DUDAN, Alessandro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 41 (1992)

DUDAN, Alessandro

Albertina Vittoria

Nato a Verlicca (Spalato) il 29 genn. 1883 da Antonio e Caterina Gazzari, in una famiglia di origine patrizia, iniziò giovanissimo ad impegnarsi nell'azione politica per l'italianità della Dalmazia. Trasferitosi a Vienna per gli studi universitari (si laureò in giurisprudenza), prese parte attiva alla lotta per la creazione dell'università italiana a Trieste, divenendo presidente del Circolo accademico degli studenti italiani delle cinque province irredente. Al tempo stesso, pur essendo controllato dalla polizia austriaca, continuò il lavoro giornalistico (aveva iniziato tale esperienza nel Dalmata di Zara), divenendo corrispondente tra il 1907 e il 1915 della Tribuna di Roma e di altri giornali, come La Stampa di Torino, L'Italia all'estero di Roma, L'Adriatico di Venezia (l'ottività giornalistica sarebbe proseguita anche dopo la guerra, nella redazione de Il Messaggero tra il 1918 e il 1919, e con la collaborazione a Rassegna contemporanea, Politica, Il Popolo d'Italia). I suoi articoli vertevano, oltre che sulle agitazioni studentesche e sul problema dell'università italiana, sull'Austria e sulla sua politica, sui paesi soggetti all'Impero e, naturalmente, sulla Dalmazia.

Intanto, tra il 1903 e il 1904, aveva iniziato a compiere ricerche storiche presso gli archivi e le biblioteche viennesi, indagando le vicende del Risorgimento italiano e approfondendo, anche attraverso i corsi universitari, la storia dell'Impero austro-ungarico. Spinto in questa direzione di studi anche dalla sua attività politica, attraverso la quale percepiva, come scrisse, quanto la mancanza di conoscenze della storia e delle condizioni presenti dell'Impero nuocessero all'azione stessa degli Italiani ad esso soggetti, il D. scrisse un'ampia monografia su La monarchia degli Absburgo. Origini, grandezza e decadenza (Roma 1915), in due volumi dalle origini al 1915. Scopo di questo lavoro - che volgeva "speciale riguardo alle province italiane", come avvertiva il sottotitolo - era quello di fornire cognizioni utili affinché la parte del popolo italiano che viveva oltre i confini "potesse trovare nell'eloquenza dei fatti storici insegnamenti buoni alla difesa legittima dei propri diritti nazionali e civili e affinché la parte degli italiani del Regno non intralciasse con un'opera disordinata, spesso contraddittoria, non corrispondente ai fini, ma al contrario coordinando l'azione propria alle necessità del tempo e delle condizioni di ambiente e di luoghi favorisse potentemente questa doverosa difesa del patrimonio nazionale italiano" (ibid., p. IX).

Un altro ampio studio, iniziato anch'esso in questo periodo, il D. lo dedicò alla Dalmazia nell'arte italiana. Edito da Treves (Milano) in due volumi nel 1921-22, rappresentava il "coronamento di un'opera indefessa, continua di rivendicazione", proponendosi l'intento, in risposta alle "mistificazioni" iugoslave "opposte al nostro buon diritto, alla gloria della civiltà italiana" (p. XIV), di dimostrare che l'arte dei dalmati era sempre stata "arte italiana purissima" (p. 6).

Stabilitosi a Roma poco prima dello scoppio della guerra, il D. si impegnò nella campagna interventista e nella battaglia per la Dalmazia italiana, attraverso un'intensa attività pubblicistica e di conferenze in Italia e in vari paesi d'Europa, attività che avrebbe proseguito nel periodo bellico e postbellico. Per motivi geografici, trovandosi "entro quella corona delle Alpi, che sono il confine naturale d'Italia" (Dalmazia e l'Italia, Milano 1915, p. 5), per "diritti storici e nazionali" e per "interessi economici e strategici di difesa nazionale" (ibid., p. 17), la Dalmazia - scriveva - doveva essere riunita all'Italia.

Arruolatosi volontario, partecipò alla guerra come sottotenente e poi come tenente di cavalleria. Condannato in contumacia dall'Austria per alto tradimento, fu congedato nel 1917, essendo divenuto vicepresidente dell'associazione Pro Dalmazia italiana, che era nata nel 1914 sotto la presidenza di G. A. Colonna di Cesarò, con T. Sillani come segretario.

