo pacifica la sua inapplicabilità ai provvedimenti di autotutela perfezionatisi prima della modifica normativa.

Secondo un primo orientamento, il termine di 18 mesi sarebbe sempre applicabile nelle ipotesi in cui il provvedimento di autotutela intervenga successivamente all’entrata in vigore della legge, anche nel caso in cui si riferisca ad un provvedimento adottato anteriormente alla legge del 20154. Per un secondo orientamento, il termine di 18 mesi non sarebbe applicabile ai provvedimenti di autotutela che si riferiscono ad atti adottati anteriormente all’entrata in vigore della l. n. 124/2015, sul presupposto implicito che, se il procedimento originario è assoggettato alla pregressa disciplina, il relativo provvedimento di autotutela non può che ritenersi anch’esso assoggettato al procedimento originario5. Un terzo orientamento, affermato dalla più recente giurisprudenza, reputa invece che il termine di 18 mesi debba cominciare a decorrere dal momento di entrata in vigore della l. n. 124/2015, anche nelle ipotesi in cui l’atto da annullare sia stato adottato anteriormente alla legge del 2015, fatta comunque salva l’operatività del termine ragionevole già previsto dall’originaria versione dell’art. 21 nonies6. A sostegno della tesi si assume che il termine di 18 mesi non può applicarsi in via retroattiva, nel senso di computare in esso anche il tempo decorso anteriormente all’entrata in vigore della l. n. 124/2015, poiché ciò si porrebbe in contrasto con il generale principio di irretroattività della legge limitando «in maniera eccessiva ed irragionevole l’esercizio del potere di autotutela amministrativa», con la conseguenza, paradossale, per cui l’annullamento risulterebbe di fatto precluso per i provvedimenti adottati 18 mesi prima dell’entrata in vigore della nuova norma7.

Sulla derogabilità del termine in casi particolari

Ai sensi dell’art. 21 nonies l. n. 241/1990, il termine di 18 mesi previsto per l’annullamento d’ufficio dei provvedimenti di autorizzazione e attribuzione di vantaggi economici non trova applicazione se il provvedimento è conseguito «sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato» (co. 2-bis).

Tale eccezione non comporta che nelle ipotesi menzionate l’amministrazione sia libera di disporre l’annullamento d’ufficio in ogni tempo: esso deve comunque intervenire entro il «termine ragionevole», previsto in via generale dall’art. 21 nonies, co. 1, per l’annullamento dei provvedimenti amministrativi diversi da quelli autorizzativi o attributivi di vantaggi economici, a tutela dell’affidamento del privato.

La giurisprudenza recente del Consiglio di Stato si è soffermata sul contenuto e sull’ampiezza dell’eccezione, domandandosi se l’inciso «per effetto di condotte costituenti reato» vada riferito esclusivamente alle «dichiarazioni sostitutive … false o mendaci», ovvero anche alle «false rappresentazioni dei fatti»8.

Giusta la prima soluzione, se il provvedimento è stato conseguito sulla base di dichiarazioni sostitutive false o mendaci, è possibile disporne l’annullamento solo ove una sentenza passata in giudicato abbia accertato la condotta penalmente rilevante del beneficiario; mentre, se il provvedimento è stato conseguito sulla base di false rappresentazioni, il superamento del termine sarebbe consentito anche a prescindere dalla presenza di una sentenza passata in giudicato.

Giusta la seconda interpretazione, invece, l’amministrazione può superare il termine di 18 mesi soltanto se la sentenza passata in giudicato abbia accertato la commissione del reato, tanto che il provvedimento sia stato conseguito sulla base di dichiarazioni false o mendaci, quanto che sia stato conseguito sulla base di false rappresentazioni.

Il Consiglio di Stato, confermando la sentenza di primo grado, ha ritenuto che l’interpretazione corretta dell’art. 21 nonies, co. 2-bis, l. n. 241/1990, sia quella che riferisce l’inciso «per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato» alle sole «dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false e mendaci», e non anche alle «false rappresentazioni» in ordine ai presupposti per il rilascio del provvedimento, la cui presenza è pertanto sufficiente per consentire l’annullamento oltre il diciottesimo mese.

Tale conclusione è raggiunta dal giudice amministrativo sulla base di un complesso ragionamento, scandito da argomenti di carattere esegetico e teleologico.

