Alamanni

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1991)

Alamanni

V. Bierbrauer
K. Bierbrauer

INQUADRAMENTO GENERALE

di V. Bierbrauer

Popolazione germanica, menzionata per la prima volta come gens populosa nell'anno 213 d.C. dalle fonti romane riguardo al territorio meridionale del Meno; dalla tradizione scritta nulla risulta sulla loro origine. A partire dal 233-234 gli A. irruppero più volte negli agri decumates romani, il cui limes superiore germanico-retico dovette essere poi abbandonato nel 260. L'arretramento del confine dell'Impero al Reno, al lago di Costanza, al fiume Iller e al Danubio, che durò fino al sec. 6°, e la grande evacuazione degli agri decumates da parte della popolazione delle province romane aprirono per la prima volta all'occupazione alamanna una regione romanizzata quasi da duecento anni con infrastrutture solo in parte distrutte; quest'occupazione è indiscutibilmente dimostrabile, da un punto di vista archeologico, a partire dalla fine del 3° secolo. Il materiale rinvenuto, proveniente da insediamenti e tombe, presenta strette connessioni con i territori d'origine delle stirpi germaniche nella regione dell'Elba: la provenienza degli A. e l'ulteriore immigrazione nel corso del sec. 4° dai territori della Germania centrale occupati dai Semnones nel primo periodo imperiale, soprattutto dal Brandeburgo, sono pertanto archeologicamente indubitabili. L'insediamento alamanno, che nella seconda metà del sec. 4° si era spinto fino agli immediati confini dell'Impero, nonostante gli incessanti conflitti armati con i Romani, consente di riconoscere una stretta vicinanza e coesistenza delle due popolazioni; il che si rispecchia non solo nell'incremento di elementi romani nell'abbigliamento maschile e di beni commerciali romani, ma anche nell'assimilazione di forme e tecniche ornamentali nell'oreficeria e nella fine lavorazione dei metalli. Questa componente romanomediterranea continuò a improntare anche in seguito, fino ai secc. 7° e 8°, la cultura e la produzione artistica alamanne.

Le fonti scritte e archeologiche non consentono, alla metà del sec. 5°, di definire con certezza la forma di organizzazione politica degli A. liberi, e neppure, per tutto il corso dei secc. 6° e 7°, di circoscrivere in modo soddisfacente l'espansione del loro dominio e l'area d'insediamento verso Occidente e Settentrione, cioè in direzione dei Franchi. L'assoggettamento degli A. ai Franchi (496-497) costituisce una decisiva cesura nella storia alamanna; in seguito al consolidamento della dominazione franca, venne costituito il ducato alamanno, mentre i Franchi si imposero nel paese per via amministrativa, il che in determinate regioni è ben dimostrabile anche sotto l'aspetto archeologico. Da questo stesso punto di vista non è dimostrabile un'espansione dell'insediamento alamanno nel territorio a S dell'Alto Reno, dunque nel Mittelland svizzero, avvenuta prima del 530-540; il che vale parimenti per la Raetia prima ostrogota fino al 536-537. Anche qui, nel Sud, non è possibile una precisa definizione dei confini del territorio occupato dagli A. rispetto a quelli di Romani, Burgundi e Franchi. La popolazione di cultura romana che continuava a vivere nelle regioni appena conquistate, parte in chiuse isole coloniali, parte in basi di insediamento più o meno fittamente popolate, offriva in questa fase, con la forza irradiante della sua civiltà, ancora maggiori possibilità di influenza sull'arte e la cultura alamanne di quanto non fosse avvenuto prima, in base alla vicinanza di confine. A partire dalla metà del sec. 5°, anche gli A., come le altre stirpi germaniche a N delle Alpi (Franchi, Bavari, Turingi, Longobardi e Gepidi), assunsero l'uso di seppellire in tombe allineate, secondo un costume diffusosi dai territori franchi della Gallia nordoccidentale verso Oriente; grazie a questa pratica e fino alla sua cessazione alla fine del sec. 7° o agli inizi dell'8° si dispone di un ricchissimo materiale documentario ricavato dalle tombe. Soprattutto i corredi delle c.d. tombe ricche, attribuibili sicuramente a uno strato di popolazione economicamente potente e in prevalenza alla classe dirigente, sia nell'ambito politico, sia in quello sociale, offrono ora presupposti favorevoli anche per la valutazione di ciò che deve essere rappresentato come produzione artistica alamanna. Quali elementi principali dell'insieme delle fonti spiccano l'oreficeria e la fine lavorazione dei metalli. Benché talvolta si possa avere un'impressione contraria, si deve pur stabilire che fondamentalmente non esiste una produzione artistica specificamente alamanna, ossia con caratteristiche essenziali ben definite, che abbracci tutta l'area occupata dagli A. o anche soltanto regioni di essa diversamente connotate, e che soprattutto sia tramandata come tale attraverso un lungo periodo di tempo. Ciò è dovuto essenzialmente al fatto che, tra coloro che lavoravano finemente il metallo, gli A., o meglio quelli che operavano nel territorio d'origine degli A., erano esposti a sempre nuove influenze dall'esterno che assorbirono spesso in notevole misura. Da una parte, infatti, essi risentivano della componente tardoromana-mediterranea e dall'altra, durante l'arco di tempo che va dal secondo quarto del sec. 6° fino al 600 ca., di una linea d'influenza nordica e più specificamente della Scandinavia meridionale, che tra l'altro divenne particolarmente evidente con il crollo del regno turingio e la sua incorporazione in quello franco (531).