In un Promemoria sulla Dalmazia, inviato il 10 genn. 1916 a S. Barzilai e fatto pervenire anche a S. Sonnino, il D. - che in una lettera allo stesso Sonnino, in cui confermava essere l'autore del Promemoria, ribadiva come il Comitato centrale della Dalmazia italiana avesse "sempre ed energicamente affermato i diritti d'Italia su tutta la Dalmazia, fino a Spizza" (Roma, Arch. centr. dello Stato, S. Sonnino, b. 1, fasc. 3, 7 genn. 1916) - riassumeva le intransigenti posizioni degli irredentisti dalmati in merito ai territori da riunificare all'Italia, mentre anche in Francia e in Inghilterra si andava rafforzando la propaganda filoslava. La prima motivazione era di ordine strategico, poiché l'Italia avrebbe potuto avere il "predominio nell'Adriatico" "unicamente possedendo tutta la Dalmazia", quindi oltre Sebenico, fino a Spalato; la seconda di ordine "nazionale-religioso", sostenendo il D. che il sentimento caratterizzante i contadini slavi - che "non sono serbi e odiano il serbo" - era quello "provinciale dalmata"; mentre nel ceto dirigente il numero degli "italiofili" era "per lo meno pari a quello dei serbofili"; la terza era di ordine economico, poiché separare gli eventuali possedimenti dalmatici da Spalato sarebbe stato un "controsenso"; la quarta di ordine storico, non essendo mai stata la Dalmazia "lungamente divisa" e non essendoci mai stato uno Stato serbo o iugoslavo che avesse avuto "vero dominio nelle città della Dalinazia"; anche per quanto riguardava Ragusa e Cattaro, infine, il D. sosteneva che dovevano essere riunite all'Italia, non avendo esse conosciuto "altro incivilimento che l'italiano" (Archivio centr. dello Stato, S. Barzilai, b. 1, f. 1, sottof. 46 R).

La linea politica espressa dal D. in merito alla Dalmazia fu fatta propria anche dalla massoneria, che l'11 nov. 1916 pubblicò sul proprio organo, Idea democratica, l'articolo La Dalmazia, Fiume e le altre terre irredente dell'Adriatico, firmato dal D. con lo pseudonimo "Italicus Senator" (cfr. G. Bandini, La Massoneria per la guerra nazionale (1914-1915), Roma 1924, p. 108), successivamente stampato come opuscolo e distribuito alle logge con la circolare del Grande Oriente del 18 novembre: il corsivo introduttivo ribadiva infatti che dalla guerra l'Italia avrebbe dovuto trarre rivendicazione di "tutte le terre che entro la cerchia delle Alpi e sulle coste adriatiche sono geograficamente e storicamente italiane", quindi anche Fiume e la Dalmazia (p. 9 dell'estr., in Arch. centr. dello Stato, Min. Int., Dir. gen. P. S., 1918, b. 66, cat. K3, Massoneria). Qui il D. - che era appartenuto alla massoneria della sua terra natale - ribadendo i motivi geografici, storici, economici, per i quali Fiume e la Dalmazia dovevano appartenere all'Italia, sottolineava come per l'Italia non si trattasse semplicemente di difendersi da una "minaccia" che sarebbe potuta venire dall'Adriatico orientale, ma più in generale di poter avere "la piena assoluta libertà" nel proprio mare (ibid., p. 40).

Negli anni della guerra il D. (che si era sposato con Carla Marega), partecipò attivamente alla vita dei più importanti organismi irredentistici: fu membro (con R. Ghiglianovich, A. Tamaro, G. Pitacco) della direzione del Comitato centrale di propaganda per l'Adriatico italiano, presieduto dal Colonna di Cesarò, sorto nel 1916 per fronteggiare le posizioni filoslave e corrispondere con gli irredentisti residenti in Francia e in Inghilterra; divenne segretario dell'Associazione Italia irredenta, presieduta da A. Rosa, che ebbe sede a Parigi, dove fu fondata dal D. e da A. Tamaro nel luglio 1916 e dove il D. si recò tra la primavera di quell'anno e il successivo per svolgervi attività propagandistica; fece parte della direzione della sezione adriatica (della quale erano presidente G. Pitacco, vicepresidente C. Banelli, segretario R. Ghiglianovich) dell'Associazione politica fra gli irredenti italiani, l'organismo che univa gli irredentisti adriatici e quelli trentini e che era nato nel febbraio 1918 in contrapposizione all'organizzazione degli irredentisti democratici (Democrazia sociale irredenta). Fu inoltre collaboratore di vari organismi patriottici e irredentisti, dalla Società nazionale Dante Alighieri al Comitato per l'annessione di Fiume e della Dalmazia, alla Deputazione veneta di storia patria.

