Affissi

Enciclopedia dell'Italiano (2010)

affissi

Claudio Iacobini

Definizione

Gli affissi sono elementi (tecnicamente morfi legati) che si aggiungono a una radice per formare una parola morfologicamente complessa: per es., in invisibile in- e -bile sono affissi che si collegano alla radice -vis-.

Gli affissi non sono presenti in tutte le parole. Una parola può infatti essere formata da un solo morfo (per es., ieri, bar, sopra). In italiano invece la maggior parte delle parole è formata da un morfo lessicale accompagnato da uno o più affissi, di cui almeno uno flessivo (per es., libr+o, cas+ett+a, ri+puli+tur+a) (➔ flessione). In casi come bar o ieri la parola è morfologicamente indecomponibile e il morfo lessicale è libero (può cioè essere usato da solo in una frase). Se ci sono affissi la parola si dice morfologicamente complessa: in tal caso il morfo lessicale può essere libero (come in bar+ist+a) o legato, cioè necessariamente combinato con un affisso (come in barb+a).

La distinzione tra morfi affissali e morfi lessicali in una parola non presenta di solito difficoltà: in ver-ità possiamo identificare una radice ver- e un affisso -ità, in in+felic+e una radice -felic- e due affissi (un prefisso in- e un suffisso -e), in in+giust+ifica+bil+e una radice -giust-, un prefisso e tre suffissi.

Per un uso terminologico abbastanza diffuso gli affissi sono chiamati nel loro insieme morfi grammaticali al fine di distinguerli dai morfi lessicali. In confronto con i morfi lessicali (elementi il cui significato non dipende dal contesto e che possono riferirsi a proprietà, oggetti, concetti, eventi molto specifici), quelli grammaticali hanno significati più astratti e generici e tipicamente si riferiscono a proprietà generali della grammatica (quali tempo, ➔ aspetto, modo, genere, ➔ numero, agente, paziente, ➔ negazione, ➔ comparazione, appartenenza a una parte del discorso o categoria grammaticale).

La lista dei morfi lessicali è aperta, può cioè essere incrementata grazie all’aggiunta di nuovi elementi, mentre gli affissi costituiscono una lista chiusa, che si può arricchire di nuovi elementi solo in condizioni particolari e sulla lunga durata. Mentre il prestito e il trasferimento di morfi lessicali da una lingua a un’altra è un fenomeno relativamente frequente e con scarsissime ripercussioni sulla lingua d’arrivo, il prestito (➔ prestiti) di affissi è molto raro. La formazione di nuovi affissi in una lingua avviene di norma tramite il processo di ➔ grammaticalizzazione di elementi autonomi. Un affisso dell’italiano di cui è evidente l’origine lessicale, ad esempio, è il suffisso -mente usato per formare ➔ avverbi (facilmente, improvvisamente, solamente, velocemente), il cui etimo è riconducibile al lessema latino mente; alcuni prefissi sono riconducibili a preposizioni o avverbi locativi (come in frapporre, sottoscrivere).

Gli affissi si distinguono, oltre che dai morfi lessicali, anche da un’altra categoria di morfi legati: i ➔ clitici. Questi hanno alcune proprietà di una parola indipendente e altre tipiche di un affisso: infatti, si integrano fonologicamente con una parola, ma (a differenza degli affissi) hanno funzione sintattica piuttosto che morfologica, dato che contribuiscono a formare sintagmi (per es., guarda+la, parlando+glie+ne).

Classificazione

Gli affissi si possono classificare in base a due criteri: la posizione rispetto alla radice e la funzione. In base al primo si distinguono ➔ prefissi, ➔ suffissi, circonfissi, ➔ infissi, interfissi, transfissi. In base al secondo si distinguono affissi derivazionali (➔ derivazione) e flessivi (➔ flessione).

Tipi di affissi in relazione alla posizione

Il processo tramite cui gli affissi si uniscono a una base si dice affissazione. Come si è visto in precedenza, un affisso si può aggiungere a una radice (cas+a) o a una parola già affissata (abile > abilitare > abilitazione).

In italiano gli affissi si attaccano di norma all’esterno della radice o della parola complessa; sia pure con minore frequenza, ci sono però affissi che s’inseriscono all’interno della base. La posizione degli affissi non influisce sulla loro funzione, anche se in italiano la flessione è espressa solo da suffissi. Altre lingue utilizzano esclusivamente o preferenzialmente altri tipi di affissi (Carstairs-McCarthy 2006).

Gli affissi di gran lunga più frequenti nelle lingue sono quelli che non interrompono la base, anche se ci sono alcune lingue che fanno largo uso di infissi (in particolare le lingue austronesiane, come il tagalog) e di transfissi (le lingue semitiche). I suffissi sono di gran lunga più usati dei prefissi (Cutler, Hawkins & Gilligan 1985; Stump 2001).

(a) Suffissi. Un suffisso è un affisso che si aggiunge alla parte finale della base. Quasi tutte le parole italiane contengono un suffisso flessivo (per es., fiduci+a, segn+o, fior+e), molte un suffisso derivazionale (fiduci+os+o, segn+al+e, fior+ai+o). Le parole con due suffissi derivazionali sono abbastanza numerose (fals+ifica+bile, modern+izza+zion+e), quelle con più di tre suffissi derivazionali sono rare e di frequenza molto bassa.

In italiano i suffissi servono a esprimere valori flessivi e la maggior parte dei valori derivazionali. I suffissi (non i prefissi) dell’italiano possono determinare la parte del discorso cui la parola appartiene modificando quella della base (➔ deaggettivali, nomi; ➔ denominali, nomi; ➔ denominali e deaggettivali, verbi; ➔ deverbali, nomi).