La premessa, di notevole rilievo sistematico, è che le aspettative del privato sono in grado di paralizzare «l’azione rimotiva dell’Amministrazione» soltanto se sono legittime, «ciò che non accade nel caso in cui la mancata sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento ampliativo della sfera privata prefiguri … un errore imputabile alla parte (e non all’amministrazione decidente)»9. di conseguenza, se l’illegittimità del provvedimento è indotta da una falsa rappresentazione dei presupposti da parte del privato ‒ il che si verifica quando tale rappresentazione è stata obiettivamente determinante per il rilascio del titolo e il privato abbia agito con dolo ‒, allora questi non deve poter beneficiare del termine di 18 mesi imposto all’esercizio dell’autotutela, in quanto l’affidamento da lui vantato non presenta i connotati della meritevolezza.

All’interno di questa cornice concettuale, il Consiglio di Stato osserva che l’art. 21 nonies, co. 2-bis, l. n. 241/1990, riferisce il predicato «false e mendaci» soltanto alle «dichiarazioni sostitutive», indicando altresì la causa efficiente della falsità e del mendacio: che è costituita dalle condotte penalmente rilevanti accertate con sentenza passata in giudicato. Questa concatenazione di significati libera il sintagma «false rappresentazioni» da ogni aggettivazione o precisazione di causa efficiente, di talché la presenza delle stesse configura di per sé l’eccezione al termine di 18 mesi per l’annullamento d’ufficio, «risultando a tal fine irrilevante la ricorrenza di fatti di reato, il cui richiamo si giustifica in relazione a quelle condotte di falsificazione che – per il mezzo della loro introduzione all’interno del procedimento – sono tipicamente suscettibili di violare disposizioni penali…».

d’altra parte, conclude il Consiglio di Stato, il giudice penale non ha competenza esclusiva nell’accertamento della falsità della rappresentazione dei presupposti di fatto: l’amministrazione può compierlo in via autonoma, onde stabilire se sussistono i presupposti per disporre l’annullamento d’ufficio oltre il diciottesimo mese.

Autotutela, SCIA e tutela del terzo

La tutela del terzo a fronte di un’attività intrapresa in base a SCIA presenta ancora degli aspetti di criticità non compiutamente risolti. Nel chiarire che la SCIA non è un provvedimento amministrativo, l’art. 19, co. 6-ter, l. n. 241/1990 esclude, come noto, che il terzo possa chiedere l’annullamento giurisdizionale della SCIA, ma lo autorizza a tutelare la propria posizione giuridica attraverso l’azione sul silenzio disciplinata dall’art. 31 del c.p.a. In quest’ambito, le questioni ancora aperte riguardano essenzialmente il termine entro cui il terzo deve sollecitare le verifiche, l’applicabilità del termine di 18 mesi al potere esercitato a fronte dell’iniziativa del terzo, la natura del potere che l’amministrazione è chiamata ad esercitare a seguito delle sollecitazioni del terzo10. ognuna di tali questioni gravita, più o meno significativamente, sul concetto di autotutela, scontando la difficoltà di declinare su di un atto privato come la SCIA un potere tradizionalmente rivolto e riferito ai provvedimenti amministrativi. Tralasciando in questa sede le due questioni sul termine, una delle quali oggetto della questione di costituzionalità recentemente rimessa alla Corte costituzionale11, merita soffermarsi sull’esatta qualificazione del potere sollecitato dal terzo, considerato che il citato co. 6-ter, dell’art. 19 si limita ad utilizzare il termine generico di «verifiche» dal quale non è possibile ricavare univoci elementi d’identificazione. Pur a fronte della varietà di posizioni sul tema, una parte considerevole della più recente giurisprudenza amministrativa tende ad identificare il suddetto potere in quello che, ai sensi del co. 4, dell’art. 19, l’amministrazione può essere chiamata ad esercitare dopo i sessanta giorni dal ricevimento della SCIA, qualificandolo come potere di autotutela in virtù del richiamo della norma alle «condizioni previste dall’art. 21 nonies»12. Più esattamente, secondo questa impostazione, anche recentemente ribadita, il potere in questione si identificherebbe in un potere di autotutela cd. anomalo, caratterizzato dalla generale doverosità del procedere e da una residua discrezionalità rilevante solo ai fini del contenuto del provvedimento13. Nel contesto delineato, il terzo dovrebbe esperire l’azione avverso il silenzio entro un anno dalla piena conoscenza della SCIA, senza necessità di prevedere un ulteriore specifico termine entro cui sollecitare le verifiche. Non è questa la sede per soffermarsi criticamente sull’esatta portata e implicazioni del richiamato orientamento. Basti sottolineare che la qualificazione in termini di autotutela “anomala” si rivela coerente e compatibile con il rimedio giurisdizionale a disposizione del terzo, proprio nella misura in cui l’amministrazione risulta comunque gravata dell’obbligo di procedere. Conclusivamente, è appena il caso di osservare che l’assenza di un’esplicita previsione normativa non consente di risolvere in via interpretativa né la questione del termine entro cui il terzo deve sollecitare le verifiche, né la questione dell’applicabilità del termine di 18 mesi al potere sollecitato dal terzo. Per dirimere questi aspetti dovrà attendersi la decisione della Corte costituzionale e un intervento chiarificatore del legislatore.

