ELSHEIMER, Adam

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 42 (1993)

ELSHEIMER (Ehltzeimer), Adam

Enrico Parlato

Figlio primogenito del sarto Anton e di Martha Reussen figlia di un bottaio, fu battezzato a Francoforte sul Meno il 18 marzo 1578 e chiamato Adam in onore del padrino, il farmacista Adam Keck (Weizsäcker, 1910).

Le ricerche archivistiche e documentarie di Gwinner (1867) e, soprattutto, quelle di Weizsäcker (1910) permettono di ricostruire vicende e ambito sociale della famiglia Elsheimer. Il padre, originario di Wörrstadt (Assia Renana), il 7 febbr. 1577 aveva ottenuto la cittadinanza di Francoforte e il 22 aprile dello stesso anno si era sposato. Il certificato di matrimonio così come gli atti di battesimo dell'E. e dei suoi fratelli provengono dagli archivi della Comunità luterana di Francoforte, a cui evidentemente apparteneva la famiglia. La piena integrazione all'interno del ceto borghese e artigianale sembra ulteriormente testimoniata dai certificati di battesimo dei sette fratelli più giovani (l'ultimo è del 1598, Johann, nato nel 1593, fu anch'egli pittore), che ebbero per padrini personaggi che avevano posizioni ufficiali nella vita pubblica della città o che comunque svolgevano attività artigianali.

Il Sandrart (1675) ricorda l'apprendistato dell'E. presso il pittore Ph. Uffenbach, discepolo alla lontana di M. Grünewald, del quale possedeva una nutrita serie di disegni. Il periodo di tirocinio dovette avere inizio nel 1592 (Koch, 1977) o, al più tardi, nel 1594 (Weizsäcker, 1910): ne sono prova i disegni contenuti nei taccuini di Karlsruhe (Staatliche Kunsthalle) e di Düsseldorf (Kunstmuseum), dai quali risulta che il pittore nel 1596 operava in modo autonomo, dal momento che negli statuti della corporazione dei pittori del 1630 erano stabiliti quattro anni di apprendistato (Koch, 1977).

L'allegoria della Fama (Karlsruhe), accompagnata da alcuni versi moraleggianti dello stesso E., reca la data 1596 ed è inserita nel taccuino del pittore F. Brentel (1580-1651) di Strasburgo, un Album amicorum dove si rinvengono in pegno di amicizia disegni di altri artisti. Nel medesimo volume, il foglio firmato dall'E. è seguito da un altro del pittore J. Vetter ir. di Francoforte. Il legame tra i due fogli di Karlsruhe è chiarito da un terzo disegno (Düsseldorf), anch'esso datato 1596 e che reca la duplice firma dell'E. e di Vetter. Si tratta del progetto per la vetrata commemorativa di Philipp Mohr e della moglie Caterina (madrina nel 1579 di una sorella dell'E.), prova del viaggio di studio compiuto dai due pittori a Strasburgo per perfezionare la tecnica vetraria.

Il profondo legame con la bottega di Uffenbach, tassello importante nella formazione dell'E., emerge da una serie incisoria dedicata alla spedizione nelle Indie Orientali del capitano C. Houtinan. Le tavole pubblicate nel 1598 a Francoforte recano la sigla AE.

Si tratta delle illustrazioni delle Messrelationen, una sorta di almanacco edito in occasione delle due fiere di Francoforte, nel quale venivano registrati gli avvenimenti più importanti, illustrati negli anni precedenti dallo stesso Uffenbach; del resto una delle tavole della spedizione di Houtman (la Veduta di Bantam) è opera di Georg Keller, altro artista associato alla bottega di Uffenbach. Da questi dati risulta anche evidente che il legame dell'E. con l'incisione e con la pittura su rame - elemento caratteristico della tecnica pittorica del maestro - debba essersi radicato già durante l'apprendistato presso Uffenbach. L'ambiente artistico di Francoforte viene così ad assumere oggi un ruolo assai più rilevante che in passato, quando invece si sottolineava l'importanza dei pittori di paesaggio del Frankenthal. Per il giovane pittore - come del resto per Uffenbach - è Dürer modello e punto di riferimento: lo provano la Strega (Hampton Court), derivata da una incisione del maestro di Norimberga, e l'Incoronazione della Vergine (Berlino, Staatliche Museen Preussischer Kulturbesitz), copia del quadro dell'altare Heller dipinto da Dürer quasi un secolo prima per la chiesa dei domenicani a Francoforte. Il contesto è quello di una cultura profondamente radicata nella tradizione del primo Cinquecento tedesco: Dürer appunto, Grünewald e A. Altdorfer (Andrews, 1977).