Le posizioni oltranziste di tali organizzazioni e dei sostenitori dell'italianità della Dalmazia furono ampiamente criticate dagli intellettuali democratici, che vennero bollati dai nazionalisti come "rinunciatari". Nel suo libro dedicato alla Questione dell'Adriatico, scritto con G. Maranelli (Firenze 1918), G. Salvemini, smontando le tesi dei diritti italiani sulla Dalmazia e propugnando un'azione non di conquista ma di tutela politica e di pacifica influenza econornica, contestava tra l'altro le tesi del D. sull'origine dei Dalmati e definiva le cifre relative al numero di italúftii e di slavi in Dalmazia "grossolane mistificazioni": soprattutto sosteneva che l'irredentismo dalmata si era manifestato "come movimento notevole" solo dopo lo scoppio della guerra. Al Salvemini il D. rispose non solo attraverso un articolo apparso sulla Nazione (19 marzo 1918), ma anche con la violenza, impedendo, sempre nel marzo 1918, lo svolgersi di una sua conferenza a Roma (con "sante ingiurie", come le definì un altro dei polemici interlocutori di Salvemini. A. Tamaro, in La Rassegna italiana, 15 maggio 1918). Precedentemente, sull'Unità, Salvemini aveva apostrofato la missione propagandistica in Francia e in Inghilterra del D., Tamaro, e A. Cippico - "uno sciame di fanatici dissennati" (19 luglio 1917) - come controproducente per l'Italia, poiché era servita solo a "discreditare" le nostre rivendicazioni nazionali (13 apr. 1917).

Con il volgere alla fine del conflitto mondiale e con il configurarsi della nascita di uno Stato iugoslavo, gli irredentisti dalmati intensificarono la loro opera propagandistica. Questa divenne vera e propria protesta soprattutto all'indomani dei 14 punti del presidente W. Wilson (8 genn. 1918) e quando fu reso noto il patto di Londra del 1915, che in merito alla Dalmazia assegnava all'Italia solo il tratto tra Zara e Sebenico. Proclamando "la volontà della restituzione della loro terra all'Italia", il 16 febbr. 1918 i Dalmati residenti a Roma elaborarono in una riunione dell'Unione economica nazionale per le terre irredente un loro Manifesto (firmato, oltre che dallo stesso D., da S. Bianchi, R. Bonavia, G. B. Cadorna, G. Costa, S. Delich, A. De Defffico, V. Fasolo, F. e R. Ferruzzi, R. Ghiglianovich, R. Tommaseo), in cui tra l'altro si affermava che la "restituzione della Dalmazia all'Italia, richiesta da imprescindibili ragioni di sicurezza nel suo mare..., è soprattutto una necessità storico-nazionale, un diritto che l'Italia deve affermare e sostenere strenuamente. Rinunziandovi - proseguiva il Manifesto - l'Italia verrebbe meno alla sua missione nazionale; abbandonerebbe una cosi nobile parte di sé al sacrificio estremo; vedrebbe sparire dalla sponda orientale adriatica le sue tradizioni, la sua lingua, la sua civiltà" (in A. D'Alia, La Dalmazia nella storia e nella politica nella guerra e nella pace, Roma 1928, pp. 164 s.).