I profili problematici

Le soluzioni offerte dalla giurisprudenza presentano (talvolta) alcuni aspetti di criticità di cui è necessario dare conto. I profili maggiormente problematici riguardano la compatibilità con il principio di legalità e del tempus regit actum, un eccessivo spazio di valutazione riconosciuto all’amministrazione, una non sempre compiuta elaborazione dei profili della tutela del terzo nei confronti della SCIA.

Principio di legalità e tempus regit actum

La sentenza che considera quello previsto dall’art. 21 nonies l. n. 241/1990, come termine «ordinario» e ne ammette il superamento in ipotesi «straordinarie» manifesta la diffidenza del giudice amministrativo rispetto alla scelta del legislatore di sottoporre il potere di annullamento d’ufficio a un termine decadenziale.

L’inadeguatezza del termine deriva dalla obiettiva complessità degli accertamenti necessari per far fronte ad una situazione straordinaria di illegalità; accertamenti talmente delicati e importanti per la tutela dell’interesse pubblico, che non si può imporre all’amministrazione di concluderli nel termine di 18 mesi. Per questa ragione, la giurisprudenza afferma che il termine può essere oltrepassato quando la fattispecie concreta presenta elementi di straordinarietà.

viene così introdotto un argomento che, di fatto, tende a rimpiazzare il termine di 18 mesi previsto oggi dalla legge con il vecchio termine cd. ragionevole suscettibile di apprezzamento in concreto alla luce delle circostanze del caso specifico.

Va detto, però, che la legge non distingue tra situazioni ordinarie e situazioni straordinarie, né prevede la possibilità di oltrepassare i 18 mesi quando l’istruttoria si rileva particolarmente complessa e delicata.

Accorgimenti di questo tipo valgono in relazione al termine di conclusione del procedimento previsto dall’art. 2 l. n. 241/1990, il quale può essere sospeso per una sola volta e per un periodo non superiore a trenta giorni se occorre acquisire informazioni non in possesso dell’amministrazione (co. 7), e può essere interrotto una sola volta se l’organo consultivo abbia rappresentato particolari esigenze istruttorie (art. 16, co. 4; art. 17, co. 3). Ma il termine dell’art. 21 nonies non attiene alla conclusione del procedimento, bensì all’esercizio del potere14: decorre a partire da un fatto (l’adozione del provvedimento autorizzativo o attributivo di vantaggi economici) che è esterno rispetto all’eventuale procedimento di autotutela e scade anche se il suddetto procedimento non è stato neppure avviato o se il diciottesimo mese trascorre quando lo stesso è in corso di svolgimento, impedisce l’adozione dell’atto valido.

Poiché sono posti a tutela delle situazioni soggettive contrapposte, e non sono invece strumentali all’ordinato svolgimento dell’azione amministrativa, i termini di esercizio del potere sono insensibili alle vicende del procedimento, comprese le eventuali difficoltà che possono insorgere in seno ad esso: per questa ragione non ne è prevista la sospensione o l’interruzione per ragioni di completezza nell’istruttoria; né la disciplina della sospensione e dell’interruzione può essere mutuata in via analogica dal regime del termine di conclusione del procedimento.

