DE BOSDARI, Alessandro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 33 (1987)

DE BOSDARI, Alessandro

Vincenzo Clemente

Nacque a Bologna il 10 maggio 1867 da Gerolamo e da Eleonora Ajucchi Legnani, rappresentante di una famiglia di origine albanese alla quale erano stati riconosciuti i titoli di nobiltà di Ragusa e di Ancona ed il titolo comitale del S. R. Impero. Laureato in giurisprudenza nell'università di Bologna il 21 giugno 1888, il 15 febbr. 1891 fu nominato volontario per gli impieghi di prima categoria al ministero degli Affari Esteri in seguito ad esame di concorso.

Destinato a Berna in qualità di addetto di legazione (21 genn. 1892), fu poi trasferito ad Atene (20 genn. 1893) ed a Londra (22 febbr. 1895); segretario di legazione di seconda classe dal 22 apr. 1897. venne destinato a Berlino dal 3 apr. 1898. Fu segretario particolare del ministro degli Esteri E. Visconti Venosta nel 1899, quindi trasferito a Madrid 01 marzo 1900) ed all'Aia (17 ag. 1901): qui resse la legazione dal 22 gennaio al 1° marzo 1902. Segretario di legazione di prima classe dal 28 giugno 1903, fu agente del governo presso la Corte arbitrale dell'Aia nel contenzioso per i reclami contro il Venezuela. Trasferito a Madrid il 4 marzo 1904, quindi a Londra il 7 dic. 1905, si trovò a reggere questa ambasciata dal 24 maggio all'11 sett. 1906 e poi ancora nel 1908 e nel 1909 in assenza dell'ambasciatore marchese Antonino di San Giuliano.

Cavaliere (18 giugno 1899), ufficiale (17 genn. 1904), commendatore (10 nov. 1910) e quindi grand'ufficiale della Corona d'Italia (27 maggio 1917), fu creato cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro (24 maggio 1906), quindi ufficiale (3 giugno 1903) e commendatore (4 genn. 1914) di quest'Ordine. Venne nominato consigliere di legazione di seconda classe (5 maggio 1907), e di prima classe (19 giugno 1908).

Nel volume Delle guerre balcaniche, della grande guerra e di alcuni fatti precedenti ad esse (appunti diplomatici), Milano 1928 (seconda ed. nel 1931), raccolse memorie della propria attività dal 1908 al 1918, incentrando l'attenzione sulla crisi nello scacchiere danubiano-balcanico, della quale era stato testimone e partecipe prima da Budapest, poi da Sofia - nel periodo della impresa libica e delle guerre balcaniche -, quindi in Atene dal febbraio 1913 al maggio 1918; infine come rappresentante del nostro ministero degli Esteri nella commissione per i prigionieri di guerra.

I primi allarmanti sintomi di crisi del concerto delle sei grandi potenze e di immediata minaccia della pace europea sarebbero stati dal D. sperimentati a Londra dal 1908 in occasione dell'annunciato progetto ferroviario Uvac-Mitrovica, che Vienna aveva contrattato con Costantinopoli al di fuori del concerto europeo e che avrebbe costituito un collegamento diretto tra Germania ed Impero ottomano attraversando il sangiaccato di Novi Bazar, nella direzione della città greca di Salonicco.

Registrava al tempo stesso certa grave mancanza di un organico disegno e di consequenzialità nella politica britannica di sir Edward Grey, che avrebbe in seguito assai nuociuto alla condotta della guerra, specie nei Balcani, dove la politica francese eserciterà continue prevaricazioni ai danni della neutralità greca. L'anno seguente (1909), riprendendo la direzione dell'ambasciata di Londra, si era trovato a dover fare fronte alla nuova crisi provocata dall'improvvisa annessione austriaca della Bosnia Erzegovina e all'accresciuta tensione austro-serba che ne conseguiva. La politica britannica - scriveva il D. - oscillava in questa fase fra l'affermazione di principio secondo cui ogni violazione del trattato di Berlino (dell'art. 29 in specie) dovesse essere emendata solennemente e con adeguati compensi alle parti sia pure indirettamente lese, e l'esigenza concreta di conservare a ogni costo la pace (cfr. Delle guerre balcaniche…, p. 18).

