Acqua

Il Libro dell'Anno 2000

Gianfranco Bologna

Acqua

Sora aqua… pretiosa et casta: non sprecare, non inquinare

Acqua a sufficienza per tutti: una sfida per il 21° secolo

di Gianfranco Bologna

17 - 22 marzo

Si tiene all'Aia, alla presenza di quasi cinquemila delegati, il secondo Forum mondiale sull'acqua, promosso dal World water council, un comitato internazionale non governativo di esperti di politica gestionale dell'acqua, istituito nel 1996 con il sostegno della Banca mondiale, di alcuni governi e di grandi imprese private. Al centro dei lavori il problema della penuria dell'acqua, che sta assumendo proporzioni ovunque allarmanti e critiche nei paesi del Terzo Mondo. Parallelamente al Forum si svolge, su iniziativa del governo olandese, una Conferenza ministeriale, cui partecipano centocinquantotto delegazioni in rappresentanza di centotrenta Stati e delle principali organizzazioni internazionali. Al termine è rilasciata una Dichiarazione congiunta che mira a richiamare l'attenzione dei politici sulla situazione dell'acqua nel mondo e a sollecitare azioni concrete a tutela del patrimonio idrico.

Usi e abusi delle risorse idriche

Sandra Postel, direttrice del Global water policy project, ha scritto: "Come ebbe a dire l'inventore e diplomatico Benjamin Franklin, 'quando il pozzo è asciutto, ci rendiamo conto del valore dell'acqua'; sfortunatamente oggi in gran parte del mondo si corre il rischio di imparare la lezione di Franklin nella maniera più dura. Per decenni l'acqua è stata oggetto di spreco, di utilizzazione sconsiderata e di abuso: ora gli effetti incominciano a farsi sentire".

Il consumo globale di acqua è in continua crescita e la natura ci invia segnali in merito alle conseguenze: quasi ovunque i livelli delle falde acquifere vanno diminuendo in maniera preoccupante, molti laghi riducono la loro superficie (esamineremo in dettaglio il caso del Lago di Aral), varie zone umide sono esposte a un processo di desertificazione. Diventa sempre più serrata la competizione tra città, agricoltura e industria sulle acque disponibili. Numerose nazioni si trovano in condizioni di scarsità di acqua tali che l'approvvigionamento da fiumi transfrontalieri potrebbe provocare persino conflitti armati. L'uso dell'acqua a livello globale è più che triplicato dal 1950 a oggi. Attualmente la nostra specie consuma direttamente oltre 3300 km3 di acqua all'anno (una cifra otto volte superiore al flusso annuo del fiume Mississippi). Abbiamo detto di proposito 'direttamente' perché questa stima si riferisce al quantitativo reale sottratto a fiumi, laghi e falde, senza considerare le masse d'acqua che indirettamente utilizziamo come produzione di elettricità, come fonte di diluizione dell'inquinamento da noi stessi provocato e come garanzia del mantenimento dei centri di pesca e di fauna. A livello pro capite, oggi, nel mondo, si consumano mediamente 800 m3 di acqua all'anno, il 50% in più di quella che veniva consumata nel 1950, ed è evidente che questa cifra media non rende conto dell'enorme divario esistente, nell'uso di acqua, tra paesi ricchi e paesi poveri.

Le risposte alla scarsità d'acqua hanno finora seguito logiche obsolete, non orientate al risparmio, al minor consumo e miglior 'riciclaggio' possibile della preziosa risorsa, ma volte piuttosto alla realizzazione di faraonici progetti idrici, come grandi dighe e deviazioni di fiumi, che provocano devastazioni ambientali e ingenti danni umani e sociali, sui quali esiste ormai un'ampia letteratura. Ancora Postel ammonisce: "Per venire incontro alle necessità umane, dovendo altresì fronteggiare i limiti intrinseci dell'acqua (in senso economico, ecologico e politico), è necessario porsi in relazione con questo elemento in modo completamente nuovo. Nel corso della storia abbiamo trattato l'acqua con uno spirito di frontiera, manipolando i sistemi naturali fino a raggiungere i limiti estremi consentiti dalle capacità tecnologiche. La società moderna è giunta a considerare l'acqua soltanto come una risorsa disponibile da cui attingere a volontà, anziché come il sistema che sostiene la vita, che costituisce il substrato del mondo naturale da cui dipendiamo. Invece di impegnarci continuamente nella ricerca di altra acqua, dobbiamo incominciare a cercare, all'interno delle nostre regioni, delle nostre comunità, delle nostre case e di noi stessi, i modi possibili per soddisfare le nostre necessità rispettando nel contempo la funzione principale dell'acqua, quella di essere la base della vita".

Gli impieghi agricoli

A livello mondiale l'acqua che viene prelevata dalle falde e dai fiumi per il consumo umano finisce per il 70% in usi irrigui e agricoli, per il 20% in usi industriali e per il 10% in usi residenziali. Ovviamente il quadro varia a seconda delle regioni: in Europa l'impiego industriale dell'acqua è predominante, mentre in Asia l'85% dell'acqua risulta destinato a scopi irrigui.

