MICKIEWICZ, Adam

Enciclopedia Italiana (1934)

MICKIEWICZ, Adam

Giovanni Maver

Poeta polacco, nato a Nowogródek - o nel vicino villaggio di Zaosie - il 24 dicembre 1798, morto a Costantinopoli il 26 novembre 1855. Figura dominante nella storia letteraria e spirituale della Polonia, ammirato e amato da Mazzini "come la natura poetica più potente del secolo", M. ci appare oggi quale l'interprete più profondo della Polonia anteriore alla catastrofe e nello stesso tempo come uno dei più sicuri forgiatori della rinascita polacca. Egli deve questa sua posizione preminente non solo alla sua attività poetica e patriottica, ma anche alla granitica saldezza della sua personalità al cui ascendente non si sono sottratti quanti, Polacchi o stranieri, hanno avuto con lui consuetudine di vita o comunanza d'ideali.

Oriundo da una famiglia appartenente alla piccola nobiltà, crebbe a Nowogródek in un ambiente di quiete idillica - che poi egli stesso rievocherà nell'epilogo al Pan Tadeusz colorandolo della sua grande nostalgia di emigrato - finché nel 1812 gli morì il padre, lasciando la famiglia in condizioni precarie. Ebbe inizio così, per il ragazzo quattordicenne, il rude contatto con le difficoltà materiali che, con poche interruzioni, non lo abbandonerà più nel corso di tutta la sua vita. Intanto, grazie a una borsa di studio, ottenuta per esame, poté iscriversi nel 1815 alla vicina università di Vilna che proprio in quegli anni attraversava un periodo di grande splendore. Il M. vi acquistò, sotto la guida del filologo G. E. Groddeck e di J. Lelewel, un'ottima preparazione classica e storica. Ma sulla formazione culturale ed etica del giovine M. ebbe un'importanza non minore la compagnia di alcuni colleghi universitarî che assieme a lui, seguendo la moda delle associazioni segrete, fondarono nel 1817 una "Società dei filomati" (Towarzystwo filomatów) che aveva per scopo, oltre all'aiuto reciproco, esercizî di erudizione e di letteratura. Statuti severi imponevano ai soci, in questa palestra di studio e di virtù, un'attività regolare. Con imitazioni, parafrasi e traduzioni da Voltaire, il M. v'inaugurò il suo itinerario poetico e vi si cimentò anche, con recensioni sature di erudizione, quale critico letterario. In ambedue i campi egli è seguace fedele del razionalismo, e la sua cultura ha per ora carattere prevalentemente francese. Ma l'avvicinamento graduale e sempre più intenso alle letterature tedesca e inglese; l'amore infelice per la ricca, e a lui inaccessibile, Maryla Wereszczakówna; l'isolamento a Kaunas, nel cui ginnasio diventa professore nel 1819; il fascino che su di lui esercita il ritorno alla campagna dopo l'inurbamento a Vilna - tutto ciò conduce in lui al predominio del cuore sulla ragione.

