Amore

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1991)

Amore

A. Simon

Una delle primigenie, non generate potenze, secondo la Teogonia esiodea, divinità onnipresente e onnipotente dalle molteplici genealogie (figlio di Afrodite e di Ares, di Afrodite e di Hermes, ecc.), il puer alatus della tradizione classica - personificazione divina dell'amore - subì nel corso del Medioevo particolari metamorfosi che dell'amore esprimono il peculiare concetto che ne è alla base. Mentre da un lato la trattatistica allegorico-didattica dei c.d. 'mitografi moraleggianti' (Panofsky, 1939) trasmetteva e sviluppava un'interpretazione fortemente negativa dell'amore mondano, in una progressiva demonizzazione dell'immagine di Eros-Cupido ("daemon fornicationis [...] alatus" scrive Isidoro di Siviglia, Etymologiae, VIII, 9, 80, ripreso poi testualmente da Rabano Mauro, De Universo; PL, III, col. 432), dall'altro nasceva e si sviluppava nell'ambito della società cortese e cavalleresca (a partire dalla fine del sec. 11° nella Linguadoca) una 'concezione erotica della vita', una esaltazione dell'amore, le cui divinità - il dio A. o Dieu Amour; Frau Minne o la Reine Amour (traduzione cortese di Venere-Afrodite) - riflettevano le caratteristiche e gli ideali propri di quella società aristocratica.

All'interpretazione moraleggiante del nudo fanciullo alato della tradizione classica e dei suoi attributi (arco, frecce e torcia), come appare ancora nei rari esempi medievali mutuati direttamente dal repertorio classico (manoscritto del sec. 10°-11° della Psychomachia di Prudenzio conservato a Leida, Bibl. der Rijksuniv., Voss. lat. 8°, 15, c. 10v) è dovuta l'introduzione nella sua iconografia, nel corso del Duecento, di un nuovo attributo che rimase poi costante (perdendo l'originario significato negativo): la cecità. Questa, rappresentata in modo specificamente medievale attraverso una benda ("oculos autem illi fascia tegunt", Boccaccio, Genealogia Deorum, XI, 4), poneva immediatamente A. "sul lato oscuro del mondo morale" (Panofsky, 1939), in compagnia delle altre figure bendate dell'immaginario del Medioevo: la Sinagoga, l'Infedeltà, la Morte, la Notte.

Se in Germania la personificazione di questa forza d'amore 'cieca e accecante' tendeva a identificarsi in una figura femminile nuda e bendata (miniature trecentesche del Der Wälsche Gast, poemetto allegorico didattico del 1215 di Thomasin von Zerklaere, una delle prime opere in cui è affermata la cecità d'A.; Zurigo, coll. privata) e in Francia si confondeva con quella che poi divenne l'immagine trionfante del Dieu Amour e del suo apparato di corte (per es. Parigi, BN, fr. 373, c. 207v; sec. 14°), fu nell'Italia del Trecento che venne portato a compimento il processo di demonizzazione della figura di Eros-Cupido ("L'Amor del Diavol tien semblanza", Federico dell'Amba, 1290 ca.; Panofsky, 1939).

