AMALFI

Federiciana (2005)

Amalfi

Gerardo Sangermano

Attestata per la prima volta alla fine del VI sec. come castrum e sede vescovile, Amalfi si emancipò da Napoli, costituendosi in ducato autonomo, intorno alla metà del sec. IX, attraverso un processo graduale, che vide dapprima l'istituzione di magistrature annuali e poi l'affermarsi del principio dinastico, destinato a durare, con due diverse dinastie, dall'898 al 1073, quando Amalfi si consegnò a Roberto il Guiscardo, anche se i normanni, per qualche tempo, vi esercitarono un dominio discontinuo. La definitiva annessione al Regno di Sicilia (1131), con l'inserimento nella sua organizzazione amministrativa e feudale, comportò la perdita dell'autonomia politica e l'affermarsi di un esasperato particolarismo municipale (Cuozzo, 1986, pp. 59 ss. e 79). Coinvolto negli episodi di guerra civile seguiti al cambio di dinastia, il territorio del ducato venne assalito dalle truppe di Ottone IV di Brunswick che conquistarono l'abitato di Scala e i luoghi impervi tutt'intorno, da dove presero a minacciare le altre città della costa. Amalfi si diede così a Ottone tra il 1212 e il 1213, quando deve ritenersi via via ripristinato, forse a partire dal mese di gennaio, il potere di Federico II. Il passaggio di Amalfi dal governo normanno a quello svevo avvenne quasi senza sostanziali mutamenti, almeno durante i primi anni del nuovo Regno; permane, ad esempio, con poche eccezioni l'assenza della nozione politica "Ducatus Amalfie" (datata al 958), ormai soltanto una specificazione geografica, oppure riferimento per la burocrazia, come nello Statutumde reparatione castrorum, dove nella suddivisione dei castelli si elencano quelli de ducatu Amalfie Principatu et terra Beneventana, con un preciso e voluto rilievo al paragrafo in ducatu Amalfie, risalente probabilmente all'ordinamento presente nello statuto originario. Non a caso dopo la riforma del 1239 non comparirà mai più questa separazione (Sthamer, 1995, pp. 83 e 86).

Continua anche la differenziazione amministrativa, sia pure intermittente, tra Amalfi e Ravello; infatti, se nel 1200, nel 1206 e nel 1208 troviamo attestato un unico stratigoto de toto ducatus Amalfie, rispettivamente Cataldus f. dom. Cesarii, Joannuzzo Frisaro e Sergius Scrofa, nel 1218 Ravello aveva un suo stratigoto, Ursus f. quondam Leonis de la Parruzzula, mentre nell'ottobre del 1211 Matheus f. Sergi de Comite Maurone era Amalfie stratigotus et stratigotus Rabelli e nel 1216 Leo f. dom. Cioffi f. Leonis Bovis castellanus castelli Ravelli et stratigotus totius ducatus Amalfie. Nel 1222 Iohannes Quatrarii è l'ultimo stratigoto di tutto il ducato; successivamente le Costituzioni melfitane sostituirono gli stratigoti con i baiuli, per cui nel 1249 si ritrova un Rogerius de Ugulotta baiulus Ravelli.

Di poco rilievo anche le novità nell'assetto delle istituzioni ecclesiastiche, senza dimenticare le continue pretese di Federico, contrastate dal Papato, di imporre candidati vicini agli Svevi nelle sedi vescovili vacanti (Fonseca, 1987, pp. 152 e 158 s.). Così ad Amalfi, alla morte dell'arcivescovo Giovanni Capuano (1239), vi fu polemica tra l'imperatore e Gregorio IX, e la sede amalfitana rimase vacante per quindici anni, mentre Federico si impossessava delle sue rendite conferendole a chierici a lui graditi (Chronica omnium Archiepiscoporum, 1941, p. 181).