Negli anni 1819-21 egli compone tutta una serie di ballate e romanze che, assieme a qualche poesia anteriore, riempiono la sua prima raccolta di Poesie (Vilna 1822). La prefazione a questo volumetto e la poesia Romanticismo, che ne fa parte, sono in un certo senso il manifesto del romanticismo polacco. Fissare lo sguardo nel proprio cuore; diffidare delle "morte verità" della ragione; imitare la primitività dei canti popolari (precetto magnificamente eseguito nella ballata Lilje "Gigli"); andare in cerca di ciò che è poeticamente suggestivo; introdurre nella poesia polacca il fantastico, il miracoloso - ecco il programma che il giovine M. realizza in queste "ballate e romanze", che si distinguono anche per grande fluidità ritmica, insinuante freschezza di dizione e un dialogare incalzante, ora limpido ora avvolto, per l'uso di reticenze volute, in un'aura di mistero. In questo primo volumetto non fu inserita dal M. la sua Oda do mlodości (Ode alla gioventù), ove con accenti schilleriani, egli esprime, per la prima volta, il suo entusiasmo sociale e della sua volontà di potenza. Più schiettamente romantica è l'opera lirico-drammatica Dziady (Gli avi) scritta negli anni 1821-22 di cui la prima parte rimase frammentaria e inedita, la seconda rievoca un'antica usanza locale che mette a contatto il mondo dei vivi col mondo dei morti, mentre nella quarta (una terza non esisteva, e la numerazione saltuaria è una delle tante mistificazioni romantiche di moda in quegli anni) l'autore, con appariscente e compiaciuto soggettivismo, fa raccontare da un eremita la storia del suo amore impetuoso e infelice. L'originalità di quest'ultima parte sta nella confessione schietta e violenta, mentre la figura del protagonista Gustavo - pur senza contorni netti - diventa simbolo dell'amore tragico e, nella vita del M., raffigura il periodo giovanile dedito all'amore. La 2ª e 4ª parte dei Dziady furono pubblicate nel 1823 insieme con Grażyna, che racconta l'eroismo di una principessa lituana che col sacrificio della propria vita salva suo marito dalla vergognosa e pericolosa alleanza con l'Ordine Teutonico. In questo "racconto lituano" ha maggiore agio di rivelarsi il talento epico del poeta, impacciato ancora un po', per l'accavallarsi di troppe influenze (le reminiscenze dell'Iliade vi assumono veste tassesca e i motivi della Gerusalemme si ammantano di forme tecniche care all'Ossian, a W. Scott e Byron) ma robusto e ricco di forza evocatrice.

Intanto il M. non aveva rallentato i legami con i suoi compagni di Vilna: anche da lontano manteneva stretti rapporti non soltanto coi "Filomati", ma anche coi "Filareti" che, costituiti nel 1820, avevano finalità più spiccatamente patriottiche. Ma nel 1823 la polizia di Vilna scopre l'attività di queste associazioni segrete e ne arresta i membri più autorevoli. Fra gli arrestati c'è naturalmente anche il M., che rimase sei mesi in prigione e che verso la fine del 1824 fu espulso dalla Lituania e costretto a recarsi a Pietroburgo. E in Russia egli resterà sino alla fine del 1829. Ma in questi cinque anni il M. matura rapidamente; sotto varî aspetti l'esilio si risolve in un beneficio. Di fronte ai contrasti stridenti di un mondo di elevate idealità e di spirito crudamente reazionario, ricco di fermenti culturali e adagiato in una passività apatica si acuisce il suo sguardo, si tempra la sua volontà e si rende indipendente il suo spirito. Fra i suoi amici russi vi sono le più eminenti personalità letterarie del tempo: il decabrista Corrado Ryleev, Alessandro Puškin, il principe Vjazemskij, il poeta Kozlov che diventerà poi il suo primo traduttore russo. Nessuno però avrà su di lui un'influenza così forte come il polacco Józef Oleszkiewicz: pittore, mistico, seguace del Saint-Martin, che sarà per il M. il primo iniziatore di esperienze di vita più profondamente religiose. Ma l'influsso dell'Oleszkiewicz si farà sentire più tardi: per ora il M., vive a Pietroburgo, Mosca e Odessa in tutta la sua pienezza la vita di società, smette gli ultimi residui di mentalità provinciale e s'impone a tutti con la sua salda e vasta cultura, con la sua personalità suggestiva di esiliato pieno di nostalgia e non meno col suo prodigioso dono d'improvvisazione.