Esso riacquistò qui nello stesso tempo anche il primitivo aspetto di puer alatus, di 'putto' della tradizione ellenistica e pompeiana che, moltiplicandosi in uno stuolo di amorini, invase in funzione puramente decorativa l'arte del Trecento e del Quattrocento (coppia di amorini con fiaccole che si librano in aria sulla coppia seduta in conversazione nel giardino, affresco del Trionfo della Morte nel Camposanto di Pisa, ca. 1330-1340). È in una serie di rappresentazioni italiane del Trecento che la figura di Cupido appare non soltanto bendata ma anche, attributo diabolico per eccellenza, con artigli al posto dei piedi ("pedes autem gryphis illi ideo apponunt", Boccaccio, Genealogia Deorum, XI, 4). Questa immagine unghiata, che appare già nelle miniature dei Documenti d'Amore (Egidi, 1902) di Francesco da Barberino precedenti al 1318 (sia pure, in una interpretazione ribaltata, positiva, di 'amore divino') e fece poi la sua apparizione in piedi su un cavallo negli affreschi del castello di Sabbionara ad Avio (nei pressi di Trento), trovò la sua più compiuta espressione nella figura di Amor nell'allegoria della Castità nella basilica inferiore di S. Francesco ad Assisi, del terzo decennio del Trecento, opera del c.d. Maestro delle Vele: Amor, nudo fanciullo alato, incoronato di rose e bendato, con una filza di cuori che gli pendono dal laccio della faretra e artigli di grifone ai piedi, è scacciato insieme al suo compagno Ardor dalla torre di Castità. Immagine cui si oppone in perfetta antitesi la figura, ugualmente trecentesca, del dio A., (Dieu Amour), riccamente vestito e incoronato, trionfante nel proprio castello, il castello d'A., come appare in una serie di avori francesi del sec. 14°, soprattutto valve di specchi (Koechlin, 1924, nrr. 1082-1091, 1100-1108, 1166, ecc.). La figura del Dieu Amour, la cui devozione è fonte di ogni virtù terrena e che 'colpisce' soltanto i cuori più nobili (dottrina che trova una sua sistemazione teorica nel trattato De arte honeste amandi scritto da Andrea Cappellano agli inizi del sec. 12°), svolge un ruolo molto importante in tutta la letteratura cortese e nell'arte, soprattutto francese, del Trecento. Creazione specifica dell'immaginario cortese, del Cupido classico mantiene soltanto l'aspetto alato e le armi (la torcia, l'arco e le frecce), assumendo per tutto il resto l'aspetto di un "grazioso sire" medievale (Boccaccio, Amorosa Visione, XV, vv. 40-45).

Non più bambino ma adolescente, sontuosamente vestito e sempre incoronato, accompagnato da figure sussidiarie, in trono, in giardino sulla sommità di un albero (secondo un motivo diffuso dal poeta e musico Guillaume de Machaut con il suo Dit dou Vergier; per es. Parigi, BN, fr. 1584, c. 1v), in atto di colpire gli amanti con le sue frecce, il Dieu Amour appare, oltre che nelle miniature cortesi di cui è protagonista, negli arazzi e nei tanti lussuosi oggetti d'uso quotidiano, soprattutto d'avorio (cofanetti, pettini, valve di specchi), superfici privilegiate per lo svolgimento di raffigurazioni a carattere profano.In un cofanetto d'avorio francese del primo quarto del Trecento, conservato al British Mus. di Londra, contenente scene tutte a carattere variamente erotico, è svolto il tema dell'assalto al castello d'A. nella sua forma più classica: collegato a una scena di torneo. Mentre il dio A. dall'alto del suo castello lancia i suoi dardi sugli assalitori, in una difesa quanto mai ambigua, un torneo si svolge sotto le mura; uno dei due combattenti sullo scudo porta tre rose come emblema e rose sono le munizioni usate dalle dame nella loro difesa del castello e dai cavalieri nel loro assedio. Il tema dell'assalto al castello d'A., che fa la sua comparsa per la prima volta nell'arte figurativa del Trecento ed è uno dei preferiti dagli intagliatori d'avorio, non sembra trarre la sua origine dalla letteratura (l'assalto al castello nel Roman de la Rose non è un assalto al castello d'A., essendo infatti il dio stesso tra gli assedianti insieme a Venere) quanto dalla vita reale, da quelle feste, da quei giochi, da quelle rappresentazioni a carattere simbolico (di cui, e con una forte connotazione erotica, facevano parte i tornei stessi) che tanto spazio avevano nella vita del Medioevo. Rolandino da Padova riporta infatti notizia di una rappresentazione su questo argomento che aveva avuto luogo nel 1214 vicino a Treviso (RIS, VIII, 1726, p. 180).

Sempre nel cofanetto del British Mus., tra le altre raffigurazioni, come si è detto tutte a contenuto erotico - le avventure di Lancillotto, di Galvano, di Tristano e Isotta, la leggenda di Aristotele 'cavalcato' dalla cortigiana Fillide -, è svolto il motivo della Fontana di giovinezza, rilettura profana, cortese e amorosa di un'allegoria religiosa: la Fontana di vita. Un gruppo di vecchi si dirige alla volta della fontana che versa le sue acque in un bacino, in cui uomini e donne nudi si bagnano insieme nella promiscuità tipica dei bagni medievali (Art and the Courts, 1972, nr. 83, tav. 109). Vecchi e malati si bagnano in quelle acque miracolose che non purificano dai peccati ma danno la giovinezza, requisito indispensabile alla pratica dell'amore e soprattutto dell'amor cortese. La Vecchiaia è infatti tra le immagini dei Vizi che impediscono l'ingresso al giardino d'A., il paradiso terrestre della religione d'A. (Lewis, 1936), le cui prime rappresentazioni risalgono soltanto al Quattrocento e in cui appare sempre il motivo della fontana, intorno alla quale si radunano gli amanti.

