ADULTERIO

Enciclopedia Italiana (1929)

ADULTERIO (lat. adulterium, da adulter "adultero": "adulter et adultera dicuntur, quod et ille ad alteram et haec ad alterum se conferunt", Festo; fr. adultère; sp. adulterio; ted. Ehebruch; ingl. adultery)

Mario Manfredini

Nel diritto romano le pene atroci comminate, dimostrano quanto viva fosse la reazione contro l'adulterio; una legislazione stabile sull'adulterio si ebbe con la lex Iulia de adulteriis coërcendis (18 a. C.), integrante le disposizioni della lex-Papia Poppaea. La lex Iulia statuiva soprattutto in materia di adulterio, ma regolava in genere tutti i delitti contro il buon costume. La donna onorata dev'essere intatta fuori del matrimonio; nel matrimonio le relazioni sessuali devono esercitarsi con il solo marito; si considera, come insegna il Ferrini, non l'offesa all'ordine delle famiglie, ma più ampiamente l'offesa al buon costume. Non vi ha reato, se si tratta di donna schiava o infamata: agli effetti della legge penale vale anche il matrimonio iniustum e in certi casi anche il concubinato, se equivalente al matrimonio come, ad esempio, fra patrono e liberta. Il giudizio era pubblico: era riconosciuto, per alcune ipotesi di flagranza, oppure a condizione che fossero i rei colpiti utrumque uno ictu, il diritto della vendetta privata; il marito doveva ripudiare la moglie in certi casi, se no, era reo di lenocinio; la pena ordinaria era la relegazione e la confisca dei beni. La legge instituiva un'apposita quaestio presieduta da un pretore: e regolava l'accusa concedendola a chiunque, subordinatamente al marito o al padre.

Sotto gl'imperatori pagani si infierì con maggior severità contro gli adulteri, comminando la pena di morte: gl'imperatori cristiani furono più miti, minacciando per la donna la chiusura perpetua in convento. Maggiore fu però la severità con Costantino, che considerò l'adulterio delitto pari all'omicidio, con i suoi figli, e con Giustiniano (Nov. CXVII, c. 15) che riconosceva al marito il diritto di uccidere l'adultero, dopo averlo avvisato tre volte per iscritto.

Nel diritto germanico l'adulterio si intende come violazione da parte della donna dei doveri matrimoniali di fedeltà; l'adulterio del marito ammetteva un ricorso al re, ed era ad ogni modo punito con pene differenti da quelle per l'adulterio della moglie (pene pecuniarie, perdita delle donazioni propter nuptias). La pena è sempre grave: la donna adultera è lasciata alla vendetta del marito e dei parenti; può essere uccisa, o ridotta in servitù, o scacciata, o privata dei beni e mutilata del naso e degli occhi: il correo (moechus, dal greco μοιχός: così era detto l'adultero in stretto senso anche dai Romani) poteva essere ucciso se colto in flagranza. Altre pene erano la riduzione in servitù, il veregildo oppure composizione minore. L'accusa spettava al marito, e anche alla moglie nel caso di adulterio del marito.

Nel diritto ecclesiastico l'adulterio è qualunque commercio carnale fuori matrimonio o in offesa ai vincoli matrimoniali. È considerato delitto grave come peccato di lussuria e come offesa al precetto divino. Nell'adulterio in stretto senso deve trattarsi di matrimonio valido; non è necessario l'avverarsi della copula; deve conoscersi dagli adulteri lo stato di coniugio; la pena era di sette anni di penitenza dapprima, poi fu lasciata all'arbitrio del giudice. È ammessa la separazione per causa di adulterio, ma non è ammesso nuovo matrimonio finché i coniugi vivano; l'annullamento del matrimonio è ammesso soltanto nel caso del matrimonio rato e non consumato, o consumato con un infedele, in base al Privilegio paolino. L'adulterio dà soltanto diritto al divorzio a toro et Cohabitatione; non scioglie il vincolo.

Legislazione nazionale. - I precedenti si trovano negli articoli 482-486 del codice sardo e 291-293 del codice toscano. Il codice Zanardelli stabilì la punizione tanto per l'adulterio della moglie quanto per quello del marito, definendo quest'ultimo con tale designazione generica, anziché con la locuzione concubinato adoperata nei progetti antecedenti, osservando che con essa si stabiliva soltanto la condizione di punibilità per l'adulterio del marito (Relazione al re, n. 109). Il progetto Rocco invece ha ristabilito la denominazione specifica di concubinato (art. 560).