Trasferito a Budapest con patente di console generale (24 maggio 1909), operò nella capitale ungherese fino all'autunno 1910.

Vi rilevava fra l'altro l'attività dei console generale francese L.-G. de Fontenay, che, guidato dall'idea fissa della penetrazione germanica in Ungheria, vi contrapponeva una propaganda francese attraverso la Revue de Hongrie da lui fondata. Nonostante le tensioni interne al sistema dualista dell'Impero asburgico e le rimostranze ungheresi, il D. era convinto che l'interesse ad assicurare il predominio di Tedeschi e Magiari sulle nazionalità slave e sulle etnie minori dell'Impero legava indissolubilmente le due nazionalità egemoni. Distingueva tuttavia il proprio atteggiamento da quello decisamente austrofilo dell'ambasciatore italiano a Vienna G. Avarna duca di Gualtieri, che in questo periodo egli aveva frequente occasione di ncontrare a Vienna.

Il D. riteneva allora che la monarchia asburgica, sia pure modificata, dovesse mantenersi, e che su di essa e sulla Bulgaria la nostra politica balcanica dovesse fondarsi. Il ministro degli Esteri Aehrenthal lo insigniva nel 1910 dei gran cordone dell'Ordine di Francesco Giuseppe in segno di riconoscenza "per avere compreso esattamente la natura dei rapporti che dovevano esistere fra l'Italia e la monarchia austro-ungarica".

Trasferito a Sofia con credenziali di inviato straordinario e ministro plenipotenziario (20 maggio 1910), trovava la politica bulgara dominata dalla personalità del re Ferdinando.

Dietro le ambiguità dell'atteggiamento di questo, sempre molto attento a dissimulare la direttiva della propria politica estera, in specie nei confronti della Russia, il D. non aveva tardato a scoprire una completa adesione all'Austria-Ungheria, fondata su un trattato segreto del 1898. Riteneva che a tale politica l'Italia non dovesse opporsi, ma anzi procurare di congiungersi per creare un blocco austro-italiano attorno alla Bulgaria, la cui egemonia nei Balcani riteneva la meno pericolosa per l'Italia. Tali idee, trasmesse confidenzialmente al San Giuliano, trovarono l'ambasciatore a Vienna G. Avarna fortemente critico in quanto, dando credito a notizie a suo avviso poco fondate e tendenziose, ipotizzavano una politica separata dell'Austria-Ungherià in Bulgaria suscettibile d'intorbidare i rapporti italo-austriaci. L'interesse della questione si sarebbe reso in seguito evidente in occasione dei disgraziati tentativi per ottenere l'allineamento della Bulgaria nell'Intesa.

Il D. non prestava invece credito alle notizie, che pure gli pervenivano con anticipo e da parti diverse, circa le convenzioni stipulate fra gli Stati balcanici tra febbraio e settembre 1912, preludenti alla guerra della costituita lega balcanica contro la Turchia.

La lega si avvantaggiava della crisi prodotta dall'aggressione italiana all'Impero ottomano nella propaggine libica. Ma la diplomazia italiana era in questo momento ispirata a un rigoroso contenimento della crisi libica e quindi contraria a un coinvolgimento balcanico suscettibile di precipitare una crisi generale. La pace di Losanna poneva dunque fine alla guerra italo-turca nei primissimi giorni di guerra nei Balcani.

Per suo conto, il D. aveva ritenuto opportuno avvalersi della buona conoscenza stabilita a Sofia con Assim Bey, ora ministro degli Esteri turco, per tentare nella prima metà del 1912 una mediazione che concludesse il conflitto libico. Ne otteneva dal ministro turco interessanti offerte che comunicava personalmente al San Giuliano ed a Giolitti nel giugno 1912. Ma Giolitti non intese servirsi del suo tramite.

Trasferito ad Atene con medesime credenziali di plenipotenziario, vi giungeva il 26 febbr. 1913.