La rapida indicazione del Sandrart (1675, p. 160) "presto viaggiò attraverso la Germania sulla via di Roma" e un disegno permettono di ricostruire, sia pure in modo frammentario, gli anni 1598-1600, dal definitivo abbandono di Francoforte, dai "Wanderjahren" al soggiorno romano, periodo a cui risalgono tra gli altri il Sogno di Giuseppe e la Conversione di s. Paolo (entrambi a Francoforte, Städelsches Kunstinstitut).

Il disegno oggi a Brunswick (Herzog Anton Ulrich-Museum), firmato e datato 1598, raffigura Un pittore presentato al cospetto di Mercurio; l'opera dal soggetto allegorico e al tempo stesso autobiografico (Koch, 1977) è inserita anch'essa in un Liber amicorum. Non sappiamo chi fosse il proprietario e destinatario del pegno di amicizia, ma le annotazioni che vi sono contenute fanno ritenere che si trattasse di un artista monacense attivo sullo scorcio del Cinquecento: la datazione degli altri fogli del taccuino oscilla tra il 1595 e il 1598. Il disegno verrebbe così a comprovare la presenza dell'artista a Monaco nel 1598 alla vigilia della partenza per l'Italia (Weizsäcker, 1910), soggiorno che probabilmente non fu solo una semplice tappa sulla via di Venezia, come sembrerebbe indicare la durevole traccia sul suo lavoro dell'opera di Altdorfer e di altri pittori bavaresi.

Andrews (1977) posticipa quindi al 1599 l'arrivo a Venezia dell'E., che nella città lagunare costituì probabilmente un sodalizio con il pittore bavarese H. Rottenhammer (1564-1625). Dall'impatto con la pittura veneta e dallo scambio di idee con Rottenhammer nascono i primi capolavori: la Sacra Famiglia (Berlino, Staatliche Museen Preussischer Kulturbesitz) e il Battesimo di Cristo (Londra, National Gallery).

Nella prima figure e paesaggio si fondono nel vibrare della luce, nel secondo il monumentale taglio prospettico alla Veronese si conserva nel formato ridotto della lastra di rame. A Venezia dall'incontro tra la visione paesistica oltremontana e quella veneta prende forma il paesaggio elsheimeriano.

Il 21 apr. 1600 l'E. era ormai a Roma. La data e il luogo con la firma compaiono nell'Album amicorum di Abel Prasch (Monaco, Bayerisches Nationalmuseum, Bibl. 245, p. 41) a documentarne la presenza in coincidenza con l'anno santo in compagnia di un connazionale (Prasch era il secondogenito del noto organista di Augusta).

La seconda notizia risale perlomeno al 1603 e la troviamo in un testo a stampa: il celebre Schilderboek …di Carel van Mander. Pubblicato nel 1604 a Haarleni, reca al suo interno la data 19 luglio 1603 e sembra che le informazioni sull'artista fossero raccolte a Roma a partire dal 1602 (Koch, 1977). Il pittore e storico olandese ricorda che l'E. era un eccellente pittore tedesco e che aveva fatto i maggiori progressi proprio a partire dall'arrivo a Roma. Ai primi anni romani risalgono il Naufragio di s. Paolo a Malta (Londra, National Gallery) e l'Incendio di Troia (Monaco, Alte Pinakothek), opere ancora pervase di elementi aneddotici e fantastici di ascendenza fiamminga, forse ispirati a P. Brill. Nel Martirio di s. Stefano (Edimburgo, National Gallery), di poco posteriore, emerge una osservazione realista dell'evento che consente di tenere sotto controllo l'afflato patetico suggerito dall'intensa cromia e dal paesaggio, dove affiorano evidenti declinazioni carraccesche.

Nelle opere di tale periodo l'accento nordico dell'E. si scioglie in una appassionata attenzione al naturale - esaltata dalla stessa tecnica pittorica, l'olio su rame - nella progressiva messa in opera di una visione realista, analoga, ma formalmente diversa da quella caravaggesca, e che può essere avvicinata a quella del veneziano C. Saraceni.