Alla luce di ciò, mancando una norma che preveda la derogabilità del termine di cui all’art. 21 nonies l. n. 241/1990, in presenza di circostanze straordinarie, è quantomeno dubbio che la posizione espressa dal TAR sia rispettosa del principio di legalità. Infatti, la legge circoscrive espressamente la cedevolezza del termine alle sole ipotesi previste al co. 2-bis: ulteriori deroghe introdotte in via giurisprudenziale si pongono in contrasto col principio di tipicità e di legalità sostanziale, considerato anche che l’annullamento d’ufficio è esplicazione di un potere autonomo rispetto al potere di primo grado, per il quale è richiesto un puntuale fondamento normativo15.

In ogni caso, la pronuncia del TAR solleva il problema di quale siano, e come si indentificano, le «situazioni straordinarie» che consentono di disporre l’annullamento d’ufficio oltre il termine legale. Quanto più ampio è il significato che si assegna al concetto indeterminato, tanto maggiore è il distacco del cd. diritto vivente dal principio di legalità e certezza del diritto.

Considerazioni analoghe valgono per l’orientamento giurisprudenziale che fa decorrere il termine di 18 mesi dal momento di entrata in vigore della l. n. 125/2015, (anche) nelle ipotesi in cui il provvedimento di primo grado sia stato adottato prima dell’intervento normativo. Si è già detto che a sostegno della tesi si adduce principalmente il principio di irretroattività della legge, che risulterebbe disatteso se nel termine dei 18 mesi venisse computato anche il tempo decorso anteriormente all’entrata in vigore della l. n. 124/2015, nonché l’esigenza generale di evitare limitazioni eccessive e irragionevoli del potere di autotutela16. Sennonché, la soluzione concretamente prescelta non appare del tutto convincente nella misura in cui, oltre a non trovare alcun conforto nel dato positivo, sembra porsi in contrasto con il principio del tempus regit actum, in base al quale i provvedimenti dell’amministrazione devono uniformarsi, sia per quanto concerne i requisiti di forma e procedimento, sia per quanto riguarda i contenuti sostanziali delle statuizioni, alle norme giuridiche vigenti nel momento in cui vengono posti in essere17.

In applicazione del principio, l’annullamento d’ufficio che intervenga successivamente all’entrata in vigore della nuova legge deve pertanto soggiacere integralmente alla normativa sopravvenuta anche per quanto riguarda il requisito temporale, a prescindere dalla circostanza che l’atto da annullare risulti adottato prima o dopo rispetto alla modifica normativa.

Ciò che infatti rileva ai fini dell’individuazione della normativa applicabile è il momento in cui interviene l’annullamento e non già il momento in cui risultano adottati gli atti da annullare: se il provvedimento di autotutela viene adottato dopo l’entrata in vigore della l. n. 125/2015 ad esso si applica il nuovo regime, sia che l’annullamento riguardi atti anteriori

sia che riguardi atti posteriori rispetto alla novella legislativa.

Poiché l’art. 21 nonies l. n. 241/1990 prevede che il termine di 18 mesi si computi dal momento di adozione del provvedimento di primo grado, il potere di autotutela che sia esercitato in costanza di tale norma dovrebbe sottostare al limite temporale così come previsto e disciplinato, nel senso che non potrà essere adottato oltre il termine di 18 mesi decorrente dal momento di adozione del provvedimento di primo grado. Si tratta di conclusioni compatibili anche con il principio d’irretroattività della legge invocato dall’orientamento esaminato per sostenere la tesi contraria. Come è agevole constatare, tale principio sarebbe violato soltanto se la nuova legge venisse applicata ai provvedimenti di autotutela intervenuti prima della sua entrata in vigore, ma non anche se la nuova legge, in applicazione del principio del tempus regit actum, viene correttamente applicata ai provvedimenti che intervengono dopo la sua entrata in vigore.

Superamento del termine e legittimità dell’affidamento

L’art. 21 nonies l. n. 241/1990, nella formulazione precedente al 2015, rimetteva al giudice il compito di stabilire se l’annullamento disposto d’ufficio dall’amministrazione fosse intervenuto entro un termine ragionevole o meno; questa valutazione era compiuta caso per caso alla luce dell’intrinseca meritevolezza degli interessi contrapposti: per cui, se l’affidamento del privato non appariva meritevole di tutela, l’annullamento era ritenuto legittimo anche se disposto dopo un considerevole lasso di tempo dall’adozione dell’atto.