Adulterio della moglie. - I soggetti attivi dell'adulterio in esame (delitto bilaterale) sono una donna maritata e un uomo. a) La norma, proteggendo l'ordine giuridico matrimoniale, considera la funzione sessuale nello stretto senso di rapporto di sesso, in quanto questo è il fatto costituente l'esercizio della funzione nel matrimonio. Si tutela l'ordine giuridico e non quello biologico ed etico, si considera l'azione pericolosa per le principali esigenze matrimoniali, fondate sulla necessità stessa da cui originò la forma monogamica. È ovvio che soltanto dal rapporto di sesso possono essere menomati questi diritti. Tale nozione tradizionale del concetto di adulterio risulta, nella legge scritta, dalla locuzione moglie che indica la donna sessualmente vincolata ai diritti-doveri matrimoniali; ed indica inoltre l'attualità dello stato di coniugata, giacché moglie è la donna che vive in costanza di matrimonio; si tratta di un richiamo alla relativa nozione di diritto civile (ricezione di riconoscimento). b) La moglie è il soggetto attivo essenziale, poiché l'azione costituente la materialità del delitto è caratterizzata dalla violazione dei doveri matrimoniali proprî della donna. Il drudo ha una figura giuridica speciale. Infatti, poiché l'adulterio richiede, per la sua stessa nozione, l'intervento anche dell'uomo con cui la moglie adultera attua il rapporto, egli apparisce come autore nello stesso grado e senso della moglie; le due azioni distinte nel fatto complesso risalgono. ciascuna al proprio autore come dovuta unicamente a lui e non per valutazione di una situazione di concorso. D'altra parte, l'adulterio sussiste soltanto in quanto sia integro il delitto da parte della moglie; cioè quando vi sia volontaria violazione della fedeltà: un fatto materialmente di adulterio, commesso cioè da moglie non imputabile, assume necessariamente diversa configurazione giuridica. c) La locuzione moglie, stabilisce la qualità giuridica della donna; sono quindi irrilevanti le condizioni morali dell'adulterio; la meretrice che sia donna coniugata commette adulterio nelle relazioni carnali che esercita. Il correo della meretrice adultera è parimenti imputabile, salvo mancanza di dolo, da valutarsi in concreto e in riguardo alle speciali circostanze in cui il meretricio è esercitato.

Soggetto passivo dell'adulterio della moglie è il marito della donna adultera. I doveri che vincolano i coningi sí riassumono nei rapporti fra loro, e, in riguardo all'elemento sessuale, nell'obbligo di fedeltà. Dalla fedeltà proviene l'atteggiamento normale secondo l'istituzione giuridica del matrimonio; per essa è assicurato l'esclusivismo nell'amore e la certezza della prole. Titolari del diritto di fedeltà (diritto-dovere) sono i coniugi. E pertanto nell'adulterio - che concreta, come vedremo, violazione dell'obbligo di fedeltà soggetto passivo è il coniuge di quello che adulterio commise.

L'interesse sociale per cui si giustifica l'incriminazione dell'adulterio, si concreta, nei rapporti dei coniugi, nella stabilita sanzione all'istituto della fedeltà che riassume, in ordine alla condotta matrimoniale, la necessità di un atteggiamento coordinato alle esigenze del sistema monogamico. La fedeltà diviene, per la sanzione giuridica che l'accompagna, il mezzo di attuazione degli scopi sociali.

L'elemento psichico sta nella volontà di compiere il rapporto carnale con la consapevolezza nell'adultera e nel correo del vincolo matrimoniale sussistente nella donna. Occorre l'imputabilità della donna; può mancare quella dell'uomo. Nella figura normale del delitto l'elemento psicologico si concreta in un consenso di volontà dei due soggetti attivi. L'errore sulla legittimità e sulla costanza del matrimonio scrimina in quanto si realizzi in mancanza di dolo e di volontarietà in ordine a uno degli elementi costitutivi del delitto.