Senza dubbio uno dei problemi più rilevanti legati alla scarsità di acqua riguarda il sovrasfruttamento delle falde acquifere. In Cina, India, Africa settentrionale, Arabia Saudita e Stati Uniti tale sovrasfruttamento supera centosessanta miliardi di tonnellate di acqua all'anno. Se teniamo conto del fatto che, mediamente, per produrre una tonnellata di cereali sono necessarie mille tonnellate d'acqua, allora l'uso dell'acqua delle falde equivale a centosessanta milioni di tonnellate di cereali, quantità più o meno pari alla metà della produzione statunitense. I deficit più gravi si riscontrano in India e in Cina, paesi entrambi abitati da popolazioni superiori al miliardo di individui. In India la crescita della popolazione, triplicata rispetto al 1950, ha causato un incremento dell'uso dell'acqua fino al doppio di quello considerato sostenibile; le falde si sono vistosamente assottigliate e moltissimi pozzi nei villaggi si sono prosciugati. L'autorevole International water management institute ha calcolato che la riduzione delle riserve idriche sotterranee potrebbe far diminuire di un quarto la produzione cerealicola indiana. In un paese in cui la popolazione cresce di diciotto milioni di abitanti all'anno e dove oltre la metà dei bambini è sottopeso, un'ulteriore carenza di risorse alimentari condurrebbe a un drammatico peggioramento della denutrizione, che già miete sei milioni di vittime all'anno. In Cina l'esplosione economica avutasi dal 1980 ha portato a un'intensificazione dell'uso delle riserve idriche, tale da superare ogni livello di sostenibilità. Le falde declinano ovunque: nelle pianure settentrionali, che producono il 40% del raccolto nazionale di cereali, si stanno abbassando di 1,6 m all'anno. È evidente quindi l'importanza di adottare tecniche agricole in grado di ottimizzare l'uso dell'acqua, come per es. il cosiddetto LEPA (Low energy precision application, applicazione di precisione a bassa energia), che consente di erogare l'acqua a stretto contatto con le colture, grazie alla presenza di sgocciolatoi verticali che si dipartono dal braccio orizzontale, con un notevole risparmio idrico.

Gli impieghi industriali

Come abbiamo già rilevato, ci vogliono mille tonnellate di acqua per produrre una tonnellata di cereali, pari al valore di duecento dollari, mentre la stessa quantità di acqua può essere utilizzata per espandere l'output industriale di 14.000 dollari. Questo dato spiega, con immediata evidenza, perché, nella competizione per l'acqua, l'uso industriale vinca sempre rispetto agli usi agricoli. Quando la crescita della domanda per l'acqua contrasta con i limiti del rifornimento, di solito i paesi soddisfano le nuove richieste sottraendo acqua all'irrigazione.

La produzione degli oggetti del nostro consumo richiede spesso un impiego elevato di risorse idriche: per un chilogrammo di carta sono necessari almeno settecento chilogrammi di acqua e per una tonnellata di acciaio ne servono fino a duecentottanta tonnellate. Generalmente l'attività industriale è responsabile per circa un quarto del consumo idrico globale; in molti paesi industrializzati può costituire dal 50 all'80% del consumo nazionale rispetto a percentuali dal 10 al 30% dei paesi più poveri. Contrariamente a quanto avviene in agricoltura, solo una piccola frazione dell'acqua usata nelle attività industriali viene effettivamente consumata; una gran parte viene infatti utilizzata per la produzione di riscaldamento o come recipiente di sostanze della lavorazione industriale.

Nel campo industriale le potenzialità per un efficace riciclaggio dell'acqua sono molto elevate e, fortunatamente, cominciano a essere messe in pratica in diverse situazioni. I maggiori consumatori di acqua sono i comparti chimico, siderurgico e cartario, che utilizzano il 60% dell'acqua destinata al consumo industriale. Si possono senz'altro ottenere, attraverso il riciclaggio delle scorte di acqua nelle lavorazioni, rese maggiori da ogni metro cubo di acqua erogato. Le acciaierie statunitensi, per es., hanno ridotto il loro prelievo idrico a quattordici tonnellate per ogni tonnellata di acciaio; l'ulteriore fabbisogno viene assicurato dal riciclaggio.

È opportuno ricordare i successi ottenuti da Giappone, Stati Uniti e Germania nella produttività idrica industriale, dovuti anche alle normative antinquinamento adottate da questi Stati. Il Giappone ha visto un picco nel consumo idrico industriale nel 1973, per poi operare una riduzione pari al 23% nel 1989; il tasso di riciclaggio dell'acqua ha avuto considerevoli incrementi rispetto agli inizi degli anni Sessanta. Negli Stati Uniti il consumo idrico industriale è sceso del 36% rispetto al 1950, mentre la produzione è aumentata di 3,7 volte. Nella ex Germania occidentale il consumo idrico totale dell'industria si trova oggi allo stesso livello del 1975, mentre la produzione industriale è aumentata del 44%; le cartiere tedesche rimodernate impiegano solo sette chilogrammi di acqua per produrre un chilogrammo di carta, ossia l'1% della quantità che ancora oggi viene consumata altrove a causa dell'utilizzo di impianti più antiquati.

Con l'evoluzione delle tecniche di risparmio e riciclaggio, il comparto industriale può ridurre il fabbisogno idrico dal 40 al 90%, ricorrendo a metodi già a disposizione e contribuendo a fronteggiare l'inquinamento delle risorse idriche.

Gli impieghi urbani

L'uso di acqua per soddisfare i fabbisogni di abitazioni, uffici e, in genere, dei contesti urbani contribuisce per un decimo al consumo idrico globale. Nel 1950 nelle città vivevano settecentosessanta milioni di persone, nel 1998 più di 2,7 miliardi. Nel 2050 si prevede che la popolazione urbana sarà di circa 6,2 miliardi, una cifra corrispondente all'intera popolazione attuale del globo. Nel 1800 soltanto una città, Londra, aveva un milione di abitanti; oggi le città con più di un milione di abitanti sono trecentoventisei, e sono sedici le cosiddette megalopoli, con più di dieci milioni. In testa è Tokyo con ventotto milioni, segue Città del Messico con diciotto. Per passare da uno a otto milioni di abitanti ci sono voluti per Londra centotrenta anni, per Città del Messico solo trenta.

I sistemi idrici urbani si trovano spesso al collasso, soprattutto nei paesi poveri, e molte famiglie non riescono a beneficiare di questi servizi. In varie città si sta diffondendo l'idea, condivisibile, che è necessario ridimensionare la domanda di acqua, razionalizzando al massimo i servizi, invece di cercare continuamente di soddisfarla. In questo modo si ottengono una più sicura disponibilità idrica, maggiore tutela ambientale e risparmi in termini economici.