I frutti poetici di tanto arricchimento non poterono tardare: anzitutto una serie di briosi "Sonetti erotici" che, felicemente ispirati al Petrarca, ritraggono la vita leggiera di Odessa; poi i "Sonetti di Crimea" (pubblicati insieme con i Sonetti erotici col titolo di Sonety a Mosca nel 1826) ove, con una ricchezza coloristica e descrittiva mirabilmente disciplinata e con un reciproco aderire e continuo fondersi di stati d'animo con visioni di paesaggi, un mondo esotico appare via via evocato dal "pellegrino" cui anche in mezzo a tanta magnificenza della natura non abbandonano gli echi di un passato ancor vivo.

Nel 1828 appare a Pietroburgo il grande poema patriottico Konrad Wallenrod, il cui protagonista - un lituano che tutta la vita ha meditato il riscatto della patria - riesce infine, sia pure a tradimento, a mandare in rovina l'Ordine teutonico, del quale, appunto per ottenere il suo scopo, si era fatto eleggere Grande maestro. Ma Wallenrod, prima ancora di raggiungere la meta, appare moralmente condannato dalla sua stessa azione e la sua tragica fine non è che il suggello inevitabile di tale condanna.

L'ultima opera scritta in Russia dal M. è la breve "cassida" Farys (1829): esaltazione stupenda della volontà umana, nella quale il "cavaliere" arabo, superati con irresistibile impeto tutti gli ostacoli della steppa, s'immerge, gigantesco e solitario, nell'infinito.

Aiutato dagli amici russi e da essi calorosamente salutato, M. abbandona la Russia il 15 maggio 1829: attraversata la Germania quasi affrettatamente sosta a Berlino e a Dresda, visita a Weimar il vecchio Goethe nel giorno del suo ottantesimo anniversario, e nel novembre giunge a Roma. Qui, sotto l'influenza di amici (l'abate St. Choloniewski), di letture (Lamennais) e dell'atmosfera stessa, rivive in lui la fede cattolica e più profondamente raccolto diventa il suo sentimento religioso. Alcune liriche, tra le più belle che egli abbia scritto (Rozmowa wieczorna, "Conversazione vespertina"; Rozum i wiara, "Intelletto e fede"), sono l'espressione poetica di questa trasformazione. Nel giugno dell'anno seguente egli è a Napoli e poco dopo visita l'Umbria, la Toscana, Genova (in quei giorni scrive l'ode Do matki Polki, "Alla madre polacca", che il Mazzini nel 1836 volse in italiano), si spinge fino a Ginevra, ove incontra il giovine Krasiński e nell'autunno ritorna a Roma. Qui lo coglie la notizia dell'insurrezione polacca. Per mancanza di denaro e per la crisi religiosa che tutto lo assorbe e forse per la poca fiducia in un esito felice della rivoluzione, non parte subito per la Polonia e quando infine, dopo un lungo giro attraverso la Svizzera e la Francia, giunge nell'agosto del 1831 nella regione di Poznań, è già troppo tardi per prender parte ai combattimenti. Con altri emigrati egli si reca a Dresda e qui, intimamente scosso dalla tragedia patria e pervaso da un'esaltazione mistica della propria missione, egli crea, in poche settimane, una delle sue opere più potenti, il dramma fantastìco Dziadów czéść trzecia (La 3ª parte degli Avi, stampata a Parigi nel 1833).

In esso la rievocazione delle sofferenze dei Filareti assurge a simbolo della lotta tra il Bene e il Male, mentre nell'"Improvvisazione" notturna il protagonista Gustavo-Corrado cerca, con titanica tensione di tutto il suo essere, di ottenere da Dio, assieme alla rivelazione del segreto della sua forza, il dono di governare le anime. Ma non all'orgoglio demoniaco di Corrado, bensì all'umiltà cristiana del sacerdote Pietro, Dio concede la visione della risurrezione della Polonia, la nazione di Cristo, e dell'avvento di un nuovo Messia. Al dramma segue un "Episodio" che, con penetrazione intuitiva uguale a quella di Gogol′ o Dostoevskij (si veda il capitolo Pietroburgo), ritrae il mondo russo quale era apparso alcuni anni prima al giovine esule, e fissa il rapporto del poeta polacco con gli "amici moscoviti" ai quali appunto è dedicato questo Episodio la cui calma e densità plastica contrastano stranamente con la irrequietezza visionaria degli Dziady.