Solo a partire dal 1606 una più completa serie documentaria permette di seguire con maggiore dettaglio la vita dell'E., che intanto aveva abbracciato la religione cattolica: negli Stati d'anime risulta sempre comunicato. Nel dicembre di quell'anno sposò la conterranea Carla Antonia Stuarda (Andrews, 1977). Da allora gli Stati d'anime della parrocchia di S. Lorenzo in Lucina ne registrano la residenza insieme con la famiglia in zona prossima all'attuale via del Babuino, area prescelta dalla comunità di artisti stranieri residenti a Roma. Testimoni del matrimonio furono il pittore mantovano P. Facchetti, P. Brill e il medico di Bamberga J. Faber.

Non sorprende la presenza dei due artisti: Brill a Venezia aveva lavorato con Rottenhammer e fin dai primi anni romani dovette essere un punto di riferimento per l'E., un rapporto che emerge anche dai primi dipinti romani; Facchetti, agente dei Gonzaga, insieme con Rubens avrebbe caldeggiato l'acquisto della Morte della Vergine di Caravaggio. L'E. dovette conoscere la stessa Carla Antonia Stuarda (morta il 27 sett. 1620) tra gli artisti stranieri residenti a Roma. In prime nozze la donna - nata a Francoforte, ma di origini scozzesi - aveva infatti sposato il pittore lorenese Nicolas de Breul (8 ott. 1600); morto l'E., sposerà nel 1611 il pittore Ascanio Quercia. Dal matrimonio con la Stuarda nacque il 4 ott. 1608 il figlio Giovanni Francesco, tenuto a battesimo da una certa Lavinia Ugolina e dal Faber. Abbiamo scarne notizie del giovane Giovanni Francesco: un compromesso pattuito nel 1629 tra lui e il patrigno A. Quercia ne registra l'intenzione di entrare nell'Ordine benedettino (Bousquet, 1980).

Il nome del Faber apre lo spiraglio più interessante sull'ambiente culturale frequentato dall'E.; il medico di Bamberga, infatti, archiatra pontificio, lettore di anatomia alla Sapienza, direttore dell'orto botanico, socio e cancelliere della Accademia dei Lincei, fu scienziato e umanista e coltivò amichevoli rapporti con gli artisti: a parte quelli documentati con l'E. ne sono prova la dedica della serie incisoria degli Scheletri di animali di Filippo Napoletano e lo scambio epistolare con Rubens, che fu suo paziente. Il sodalizio tra l'E., Faber e Rubens emerge da una lettera (10 apr. 1609; Rubens [1987], p. 73), indirizzata da quest'ultimo a Faber, dove si rievoca con nostalgia la cerchia di amici frequentati durante gli anni romani (fine 1605-1608). Rubens collezionò tra gli altri alcuni dipinti dell'E., fra cui l'importante Giuditta eOloferne (Londra, Apsley House), ed eseguì una copia del Contento (Edimburgo, National Gallery; Muller, 1989).

Non si trattò di un legame occasionale, originato dalle comuni origini nordiche, ma di un rapporto basato piuttosto sulla convinta adesione a un umanesimo dal forte rigore etico e morale. Nel Contento (1607 c.) il complesso tema iconografico desunto da Mateo Alemán (1599) è incentrato sull'impossibilità di trovare la felicità sulla terra (Andrews, 1971). Al medesimo austero moralismo neostoico - probabilmente ispirato al pensiero di Giusto Lipsio - sono informati la Derisione di Cerere (Madrid, Prado) e Giove eMercurio nella casa di Filemone e Bauci (Dresda, Staatliche Kunstsammlungen).

Gli interessi scientifici e naturalistici del Faber e lo stretto legame con la cerchia del cardinal F. Cesi - di cui facevano parte Galileo e il cardinale F. M. Bourbon del Monte - costituiscono parte integrante della poetica dell'E.: la natura si fonde intimamente a temi mitologici o religiosi - per esempio nel chiarore lunare e nel cielo stellato della Fuga in Egitto (Monaco, Alte Pinakothek) - o ne diventa essa stessa protagonista nell'Aurora (Brunswick, Herzog Anton Ulrich-Museum). In questa cerchia l'E. dovette trovare un gruppo di estimatori e di collezionisti che apprezzavano il piccolo formato, la preziosità materica e lo spessore intellettuale del paesaggio elsheimeriano; in tale contesto va vista l'ammissione del pittore all'Accademia di S. Luca (documentata da un pagamento del 1607, Andrews, 1977).