Neppure la situazione dei commerci e dell'economia risulta molto diversa dall'età normanna, quando i suoi mercanti godevano ancora di una certa reputazione e tuttavia genovesi, pisani, veneziani e gli altri operatori stranieri avevano già acquisito nel Regno un netto predominio. Federico semmai ne aggravò la condizione stabilendo, nella dieta di Messina del 1221, di revocare tutte le concessioni e i privilegi alle Repubbliche marinare, estromettendole così di fatto dagli ambìti porti siciliani. Non modificò questo stato di crisi neppure qualche modesta esenzione sulla dohana delle merci prevista nelle Constitutiones per i mercanti nativi; in concreto Amalfi finì confinata al commercio nel Mediterraneo occidentale, pur se potrebbe forse trattarsi di una diversa scelta degli amalfitani: dall'impegno nei commerci a quello nel servizio pubblico (Abulafia, 1990, pp. 8 e 180, e Id., 1994, p. 171 n. 25). Del resto, nella Ordinatio novorum portuum, del 1235 circa, tra gli undici porti nuovi o rinnovati figura, nel territorio amalfitano, solo quello di Vietri. È anche vero però che Federico, intorno al 1240, dispose la ristrutturazione degli arsenali di Amalfi.

Denso di avvenimenti importanti e negativi è invece per Amalfi il secondo decennio del secolo. Nel 1220 Federico ordinò di redigere gli atti stipulati a Napoli, Sorrento e Amalfi in scrittura comune, più semplice e leggibile, a opera di notai nominati dallo stesso sovrano, ma la prescrizione, pur ripresa nelle Constitutiones, non risultò molto osservata e numerosi, soprattutto in Amalfi, sono i documenti posteriori a tale data in scrittura curiale. Nel 1229 vietava inoltre per i documenti ufficiali l'uso della carta, la cui manifattura costituiva una delle attività più note dell'antico ducato tirrenico.

Nel 1221 l'imperatore sostituì poi i vecchi tarì amalfitani con tarenos novos Amalfie, ma nel settembre dell'anno seguente ordinò anche la chiusura della zecca di Amalfi e fece concentrare la produzione dei denari imperiali nelle zecche di Brindisi e Messina. In realtà già dall'età normanna la zecca di Amalfi aveva un ruolo locale e batteva tarì più scadenti di quelli siciliani e usati solo come moneta divisionale; anzi, quelli di età sveva, fino al 1221, furono coniati quasi esclusivamente per scopi celebrativi e non come moneta di uso effettivo (Travaini, 1996, pp. 340-345).

Per la distribuzione e forse per il conio della nuova moneta aurea, l'augustale, Federico si servì però di amalfitani. Infatti il primo tra i distributores nove monete fu Thomas de Pando civis Scalensis; poiché i di-stributores ricevevano l'ufficio dai maestri zecchieri di Brindisi e Messina, terre dove forte e attiva era da tempo la presenza di scalesi e ravellesi, è possibile che anche i maestri fossero di provenienza amalfitana e di conseguenza avessero naturalmente affidato a parenti o concittadini l'incarico delicato della distribuzione. Del resto nel 1248 Federico ordinò l'emissione di una nuova moneta in argento alla zecca di Brindisi e ne affidò il controllo sulla qualità ed il contenuto metallico a Iacobus de Pando della medesima famiglia, la quale occuperà posti di potere e responsabilità anche durante il regno di Manfredi.

Amalfitani ‒ nel senso però di uomini di tutte le terre del ducato o anche solo originari della costa e residenti altrove ‒ sono presenti in gran numero nell'amministrazione federiciana, nelle alte cariche e in quelle di livello inferiore, mentre negli anni del Regno normanno si erano tenuti piuttosto a distanza da tutti gli uffici; anzi questa presenza ramificata sembra disegnare un diagramma in ascesa costante durante tutta l'età sveva.