Per il problema della definizione di un'arte alamanna è importante notare inoltre come entrambe le componenti, la mediterranea ancora più intensamente della nordica (i cui influssi al confronto furono di breve durata), si diffondano ampiamente nell'area alamanna: la prima in tutto il territorio d'insediamento dei primi Merovingi e la seconda, oltre che nella Turingia, anche nella zona d'origine franco-orientale. A tale riguardo la produzione artistica alamanna in ambiti di non secondaria importanza è, in complesso, naturalmente parte di tutta la produzione artistica dei primi Merovingi. Se tuttavia esistono opere di raffinata lavorazione dei metalli quasi esclusivamente di area alamanna, ciò dipende da una particolare disposizione - constatabile soltanto qui così spiccatamente - nel recepire forme e contenuti ornamentali figurativi stranieri, nonché usi particolari negli abbigliamenti e nei modi di comportamento; nei territori di insediamento posti a S del Reno (Romània) ciò è naturalmente ancora più rilevante. Soltanto su questa base, cioè di una vistosa apertura nei confronti di elementi culturali esterni e di una loro trasformazione autonomamente improntata da parte di artefici del luogo, si può parlare, a ragione, di una produzione artistica alamanna. Questa disponibilità alla ricezione è pertanto il vero elemento di continuità nell'arte alamanna e nello stesso tempo una base per la sua definizione.

La componente culturale tardoromana-mediterranea è documentabile negli ultimi decenni del sec. 5° e nella prima metà del successivo, particolarmente nella produzione di fibule, in cui decorazioni a tralci spiraliformi, fasce a nastro intrecciato e motivi geometrici a Kerbschnitt, vengono adottate in forme alamanne - si vedano, per es., le due fibule provenienti dalla tomba 150 di Fridingen (Stoccarda, Württembergisches Landesmus.) - oppure talvolta in forme riprese dall'ambito ostrogoto, come nel caso della coppia di fibule da Graben-Neudorf (Karlsruhe, Badisches Landesmus.). Il ruolo di intermediazione culturale svolto dal regno ostrogoto in Italia è di particolare importanza, come dimostrano esemplari originali ostrogoti e mediterranei (fibule, fibbie di cintura) ed esemplari di importazione (orecchini poliedrici, cucchiai d'argento, elmi a lamelle), nonché determinate tecniche di decorazione.