La disciplina attuale ha determinato un cambio di paradigma perché consente al giudice di compiere questa valutazione soltanto se l’annullamento in contestazione è intervenuto entro il diciottesimo mese; superato tale termine, il potere dell’amministrazione si estingue e al giudice non resta che dichiarare l’illegittimità dell’atto tardivo, a prescindere dalla intrinseca meritevolezza dell’affidamento. oltre il diciottesimo mese dalla sua adozione, la stabilità del provvedimento diventa per il diritto un valore in sé e per sé e riceve protezione a prescindere dalla qualità dell’affidamento del privato. La logica entro la quale si muove la norma non è (più) quella della buona fede soggettiva, ma quella della certezza del diritto18.

Anche la sentenza n. 3940/2018 dà conto di questo cambio di paradigma laddove rileva che il termine di 18 mesi, essendo «astratto e generale», priva l’amministrazione (e dunque anche il giudice, se l’annullamento viene impugnato) di quella «concreta gestione del limite temporale nella attivazione dei procedimenti di secondo grado» che era consentita dalla mera previsione del canone di ragionevolezza. Tuttavia il giudice amministrativo, se da un lato prende atto di ciò, dall’altro lato avverte in modo pressante il rischio che la nuova disciplina dia luogo a una sorta di iperprotezione dell’affidamento del privato quando tale affidamento non sia meritevole di tutela o sia addirittura contra legem.

Sulla scorta di questa preoccupazione, l’art. 21 nonies, co. 2-bis, l. n. 241/1990, viene interpretato nel senso che l’amministrazione non deve attenersi al termine di 18 mesi per l’annullamento d’ufficio se il beneficiario ha conseguito il provvedimento sulla base di una falsa rappresentazione dei presupposti prescritti per il rilascio dello stesso, falsità che può esser valutata direttamente dall’amministrazione e indipendentemente dall’esito di un eventuale processo penale19.

Riceve così conferma positiva il principio generale, affermato dal Consiglio di Stato in modo assiomatico, per cui soltanto l’affidamento legittimo, cioè quello assistito da buone ragioni, è in condizione di escludere il potere di autotutela.

Sennonché, il vero è che la valutazione della meritevolezza dell’affidamento oltre il diciottesimo mese è logicamente inconciliabile con la previsione della decadenza dal potere. Pertanto, se si vuol rispettare la logica del nuovo assetto normativo, l’art. 21 nonies, co. 2-bis, l. n. 241/1990, deve essere interpretato nel senso che la facoltà di oltrepassare il diciottesimo mese costituisce una vera e propria eccezione rispetto al principio della stabilizzazione del provvedimento, eccezione che opera soltanto in presenza di un accertamento penale definitivo in ordine alla mala fede del cittadino. occorre, per così dire, una malafede “qualificata”.

Al contrario, riservando all’amministrazione la facoltà di valutare in ogni tempo la legittimità dell’affidamento, il Consiglio di Stato le riconosce surrettiziamente un potere inesauribile di valutazione intorno alla meritevolezza degli interessi pubblici e privati contrapposti, potere che è esattamente ciò che la riforma ha inteso escludere oltre il diciottesimo mese. In altre parole, giusta l’interpretazione del Consiglio di Stato, la previsione contenuta nel co. 2-bis, dell’art. 21 nonies l. n. 241/1990, finisce per paralizzare la novità introdotta con il primo comma.

Ma, se si vuol restaurare il sistema nel quale era rimessa all’amministrazione (e eventualmente al giudice) la concreta gestione dei tempi dell’annullamento secondo il canone della ragionevolezza, è dubbio che spetti alla giurisprudenza di adempiere a questo compito20.

Inoltre l’argomento sistematico su cui poggia l’interpretazione del Consiglio di Stato rischia di provare troppo e di disvelare una intima contraddizione nel ragionamento. Se l’aver indotto l’amministrazione in errore tramite una falsa rappresentazione dei presupposti esclude la legittimità dell’affidamento, e se l’ordinamento limita la potestà di autotutela soltanto quando gli affidamenti sono legittimi, allora perché anche in questo caso trova applicazione la regola per cui l’annullamento deve intervenire entro un termine ragionevole? Se l’affidamento non legittimo davvero fosse privo di protezione, in questi casi l’annullamento potrebbe intervenire in ogni tempo e senza alcun obbligo di ponderare gli interessi; il che, invero, è quanto lo stesso Consiglio di Stato ha chiaramente affermato in altra recente occasione, svuotando di significato precettivo anche la clausola del termine ragionevole21.