(b) Prefissi. Un prefisso è un affisso che si attacca prima della base (per es., s+fortuna, dis+onesto, de+penalizzare). In italiano non ci sono prefissi flessivi: tutti i prefissi sono derivazionali. Le parole prefissate dell’italiano hanno per lo più un solo prefisso. La sequenza di due prefissi non è frequente (per es., in-de-cifrabile), e nella maggior parte dei casi il prefisso più interno è identificabile formalmente ma non contribuisce con uno specifico significato al valore della parola complessa (per es., in-de-terminabile).

(c) Circonfissi. I circonfissi sono morfi discontinui costituiti da un prefisso e un suffisso che stanno obbligatoriamente insieme. Si tratta di una struttura piuttosto rara nelle lingue e instabile nel tempo. In italiano, come nelle altre lingue romanze, essa è impiegata per la derivazione di verbi a partire da nomi (per es., abbottonare, imbrigliare) o da aggettivi (addolcire, indebolire). La particolarità di questa costruzione sta nel fatto che nella lingua non appaiono come parole né la forma solo prefissata (* abbottone, * addolce) né quella solo suffissata (* bottonare, * dolcire). I circonfissi possono essere chiamati anche ambifissi; il fenomeno di circonfissazione è chiamato anche parasintesi (➔ parasintetici).

(d) Affissi all’interno della base. Questi ultimi si dividono in infissi, interfissi, transfissi.

Gli affissi possono anche interrompere la base lessicale. In italiano tale tipo di affissazione è marginale. A seconda del luogo in cui si inserisce l’affisso è possibile distinguere tra infissi, interfissi, transfissi.

Un infisso è un affisso inserito all’interno della base. Nelle lingue classiche, ad es., l’infisso -m- era impiegato in alcuni verbi per formare il tema del presente (gr. lambàno «prendo», dalla radice lab: cfr. rumpo, rupi, it. rompo, ruppi). Il termine infisso è comunemente usato anche per indicare affissi che si inseriscono fra la radice e un suffisso o un prefisso, come -isc- usato in alcune persone del presente ma non di altri tempi dell’indicativo (per es., costruisco / costruirò, pulisco / pulivo, gradisco / gradii). Alcuni riservano il termine infisso agli infissi che interrompono la radice, e chiamano interfissi gli elementi posti fra radice e affissi esterni a essa. L’italiano impiega una serie di interfissi privi di contenuto semantico ma capaci di portare una connotazione pragmatica (per es., omino / omarino, papino / paparino, testina / testolina).

I transfissi, assenti in italiano, sono usati tipicamente nelle lingue semitiche. Si tratta di affissi che si intersecano secondo moduli regolari alle radici triconsonantiche (che costituiscono morfemi lessicali non autonomi).

Affissi flessivi e derivazionali

In base alla funzione, gli affissi si distinguono in flessivi e derivazionali (➔ formazione delle parole). Gli affissi derivazionali sono usati per formare parole nuove, quelli flessivi per realizzare forme diverse di una stessa parola.

Gli affissi derivazionali possono cambiare la categoria lessicale della parola complessa (per es., da aggettivo a nome: bello > bellezza) o comunque modificarne tratti importanti (per es., pollo nome animato > pollaio nome inanimato), ma non sono obbligatori. Gli affissi flessivi accompagnano di norma la radice della parola, non ne modificano la categoria lessicale e non ne cambiano il significato in misura rilevante. Gli affissi flessivi veicolano informazioni di carattere generale (quali tempo, modo, aspetto, numero, genere: guard+o prima persona, presente indicativo; guarda+v+o prima persona, imperfetto indicativo; guard+e+rò prima persona, futuro indicativo) e segnalano il ruolo della parola nel contesto di frase (per es., un+a ser+a luminos+a, un tramont+o luminos+o) (➔ accordo).

Gli affissi derivazionali tendono a occupare una posizione più vicina alla radice lessicale rispetto agli affissi flessivi (per es., lavora+zion+e, libr+eri+a). Questi ultimi, infatti, variano in relazione alla categoria lessicale della parola e sono soggetti a fenomeni di natura contestuale come l’accordo. Nel caso di affissi che non cambiano la categoria lessicale, come, ad es., i valutativi, gli affissi flessivi possono occupare anche una posizione interna. Per quanto riguarda l’ordinamento relativo all’interno della categoria sia degli affissi derivazionali che di quelli flessivi, Bybee (1985) ha proposto un criterio di rilevanza semantica, secondo il quale l’affisso con un ruolo semantico più incisivo occupa la posizione più vicina a quella della radice.

Studi

Bybee, Joan (1985), Morphology. A study of the relation between meaning and form, Amsterdam, John Benjamins.

Carstairs-McCarthy, Andrew (20062), Affixation, in Encyclopedia of language and linguistics, editor-in-chief K. Brown, Amsterdam, Elsevier, vol. 1°, pp. 83-89.

Cutler, Anne & Hawkins, John A. & Gilligan, Gary (1985), The suffixing preference. A processing explanation, «Linguistics» 23, pp. 723-758.

Stump, Gregory (2001), Affix position, in Handbücher zur Sprach-und Kommunikationswissenschaft, Berlin - New York, W. de Gruyter, vol. 20°/1 (Language typology and language universals. An international handbook, edited by M. Haspelmath et al.), pp. 708-714.

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