Il D., che aveva appoggiato e sostenuto l'impresa dannunziana di Fiume, portò avanti le proteste dei Dalmati anche in Parlamento, dove fu eletto deputato per il Blocco nazionale (primo dei non eletti nelle elezioni del 1921, era subentrato nel 1922 a G. Bottai, la cui elezione non fu convalidata per non raggiunti limiti di età); come rappresentante della "Dalmazia tradita", nel suo primo discorso il 14 giugno 1922, si fece portatore della "protesta più ferma e più decisa contro lo scempio fatto a Rapallo della Dalmazia" (contro il quale aveva anche firmato un altro documento dei Dalmati romani); in occasione della ratifica degli accordi di Santa Margherita Ligure nel febbraio 1923, per due giorni bloccò la commissione esteri con i suoi discorsi e denunciò alla Camera il suo voto contrario "in segno di protesta", poiché con il trattato si compivano "le violazioni dei diritti degli italiani in Dalmazia".

Iscrittosi ai Fasci nel 1919, tra i fondatori del fascio di Roma, il D. - in qualità di rappresentante di Zara e della Dalmazia - nel novembre 1921, al congresso dell'Augusteo di Roma, entrò a far parte della commissione esecutiva del Partito nazionale fascista (PNF) poi divenuta direzione; quando questa nel gennaio 1923 si scisse in due segretariati fece parte, con G. Marinelli, di quello amministrativo fino al marzo 1923. Tra il gennaio e il marzo 1923 fu membro del Gran Consiglio.

Anche in queste istanze il D. si fece portatore degli "interessi" della Dalmazia e di quelli dell'italia nell'Adriatico, a cominciare dal congresso dei fasci svoltosi a Napoli il 25-26 ott. 1922, dove svolse una relazione in merito. In prima fila nella marcia su Roma (per la quale ottenne la medaglia d'oro), il D. fece successivamente parte, nel 1923, della commissione mista per discutere i rapporti tra PNF e Associazione nazionalista italiana e della fusione tra i due partiti; tra il gennaio e il marzo 1923 partecipò inoltre all'attività dei gruppi di competenza, entrando in quello per la pubblica amministrazione, che elaborò la riforma della burocrazia. Fu tra quanti diedero la loro adesione al convegno per la cultura fasctsta, svoltosi a Bologna nel marzo 1925. Membro della massoneria di palazzo Giustiniani, il D. partecipò alla seduta del Gran Consiglio del febbraio 1923, che sancì l'incompatibilità tra appartenenza al PNF e alla massoneria: con G. Acerbo, I. Balbo, C. Rossi - della massoneria di piazza del Gesù - si astenne dal voto, venendo per questo motivo e per il fatto di essere rimasto fascista, espulso dalla massoneria l'anno successivo, come comunicava la Rivista massonica l'8 marzo 1924 (un articolo dell'Osservatore romano del 17 apr. 1931 lo citava tuttavia tra quanti avevano svolto "un'intensa attività massonica", annoverandolo tra gli organizzatori della loggia di Spalato).Rieletto deputato nella XXVII e XXVIII legislatura, per la circoscrizione della Venezia Giulia, il D. ricoprì le cariche di segretario di vigilanza sulla Biblioteca della Camera e sul fondo per l'emigrazione, di commissario della giunta generale del Bilancio, di segretario dell'ufficio di presidenza e di questore (carica questa che, secondo un rapporto della polizia politica del 1935, il D. aveva ottenuto al posto di un altro candidato grazie alla sua amicizia con l'allora presidente della Camera G. Giuriati). Fu relatore di vari disegni di legge, specialmente attinenti alle province adriatiche. Presidente dell'Istituto poligrafico dello Stato dal 1929, il 10 marzo 1934 fu nominato senatore.

Nel 1941 il D., convinto fautore dell'occupazione italiana della Dalmazia avvenuta nella primavera di quell'anno, divenne direttore del Centro di informazioni di assistenza morale per i profughi dalmati, presso la Dante Alighieri.

Dopo il 4 giugno 1944 fu internato dagli alleati, quale elemento "pericoloso", nel campo di Padula, dove trascorse vari mesi di prigionia.

Ritiratosi in seguito a vita privata, dedicò la sua ultima attività all'Associazione nazionale dalmata. Morì a Roma il 31 marzo 1957.