Per ricordarne solo qualcuno: dal primo, Ruggero Pironti di famiglia ravellese, nel 1199 Terre Ydrontiregius camerarius, a Sergio Scrofa, tra il 1201 e il 1208 regio giustiziere del ducato di Amalfi e Sorrento, capitaneus galearum Principatus da Policastro a Gaeta, e che infine ebbe in feudo da Federico l'isola di Capri, a Matheus de Romania di Scala, dal 1220 al 1229 primo secreto non di origine araba o siciliana, cui successe ancora, fino al 1232, un suo parente, o forse fratello, Johannes de Romania.

Sarà però dopo la promulgazione delle Costituzioni di Melfi che la loro presenza diverrà massiccia, tanto da far qualificare questo periodo come "l'ora degli amalfitani" (Kamp, 1995, p. 28). Tra i personaggi più importanti sono da ricordare: Angelo Frisaro di Scala, incaricato nel 1231, insieme al ravellese Leo Bovi, di confiscare per la Corona i fundica di Ischia, fu poi portolano del porto di Augusta, nel 1239 portolano della Sicilia orientale e infine ispiratore di una nuova politica in materia di vendita e trasporto del grano in Barberia, per favorire la Corona a svantaggio dei genovesi. Giovanni Pironti, ravellese di Brindisi, magister fundicarius e magister procurator, nonché collaboratore assai vicino ad Andrea Logoteta (v.). Angelo de Marra (v.), ravellese di Barletta, forse il più noto, dal 1232 executor novorum statutorum con lo stesso Logoteta e magister procurator nelle province di Principato, di Terra di Lavoro e del Molise. Infine Angelo de Vito, di Ravello, secreto e magister portulanus nelle province degli Abruzzi, di Terra di Lavoro e di Principato proprio nell'ultimo anno della dominazione sveva.

Dopo il fallimento delle riforme del 1246, altre famiglie amalfitane emigrate crebbero in potenza già dal 1250 e, dal 1251-1252, guidarono di fatto l'amministrazione in Puglia; tra le più influenti i Rogadeo, i Rufolo e i Freccia di Ravello, un membro della quale ultima, Nicolò, fu maestro portulano delle Puglie intorno al 1245, maestro camerario in Abruzzo nel 1250 e poi continuò a ricoprire cariche prestigiose, in Puglia e in altre province, con i successori di Federico e anche con il primo Angioino.

Altra famiglia amalfitana, pur se originaria di Capua, in posizione di rilievo fu quella dei Capuano, la cui fortuna deve però farsi risalire, oltre che alle concessioni del sovrano, al prestigio raggiunto dal cardinale Pietro Capuano, assai vicino a Innocenzo III e a Federico; a lui si deve, tra l'altro, nel 1208 la traslazione del corpo di s. Andrea da Costantinopoli in Amalfi.

La morte di Federico non fece diminuire l'influenza degli amalfitani, che anzi, con la riforma di alcune competenze dei funzionari attuata da Manfredi tra il 1262 e il 1264, si impossessarono di tutta l'amministrazione finanziaria provinciale; una presenza radicata e destinata in vario modo a durare almeno fino alla svolta negativa negli anni immediatamente seguenti alla guerra del Vespro.

fonti e bibliografia

Historia diplomatica Friderici secundi, V, 1 e 2; Acta Imperii inedita, I.

Riccardo di San Germano, Chronica, in R.I.S.2, VII, 2, a cura di C.A. Garufi, 1936-1938, pp. 176 e 181 s.

Registri della Cancelleria Angioina, ricostruiti da R. Filangieri con la collaborazione degli Archivisti napoletani, Napoli 1950-2002.

Per le numerose fonti amalfitane cf. il completo elenco in A.O. Citarella, Il commercio di Amalfi nel Medioevo, Salerno 1977, pp. 185-190 e in U. Schwarz, Amalfi nel Medioevo, Amalfi 20023, pp. 121-138; in partic., per i riferimenti a questa voce, cf. il Codice Diplomatico Amalfitano, la serie Le pergamene degli Archivi vescovili di Amalfi e Ravello e l'edizione della Chronica omnium Archiepiscoporum, in P. Pirri, Il duomo di Amalfi e il Chiostro del Paradiso, Roma 1941.