L'elemento materiale è il fatto, con cui è violato l'ordine giuridico matrimoniale in relazione al dovere di fedeltà. Deve trattarsi di moglie adultera, come vedemmo, e quindi deve aversi un preesistente e attuale matrimonio valido. Matrimonio indica l'istituto disciplinato dalle leggi civili, non uno stato di fatto né un rapporto psicologico. a) È stato di matrimonio quello che stabilisce secondo le nostre leggi efficacia giuridica al contratto; dei matrimonî stipulati all'estero, quelli celebrati nelle forme che nei diversi stati dove furon compiuti hanno valore giuridico di matrimonio valido, hanno tal riconoscimento anche in Italia, e la conseguente tutela. b) La nullità del matrimonio per mancanza di requisiti essenziali toglie l'oggetto stesso al delitto, giacché, come vedemmo, con la sanzione in esame si protegge l'esercizio giuridico della funzione; e il matrimonio nullo non costituisce un fatto di esercizio giuridico, né stabilisce il vincolo giuridico di fedeltà. Se si tratta di matrimonio annullabile, poiché le dette condizioni giuridiche esistono finché non si abbia l'annullamento, è possibile, prima di tal dichiarazione, l'adulterio. c) Lo scioglimento del matrimonio per qualsiasi causa toglie ogni obbligo giuridico di fedeltà e fa cadere l'interesse sociale relativo alla prole.

L'assenza del coniuge non esclude affatto l'adulterio: salvo che non sussistano le stesse prove che avrebbero autorizzato un nuovo matrimonio (e costituiscano quindi l'adultera in mancanza di dolo), giacché si tratta, se mai, di dubbio sull'esistenza del vincolo, dubbio che equivale a consapevolezza della possibilità della lesione. Né la statuizione del capoverso dell'art. 113 del codice civile è rilevante, giacché è ovvio che, per contrarsi il nuovo matrimonio non impugnabile durante l'assenza, devono essere intervenute le prove legali di scioglimento del precedente matrimonio; non è l'assenza che rende inesistente l'ordine giuridico matrimoniale, ma le vere e normali cause di scioglimento provate nei modi legali adeguati ai casi di assenza.

Il r. decreto-legge 15 agosto 1919, n. 1467, che stabilisce norme circa la dichiarazione della morte presunta degli scomparsi durante la guerra, autorizza nel 1° art. tale dichiarazione quando la scomparsa della persona sia avvenuta per causa dipendente dalla guerra precisando speciali condizioni e termini. L'art. 16 dello stesso decreto dichiara che, avvenuta l'iscrizione nei registri dello stato civile della sentenza relativa alla lpresunzione di morte, il coniuge della persona scomparsa ha facoltà di contrarre un secondo matrimonio: se la persona scomparsa ritorna posteriormente nel regno, la nullità del secondo matrimonio è pronunziata a istanza sua od anche dei nuovi coniugi.

Evidentemente, poiché qui è intervenuta la legge, non si potrà assumere lo stesso criterio seguito nel caso di assenza. Certo, le due ipotesi non sono diverse, ma pure è da rilevarsi che la scomparsa dopo operazioni di guerra o naufragio nelle condizioni indicate dal decreto dà quasi la certezza della morte, mentre l'assenza presunta per mancanza di notizie ha significato assai diverso. Senza indugiarci in critiche e in osservazioni, per l'argomento che c'interessa ci basti rilevare che la riconosciuta possibilità di un nuovo matrimonio e quindi la sanzionata libertà sessuale-familiare della vedova o del vedovo di persona scomparsa quando la sua morte sia dichiarata presunta, stabiliscono, nei confronti di questo coniuge considerato come sciolto dal matrimonio, la impossibilità dell'adulterio.

L'obiettività giuridica del delitto consiste nella lesione all'ordine matrimoniale quale elemento dell'onore sessuale che comprende l'interesse sociale relativo alla famiglia. Espressione di codesto ordine è il dovere di fedeltà, su cui si incardina il principio della monogamia: deriva dalla legge naturale delle affinità elettive e si è trasformato in un mezzo sociale ad assicurare gli scopi del matrimonio, certezza della prole, e formazione primaria individuale secondo i fini d'interesse collettivo.

Da queste sue origini naturalistiche, dalla funzione che al matrimonio spetta nella società, vien dimostrata la fondatezza dell'incriminazione dell'adulterio, su cui, come è noto, tanti dissensi corsero. Non crediamo che si debba limitare la repressione all'ipotesi di congiungimento carnale.

Due sole limitazioni sussistono evidenti nella materialità del delitto: una riguarda le relazioni omosessuali escluse dalla ipotesi, l'altra si riferisce alla portata biologica degli atti libidinosi. Non è il fatto biologico, ma quello fisiologico che è valutato, e però basta la congiunzione carnale tanto normale quanto anormale: non occorre la seminatio intra vas.