Al posto degli Ostrogoti, successivamente al 568, subentrarono nella dominazione dell'Italia settentrionale i Longobardi dopo che già gli stessi A., tra il 539 e il 562, e poi ancora una volta tra il 584 e il 591 (nel quadro della politica italiana dei Franchi), si erano stanziati temporaneamente a S delle Alpi. La conseguente grande mobilità delle persone, e soprattutto degli oggetti, naturalmente non solo spianò la strada per l'afflusso di numerosi beni materiali provenienti dall'area mediterranea, e dopo il 568 anche italo-longobarda, verso il territorio a N delle Alpi, ma continuò a favorire enormemente, e con maggiore intensità di prima, l'assunzione di forme ornamentali mediterranee, di contenuti figurativi e tecniche decorative, nell'arte della raffinata lavorazione dei metalli e dell'oreficeria alamanna. Ciò vale specialmente per la tecnica cloisonnée fittamente alveolata - adottata al più tardi a partire dalla metà del sec. 6° nei paesi a N delle Alpi, e così ripresa anche dagli A., come mostrano le fibule d'oro a disco rispettivamente da Täbingen (Stoccarda, Württembergisches Landesmus.) e da Beringen (Zurigo, Schweizerisches Landesmus.) - e per la produzione di filigrana d'oro, quest'ultima nel sec. 6° per lo più combinata ancora con inserimenti alveolati, come compare nella fibula d'oro a disco trovata nella tomba 23 da Schretzheim (Dillingen, Mus. des Historischen Vereins). Entrambe le tecniche ornamentali si trovano spesso in fibule a disco che, a partire dal tardo sec. 6°, vengono portate singolarmente e utilizzate per chiudere il mantello: anche questo un adeguamento del costume femminile germanico a quello tardoromano-mediterraneo. Negli abiti chiusi da fibule - quelle d'oro a disco caratteristiche del sec. 7° - la filigrana d'oro si sostituì sempre più alla decorazione alveolare, sicuramente a causa della crescente penuria di almandino; esempio tipico è la grande fibula d'oro proveniente da Pleidelsheim (Stoccarda, Württembergisches Landesmus.). Il gusto per la decorazione alveolata con un repertorio di ornamenti a fitti motivi geometrici si documenta anche nell'imitazione che ebbe nell'arte dell'ageminatura, come mostra, per es., l'usanza della cintura multipla negli ultimi decenni del sec. 6° e negli anni immediatamente successivi al 600; vanno ricordate al proposito le guarnizioni per cinture provenienti dalla tomba 8 di Landsberg-Spötting (Monaco, Prähistorische Staatssammlung) e dalla tomba 9 di Niederstotzingen (Stoccarda, Württembergisches Landesmus.). Anche la moda, riconducibile ai primi decenni del sec. 7°, della cintura multipla maschile, risale nella forma e nell'uso a modelli mediterraneo-orientali. Le cinture multiple alamanne decorate, ossia ageminate e placcate in argento, portano per regola decorazioni del II stile animalistico, come, per es., quella dalla tomba 75 a Donzdorf (Stoccarda, Württembergisches Landesmus.). Solo di rado nell'ornamentazione - si veda, per es., la linguetta di cinghia da Bohlingen (Friburgo in Brisgovia, Mus. für Ur-und Frühgeschichte) - o nelle iscrizioni latine, come nella citata cintura da Donzdorf, sono evidenti ancora stretti rapporti con la Romània cristiana.

Il mondo germanico a N delle Alpi, specialmente quello alamanno, fu sottoposto agli influssi non soltanto di mode, tecniche di decorazione e forme ornamentali tardoromano-mediterranee, ma anche di vere e proprie forme di monili, tra i quali in seguito è spesso difficile distinguere l'esemplare mediterraneo importato e l'imitazione germanica. Ciò vale soprattutto per vari tipi di orecchini mediterraneo-bizantini a cestello, per i quali è da notare che le rispettive forme originarie vengono recepite a N delle Alpi in modo diverso secondo le regioni, come accade per es. nel territorio d'origine degli A., per una particolare forma di orecchini (come quelli provenienti dalla tomba 38 di Donzdorf; Stoccarda, Württembergisches Landesmus.), con un grosso cestello cilindrico, appartenenti con grande probabilità al 7° secolo. Poiché anche l'impulso all'uso stesso degli orecchini, ancora sconosciuti fra i primi A. dal sec. 3° al 5°, provenne dal territorio della Romània, non meraviglia troppo se dalla fine del sec. 5° e sino al 7° vennero adottate non solo la forma dell'orecchino in quanto tale, ma anche le varianti dei diversi modelli e così le loro caratteristiche di chiusura e costruzione. Proprio nell'ornamento dell'orecchino si possono ora osservare trasformazioni tipicamente alamanne e soprattutto ulteriori evoluzioni che in parte si presentano nell'intera area d'insediamento alamanna, ma in parte possono essere anche diffuse in zone molto limitate. Lo stesso accade per l'uso della spilla che nel territorio d'insediamento dei primi Merovingi è diffuso soprattutto nella Gallia franca e particolarmente proprio fra gli A.; se questo si può spiegare per i Franchi occidentali tramite la Romània gallica, per quanto riguarda gli A. dipende ancora una volta dalla loro disposizione, già più volte constatata, a recepire forme e costumi dell'area mediterranea, il che vale tanto per l'impiego delle spille da appuntare al capo (sul velo o direttamente sulla pettinatura), quanto e soprattutto per l'utilizzazione della fibula per la chiusura del mantello, come nel caso delle fibule a disco del sec. 7° (per es. le fibule provenienti da Täbingen, Beringen e Schretzheim, già ricordate in precedenza).