Per ottenere contemporaneamente un miglioramento dei servizi idrici e un abbattimento del consumo domestico occorrono interventi di tipo economico, come incentivi al risparmio e disincentivi all'abuso, normative di regolamentazione e opere di sensibilizzazione del pubblico. Tutto ciò consentirebbe la promozione e l'adozione di tecnologie e comportamenti virtuosi nell'uso dell'acqua. Numerose città si sono già impegnate in tal senso. Certamente è importante che l'acqua abbia un prezzo adeguato che rispecchi il suo costo reale, senza con questo penalizzare i bisogni delle classi meno abbienti.

La necessità di una politica globale dell'acqua

La crisi dell'acqua è dunque una grande emergenza del nostro immediato futuro. È indispensabile fare il possibile sul fronte economico, sociale e politico per attuare strategie di risparmio, di riciclaggio, di non inquinamento di questa risorsa, preziosa per tutti e fondamentale per la vita sulla Terra.

Questi temi sono stati al centro del Forum mondiale dell'Aia, nel corso del quale è stato presentato e discusso il rapporto preparato dalla Commissione internazionale sull'acqua nel mondo per il 21° secolo, costituita nell'ambito del World water council. Il rapporto individua sette punti critici nel quadro della situazione idrica mondiale.

1) Scarsità di acqua. È la conseguenza dello sfruttamento intensivo da parte di agricoltura, industria e insediamenti urbani, aggravato da alluvioni, siccità e altri effetti dei cambiamenti climatici che hanno colpito anche zone tradizionalmente non soggette. Il problema, che negli anni Cinquanta riguardava soltanto pochi paesi, alla fine del 20° secolo interessa ventisei nazioni, con una popolazione di circa trecento milioni di abitanti. Stime effettuate per l'anno 2050 prevedono che sessantasei paesi, cioè circa due terzi della popolazione mondiale, si troveranno in condizioni di mancanza di acqua più o meno grave, con conseguenze incalcolabili sullo sviluppo economico e sociale, sulla stabilità politica e sulla salvaguardia stessa della vita. Alla limitazione delle riserve di acqua si può ovviare riducendo i consumi, riciclando le acque reflue e ricorrendo a soluzioni meno convenzionali, attualmente oggetto di studio. Vi sono, però, limiti tecnologici, economici e ambientali a queste strategie, e le infrastrutture oggi disponibili appaiono inadeguate a risolvere i problemi.

2) Mancanza di accessibilità. Sono stati compiuti enormi progressi per garantire in tutto il mondo l'accesso all'acqua potabile e a strutture igieniche adeguate. Tuttavia, più di 1,2 miliardi di persone non dispongono ancora di acqua potabile e circa 2,9 miliardi di strutture igieniche sufficienti. Ciò diventa un problema soprattutto per le fasce di popolazione più vulnerabili, cioè i poveri, le donne e i bambini. Il tasso annuo di mortalità a causa di malattie propagate attraverso l'acqua è pari a circa cinque milioni di persone. All'attuale livello di crescita della popolazione e di scarsi investimenti nelle infrastrutture idriche, la situazione è destinata a peggiorare.

3) Deterioramento della qualità dell'acqua. L'industrializzazione e l'urbanizzazione hanno prodotto grandi quantitativi di acque di scolo, che in molti casi vengono incanalate negli stessi acquedotti di distribuzione. I moderni sistemi agricoli, con l'uso indiscriminato di sostanze chimiche e l'impiego di tecniche di irrigazione eccessiva, hanno pure contribuito al deterioramento della qualità dell'acqua, con la conseguenza di una drastica riduzione delle riserve di acqua non contaminata, fenomeno ormai riscontrabile in tutto il mondo. L'impatto di questo deterioramento sulla salute umana e sulla distruzione dell'ambiente e della biodiversità è estremamente grave.

4) Minaccia alla pace e alla sicurezza mondiale. Il legame tra pace, degrado ambientale e problemi relativi alle risorse idriche è particolarmente evidente nei paesi in via di sviluppo. Mentre le aree ricche godono di abbondanti risorse di acqua potabile, i paesi poveri affrontano la doppia minaccia della scarsità e del deterioramento dell'acqua. Ciò ha un'influenza diretta sullo sviluppo economico e sociale, mette a repentaglio la stabilità politica e rappresenta un pericolo per la sicurezza mondiale.

5) Ignoranza del problema da parte dei governi e dell'opinione pubblica. Spesso la disponibilità di acqua è data per scontata da parte della popolazione occidentale. Allo stesso modo, i governanti ignorano quanto sia grave e pressante il problema delle risorse idriche in molti paesi, così come il fatto che una crisi idrica non può essere gestita con soluzioni d'emergenza, ma richiede strategie ad ampio raggio e a lungo termine. È necessario, quindi, che le forze politiche diventino consapevoli dell'emergenza del problema a livello locale e globale, in modo da adottare provvedimenti idonei. Per ottenere un fattivo impegno politico è pure indispensabile una sensibilizzazione dell'opinione pubblica, attraverso programmi educativi e stanziamenti mirati al settore ricerca e sviluppo, nonché mediante il coinvolgimento delle società civili.

6) Diminuzione degli stanziamenti. Negli anni Sessanta e Settanta si è registrata una rapida crescita degli investimenti nel settore idrico, destinati soprattutto all'irrigazione e alle riserve di acqua potabile. Per contro, dalla metà degli anni Ottanta e ancor più negli anni Novanta, gli stanziamenti hanno subito una flessione costante. La situazione si è ulteriormente aggravata a causa della riduzione dei programmi di assistenza allo sviluppo, a livello internazionale, nazionale e del settore privato. Attualmente, i fondi a disposizione per il mantenimento e il potenziamento delle risorse idriche sono assai limitati, mentre le strutture hanno bisogno di essere rinnovate o sostituite. È evidente la necessità di creare un ambiente idoneo a un'inversione di tendenza.