Altra materialità del delitto è costituita da tutti gli atti che concretano un equivalente fisio-psicologico della congiunzione carnale. Su questo argomento vi è qualche dissenso: ma ci sembra che la ragione fondamentale della tutela giuridica debba far riconoscere come certo tal contenuto nella norma. Il nuovo codice, nel progetto, non dà in proposito alcun sussidio ermeneutico.

Il delitto si consuma con l'avverarsi di un rapporto carnale nei sensi sopradefiniti. Si tratta quindi di delitto istantaneo. È possibile il tentativo.

Concubinato. - I soggetti attivi del delitto sono un uomo ammogliato e una donna, maritata oppur no. Il soggetto passivo é la moglie del marito adultero. L'oggetto del delitto è l'ordine giuridico-matrimoniale per ciò che riguarda l'onore sessuale rispetto alla moglie, e familiare per ciò che si riferisce alle funzioni direttive educative e patrimoniali dei genitori nell'interesse della prole. L'elemento psichico consiste nella volontà del marito e della sua correa di mantenere la relazione, con la scienza in ambedue del vincolo matrimoniale che lega l'uomo. L'elemento materiale è costituito dalla relazione carnale che, in modo costante, è tenuta dal marito con una donna che trovasi nella casa coniugale o che è notorio essere a lui vincolata dalla relazione stessa.

In questa figura di adulterio balza ancor più evidente la dimostrazione che la relazione può essere concretata da qualsiasi fatto di carnalità che stabilisca un rapporto. Infatti, cadono in confronto del marito non solo i motivi tradizionali, ma le ragioni sostanziali per cui si poteva restar dubitosi nel comprendere tra i fatti adulterini gli atti che non contengono il pericolo della commixtio sanguinis e della incertezza della prole.

La relazione suddetta deve svolgersi in condizione di concubinato. Il concubinato è il commercio carnale abituale con una donna non legalmente unita da matrimonio all'uomo che attua con lei tal commercio. Il concubinato è dato pertanto da una stabilità e abitualità di rapporti carnali in genere. Non è carattere del concubinato la convivenza, ma l'abitualità di congressi carnali, il ripetersi di convegni a tale scopo e l'accessibilità costante della concubina all'uomo. La concubina deve essere tenuta nella casa coniugale del marito o notoriamente altrove. Queste condizioni sono già stabilite nel cod. civ. (art. 150) per l'adulterio del marito come causa di separazione personale. Il codice penale usa la parola "tiene" una concubina a differenza del codice civile che dice "mantiene"; "mantenere" è verbo che indica che la persona è mantenuta con mezzi di sussistenza patrimoniali, laddove "tenere" stabilisce soltanto l'abitudine dei rapporti con la concubina. Pertanto, non occorre che il marito abbia collocato la concubina in casa propria o altrove, e neppure che debba provvedere al mantenimento di lei con spese anche parziali.

Quando la concubina non sia tenuta nella casa coniugale,ma altrove, è necessario che la relazione di concubinato sia notoria. Altrove indica qualunque altro luogo, anche la casa del marito della concubina. La notorietà è uno stato di fatto, apprezzabile dal giudice di merito, da cui risulta che la tresca è conosciuta da un gran numero di persone. Non è cosa identica allo scandalo, il quale può, se mai, essere una conseguenza della notorietà.

Il tentativo non è configurabile, giacché non è possibile un principio di esecuzione incriminabile, non essendo punibili i fatti isolati di adulterio del marito.

La perseguibilità di questo delitto nelle due forme di adulterio della moglie e di concubinato è ammessa soltanto per querela del soggetto passivo. Ciò era nel codice del 1889 ed è confermato nel progetto del 1927.

Questo dispone che la querela non è subordinata a termini speciali per potere essere esercitata, giacché vale la norma generale fissata all'art. 125, per cui l'esercizio del diritto di querela deve, in tutti i casi, effettuarsi entro tre mesi dal giorno della commissione del fatto o della notizia di esso: cadono quindi tutte le questioni particolari circa la decadenza del diritto di querela per quanto si riferisce al tempo in cui essa venga proposta, e circa la notizia del fatto, le quali nozioni vanno definite in base ai principî generali del codice, e quindi non possono esser qui trattate. Basterà ricordare che la notizia indica una conoscenza certa del fatto, non un dubbio sulla sua possibilità: e che per il progetto la questione del reato continuato non è più possibile, data la nozione di relazione come aggravante del reato: il che assicura l'interpretazione che ogni atto completa il delitto. Il progetto (art. 561), come il codice Zanardelli, dichiara che non vi è reato se il fatto sia commesso dalla moglie indotta o eccitata alla prostituzione; aggiunge l'ipotesi relativa al caso che il marito abbia comunque sfruttato i guadagni derivanti dalla prostituzione. Questa materialità di fatti si riferisce alla nozione del lenocinio e dello sfruttamento.