Il rapporto con il mondo tardoromano-cristiano si rispecchia parimenti nell'assunzione di determinati motivi iconografici, per es. di due uccelli oppure di due leoni con l'albero della vita, come accade nelle fibule bratteate provenienti da Hüttlingen o da Illingen (Stoccarda, Württembergisches Landesmus.). Raffigurazioni di questo genere, nonché altre simbologie cristiane, si trovano nelle c.d. fibule bratteate di metallo pressato, l'ultimo gruppo di fibule a disco che sia stato tramandato dalle tombe alamanne della seconda metà del sec. 7°, prima che cessasse l'usanza del corredo funerario. La larga diffusione della religione cristiana presso tutti gli strati della popolazione alamanna, al più tardi dallo scorcio del sec. 6°, si manifesta nel modo più chiaro nel grande gruppo di croci in lamina d'oro. L'usanza - giunta sporadicamente nel territorio alamanno già intorno alla metà del sec. 6°, ma poi diffusasi soprattutto attraverso l'Italia longobarda - di porre sul volto dei defunti croci di stoffa oppure croci in lamina d'oro o d'altri metalli applicate su tessuti simili al velo, è di origine mediterraneo-ortodossa, ed è strano che nei paesi a N delle Alpi essa fosse accolta quasi esclusivamente dagli Alamanni. Si tratta dunque di un fenomeno di diffusione o meglio di ricezione che non è ancora stato spiegato in modo soddisfacente. Poiché le croci di lamina d'oro non facevano certamente parte dell'abbigliamento delle persone vive, in caso di morte dovevano essere forgiate espressamente da un orafo che lavorasse nelle vicinanze per essere facilmente raggiungibile. Questa è una chiara indicazione che l'arte dell'oreficeria nel sec. 7° era articolata in aree estremamente ristrette, riferita spesso soltanto a uno o più insediamenti. Le croci di lamina sono in parte non decorate, in parte pressate su modelli o su oggetti analoghi, il che porta a una grande molteplicità di ornamenti. Va infatti ricordato, per es., che riproduzioni di monete romane o bizantine non di rado sono combinate con il II stile animalistico germanico, che nel sec. 7° predomina anche in questa categoria di oggetti (esempio tipico la croce in oro proveniente da Hintschingen; Karlsruhe, Badisches Landesmus.), oppure con motivi a nastro intrecciato. Talvolta nel mezzo della croce si trovano maschere umane, tra cui anche l'immagine di Cristo, così come sui bracci della croce si possono trovare, eccezionalmente, ornamentazioni mediterranee con motivi fitomorfi, che compaiono, per es., nella croce proveniente dalla tomba 83 di Sontheim (Stoccarda, Württembergisches Landesmus.). L'ornamentazione animalistica nordica, articolata in stili già nel 1904 dallo svedese Salin, giunse nel continente (presso Franchi, A., Turingi) nella prima metà del sec. 6°, il che è evidente in un gran numero di fibule nordiche ad arco con la piastra della testa a forma rettangolare; tuttavia quelle rozze copie locali dimostrano che lo stile animalistico nel suo contenuto figurativo non fu del tutto compreso dall'orafo continentale e dunque non poté essere ulteriormente trasmesso nell'arte locale. Tutto questo cambiò intorno alla metà del sec. 6° e specialmente, in modo significativo, nel territorio alamanno. Il I stile, in una determinata forma dello stile nordico (D), venne in questa fase praticato con perizia dagli artisti locali, perché compreso e recepito, come mostra la fibula proveniente dalla tomba 129 di Bopfingen (Stoccarda, Württembergisches Landesmus.), e in seguito su questa specifica base stilistica, a partire dagli ultimi decenni del sec. 6°, venne di continuo ulteriormente sviluppato nel II stile, come appare nella coppia di fibule ad arco proveniente dalla tomba 4 di Klepsau (Karlsruhe, Badisches Landesmus.). Per via dell'aggiunta della fascia con l'intreccio, questo stile si può definire, tutt'al più, come stile a nastro intrecciato zoomorfo. Il II stile è, nel sec. 7°, l'elemento di decorazione predominante su oggetti ornamentali del tutto diversi dal punto di vista funzionale, come mostrano il finimento in lamina d'ottone proveniente da Metzingen (Stoccarda, Württembergisches Landesmus.) e la già ricordata croce da Hintschingen.