Versione femminile del Dieu Amour, la Reine Amour (o Frau Minne), dama sontuosamente vestita, incoronata e in trono - quale appare negli affreschi della fine del Trecento nel castello di Lichtenberg in Tirolo (Schlosser, 1916) - tende, soprattutto in Germania, a sostituirsi al dio nella personificazione positiva dell'amore mondano, dell'amore cortese cantato dai Minnesänger, in perfetta antitesi alla figura di donna nuda che si è visto, sempre in Germania, essere la rappresentazione privilegiata dell'interpretazione negativa dell'amore, la figura di Cupido cieco. In un cofanetto di legno colorato, prodotto nell'Alto Reno nel secondo quarto del Quattrocento (New York, Metropolitan Mus. of Art, The Cloisters) la si vede mentre, elegantemente vestita di verde, sta per colpire con le sue frecce un giovane che, in una scena successiva, mentre intreccia la sua mano a quella della dea, nell'altra le mostra il proprio cuore trafitto da tre frecce.

Il motivo del cuore (trafitto, donato), simbolo d'amore estremamente semplice e universalmente noto, era molto diffuso: in un avorio francese del Trecento conservato al Louvre (Van Marle, 1931-1932, II, tav. 479) un cavaliere fa offerta del proprio cuore a una dama che glielo trafigge. L'atteggiamento di totale sottomissione dell'innamorato di fronte alla donna amata ricalca le forme di soggezione proprie della cultura medievale: l'adorazione religiosa e il vassallaggio feudale. Spesso il cavaliere è raffigurato in ginocchio di fronte alla dama, divenuta midons ('signore') della lirica cortese, nel tipico gesto di sottomissione feudale (Lewis, 1936).

Nell'iconografia della donna si riflette il diverso concetto che si ha dell'amore: da un lato, la visione negativa dell'amore, come lussuria, che si identifica con la figura di donna nuda quale appare nelle molteplici rappresentazioni delle chiese romaniche (Vézelay, Sainte-Madeleine; Moissac, Saint-Pierre) e che si è già visto essere in Germania la personificazione preferita del Cupido cieco; dall'altro, la Reine Amour, sommo arbitro dei destini dell'uomo, la dama-midons, alla quale sono dovuti tutti i servigi che si devono al signore feudale.

Uno scenario naturale come il giardino, anche se non si tratta del giardino d'A., è l'ambiente più adatto alla rappresentazione della coppia secondo gli ideali dell'amore cortese: gli amanti appaiono seduti accanto, in conversazione, lui con in pugno il falcone, lei con il cagnolino (talvolta sotto i dardi delle divinità amorose, come nella già citata scena del Trionfo della Morte del Camposanto di Pisa), o anche intenti a giocare a scacchi, o a passeggio, in atto di cogliere delle rose, come negli affreschi del castello di Lichtenberg (Schlosser, 1916). La musica spesso accompagna queste scene idilliache nella persona di un musicista che suona accanto alla coppia (il primo esempio, risalente alla seconda metà del Duecento, è in un cofanetto d'avorio renano ora a Monaco; Van Marle, 1931-1932, I, tav. 463). In un avorio conservato a Parigi (Mus. de Cluny) sono però gli stessi innamorati a fare musica suonando due 'chitarre' (Koechlin, 1924, nr. 1170, tav. 195). Talvolta la dama è rappresentata mentre intreccia una corona di fiori per porla sulla testa del cavaliere, il quale a sua volta, per esprimerle il suo amore, le fa una carezza sul volto. L'incoronazione e la carezza sono i gesti di tenerezza cortese più spesso raffigurati, ma è il momento precedente la partenza per la caccia, con gli amanti a cavallo (per es.: valve di specchio, avorio francese oggi a New York, Metropolitan Mus. of Art, The Cloisters), a essere il preferito per la rappresentazione delle manifestazioni d'amore: "e 'l buon Tristano seguiva poi appresso / sopra un cavallo poderoso e isnello. / Isotta bionda allato allato ad esso / venia, la man di lui con la sua presa / e rimirandolo nella faccia spesso" (Boccaccio, Amorosa Visione, XI, vv. 38-42).

Bibliografia

Fonti:

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