Un profilo delicato concerne lo stato soggettivo del beneficiario. Il Consiglio di Stato afferma che, per consentire il superamento del diciottesimo mese, il comportamento di colui che ha reso le false rappresentazione deve essere doloso.

A rigore, dolo significa che il privato deve aver scientemente perseguito l’obiettivo di indurre l’amministrazione a rilasciare il provvedimento illegittimo a lui favorevole, il che in teoria rappresenterebbe un argine rispetto all’eccessiva dilatazione della deroga al termine decadenziale. Ad esempio, il riferimento all’elemento soggettivo potrebbe consentire di distinguere l’ipotesi della falsa rappresentazione di fatti materiali inequivoci dall’ipotesi in cui la falsità attenga alla ricostruzione del quadro normativo di riferimento.

Soprattutto quando quest’ultimo è controverso e di difficile interpretazione, il dolo del beneficiario del provvedimento dovrebbe senz’altro essere escluso e quindi il termine di 18 mesi non andrebbe messo in discussione; mentre la valutazione dovrebbe essere più accorta quando la falsità riguarda la rappresentazione di un fatto storico sicuramente rientrante nella cognizione del beneficiario del provvedimento.

Tuttavia, l’elemento di intenzionalità saggiamente evocato dalla giurisprudenza non trova riscontro nel testo normativo, il quale richiede in effetti la sussistenza del nesso di causalità tra la falsa rappresentazione e il conseguimento del provvedimento, ma nulla dice sull’elemento soggettivo. Pertanto, una volta accolta l’interpretazione secondo cui le false rappresentazioni rilevano a prescindere dall’accertamento del giudice penale, nulla esclude che la deroga al termine di decadenza possa essere ammessa a prescindere dall’accertamento del dolo. del resto, ponendosi nella prospettiva dell’amministrazione, sembra difficile pretendere da essa l’accertamento dell’intenzionalità della condotta del privato prima di disporre l’annullamento. Sul punto è istruttivo uno sguardo alla fattispecie decisa dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 3940/2018: in quel caso, l’annullamento d’ufficio era stato disposto sulla base di una verifica compiuta dall’amministrazione dalla quale si evinceva che probabilmente l’impresa aggiudicataria aveva commesso una falsa rappresentazione in seno al procedimento. Al concreto, il Consiglio di Stato si è fermato ben prima dell’accertamento del dolo: non ha preteso neppure la certezza della falsità (sebbene questa fosse in effetti desumibile da altri elementi).

L’interpretazione dell’art. 21 nonies, co 2-bis, l. n. 241/1990, avanzata dal Consiglio di Stato impone anche di considerare la possibilità che le rappresentazioni dei fatti ritenute false dalla p.a. al momento dell’annullamento d’ufficio siano ritenute esatte al termine dell’eventuale giudizio penale. Un accertamento di questo tipo farebbe emergere ex post l’illegittimità

dell’annullamento d’ufficio pronunciato oltre il diciottesimo mese. Ma (soprattutto se sono scaduti i termini di impugnazione dell’annullamento d’ufficio medesimo) non v’è strumento giuridico per imporre all’amministrazione di prendere atto dell’illegittimità dell’annullamento pronunciato tardivamente e adottare ora per allora un atto favorevole di contenuto identico a quello tardivamente annullato.