Tra le opere di oreficeria sacra, un'unica testimonianza si può attribuire finora con certezza a un'officina alamanna: il reliquiario a borsa, di qualità non molto alta, da Ennabeuren (Katholische Pfarrgemeinde). La decorazione in lamina di bronzo dorato, su legno di tiglio, fu realizzata in maniera semplice soltanto con la pressatura di cinque diversi moduli, tra cui, sulla parte anteriore, figurano il lanciere con asta crociata in spalla, su un serpente, e cinque busti dello stesso stampo. La connessione iconografica con le fibule bratteate costruite con la medesima tecnica - come, per es., quelle già citate provenienti da Hüttlingen o da Illingen - che si basano ugualmente in considerevole misura su motivi cristiani di area mediterranea e su effigi monetarie, garantisce tanto la fabbricazione del reliquiario nella Germania alamanna sudoccidentale, quanto la sua datazione alla seconda metà del sec. 7° o nel periodo intorno al 700. Non si conosce ancora la chiesa cui apparteneva l'oggetto (forse nella stessa Ennabeuren); quale aspetto avesse è in certo modo noto attraverso una serie di edifici ecclesiastici del sec. 7° nell'area alamanna, parte in legno, parte già in pietra. Si tratta di regola di modesti edifici costituiti da una grande sala con annessa abside rettangolare o semicircolare; sulla loro architettura interna, forse di pietra, non si può fare ancora per il momento alcuna illazione. Per altri reliquiari, conservati nella Svizzera alamanna o, più a S, negli adiacenti Grigioni d'impronta tardoromana, un'attribuzione di questo genere non è più sostenibile, e così nemmeno per i due importanti esemplari provenienti dal tesoro del monastero di Beromünster (cantone di Lucerna) e dal tesoro del duomo di Coira (Grigioni). Il reliquiario di Warnebertus, da Beromünster, lavorato in rame, sia per il notevole accostamento del tardo II stile animalistico germanico con l'inserimento di pietre policrome, sia, soprattutto, per la pregevole ornamentazione 'bizantina' a tralci, è senza dubbio opera di un orafo dell'Italia settentrionale longobarda della seconda metà del 7° secolo. Non è ben chiaro però per chi sia stato realizzato il reliquiario, se per l'area alamanna, come sembra indicare l'iscrizione di Warnebertus, o per quella franca (Soissons, Saint-Médard). Il reliquiario di Coira in lamina di bronzo dorato, anch'esso a forma di edificio, fu costruito molto probabilmente in un laboratorio di oreficeria della Romània, dove si sapeva combinare il repertorio ornamentale familiare (a nastro intrecciato continentale, coppia di pavoni con tralci di vite) con l'ornamentazione animalistica insulare. Poiché nell'abbazia di Müstair dei Grigioni, fondata da Coira prima dell'806 (ma probabilmente dopo il 744) nella decorazione architettonica interna si trova un'analoga ornamentazione animalistica insulare d'ispirazione continentale, il reliquiario potrebbe essere stato costruito in un'officina della stessa Coira che aveva subito l'influenza insulare. La sua datazione alla seconda metà del sec. 8° risulta indubitabile per via dello stile animalistico e anche per l'ornamentazione a nastro intrecciato.

Bibliografia

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MINIATURA

di K. Bierbrauer

I manoscritti alamanni sono detti tali per il tipo di scrittura, la minuscola alamanna, una variante della minuscola precarolina in uso dal 760 ca. fino all'820-830, poi sostituita dalla minuscola carolina. Centri principali di produzione di questo tipo di scrittura erano le abbazie di San Gallo e di Reichenau, cui se ne aggiunsero altri dei dintorni del lago di Costanza, non precisamente localizzabili.

La decorazione libraria dei manoscritti alamanni è costituita essenzialmente da iniziali; le forme ornamentali più frequenti sono motivi fogliacei e floreali, disegni e decorazioni geometriche, ornamentazione a nastri intrecciati, pesci e altri soggetti zoomorfi; a partire dal periodo intorno all'800 si diffusero anche motivi a occhio e a goccia. In origine le iniziali erano eseguite per lo più a penna, con inchiostro marrone, ma ben presto vennero introdotti i colori rosso, giallo, verde e bruno, più raramente anche il blu e il violetto; tale composizione cromatica rimase in uso anche nel sec. 9°, durante il quale, a partire dal terzo decennio, apparvero inoltre, in codici splendidamente decorati, iniziali miniate in rosso e dipinte in oro e argento.