7) Frammentazione della gestione delle risorse idriche. A livello globale, la gestione delle risorse idriche è distribuita tra alcune organizzazioni delle Nazioni Unite, una moltitudine di società internazionali professionali e scientifiche e numerosi enti non governativi. A livello nazionale, la gestione è ulteriormente suddivisa tra centinaia di giurisdizioni, municipalità e il settore privato. Questo caos istituzionale ha portato a una competizione tra utenti, a conflitti, a una duplicazione di sforzi e a politiche contraddittorie. Di conseguenza, è continuato lo spreco delle risorse, è aumentata la disparità nelle disponibilità e si sono ritardati i tentativi di coordinamento. Appare quindi essenziale che politiche istituzionali, strategie e inquadramenti giuridici vengano armonizzati e coordinati a livello centralizzato, fra regioni, fra nazioni e in tutto il mondo.

Per far fronte a queste criticità, che nel loro complesso delineano un quadro allarmante dell'emergenza idrica mondiale, al Forum dell'Aia il World water council ha proposto nuove iniziative, volte a dare concretezza alle linee d'azione individuate: l'istituzione di un sistema di monitoraggio delle risorse idriche, formato da sedi regionali, dislocate in punti chiave, che trasmetteranno i loro dati a un organismo centrale, il quale si occuperà di raccoglierli e diffonderli; la promozione di politiche di finanziamento per la protezione e il potenziamento delle risorse idriche, con ampio coinvolgimento del settore privato; la creazione di una Commissione mondiale sull'acqua, la pace e la sicurezza, abilitata a svolgere opera di mediazione nelle controversie tra nazioni riguardanti le risorse idriche.

Sugli stessi principi si fonda la Dichiarazione rilasciata al termine della Conferenza ministeriale. In risposta alle sfide considerate primarie per raggiungere nel 21° secolo un livello soddisfacente di sicurezza idrica (garantire i bisogni di base, assicurare adeguati rifornimenti alimentari, proteggere gli ecosistemi, far fronte ai rischi causati da eventi climatici), la Dichiarazione propone una gestione integrale delle risorse idriche, riguardante sia le acque superficiali e le falde sotterranee sia i loro ecosistemi. Tale politica si basa su una collaborazione a tutto campo, dai singoli individui ai governi e alle organizzazioni internazionali, in primo luogo le Nazioni Unite. Due aspetti assumono particolare rilievo: il potenziamento della ricerca di nuove tecnologie e strategie di gestione, con l'impegno di trasmettere le conoscenze acquisite ai paesi in via di sviluppo; la necessità di dare al bene acqua un valore economico adeguato, con l'introduzione di sistemi tariffari mirati, in funzione non soltanto dei costi finanziari (costruzione, manutenzione e gestione degli impianti), ma anche di quelli ambientali. In tal senso si è già pronunciata la Commissione dell'Unione Europea, con una sua comunicazione del 26 luglio 2000.

Gli errori da evitare: il caso del Lago di Aral

Le nuove politiche di gestione delle risorse idriche dovranno evitare che in futuro si ripetano gli errori commessi nel passato. Un esempio duraturo e illuminante sugli effetti che può causare l'insensato uso delle risorse idriche da parte dell'uomo è rappresentato dal prosciugamento del Lago di Aral, un grande lago interno compreso nei territori del Kazakistan e dell'Uzbekistan, con un elevato grado di salinità, tra l'11 e il 14%. Quarto lago del mondo negli anni Sessanta, l'Aral è oggi minacciato di completo prosciugamento.

La catastrofe ecologica dell'area ha avuto inizio nel 1960, quando i pianificatori di Mosca avviarono il Progetto Lago di Aral, un ambizioso programma destinato a convertire una terra ritenuta improduttiva dal punto di vista economico in quella che sarebbe dovuta diventare la 'cintura del cotone' dell'Unione Sovietica. Si intrapresero così i lavori per scavare grandi canali destinati a diffondere le acque dei due fiumi che confluiscono nel lago, l'Amu Darya e il Syr Darya, sul suolo deserto. In meno di un decennio l'area irrigata raddoppiò, raggiungendo una superficie di sette milioni di ettari: su una metà di quest'area si produceva cotone, sull'altra metà si coltivavano riso, granturco, frutta, verdure e foraggio per il bestiame. Secondo le autorità di Mosca i primi anni del progetto furono accompagnati da un vero successo. Il bacino del Lago di Aral divenne il principale fornitore di prodotti freschi per il paese, come la California per gli Stati Uniti. Nelle cinque repubbliche in cui è compreso il bacino (Kazakistan e Uzbekistan sulle sponde del lago, Kirghizistan, Tagikistan e Turkmenistan a sud, nello spartiacque dell'Amu Darya e del Syr Darya) il reddito saliva costantemente.

Tuttavia, gli intensi processi di irrigazione hanno determinato una progressiva desertificazione dell'area. Il Lago di Aral si è andato prosciugando a causa della continua irrigazione dei campi di cotone, una coltura che richiede una significativa quantità di acqua, con conseguenze immediate dovute all'abbassamento del livello dell'acqua e alla diminuzione del prodotto pescato. Alla fine degli anni Cinquanta almeno 60.000 persone erano occupate nella pesca, nella lavorazione del pesce e nelle attività correlate. Munyak, il principale centro di lavorazione del pesce della regione, è ora insabbiato, a chilometri di distanza dal lago che costituiva la sua linfa vitale. Già all'inizio degli anni Ottanta la crescente salinità aveva eliminato almeno venti delle ventiquattro specie di pesci presenti nelle acque dell'Aral.