Le relazioni con l'Italia erano allora fortemente pregiudicate dall'occupazione italiana delle isole del Dodecanneso; ed ancor più a causa dei territori del Nord Epiro rivendicati dalla Grecia nei confronti dell'Albania: rivendicazione questa cui l'Italia si opponeva in vista di ipoteche italiane sul territorio albanese. Le tensioni italo-greche erano accompagnate da una violenta campagna di stampa e boicottaggio greco delle merci italiane. La posizione italiana era di assoluto isolamento, tanto più che la Germania manovrava segretamente per attrarre la Grecia nella Triplice Alleanza.

Nei mesi immediatamente successivi al suo arrivo, il D. partecipava alla attività di mediazione collettiva delle sei grandi potenze per la pace tra Grecia e Turchia. Seguiva al tempo stesso il deteriorarsi dei rapporti serbo-greco-bulgari, in specie per la divisione dei territori di Tracia e Macedonia: contrasti che avrebbero provocato la seconda guerra balcanica. Al primo ministro Venizelos, venuto a salutarlo in partenza per la conferenza della pace di Bucarest (fine luglio 1913), il D. comunicava la direttiva ufficiale italiana favorevole ad un equilibrio balcanico, esclusa ogni idea di egemonia.

Lo scoppio della grande guerra nei Balcani dava in un primo momento nuovo impulso al movimento di liberazione epirota e ad una occupazione greca dell'Epiro settentrionale, sia pure indicata come provvisoria e dettata da motivi puramente militari. All'inizio di gennaio del 1915 Venizelos proponeva, in caso di dissolvimento dell'Albania, una spartizione con l'Italia ed acquisizioni ancora più ampie per la Grecia, cui Sonnino non intese consentire. A frenare l'occupazione di territori albanesi provvedevano in questo periodo i rappresentanti dell'Intesa, interessati a determinare l'atteggiamento italiano nella guerra, con una perentoria dichiarazione diretta a Grecia, Serbia e Montenegro a termine della quale il territorio albanese sarebbe stato ulteriormente delimitato alla fine della guerra d'accordo con l'Italia.

Una prima fase della politica dell'Intesa ad Atene dopo lo scoppio della grande guerra fu determinata dal tentativo di attrarre la Bulgaria promettendole l'assegnazione del territorio di Cavalla da togliersi alla Grecia, che sarebbe stata indennizzata con territori turchi in Asia Minore. Contro tale politica di manomissione del proprio territorio la Grecia protestò violentemente in una nota del 13 ag. 1915. Il D., che aveva ritenuto vano il tentativo dell'Intesa, basato sul presupposto del fermo allineamento bulgaro a fianco degl'Imperi centrali, intuì che conseguenza di tale erronea politica era l'allontanamento della Grecia dai suoi alleati naturali - cioè dall'Intesa - per oltre due anni; e che il tardivo recupero della Grecia sarebbe poi avvenuto a prezzo di una rivoluzione - quella franco-venizelista - "fatta d'inganni e di soprusi". Intanto, la bulgarofilia dell'Intesa produceva per reazione in Grecia una corrente germanofila, la quale assumeva toni fortemente antitaliani in occasione dell'uscita dell'Italia dalla neutralità.

Sul radicale presupposto della impossibilità di un désistement greco nei confronti dell'Italia il D. suggeriva a Roma disinteresse a una politica di alleanza, giungendo a ipotizzare un blocco delle coste e una occupazione di isole in via di prevenzione contro un neutro malfido. Aveva pero il sopravvento la direttiva dell'Intesa di attrarre a ogni costo la Grecia appoggiando il partito venizelista. La presenza del D. ad Atene durante quasi tutta la grande guerra avrebbe dato voce e continuità ad una divaricazione tra la politica italiana e quella franco-britannica nello scacchiere balcanico, che venne progressivamente accentuandosi con il prevalere delle direttive francesi. L'atteggiamento del D., che ottenne stabile avallo da parte di Sonnino e del governo fino alla seconda metà del 1917, e si esplicò nel contrastare la politica francese dei generali Serrail e Caboue che tendevano a porre la Grecia in stato di virtuale occupazione attraverso un controllo militare e politico generalizzato. Sollecitava in più occasioni la presenza militare italiana a fianco di quella francese, ad impedire l'assoluta predominanza di questa; ed in altri casi dissociava l'Italia da note minacciose e ricattatorie intese a piegare la neutralità ellenica.