La miniatura alamanna della fase iniziale rivela stretti rapporti con l'ornamentazione dei manoscritti bavaresi, specialmente della Baviera meridionale, della zona superiore del Reno e dell'Alsazia, i quali - legati tutti alla tradizione miniatoria merovingia - sono ispirati in particolare a modelli della Francia nordorientale, dell'Italia settentrionale e della Borgogna. Verso la fine del sec. 8° cominciarono a svilupparsi forme specificamente alamanne, nelle quali confluirono elementi decorativi derivati da Coira. Grazie al buono stato di conservazione del materiale pervenuto, è possibile seguire lo sviluppo della miniatura alamanna soprattutto attraverso l'esempio di San Gallo. Uno dei primi manoscritti, l'unico datato da un'annotazione, fu eseguito per il vescovo di Costanza Giovanni II (761-781/782), abate contemporaneamente di San Gallo e Reichenau; la decorazione è piuttosto modesta, a motivi prevalentemente vegetali (San Gallo, Stiftsbibl., 44). All'incirca alla stessa epoca risalgono i codici dello scriba Winithar (San Gallo, Stiftsbibl., 11; 70; 109), decorati con forme ornamentali più varie, fra cui appaiono, oltre ai disegni floreali, anche motivi di uccelli e pesci e nastri intrecciati. Queste forme subiscono variazioni, ma senza cambiamenti sostanziali, nei manoscritti miniati a San Gallo da Valdo, che nel 786 divenne abate del monastero dell'isola di Reichenau: scrittura e miniatura dei due scriptoria sono infatti strettamente connesse (Karlsruhe, Badische Landesbibl., Aug. CCXXII). Verso la fine del sec. 8° i contorni delle mezze palmette cominciarono ad assumere forme e motivi a occhio e a piccoli boccioli, in combinazione anche con disegni geometrici; nello stesso tempo continuò a essere impiegata l'ornamentazione tramandata dai più antichi manoscritti. Un esempio rappresentativo di questo stile è dato da un codice realizzato intorno all'800 (Stoccarda, Württembergische Landesbibl., HB VII 17).

Il periodo di maggiore splendore dello scriptorium di San Gallo ebbe inizio al tempo dell'abate Gozberto (817-837). I manoscritti più importanti sono legati al nome dello scriba Wolfcoz, menzionato in un salterio (San Gallo, Stiftsbibl., 20), al quale si attribuiscono parte delle Epistole di s. Paolo (Stoccarda, Württembergische Landesbibl., HB II 54), un salterio a Zurigo (Zentralbibl., C 12) e un lezionario (San Gallo, Stiftsbibl., 367). Nel codice di Stoccarda è presente una raffigurazione di S. Paolo a piena pagina, in disegno a penna marrone; i due salteri, non perfettamente conservati, contengono ciascuno una miniatura a tempera: l'immagine dei quattro scribi di Davide all'inizio del manoscritto 20 e le figure di Davide e Nathan per illustrare il salmo 51 nel manoscritto C 12, verosimilmente inserite in seguito. Lo stile testimonia la ripresa di modelli tardoantichi, lontano dai grandi scriptoria carolingi. Le iniziali del manoscritto HB II 54 appartengono stilisticamente alla tradizione miniatoria alamanna dell'800 circa.

Un'ulteriore evoluzione si rileva nel manoscritto C 12, nel quale lo spazio interno delle lettere è occupato da intrecci filiformi con piccoli uncini a volute che nei manoscritti 20 e 367 si trasformano in intrecci a fascia che ampliano i contorni e sono spesso combinati con teste di animali. Per le iniziali rimasero in uso i motivi di riempimento noti fin dai più antichi manoscritti; parallelamente si svilupparono forme evolute di raffigurazione zoomorfa delle iniziali; in entrambi i codici venne anche realizzata l'iniziale, carolingia, con fascia di contorno intrecciata.

Bibliografia

Fonti:

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Letteratura critica:

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K. Holter, Der Buchschmuck in Süddeutschland und Oberitalien, in Karl der Grosse, III, Karolingische Kunst, Düsseldorf 1965, pp. 74-114: 96-101.

Suevia Sacra, cat., Augsburg 1973, nr. 150.

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