Riducendo la propria superficie, il lago ha lasciato dietro di sé una vasta pianura coperta di sale, sulla quale è quasi impossibile la vita vegetale. Ogni anno il vento, in uno spazio sempre più desertico, raccoglie in accecanti tempeste tra novanta e centoquaranta milioni di tonnellate di sabbia e sale, depositandoli poi di nuovo a terra su una vasta area. Il sale proveniente dall'Aral viene portato dal vento sia verso nord-ovest, fino alle fattorie della Bielorussia, sia a sud-est, giungendo ai ghiacciai dell'Afghanistan che alimentano l'Amu Darya. La ricaduta di sale, in forma di polvere oppure pioggia, ha alterato la composizione chimica del suolo danneggiando la produttività agricola anche a centinaia di chilometri di distanza dal lago. Nelle più immediate vicinanze, ogni anno, su ogni acro di terra irrigata cade all'incirca mezza tonnellata della micidiale mistura di sale e sabbia.

L'eccessiva irrigazione provoca poi, per il continuo filtraggio dell'acqua verso il basso, un graduale sollevamento della superficie freatica. Se questa sale fino ad arrivare a pochi metri dalla superficie terrestre, i raccolti con radici profonde non crescono bene poiché il suolo è saturo di acqua. Se il sollevamento porta la falda a mezzo metro dalla superficie, l'acqua sotterranea comincia a evaporare attraverso il terreno, lasciandosi dietro uno strato formato dai sali presenti nel suolo. A un certo punto il sale, accumulandosi, raggiunge livelli tali da essere tossico per le piante, impoverendo via via i raccolti, fino a che il suolo stesso diventa sterile. Il bacino del Lago di Aral è tra quelli che stanno sperimentando uno dei più rovinosi fenomeni di salinizzazione nel mondo. Dall'anno della massima produttività (1989) le rese di cotone sono progressivamente diminuite, sicché ormai quelle terre stanno divenendo completamente sterili e sempre più abbandonate dal punto di vista produttivo.

Anche la situazione climatica sta subendo modificazioni. Le estati sono divenute più calde e gli inverni più freddi, il ritmo delle gelate primaverili e autunnali è cambiato, la stagione delle colture si è abbreviata e l'umidità è diminuita; si registra una tendenza verso le estremizzazioni climatiche. Si devono poi segnalare i gravi effetti sulla salute umana determinati dall'inquinamento da pesticidi delle acque. La coltivazione del cotone richiede infatti l'impiego massiccio di insetticidi e le piante vengono trattate ogni autunno con un defogliante, per rendere più facili le operazioni di raccolta. Gli insetticidi e gli erbicidi che per anni e in grandi quantità sono stati sparsi sui campi hanno filtrato verso il basso e si sono accumulati, fino a raggiungere concentrazioni pericolose nelle riserve di acque sotterranee. La popolazione della zona ha iniziato così a bere acqua inquinata dal micidiale cocktail di sostanze chimiche, molte delle quali notoriamente cancerogene. La letteratura medica locale ha registrato casi sempre più diffusi di deformità congenite e un sensibile incremento di patologie epatiche e renali, di mortalità infantile e di forme tumorali.

Errate tecniche di irrigazione, uso eccessivo di pesticidi, inquinamento delle falde, salinizzazione dei suoli, effetti perniciosi sulla salute umana, costi economici ingenti dovuti alla devastazione dell'ecosistema locale: queste sono solo alcune delle conseguenze provocate da un'impropria gestione delle risorse idriche. Ciò che è avvenuto nell'area del Lago di Aral deve costituire un monito e un esempio tangibile da non replicare nel delicato campo della gestione delle risorse idriche del nostro pianeta.

repertorio

Il ciclo dell'acqua

L'acqua presente in natura circola e si trasforma nell'idrosfera seguendo percorsi che costituiscono il cosiddetto ciclo idrologico. Questo ciclo non ha né principio né fine. Infatti l'acqua, a mano a mano che evapora dagli oceani e dalle terre, diviene parte dell'atmosfera; il vapore sale e viene trasportato fino a che si condensa e precipita sulla terra o sul mare.

Nell'atmosfera, l'acqua è presente perlopiù allo stato aeriforme, cioè di vapore, mentre allo stato liquido e allo stato solido appare solo saltuariamente e in zone circoscritte dello spazio. Il vapore acqueo si forma essenzialmente per evaporazione dell'acqua che è presente, allo stato liquido, sulla superficie terrestre e quindi sale, per effetto delle correnti ascendenti, a migliaia di metri di altezza; quando si condensa, dà luogo alle precipitazioni, che cadono sulla superficie della Terra e rappresentano la maggior parte della fase discendente del ciclo idrologico.

Il processo di condensazione avviene non appena, a una determinata temperatura, nell'aria vi è più vapore di quanto questa ne possa ricevere per evaporazione da una superficie di acqua. Tale condizione può determinarsi in seguito a rimescolamento o a raffreddamento. Se una massa d'aria calda e satura si mescola a una massa d'aria fredda, anch'essa satura, la pressione del vapore della mescolanza può essere maggiore della tensione del vapore saturo proprio della temperatura di equilibrio. Ciò, tuttavia, provoca di rado qualcosa di più di una tenue nebulosità o di una foschia; le nuvole si formano invece in seguito all'innalzamento dell'aria umida la quale, a mano a mano che sale, si trova sottoposta a una pressione sempre più bassa, si espande e quindi si raffredda. Questo tipo di raffreddamento produce il fenomeno della precipitazione.

Nel corso del ciclo idrologico, la precipitazione può subire essenzialmente quattro diversi destini.

1) Evaporazione. - L'acqua può evaporare durante la caduta o dopo aver toccato la superficie del suolo. L'evaporazione costituisce uno dei fattori più importanti del ciclo idrologico. Durante questo processo, la temperatura del liquido si abbassa in seguito alla fuoriuscita di alcune molecole d'acqua per effetto della trasformazione di energia da termica in cinetica. Per mantenere la temperatura costante, deve essere disponibile una sorgente esterna di calore, quale può essere la radiazione solare o il calore ceduto dall'atmosfera o dal terreno.