Agli Avi si riallacciano, e in un certo senso ne sono la diretta continuazione, le Ksiégi narodu polskiego i pielgrzymstwa polskiego (Libri della nazione polacca e dei pellegrini polacchi) stampati già nel 1832, che in stile biblico arrecavano agli emigrati, dei quali il M. sempre più stava diventando la guida spirituale, il conforto di una dottrina che affermava l'utilità del sacrifizio dei Polacchi, li invitava alla lotta per la libertà propria e altrui, ne faceva, nella fede profonda in un messianismo collettivo della nazione polacca, i paladini di una rigenerazione morale di tutta l'umanità, gli apostoli di una nuova concezione etico-religiosa del mondo. I Libri ebbero un'enorme efficacia sullo spirito degli emigrati, e, tradotti subito in francese da Montalambert (1833) e ripetutamente in italiano (prima trad., Guida dei Pellegrini polacchi, ediz. anonima e clandestina, Lugano 1834) e in altre lingue, ottennero successo ovunque era sentito il bisogno di una liberazione da ogni ipocrisia, ingiustizia e oppressione.

Il poeta si era intanto trasferito a Parigi, centro dell'emigrazione polacca, ove, placati per breve tempo i sussulti d'indignazione e di esaltazione, il suo animo si rivolse alla terra "degli anni infantili" che egli rivisse nel poema Pan Tadeusz czyli ostatni zajazd na Litwie (Signor Taddeo, o l'ultima incursione in Lituania, 1834).

La visione, generata dalla nostalgia e sostenuta da una memoria prodigiosamente fedele e sicura, divenne via via più ampia e più nitida; si riempì di figure rappresentanti istituzioni scomparse; si popolò di persone che il M. aveva conosciute nell'infanzia; ebbe per cornice un paesaggio ricco di boschi e di prati e per sfondo uno dei più grandi avvenimenti nella storia di quelle regioni - l'approssimarsi della grande armata di Napoleone (al cui passaggio il M. aveva assistito nel 1812). Rinacque così una Polonia chiassosa ancora e sfaccendata, rissosa e attaccata a forme viete; ma chiara, serena, pervasa da fremiti patriottici al solo annunzio di una riscossa. Fra i personaggi - tutta una galleria di riuscitissimi e inconfondibili ritratti, si eleva il monaco Robak che dopo aver trascorso tutta la vita nell'espiazione di un assassinio commesso in gioventù, proprio alla vigilia della redenzione della patria redime sé stesso con l'ultimo sacrifizio: quello della propria vita.

Se si prescinde da poche liriche, scritte tra il 1838 e il 1840, e da alcuni mal riusciti tentativi in lingua francese, l'opera poetica del M. si chiude con il Pan Tadeusz. Non cessa del tutto la sua attività letteraria, ma essa, quando non si tratti di articoli di carattere strettamente pubblicistico, resta incompiuta, come la Storia polacca, intorno alla quale lavorò molto nel 1836. Maggiore importanza hanno le Zdania i uwagi (Sentenze e osservazioni) tratte dalle opere di G. Boehme, A. Silesio e Saint-Martin (pubbl. nel 1836). Libere traduzioni, soprattutto in forma di distici, queste "sentenze" ci rivelano la tendenza spirituale del M. nel periodo che segue immediatamente la cessazione dell'attività poetica.