Tutela del terzo tra autotutela e potere repressivo

La ricostruzione giurisprudenziale che qualifica il potere sollecitato dal terzo in termini di autotutela “anomala”, doverosa nell’an del procedere e discrezionale nei contenuti, è compatibile con la disciplina dell’azione avverso il silenzio che, come noto, presuppone l’obbligo dell’amministrazione di concludere il procedimento con l’adozione di un provvedimento espresso. Secondo l’esaminata ricostruzione, il terzo potrebbe sempre agire nel termine annuale previsto per l’azione avverso il silenzio, con decorrenza dal momento di piena conoscenza della SCIA, senza che assuma particolare rilevo la questione del termine entro cui sarebbe chiamato a sollecitare le verifiche, specifico oggetto del giudizio di costituzionalità attualmente pendente. Ne risulta un sistema di tutela che valorizza equilibratamente le contrapposte esigenze del terzo e del segnalante: se infatti il terzo ha un ampio margine di tempo per contestare l’inerzia dell’amministrazione, a fronte della sollecitazione del terzo l’esercizio del potere non potrà prescindere da un’attenta e specifica considerazione dell’affidamento maturato nel segnalante, conseguenza della qualificazione del potere in termini di autotutela e dell’espresso richiamo alle «condizioni di cui all’art. 21 nonies» contenuto nel co. 4, dell’art. 19 l. n. 241/1990.

Senonché, è bene segnalare che la ricostruzione esaminata può valere soltanto per le ipotesi in cui il presupposto per l’esercizio del potere è rappresentato dall’insussistenza dei requisiti e delle condizioni per intraprendere l’attività in base a SCIA. Solo in queste ipotesi, infatti, è coerente qualificare il potere in termini di autotutela, dal momento che l’esercizio del potere è finalizzato a rimuovere gli effetti di un’attività che non poteva essere autorizzata attraverso l’originaria presentazione della SCIA. Evidente è l’analogia con l’annullamento del permesso di costruire: sebbene il permesso sia un provvedimento e la SCIA un atto privato, in entrambi i casi l’esercizio del potere vieta o inibisce un’attività illegittimamente assentita. diversamente, se il presupposto dell’esercizio del potere si rinviene nella difformità dell’attività concretamente intrapresa rispetto a quanto dichiarato nella SCIA, il potere esercitato viene a identificarsi nel generale potere repressivo-sanzionatorio di cui è titolare l’amministrazione e che, ad esempio per la materia edilizia, è disciplinato nell’art. 27 d.P.r. 6.6.2001, n. 38022. In questi casi l’amministrazione non esercita un potere di autotutela ma si limita ad applicare la sanzione prevista per l’ipotesi di specie. Sul piano processuale, la tutela accordata al terzo potrà rivelarsi più efficace considerato che, ferma restando l’irrilevanza dell’affidamento, nel potere repressivo gli spazi di discrezionalità risultano significativamente ridotti.

Note

1 Cfr. Cons. St., parere del 30.3.2016, n. 839; Cons. St., parere del 4.8.2016, n. 1784, nei quali si chiarisce che il termine trova applicazione in tutte le ipotesi di rimozione con effetti ex tunc del provvedimento o del titolo per vizi originari.

2 Da ultimo TAR Lazio, Roma, 20.2.2018, n. 1959.

3 TAR Lazio, Roma, 13.2.2018, n. 1695.

4 Cons. St., 28.3.2018, n. 1956; Cons. St., A.P., 17.10.2017, n. 8; TAR Puglia, Bari, 17.3.2016, n. 351; TAR Lazio, Roma, 21.2.2017, n. 2670.

5 TAR Abruzzo, L’Aquila, 16.4.2018, n. 135.

6 TAR Campania, Napoli, 24.9.2018, n. 5575; TAR Campania, Napoli, 13.4.2018, n. 2468; Cons. St., 13.7.2017, n. 3462; Cons. St., 19.1.2017, n. 250; TAR Campania, Napoli, 24.9.2018, n. 5575.

7 Cons. St., 13.7.2017, n. 3462.

8 Cons. St., 27.6.2018, n. 3940. Cfr. il commento di Sandulli, M.A., Autoannullamento dei provvedimenti ampliativi e falsa rappresentazione dei fatti: è superabile il termine di 18 mesi a prescindere dal giudicato penale?, in L’amministrativista, 2018.

9 Questo passaggio della sentenza sostanzialmente riprende il principio espresso Cons. St., A.P. n. 8/2017, per cui «la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte».

10 In argomento, si veda in particolare Sandulli, M.A., SCIA, in Libro dell’anno del Diritto 2017, Roma, 2017, 195 ss.; Id., La segnalazione certificata di inizio attività, in Sandulli, M.A., a cura di, Principi e regole dell’azione amministrativa, Milano, 2017, 215 ss.; Strazza, G., Focus. La scia e la tutela del terzo, ivi, 266 ss.; Contessa, C., L’autotutela amministrativa all’indomani della legge Madia, in giustiziaamministrativa.it, 2018.