2) Traspirazione. - L'acqua viene intercettata dalla vegetazione ed evapora quindi dalla superficie delle foglie. Mediante il processo di traspirazione, l'acqua presente nel terreno è inizialmente assorbita dagli apparati radicali delle piante e viene poi restituita all'atmosfera sotto forma di vapore attraverso gli stomi, minuscoli pori presenti sulla superficie delle foglie. Soltanto una piccolissima parte dell'acqua, meno dell'1%, viene trattenuta per costruire i tessuti necessari alla crescita e allo sviluppo della pianta stessa.

3) Caduta diretta. - L'acqua si riversa su mari, torrenti, fiumi, laghi o altre distese d'acqua.

4) Infiltrazione. - L'acqua può essere assorbita dagli strati superficiali del terreno e infiltrarsi, andando a fare parte delle zone umide del sottosuolo. Una parte dell'acqua infiltrata fuoriesce dal suolo attraverso l'evaporazione o la traspirazione, un'altra parte scende in profondità fino alla falda freatica, diventando così acqua profonda. L'acqua profonda è in continuo movimento: rispetto, però, all'acqua di superficie, si muove più lentamente e in maniera assai più varia; può scorrere a una velocità che va da qualche millesimo di centimetro al giorno in alcune rocce permeabili a grana sottile fino a qualche chilometro al giorno nelle formazioni geologiche fessurate. Il movimento delle acque profonde è necessario per il completamento del ciclo idrologico.

La quantità d'acqua totale, il suo bilancio, la sua ripartizione e il suo movimento nell'ambito dell'intero ciclo idrologico sono stati oggetto di ipotesi e di studi per più di un secolo. Ciononostante, i dati quantitativi sono insufficienti per una conoscenza completa del ciclo ed è possibile soltanto stabilire valori di stima per le sue varie componenti, dai quali si evince che gli oceani contengono circa il 97% di tutta l'acqua presente sul globo; se la Terra fosse una sfera perfetta, tale quantità sarebbe sufficiente a ricoprirla con uno strato spesso 2650 m. L'acqua dolce è invece distribuita all'incirca per il 76% nei ghiacci polari e nei ghiacciai, per il 23% nel sottosuolo, per lo 0,34% nei laghi e nei fiumi e per lo 0,036% nell'atmosfera.

I valori delle quantità di acqua sono stimati sulla base dell'ipotesi che la distribuzione si mantenga costante nel tempo. Mentre attraverso l'atmosfera e i fiumi passano ogni anno quantità enormi di acqua, essi ne contengono, a ogni singolo istante, quantità relativamente piccole.

Si calcola che la precipitazione annuale media sulla terraferma è circa 7,9 volte (106.000/13.500) maggiore dell'acqua contenuta a ogni istante sotto forma di vapore in tutta l'atmosfera, mentre il valore medio della precipitazione annuale sulla terraferma è circa ventisette volte più grande del vapore acqueo nell'aria sovrastante i continenti. Così, il periodo del ciclo dell'umidità atmosferica è di circa 46 giorni per il ciclo idrologico computato nel suo complesso, e soltanto di 13,5 giorni per quello che si svolge sui continenti. Inoltre, si calcola che la precipitazione annuale media sulla terraferma è di circa 104 cm all'anno: tale valore è bilanciato, in condizioni stazionarie, dall'evaporazione di un'uguale quantità di acqua. Ciò equivale a dire che l'evaporazione media sulla terraferma corrisponde a 2,84 mm di acqua al giorno.

In linea di principio, il ciclo idrologico è semplice; in realtà, esso è estremamente complesso. Infatti non è costituito da un unico grande ciclo, piuttosto da un gran numero di cicli, circoscritti a continenti, regioni e zone locali, che rappresentano componenti collegate e interdipendenti del sistema globale. Anche se la quantità totale di acqua è essenzialmente una costante del ciclo idrologico terrestre, la sua distribuzione varia di continuo sui continenti, sulle regioni e nell'ambito degli stessi bacini idrografici. Il comportamento idrologico dell'acqua in una certa zona è influenzato in maniera determinante dalle condizioni climatiche, le quali variano nel tempo e da regione a regione. Inoltre, la distribuzione dell'acqua in una certa area è influenzata da fattori naturali fisiografici, come le caratteristiche topografiche, le formazioni geologiche e i vari tipi di vegetazione. Tali fattori possono anche modificare quelli climatici, come l'intensità delle piogge, la loro distribuzione e frequenza, la formazione di neve e ghiaccio, e gli effetti del vento, della temperatura, dell'umidità e della radiazione solare sulla traspirazione della vegetazione. A mano a mano che la società umana si evolve, ai fattori ambientali del ciclo dell'acqua si aggiungono prepotentemente quelli dovuti alle attività dell'uomo, che ne alterano l'equilibrio dinamico naturale dando l'avvio a nuovi processi idrologici e a nuovi fenomeni.

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Quadro generale delle risorse idriche in Italia

I consumi

L'agricoltura è il settore caratterizzato dal più elevato consumo di acqua (64,1% del fabbisogno idrico complessivo); l'impiego di acqua per usi industriali rappresenta il 13,6% del totale, mentre il 10,7% è necessario per la produzione di energia. Il rimanente 11,6% del fabbisogno idrico complessivo è il consumo di acqua potabile per usi civili; pur se limitato, esso costituisce l'aspetto del problema 'acqua' più rilevante e percettibile dall'opinione pubblica, in quanto influisce direttamente sulla salute della popolazione, incidendo negativamente anche sullo sviluppo turistico.  Da un'indagine dell'ISTAT del 1987 (è l'ultima compiuta dall'ISTAT in materia; la pubblicazione delle nuove rilevazioni è prevista nel corso del 2001) risultava che l'acqua erogata per usi civili era pari a 277 l per abitante e per giorno. Quasi il 90% dell'acqua per uso potabile proviene da sistemi idrici sotterranei, la parte rimanente viene attinta da acque superficiali. Nei prossimi venticinque anni è previsto un raddoppio del consumo di acqua potabile, con una significativa crescita percentuale del prelievo di acque superficiali.