Una bibliografia amalfitana quasi completa è nelle opere già citate di A.O. Citarella, pp. 191-207, e U. Schwarz; in partic. per i riferimenti a questa voce, cf. le opere di F. Pansa, Istoria dell'antica Repubblica di Amalfi, I-II, Napoli 1734 (riprod. anast. Bologna 1965); M. Camera, Memorie storico-diplomatiche dell'antica città e Ducato di Amalfi, I-II, Salerno 1876-1881 (riprod. anast. Amalfi 1999); U. Schwarz, Amalfi im Frühen Mittelalter (9.-11. Jahrhundert). Untersuchungen zur Amalfitaner Überlieferung, Tübingen 1978; W. Maleczek, Petrus Capuanus. Kardinal, Legat am Vierten Kreuzzug, Theologe († 1214), Wien 1988 (trad. it. riveduta e aggiornata dall'Autore, Amalfi 1997).

V. inoltre: E. Sthamer, Der Sturz der Familien Rufolo und della Marra nach der sizilischen Vesper, "Abhandlungen der Preussischen Akademie der Wissenschaften, Phil.-Hist. Klasse", 3, 1937; G. Sangermano, Caratteri e momenti di Amalfi medievale e del suo territorio, Salerno-Roma 1981, pp. 86-95 e 97-121; A. Leone, La politica filoangioina degli Amalfitani, "Rassegna del Centro di Cultura e Storia Amalfitana", 3, 1983, nr. 5, pp. 107-116; E. Cuozzo, La fine del ducato indipendente e la ristrutturazione del suo territorio nel Regno di Sicilia, in Istituzioni civili e organizzazione ecclesiastica nello stato medievale amalfitano. Atti del Congresso internazionale (Amalfi, 3-5 luglio 1981), Amalfi 1986, pp. 53-79; C.D. Fonseca, Le istituzioni ecclesiastiche del basso Medioevo nell'Italia meridionale, in Particolarismo istituzionale e organizzazione ecclesiastica del Mezzogiorno medievale, Galatina 1987, pp. 147-170; D. Abulafia, Federico II un imperatore medievale, Torino 1990; Id., Lo Stato e la vita economica, in Federico II e il mondo mediterraneo, a cura di P. Toubert-A. Paravicini Bagliani, Palermo 1994, pp. 165-187; J.-M. Martin, Le città demaniali, ibid., pp. 179-195; N. Kamp, Gli Amalfitani al servizio della monarchia nel periodo svevo del Regno di Sicilia, in Documenti e realtà nel Mezzogiorno italiano in età medievale e moderna. Atti delle giornate di studio in memoria di Jole Mazzoleni (Amalfi, 10-12 dicembre 1993), Amalfi 1995, pp. 9-37; E. Sthamer, L'amministrazione dei castelli nel Regno di Sicilia sotto Federico II e Carlo I d'Angiò, a cura di H. Houben, Bari 1995; G. Gargano, Amalfi e Federico II. Il contributo della città marinara al Regnum Siciliae (1194-1250), "Rassegna del Centro di Cultura e Storia Amalfitana", n. ser., 4, 1996, nrr. 11-12, pp. 105-147; N. Kamp, Ascesa, funzione e fortuna dei funzionari scalesi nel regno meridionale del sec. XIII, in Scala nel Medioevo. Atti del Convegno di studi (Scala, 27-28 ottobre 1995), Amalfi 1996, pp. 33-59; L. Travaini, Federico II mutator monetae: continuità e innovazione nella politica monetaria (1220-1250), in Friedrich II., a cura di A. Esch-N. Kamp, Tübingen 1996, pp. 339-362.

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