Certa ambiguità derivava alla politica greca dal convincimento di re Costantino che la potenza germanica fosse largamente preponderante. Inoltre la Germania aveva garantito l'integrità territoriale greca alla sola condizione che questo Stato si mantenesse neutrale. La politica delle cosiddette potenze protettrici culminava nel giugno 1917 costringendo re Costantino ad abdicare a favore del figlio secondogenito Alessandro e con il reinsediamento di Venizelos a capo dei governo. Seguiva sul piano internazionale l'immediata rottura delle relazioni diplomatiche con il blocco germanico.

Dalla metà d'agosto del 1917 il D. aveva intanto registrato un evidente afflevolimento nella politica greca, del governo italiano. Ne chiedeva ragione a Sonnino in un colloquio a dicembre, e ne apprendeva che dopo Caporetto la dipendenza italiana dagli alleati era divenuta totale. In tali circostanze, il D. riteneva la propria missione in Grecia esaurita e chiedeva al ministro il richiamo. Ma questo non poteva realizzarsi prima della fine dei maggio successivo. Particolarmente significativo era il colloquio di congedo avuto con Venizelos il 24 maggio 1919 (Delle guerre balcaniche..., pp. 209-213). Il re Alessandro gli rimetteva il gran cordone dell'Ordine dei Salvatore.

Chiamato a rappresentare il ministero degli Esteri nella commissione per i prigionieri di guerra, il D. era investito della questione delle "legioni straniere" da costituire con i prigionieri delle singole "nazionalità oppresse" dell'Impero asburgico: politica funzionale alla dissoluzione di questa monarchia e vigorosamente sostenuta dal ministro socialriformista L. Bissolati; nei cui confronti il D. appoggiava tuttavia le notevoli perplessità e prudenze di Sonnino in considerazione della varietà di atteggiamenti tra quelle nazionalità e dell'antagonismo tra gl'intenti di guerra italiani e quelli di molte di esse. Fu quindi presidente della delegazione italiana nella conferenza italoaustriaca di Berna sul trattamento dei prigionieri di guerra, terminata il 21 settembre con la firma di una positiva convenzione.

Destinato a Rio de Janeiro con credenziali di ambasciatore (3 ott. 1918), fu il primo ambasciatore d'Italia in Brasile. Riceveva le insegne di grand'ufficiale dei SS. Maurizio e Lazzaro (8 giugno 1919) e di gran cordone della Corona d'Italia. Governatore di Rodi e di Castelrosso con nomina del 26 giugno 1921, fu quindi destinato a Berlino con credenziali di ambasciatore straordinario e pienipotenziario (10 nov. 1922), rimanendovi fino al marzo 1926.

Attraverso l'ambasciata di Berlino passavano in questo periodo i contatti segreti avviati da Mussolini con gli ambienti nazionalisti e di estrema Destra tedeschi, che, già allacciati nel settembre 1923 dal D., furono ufficiosamente continuati fra gli altri dal gen. L. Capello nel febbraio-marzo 1924. Né mancarono contatti con gli analoghi ambienti bavaresi di Hitler, e dichiarazioni da parte di questi di essere disposti ad accantonare l'irredentismo tirolese in cambio di un appoggio italiano.

Nello stesso periodo Mussolini aveva anche concepito di assicurarsi l'appoggio della Germania nel caso di un conflitto italo-iugoslavo cui avesse partecipato la Francia. All'origine di questa idea vi erano alcune dichiarazioni fatte da Stresemann al D. e subito considerate da Mussolmi con particolare interesse, tanto da incaricare l'ambasciatore di accertame l'effettiva disponibilità. Successivi contatti chiarivano tuttavia che i Tedeschi non consideravano possibile assumere una netta posizione in caso di conflitto italo-francese: opinione del resto condivisa dallo stesso D. in considerazione della debolezza morale e politica di quello Stato (Toscano, p. 352).