Le infrastrutture idriche

Complessivamente gli acquedotti italiani sarebbero capaci di addurre quasi 8 miliardi di m3/anno di acqua potabile, ma in realtà ne erogano soltanto circa 6 miliardi di m3/anno. Questo dato evidenzia l'alto valore delle dispersioni (27% dell'acqua addotta), concentrate soprattutto nella rete di distribuzione. Le dispersioni sono più elevate nel Sud dell'Italia, paradossalmente proprio nelle regioni più povere di risorse idriche. La fatiscenza delle infrastrutture idriche è in parte imputabile all'estrema frammentazione degli impianti. Infatti, all'inizio degli anni Novanta gli acquedotti esistenti in Italia erano quasi 14.000, di cui oltre il 90% con diffusione soltanto comunale; inoltre, la gestione delle risorse idriche (affidata per circa il 95% al settore pubblico) risultava ripartita fra circa 6000 aziende (comunali oppure pubbliche speciali). Ugualmente non rassicuranti sono i dati inerenti alle opere igienico-sanitarie: da un'indagine compiuta da Federgasacqua nell'anno 1996 è emerso che a metà degli anni Novanta la copertura del territorio risultava pari al 77% per quanto concerne le reti fognarie e al 63% per gli impianti di depurazione.

A rendere più difficili le operazioni di riassetto infrastrutturale concorre un sistema tariffario che non include gli oneri conseguenti agli investimenti ed è capace di coprire solo in parte i costi della mera gestione, come evidenzia anche il prezzo medio dell'acqua, sensibilmente inferiore a quello praticato nei principali paesi europei. La più recente normativa cerca di sopperire alle carenze infrastrutturali e organizzative introducendo il principio di gestione integrata del ciclo dell'acqua.

Il quadro normativo

In materia di acqua il principale riferimento normativo è stato per molto tempo il Testo Unico del r.d. 11 dicembre 1933, nr. 1775, che era finalizzato al massimo sfruttamento delle risorse idriche a scopi produttivi, senza considerare in alcun modo la pianificazione del loro impiego. Un primo orientamento verso una politica di salvaguardia delle risorse idriche emerge nel 1968, con l'emanazione delle direttive per il piano regolatore generale degli acquedotti, che fissa criteri di priorità per gli approvvigionamenti di uso civile. Un ulteriore passo in avanti è rappresentato dalla l. 10 maggio 1976, nr. 319 (legge Merli) che, pur in una visione ancora settoriale (incentrata perlopiù sulla depurazione), introduce, attraverso i piani di risanamento delle acque affidati alle Regioni, criteri per un uso razionale delle risorse idriche. Negli anni Ottanta si registra una profonda revisione del quadro normativo. Il d.p.r. 3 luglio 1982, nr. 515, emanato in attuazione della direttiva CEE 1975/440, prevede la suddivisione delle acque destinate alla produzione di acqua potabile nelle categorie A1, A2, A3 in base ai valori-limite dei parametri fisici, chimici e microbiologici riportati in un'apposita tabella: a seconda della categoria di appartenenza si prescrive l'adozione di trattamenti specifici. Con il d.p.r. 24 maggio 1988, nr. 236, che recepisce la direttiva CEE nr. 80/778, vengono stabiliti i requisiti di qualità delle acque destinate al consumo umano e introdotte misure volte a garantire la difesa delle risorse idriche. Per ciascuno dei parametri da tenere sotto controllo vengono riportati i valori guida (ideali) e le massime concentrazioni ammissibili; nella norma vengono anche indicati i metodi analitici di riferimento da adottare e le frequenze minime di campionamento.

Una svolta nella direzione di una gestione coordinata del ciclo dell'acqua che tenga conto dei principali aspetti ambientali a esso connessi è rappresentata dalla l. 18 maggio 1989, nr. 183, in materia di difesa e conservazione del suolo, che istituisce l'autorità di bacino idrografico. Intesa come sede di coordinamento delle attività di programmazione, pianificazione e controllo, l'autorità di bacino definisce gli strumenti conoscitivi, normativi e tecnico-operativi con cui devono essere programmati gli interventi di difesa del suolo e di gestione delle acque. La legge prevede inoltre l'istituzione di servizi tecnici nazionali (idrografico e mareografico, sismico, dighe, geologico) cui è affidata la gestione del sistema informativo nazionale e regionale.

Negli anni Novanta la legislazione ha operato un definitivo riassetto del modello di gestione. La l. 8 giugno 1990, nr. 142, attribuisce alle Province le funzioni di tutela e valorizzazione delle risorse idriche e stabilisce che i servizi possono essere gestiti dai Comuni anche per mezzo di società per azioni a prevalente capitale pubblico. Il d.p.r. 12 luglio 1993, nr. 275, revisiona la determinazione dei canoni per concessioni riguardanti le acque pubbliche. Soprattutto la l. 5 gennaio 1994, nr. 36 (legge Galli), dà definitiva e sistematica attuazione al principio di gestione integrata del ciclo dell'acqua (dalla captazione all'adduzione, al trattamento, alla distribuzione, al convogliamento fognario, alla depurazione e allo smaltimento). La legge stabilisce che tutte le acque superficiali e sotterranee sono pubbliche e costituiscono una risorsa da salvaguardare e utilizzare secondo criteri di solidarietà e di tutela del patrimonio ambientale. Sancisce la priorità dell'uso dell'acqua per il consumo umano e fissa i criteri per l'organizzazione, sulla base di ambiti territoriali ottimali, della gestione del servizio idrico integrato, costituito dall'insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione delle acque per usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue. Prevede inoltre l'adozione, da parte delle Regioni, di convenzioni tipo, con relativo disciplinare, per regolare i rapporti tra gli enti locali e i soggetti gestori dei servizi idrici integrati; e detta i criteri per la determinazione della tariffa del servizio e dei canoni per le utenze di acque pubbliche. Per garantire l'osservanza dei nuovi criteri di gestione viene istituito un comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche presso il Ministero dei Lavori pubblici. La l. 1994/36 rovescia, in definitiva, il principio ispiratore del decreto del 1933 e modifica profondamente la struttura dell'industria idrica con la progressiva conversione delle 6000 aziende dell'acqua in un centinaio di soggetti gestori; anche la determinazione della tariffa del servizio pubblico viene effettuata con nuovi criteri che contabilizzano i costi degli investimenti e consentono la remunerazione del capitale investito.