Infatti la sua occupazione principale è tutta volta al perfezionamento morale non solo proprio, ma anche dei compagni emigrati. Da questa operosità non lo distolgono né le cure per la famiglia (nel 1834 sposa Celina Szymanowska che aveva conosciuto in Russia), né la grande povertà di quegli anni. Le sue condizioni materiali migliorano nel 1839, quando ottiene la cattedra di letteratura latina all'accademia di Losanna, e più ancora, quando, accettando l'offerta fattagli dal ministro V. Cousin, occupa, alla fine del 1840, la neoeretta cattedra di letterature slave al Collège de France. Sono, a Losanna e a Parigi, anni di lavoro faticoso e incessante che, per un breve tempo, sembrano allontanare il M. dalla meta spirituale e politica cui, in realtà, ha dedicato ormai la propria vita. Ma egli vi ritorna, proprio quando le sue lezioni - è la prima volta che nell'Occidente si parla degli Slavi da una cattedra universitaria - ottengono successi entusiastici. E vi ritorna in una maniera improvvisa e imprevista. Il 17 agosto 1841 si presenta a lui il conterraneo Andrea Towiański (v.), che gli comunica di essere venuto, seguendo l'ordine avuto da Dio, per annunziare agli emigrati la fine dell'esilio, il ritorno alla libertà e l'avvento di una nuova epoca di grazia divina che trasformerà l'aspetto della terra. Il M. ha subito, e senza riserva alcuna, fiducia nelle parole del messia lituano; tanto più che il Towiański era riuscito a curargli la moglie da una grave e persistente malattia mentale. S'inizia allora un periodo nuovo nella vita del M. Nella dottrina del Towiański egli ritrova parecchie idee che gli erano care sin dalla gioventù (p. es. la continua cooperazione tra il mondo e l'al di là); le speranze, nutrite da anni, diventano certezza; e nel gioioso operare, per trasmettere ad altri questa certezza, si sciolgono le sue ansie e i suoi tormenti. E poiché non tanto contemplativa, quanto fattiva e quasi eroica vuole essere la nuova fede del M., egli è tutto preso dal febbrile bisogno di realizzare rapidamente l'Opera di Dio" con un'organizzazione pratica e un severo disciplinamento del "Circolo" towianista di Parigi, del quale, dopoché il "Maestro", esiliato dalla Francia, è costretto, nel 1842, a riparare nel Belgio, il M. diventa il capo effettivo, pur continuando a ubbidire agli ordini che il Towiański gli trasmetteva. Anche l'insegnamento al Collège de France si trasforma in palestra dalla quale il M. annunzia e propaga il nuovo verbo, finché il governo insospettito (soprattutto per la glorificazione di Napoleone) non lo sospende, nel 1844, dalle lezioni. Eppure, per ragioni tattiche soprattutto - il Towiański, al contrario del M., non sentiva alcun bisogno di affrettare il ritmo della sua attività che egli preferiva proiettare nei secoli futuri - si giunge, nel 1846, a una rottura tra i due, e il M. fonda, con pochi dissidenti, un "Circolo" proprio che però non ha lunga durata, perché il fervore quarantottesco riporta al primo piano del suo programma la lotta per la liberazione della patria. Il luogo più adatto per iniziarla gli sembra Roma, poiché anche egli spera che papa Pio IX vorrà mettersi a capo di tutti gli oppressi. Qui egli giunge al principio del '48, si riconcilia con la chiesa cattolica, e con una piccola schiera di compatrioti, costituenti il primo nucleo della "Legione polacca", si mette in marcia verso la Lombardia per combattere con gl'Italiani contro l'Austria. Questa marcia, preceduta da un atto programmatico di fede detto Simbolo politico polacco (e il programma aveva carattere religioso-socialista), è salutata entusiasticamente dalle popolazioni incontrate lungo la strada. Alla fine il piccolo gruppo giunge a Milano e qui, dopo non poche difficoltà, causate in parte da Polacchi avversarî del M., la legione è incorporata nell'esercito lombardo.