Lo stesso articolo del progetto stabilisce quanto era già considerato nel codice del 1889; e cioè lo stato di separazione o di abbandono come condizione che fa diminuire la pena per il coniuge colpevole legalmente separato o ingiustamente abbandonato.

Si deve trattare di uno stato di separazione legale, cioè tanto dichiarata giudizialmente quanto consensuale, riconosciuta legale con l'omologazione del tribunale. La legge si riferisce a fatti d'adulterio commessi durante la separazione, e perciò l'attenuante non si applica se la querela sia data pendente il giudizio relativo o prima dell'omologazione.

La separazione può essere avvenuta per qualunque causa, anche per l'adulterio di uno dei coniugi. Se lo stato di separazione cessa per una delle circostanze previste dal codice civile, cessano anche le condizioni su cui ha fondamento la minorante.

La remissione in relazione ai delitti di adulterio ha l'eccezionale efficacia di estinguere anche la condanna irrevocabile, della quale cessa l'esecuzione e cessano gli effetti penali. Il fondamento di questa norma va trovato nell'assoluta prevalenza accordata all'interesse privato. La remissione si riferisce alla condotta anteriore, quindi non vale per i fatti nuovi o per la permanenza che costituisce un prosieguo, ma sempre un rinnovarsi o ripetersi degli stessi fatti.

Fu discusso se la riconciliazione stragiudiziale possa equivalere alla remissione: per la disposizione dell'art. 160 cod. di proc. penale (del 1913), la discussione oggi non ha più ragione di essere.

Gli effetti della remissione si estendono ai compartecipi. È una remissione con speciale efficacia sull'essenza giuridica del delitto, anziché sulla procedibilità dell'azione.

L'altra causa estintiva, equiparata nella efficacia alla remissione nella figura specifica dell'art. 358 cod. pen. (563 del progetto) e cioè valida a estinguere anche la condanna, è la morte del coniuge offeso; il fondamento di questa esimente si riscontra nella considerazione dell'inutilità di punire, essendo cessato il rapporto giuridico matrimoniale. Il beneficio si estende ai compartecipi.

Se il coniuge offeso muore prima di dar querela, nessun altro in sua vece può darla.

Il progetto del 1927 ha aggiunto nell'art. 563 come causa di estinzione del reato, l'annullamento del matrimonio del colpevole di adulterio o di concubinato. Non occorre ripetere quanto già sopra fu detto, e cioè che tale annullamento dimostra la mancanza dell'oggetto della tutela penale in quanto questa è diretta all'esercizio giuridico della funzione sessuale e alla società coniugale legittima. Lo stesso progetto Rocco ha confermato che la condanna per delitto di adulterio importa come effetto la perdita dell'autorità maritale. Una innovazione di saliente portata è quella del capoverso dell'art. 562, per cui il giudice può, su istanza del coniuge offeso, pronunciare la sentenza di separazione personale insieme con la sentenza di condanna per adulterio o per concubinato, e dare gli altri provvedimenti che, a norma delle leggi civili, derivano a carico del coniuge per colpa del quale la separazione fu pronunciata.

Bibl.: G. Filangieri, Scienza della legislazione, Catania 1791; C. Ferrini, Pandette, Milano 1905; E. Pessina, Elementi di diritto penale, II, Napoli 1883; C. Ferrini, Storia del dir. pen. rom., in Encicl. di dir. pen., 1905; L. Landucci, Storia del dir. pen. rom., Padova 1898; P. Del Giudice, Dir. pen. germanico, in Encicl. del diritto pen., 1905, I, Schiappoli, Dir. pen. canonico, ivi; F. Carrara, Programma del corso di diritto criminale, Parte speciale, paragrafi 1865 segg.; P. Viazzi, Reati sessuali, Torino 1896; F. Puglia, Delitti di libidine, Napoli 1897; V. Manzini, Trattato di dir. pen. ital., Torino 1921, IV; P. Tuozzi, Delitti contro il buon costume, ecc., in Encicl. di dir. pen., 1909; E. Ferri, Sociologia criminale, Torino 1900; id., Divorzio e sociologia, in Scuola positiva, 1893, p. 774; M. Manfredini, Tratt. di dir. pen., Milano 1921, IX; id., Il divorzio e la criminalità, in Scuola positiva, 1921.

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