Alla svolta del 1925 fu al centro della diplomazia europea il problema della sicurozza, ed in esso fondamentale per l'Italia la questione del minacciato Anschluss dell'Austria alla Germania. Fra i collaboratori di Mussolini il D. non si dimostrava particolarmente sensibile all'ipotesi di riconsiderare le linee maestre della politica estera italiana di fronte alla indisponibilità britannica a concedere per le frontiere meridionali ed orientali della Germania le medesime garanzie previste a Locarno per le occidentali. "Spalleggia ed aizza" anzi Mussolini in dissenso con S. Contarini, favorevole questi alla partecipazione al patto di garanzia renana (Carocci, p. 42). Riscuoteva invece l'approvazione del "germanofilo" D. (Moscati) l'atteggiamento cauto ma non malevolo tenuto dal governo italiano nell'elezione presidenziale di Hindenburg, mentre C. Romano Avezzana segnalava il pericolo in Europa di una forte Germania revanchista e l'opportunità quindi di abbandonare la carta tedesca.

Ambasciatore a pieno titolo dal 31 dic. 1923; cavaliere di onore e devozione dei S. M. Ordine di Malta (novembre 1925), compiva la propria attività a Berlino nel marzo 1'926 con il collocamento a riposo.

Autore di studi di storia e di politica estera apparsi nella Nuova Antologia, Rassegna nazionale, Politica, Rivista d'Italia, ecc., pubblicò dopo il collocamento a riposo, oltre al cit. Delle guerre balcaniche..., Studi di letterature straniere (Bologna 1929).

Morì a Bologna il 12 maggio 1929.

Fonti e Bibl.: Ministero per gli Affari Esteri, Annuario diplom. del Regno d'Italia per l'anno 1926, Roma 1926, ad vocem; Chi è ? Diz. degli Italiani d'oggi,Roma 1928, ad vocem; I documenti diplom. ital., s. 4 (1908-1914), XII, Roma 1964, ad Indicem; s. 5 (1914-1918), I-X, Roma 1954-1985, ad Indices; s. 7 (1922-1935), I-IV, Roma 1953-1962, ad Indices; G. Stresemann, La Germania nella tormenta. Diari e documenti..., I-III, Milano 1933, ad Indicem; S. Sonnino, Diario, II (1914-1916) e III (2916-1922), Bari 1972, ad Indices;Id., Carteggio, a cura di P. Pastorelli, I (1914-1916), e II (1916-1922), Bari 1974-1975, ad Indices; S.Cilibrizzi, Storia parlamentare, politica e diplomatica d'Italia, III-IV, V, VI, VIII, Napoli 1939-1952, ad Indices; E. Di Noifo, Mussolini e la politica estera italiana, Padova 1960, ad Indicem; M. Toscano, Storia dei trattati e politica internaz., I, Parte generale…, Torino 1963, p. 352; R. Moscati, Gli esordi della politica estera fascista: il periodo Contarini..., in La politica estera italiana dal 1914 al 1943, Roma 1963, pp. 88, 95 s.; G. P. Carocci, La politica estera dell'Italia fascista (1925-1928), Bari 1969, ad Indicem; Ch.Seton Watson, Storia d'Italia dal 1870 al 1925, Bari 1967, ad Indicem; E. Decleva, Da Adua a Serajevo. La politica estera ital. e la Francia, 1896-1914, Bari 1971, p. 461; A. Granisci, Note sul Machiavelli..., Roma 1971, ad Indicem; G. Candeloro, Storia dell'Italia moderna, IX, Milano 1981, ad Indicem; V. U. Crivelli Visconti, Le casate nobili d'Italia, Roma 1955, ad vocem; Libro d'oro della nobiltà ital. 1977-1980, Roma 1980, ad vocem; Enc. Ital., XII, p. 444.

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