Nel 1994, oltre alla legge Galli, vengono emanati altri due importanti provvedimenti legislativi: la l. 5 gennaio 1994, nr. 37, che reca norme per la tutela ambientale dei fiumi, torrenti, laghi e delle altre acque pubbliche, nella prospettiva di una più ampia difesa delle aree demaniali rispetto alle esigenze dei soggetti privati, e la l. 21 gennaio 1994, nr. 61 (conversione del d.l. 4 dicembre 1993, nr. 496), che istituisce l'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente (ANPA) e le Agenzie regionali per la protezione dell'ambiente (ARPA), che vengono a esercitare le funzioni pubbliche per la tutela ambientale.

Per quanto riguarda la depurazione, la l. 17 maggio 1995, nr. 172 (conversione del d.l. 17 marzo 1995, nr. 79), recepisce le linee guida della direttiva CEE 1991/271 in merito al trattamento delle acque reflue urbane. Tale direttiva introduce elementi di novità rispetto alla legge Merli, che non stabiliva un legame diretto tra i limiti allo scarico e le reali esigenze dei corpi idrici recettori. La direttiva, invece, considera l'effettivo impatto degli scarichi trattati sull'ambiente naturale, introducendo la distinzione tra aree sensibili e non. Per aree sensibili si intendono, per es., i sistemi idrici (acque interne, estuari, acque costiere e mari) che risultino eutrofizzati o esposti all'eutrofizzazione. La direttiva prescrive che le acque reflue urbane siano sottoposte, prima dello scarico in aree sensibili, a un trattamento più spinto, capace di soddisfare, in termini di concentrazione di nutrienti (azoto e fosforo), i requisiti indicati in un'apposita tabella. Infine, il d. legisl. 11 maggio 1999, nr. 152, contenente disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento (in base alle direttive CEE 1991/271, già citata, e 1991/676, relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento da nitrati provenienti da fonti agricole), ha riconfermato il principio di una gestione integrata della risorsa idrica, approfondendo gli aspetti legati alla qualità dei corpi recettori e alla specificità degli usi.

Quadro di riferimento internazionale

Una delle prime disposizioni comunitarie di grande significato per la protezione delle acque è stata la direttiva CEE nr. 76/464 che obbligava gli Stati membri a prendere le misure necessarie per eliminare l'inquinamento idrico dovuto a sostanze pericolose in relazione alla loro tossicità, persistenza e bioaccumulazione. La direttiva CEE nr. 86/280 ne ha esteso l'applicazione all'inquinamento proveniente da fonti diffuse e introdotto il concetto di best available technology, ripreso poi dalla direttiva nr. 96/61 sulla prevenzione e la riduzione integrata dell'inquinamento. In tale contesto, particolare importanza ha avuto il documento messo a punto nel seminario ministeriale di Francoforte organizzato nel 1988 dall'Istituto europeo delle acque, creato per assistere, dal punto di vista scientifico e tecnico, la Commissione delle Comunità europee nell'elaborazione della politica comunitaria di protezione delle acque. Il documento di Francoforte, immediatamente adottato in ambito comunitario, definiva i principali orientamenti nel settore delle acque (gestione integrata delle risorse idriche, interventi di protezione dalle sostanze pericolose basati sull'uso complementare e simultaneo degli obiettivi di qualità riferiti ai corpi idrici e delle norme di emissione riferite alle acque reflue ecc.).

Nei paesi industrializzati, la problematica è incentrata essenzialmente sulla scelta di modelli gestionali capaci di razionalizzare l'uso delle risorse idriche. Particolare interesse riveste il modello francese, che già nel 1964 ha avviato una riorganizzazione dei servizi idrici basata sul decentramento, introducendo il sistema di gestione integrata sotto il controllo di un'Agenzia di bacino. Nei sei grandi bacini idrici la corrispondente Agenzia percepisce una tassa sulle captazioni e sul trattamento delle acque usate, che viene riversata ai Comuni sotto forma di incentivi all'investimento per migliorare la qualità dei servizi idrici. Lo Stato definisce il quadro giuridico di riferimento e provvede agli interventi di controllo, mentre l'organizzazione dei servizi - approvvigionamento e distribuzione dell'acqua potabile, ma anche depurazione delle acque reflue ed eliminazione dei fanghi residui - è di competenza dei Comuni, che se ne prendono cura direttamente oppure attraverso società private che operano in base a un contratto di locazione o di concessione in cui è previsto anche il prezzo dell'acqua. I Dipartimenti e le Regioni intervengono nella fase di programmazione e di finanziamento degli investimenti. Di grande interesse è anche il sistema di organizzazione dei servizi idrici adottato nel Regno Unito. Con una legge del 1976 sono state istituite, sulla base di criteri idrografici, le Water authorities a cui sono stati affidati compiti di pianificazione del sistema idrico e di controllo delle utilizzazioni. A partire dal 1989 è cominciato un processo di privatizzazione delle Water authorities, avviato in conseguenza delle difficoltà incontrate dalle amministrazioni pubbliche a sostenere gli investimenti che devono essere affrontati per modernizzare il sistema dei servizi idrici.

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