11 TAR Toscana, Firenze, ord., 11.5.2017, n. 667, che ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, co. 6-ter, l. n. 241/1990 nella parte in cui la norma non prevede il termine entro cui il terzo deve sollecitare l’amministrazione a porre in essere le verifiche di competenza.

12 Cons. St., 3.11.2016, n. 4610.

13 TAR Sicilia, Catania, 16.7.2018, n. 1497.

14 Per questa distinzione e le relative implicazioni sia consentito rinviare a Trimarchi, M., L’inesauribilità del potere amministrativo, Napoli, 2018, 277 ss.

15 Trimarchi, M., L’inesauribilità del potere amministrativo, cit., 205 ss. Che i poteri di autotutela non possano considerarsi espressione del principio dell’inesauribilità del potere è stato affermato di recente da Cons. St., A.P. n. 8/2017, cit.

16 In tema di limitazioni al potere di annullamento d’ufficio, merita ricordare anche la previsione di cui all’art. 1, co. 136, l. n. 311/2004, attualmente abrogata.

17 TAR Trentino Alto Adige, 12.10.2016, n. 347; Cons. St., 17.7.2016, n. 3013.

18 Sia consentito rinviare a Trimarchi, M., L’inesauribilità del potere amministrativo, cit., 178-199, per riferimenti bibliografici.

19 Nel caso deciso da Cons. St. n. 3940/2018, cit., il Consiglio di Stato ha ritenuto sufficiente, ai fini dell’art. 21 nonies, co. 3, il fondato sospetto che il provvedimento fosse stato ottenuto sulla base di false rappresentazione, senza neppure richiedere un accertamento puntuale da parte dell’amministrazione in ordine alla falsità. La controversia riguardava l’annullamento di una concessione per la progettazione, realizzazione e gestione di un’opera pubblica, disposto dall’amministrazione oltre il diciottesimo mese in quanto, a seguito di apposite verifiche svolte presso l’istituto di credito che risultava aver asseverato il piano economico e finanziario predisposto dal concessionario, non era stato possibile trovare idonea conferma documentale della sottoscrizione del suddetto piano da parte di un funzionario abilitato. Per l’amministrazione tanto bastava a dimostrare che la concessione era stata conseguita sulla base di una «falsa rappresentazione dei fatti». L’impresa contestava che dalla mera impossibilità di reperire conferma dell’avvenuta asseverazione del piano economico e finanziario presso la sede dell’istituto di credito fosse possibile desumere automaticamente la falsità del piano medesimo. Il Consiglio di Stato ha aderito alla tesi dell’amministrazione.

20 Che si evoca di improba vastità; cfr. con attenzione alla giurisprudenza amministrativa, cfr. Sandulli, M.A., Principi e regole dell’azione amministrativa. Riflessioni sul rapporto tra diritto scritto e realtà giurisprudenziale, in federalismi.it, 2017.

21 Cons. St., A.P. n. 8/2017, cit., su cui, ex multis Tanda, P., L’Adunanza plenaria n. 9/2017 si pronuncia sul ruolo del fattore-tempo nell’esercizio del potere repressivo della p.a. in materia urbanistico-edilizia, in federalismi.it, 2018; Trimarchi, M., Il contrasto all’abusivismo edilizio tra annullamento d’ufficio e ordine di demolizione, in Giorn. dir. amm., 2018, 69 ss.; Posteraro, N., Annullamento d’ufficio e motivazione in re ipsa: osservazioni a primissima lettura dell’Adunanza plenaria n. 8 del 2017, in Riv. giur. ed., 2017, 1106; Bertonazzi, L., Annullamento d’ufficio di titoli edilizi: note a margine della sentenza dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 8/2017, in Dir. proc. amm., 2018, 730 ss. Cfr. altresì Zampetti, E., La motivazione nell’annullamento d’ufficio, in Libro dell’anno del Diritto 2018, Roma, 2018, 169 ss.

22 Su questi aspetti sia consentito rinviare a Zampetti, E., Natura giuridica della d.i.a. (oggi s.c.i.a.) e tutela del terzo, in Riv. giur. ed., 2010, 1600 ss.; in giurisprudenza, si veda in particolare la pronuncia ormai piuttosto risalente di TAR Campania, Napoli, 27.3.2006, n. 3200.

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