Opere: un elenco degli articoli e delle conferenze del D. è in appendice ai suoi volumi La monarchia degli Absburgo. Origini, grandezza e decadenza. Con documenti inediti, vol. I, 800-1849. Storia politica, costituzionale e amministrativa cqn speciale riguardo alle province italiane, Roma 1915 (il II vol. è dedicato al periodo 1849-1915); La Dalmazia nell'arte italiana. Venti secoli di civiltà, vol. II, Dal 1450 ai nostrigiorni, Milano 1922, pp. 480 s. (il I vol., Milano 1921, ha come sottotitolo Dalla preistoriaall'anno 1450). Tra i suoi opuscoli si ricordano: La politica antitaliana in Austria-Ungheria, Roma 1914; L'Italia, la guerra e la Dalmazia, in Italia avanti!, numero unico per il 20 sett. 1914; La Dalmazia d'oggi, in La Dalmazia. Sua italianità; suo valore per la libertà d'Italianell'Adriatico, Genova 1915; Dalmazia e l'Italia, Milano 1915; Il problema dell'Adriatico, Roma 1918 (estratto da La Vita italiana); LaDalmazia è terra d'Italia, estratto da Le Viedel mare e dell'aria, II (1919), fasc. 7; L'Istria, Fiume e la Dalmazia nella soluzione Tardieu, Roma 1919 (estratto da Il Popolo d'Italia, 5 giugno 1919).

Fonti e Bibl.: A Roma, nell'Arch. centrale dello Stato, molti riferimenti al D. nei fondi Presidenza del Consiglio dei ministri e Segreteria particolaredel duce. Carteggio ordinario. Oltre ai citati fasc. dei fondi Sonnino e Barzilai, fascicoli personali: Ibid., Direzione generale P. S. Divisione polizia politica, b. 456; Ministero degli Interni, P. S., cat. A1, 1928, b. 12. Necrologi e commemorazioni di N. De Totto e R. Cantalupo, in Atti parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni, II legisl., 2 apr. 1957, pp. 31882 s., e di L. Ferretti, in Attiparlamentari, Senato della Repubblica, Discussioni, II legisl., 2 apr. 1957, pp. 21300 s.; in La Rivistadalmatica, s. 4, XXVIII (1957), 2, pp. 3-5; in Difesa adriatica, 6-12 apr. 1957; in La Rivista dalmatica, s. 4, XXIX (1958), 4, pp. 3-34; T. Rovito, Letterati e giornalisti italiani contemporanei, Napoli 1922, p. 149; A. D'Alia, La Dalmazia nella storia e nella politica nella guerra e nella pace, cit., adIndicem; G. A. Chiurco, Storia della rivoluzionefascista, Firenze 1929, III, Anno 1921, pp. 207, 583, 598, 600, 612 s., 631, 647; IV, Anno 1922, pt. 1, pp. 26, 41, 94, 110, 117, 164, 257, 263, 386, 466, 481 s.; pt. 2, pp. 7, 188, 213, 371, 385, 445; M. Rygier, La Franc-Maçonnerie italienne devantla guerre et devant le fascisme, Paris 1930, pp. 60, 180 s., 359; E. Savino, La nazione operante, Novara 1937, p. 298; PNF, Il Gran Consiglio nei primiquindici anni dell'era fascista, Bologna 1938, pp. 45, 49, 63, 69 s., 79, 104, 134; Opera omnia di Benito Mussolini, a cura di D. Susmel -E. Susmel, Firenze 1956, XIX, ad Indicem; A. Tamaro, Ricordi ed appunti di una missione infelice, estratto da La Rivista dalmatica, n. s., III (1956), 2, pp. 3-18; G. Salvemini, Dalla guerra mondiale alla dittatura (1916-1925), a cura di E. Pischedda, Milano 1964 (Opere, III, Scritti di politica estera, vol. II), adIndicem; A. Tasca, Nascita e avvento del fascismo …, con presentaz. di R. De Felice, Roma-Bari 1965, ad Indicem; R. De Felice, Mussolini il fascista, I, La conquista del potere 1921-1925, Torino 1966, ad Indicem; R. Monteleone, La politica deifuorusciti irredenti nella Guerra Mondiale, Udine 1972, ad Indicem; F. Cordova, Le origini dei sindacati fascisti 1918-1926, Roma-Bari 1974, p. 215; A. A. Mola, Storia della massoneria italiana dall'Unità alla Repubblica, Milano 1976, ad Indicem; G. Padulo, Contributo alla storia della massoneriada Giolitti a Mussolini, in Annali dell'Istituto italiano per gli studi storici, VIII (1983-84), pp. 219-347, 336 s.

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