Gli Stati d'anime che vanno dal 1607 al 1609 registrano come convivente della famiglia dell'E. anche un certo "Enrico pittore" (ibid.). Si tratta dell'incisore olandese Hendrick Goudt (1573-1648), suo allievo e probabilmente socio d'affari, forse responsabile di un oscuro episodio (Sandrart, 1675) che portò all'arresto dell'E. per debiti.

La pratica incisoria risale agli esordi dell'attività dell'E., tale consuetudine è testimoniata da Rubens, che ne ricorda la tecnica seguita: "…per incavarlo poi co l'acqua forte lui metteva come una pasta bianca sopra il rame, et poi scolpendo col ago fino sopra il rame, essendo quello un poco rossiccio di natura pareva ch'egli dessignasse col lapis rosso in carta bianca" (1987, p. 112). Tuttavia pochissime sono le acqueforti risalenti al periodo romano e la loro fedeltà al modello pittorico è tale da fare ritenere che l'E. si affidasse alla grafica per rendere note le proprie composizioni. Sembra quindi del tutto ragionevole pensare che delegasse tale compito a Goudt. Notoriamente lento, l'E. dipingeva opere destinate solo al collezionismo privato; attraverso la stampa contava quindi di ampliare il proprio pubblico, accrescendo così fama e guadagni. Tra il 1608 e il 1610 Goudt incise alcune lastre sotto la supervisione del maestro (Andrews, 1977), ricordato nell'invenit; poi, morto l'E., Goudt continuò tale attività in Olanda, sfruttando i disegni del maestro in suo possesso, senza però citare il vero autore delle composizioni. Un plagiario quindi, anche nel sovrapporsi e interpretare la maniera dell'E. (in particolare nel disegno): a lui, tuttavia, spetta il merito di averne reso nota l'opera nell'Europa settentrionale.

L'E. morì l'11 dic. 1610 "alla strada Paolina" e fu sepolto nella chiesa di S. Lorenzo in Lucina (Andrews, 1977).

Una settimana dopo la notizia giunse ad Anversa. Ancora oggi la risposta di Rubens a Faber rimane il migliore epitaffio alla vita e all'opera del pittore: "…dovrebbe per tale perdita vestirsi di lutto stretto tutta la nostra professione, la quale non ritroverà facilmente un par suo che, al giudicio mio, in figurette et in paesi et in qual si voglia cirostanza non ebbe mai pari. ( … ) Io per me non stimo d'esser mai stato maggiormente trafitto al cuor di dolore che con questa nova né guarderò giammai con occhi d'amico costoro che l'hanno ridotto a sì miserabil fine. E prego il sigr. Idio che voglia perdonar al sigr. Adamo il peccato d'accidia, mediante la quale ha privato il mondo di cose bellissime e causatosi molte miserie e ridotto, come credo, sé stesso quasi in disperatione ove poteva colle proprie mani fabricar una gran fortuna i farsi rispettar di tutto il mondo …" (Rubens [1987], p. 75).

La stima e il valore (anche commerciale) delle opere dell'E. risulta evidente dall'inventario dei beni fatto redigere dalla moglie immediatamente dopo la sua prematura morte (Andrews, 1972) e dai tentativi di collezionisti illustri di accaparrarsi le opere di un artista dal catalogo così contenuto.

A dispetto dei dati biografici, del destino poco propizio e del malinconico umor nero, la personalità dell'E. non va letta in chiave romantica, ma nel contesto della cultura scientifica e umanistica romana del primo Seicento, in un felice incontro tra poesia della natura e osservazione del vero, dove il piccolo formato esalta il poetico microcosmo raccolto nelle veduta paesistica. Una lezione ripresa per aspetti diversi da Rubens e Rembrandt; al paesaggio elsheimeriano guardarono anche Filippo Napoletano, A. Tassi, D. Fetti, C. Lorrain e lo stesso S. Rosa.

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