Il M. ritorna allora a Parigi, sia per reclutarvi altri Polacchi per la legione, sia perché la rivoluzione francese aveva dato nuovo nutrimento alle sue speranze di liberare la Polonia dal giogo delle tre potenze. Più che mai attivo, egli assume nel 1849 la redazione della Tribune des peuples ove, fra l'altro, pubblica una serie di articoli pieni di calda simpatia per la causa italiana e soprattutto per l'azione svolta da Mazzini che egli aveva conosciuto personalmente a Milano. Ma verso la fine dell'anno deve abbandonare la redazione del giornale che era diventato sospetto al nuovo governo. Nel 1852 inoltre gli è tolta definitivamente - insieme con gli amici Michelet e Quinet - la cattedra al Collège de France. Lo stesso anno ottiene bensì un posto alla biblioteca dell'Arsenal, che avrebbe potuto assicurargli una vita tranquilla, ma la quiete non era fatta per uno spirito così attivo: nel 1855 egli si reca in missione politica a Costantinopoli, e qui, improvvisamente, a quanto pare di colera, muore il 26 novembre dello stesso anno. La sua salma fu trasportata un anno dopo nel cimitero di Montmorency e da lì, nel 1890, trasferita nel Pantheon polacco: il Wawel di Cracovia.

A Parigi esiste, fondato dal figlio Ladislao, e dal 1903 aperto al pubblico, il Musée A. M., che contiene anche una ricchissima raccolta di manoscritti riguardanti l'attività letteraria, sociale e politica di A. M. (v. Katalog rékopisów Muzeum A. Mickiewicza w Paryżu, Cat. dei mss. del Museo A. M. a Parigi), Cracovia 1931.

Ediz.: È in corso di stampa, a cura di un comitato di redazione, la grande ediz. nazionale Dziela wszystkie di A.M. Finora ne sono usciti quattro voll.: V, VI, Xl, XVI (Varsavia 1933) tutti corredati d'importanti studî introduttivi dovuti in buona parte a St. Pigoń. Delle ediz. precedenti, tutte più o meno incomplete, va citato anzitutto quella critica della "Società letteraria A. Mickiewicz" (Towarzystwo liter. im A. M.) di cui però furono pubblicati, a lunghi intervalli, soli 5 voll., Leopoli 1893-1910. Inoltre: l'ediz. in 11 voll. a cura di Wl. Mickiewicz, Parigi 1880-85; quella in 12 voll. a cura di T. Pini e Reiter, Leopoli 1911-13; in 4 voll. a cura di St. Pigoń, Leopoli 1929. Fra le ediz. di opere singole meritano menzione quelle della Bibljoteka Narodowa di Cracovia e particolarmente: Pan Tadeusz e Ksiégi narodu polskiego i pielgrzymstwa polskiego, a cura di St. Pigoń e Komad Wallenrod a cura di J. Ujejski. Inoltre: Dziady III a cura di W. Borowy, Varsavia 1920; Grażyna a cura di W. Bruchnalski, Leopoli 1922. Fra le ediz. originali in francese: La Tribune des Peuples par A. M., a cura di V. Mickiewicz, Parigi-Cracovia 1907 (la migliore ediz. polacca a cura di E. Haecker, Biol. Nar.); Les Slaves, cours professé au Collège de France (1842-44), Parigi 1914. Delle trad. italiane c'è, nel numero unico della Riv. di cultura (giugno-luglio 1924), dedicato a A. M., un saggio bibl. di R. Pollak e E. Damiani. Le più importanti sono: A. Ungherini, Gli Dziady, Il Corrado Wallenrod e poesie varie, Torino 1898; A. Palmieri, Grażyna, Napoli 1924; C. Garosci, Pan Taddeo Soplitza (intr. di C. Agosti Garosci), voll. 2, Lanciano s. a. [1924]; A. Palmieri, A. M. Antologia della vita spirituale, Roma 1925; E. Damiani, Canti, Firenze 1926; O. Skarbek-Tluchowski, Sonetti di Crimea (Stamperia polacca di M. e S. Tyszkiewicz), Firenze 1929.

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