Abbazia

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1991)

Abbazia

Marina Righetti Tosti-Croce

Il termine a., che deriva dal lat. tardo abbatia (da abbas, -atis 'abate'), indica sia un monastero sui iuris, cioè autonomo, sufficiente a se stesso, che possiede personalità giuridica, i diritti collegiali e capitolari ed è diretto da un superiore religioso eletto che nel regime interno non ha altro superiore ordinario (Pugliese, 1974), sia il complesso degli edifici claustrali e dei fabbricati a essi connessi, sede di una comunità religiosa monastica.

In senso più strettamente architettonico si deve intendere per a. non tanto l'insieme degli edifici abitati da monaci, ma piuttosto il risultato dell'edilizia da essi prodotta, in funzione o addirittura come espressione del loro specifico modo di vita e delle idee che lo informano (Romanini, 1987).

A differenza di monastero - che in senso stretto e anche nell'originale significato datogli dal monachesimo orientale indica il luogo di abitazione di un solitario, ma anche poi, quasi immediatamente, e soprattutto nell'accezione occidentale, vale per luogo di abitazione di una comunità cenobitica - il termine a. comporta il significato di una strutturazione più complessa per servire agli scopi di una comunità più articolata.

Si tratterà dunque qui degli edifici sorti nell'ambito dell'architettura monastica che per tradizione e articolazione interna sono definiti come a., rimandando per il resto alla voce Monastero e alle voci relative all'architettura elaborata in funzione delle esigenze dei singoli Ordini.

Se anche ai loro inizi gli insediamenti monastici più rilevanti sono indicati con il nome di monasterium, essi sono tuttavia piuttosto noti con quello di abbazia. È il caso, per citare solo un esempio, dell'a. di Montecassino.

Le origini. - Alle prime esperienze di vita monastica, peraltro essenzialmente difformi tra loro per la varietà di norme di vita che le regolavano, non corrisponde un tipo edilizio definito.

I documenti superstiti danno la testimonianza dell'insediamento delle prime comunità monastiche occidentali talora in strutture classiche riadattate, come nel caso della prima comunità sorta a Subiaco intorno a s. Benedetto e insediata nei locali della Villa di Nerone, o di quella fondata a Bologna dal vescovo Petronio tra il 431-432 e il 450 e alloggiata in un edificio classico, forse il tempio di Iside, di cui sono testimonianza le sette colonne di marmo cipollino, poi inserite in abbinamento con pilastri nel peribolo della chiesa ottagona del Santo Sepolcro.

In altri casi il luogo dei primi insediamenti, spesso con regole di vita più marcatamente eremitica, di influenza orientale, era costituito da grotte, come nel caso degli eremi di Monteluco, presso Spoleto, istituiti da monaci provenienti dalla Siria, o del Sacro Speco di Subiaco, legato ai primi anni di vita monastica di s. Benedetto, o, in Francia, di Marmoutier lungo il corso della Loira, oppure da grotte e abitazioni ex lignis contextae, come a Tours, monastero fondato da s. Martino (316-397) e descritto verso il 400 da Sulpicio Severo (Vita di Martino, cap. 10, a cura di J. W. Smit, Milano 1976, pp. 28-30). I monaci che avevano seguito Martino nel suo eremo, posto due miglia fuori la città, a strapiombo su un'ansa della Senna, avevano costituito un complesso di cellulae per circa ottanta monaci, i cui momenti di vita comunitaria erano ridotti alla preghiera e ai pasti e la cui attività era limitata exceptis scriptoribus, scelti tra i più giovani della comunità, alla preghiera.

Di altri celebri insediamenti monastici, come quelli irlandesi, che si trovarono poi a svolgere un ruolo fondamentale nella storia dell'Europa monastica, le notizie sull'articolazione interna delle prime strutture sono del tutto assenti, anche se il contesto sociale in cui si collocarono, completamente diverso da quello latino e soprattutto privo di grossi insediamenti civili come erano le città dell'Italia e della Gallia, portò questi centri ad assumere dimensioni e ruoli economici difficilmente trascurabili nell'evoluzione dell'idea di una città monastica, totalmente autosufficiente e protetta contro le insidie esterne. Fu così che questi monasteri finirono per assumere funzioni urbane; basti ricordare che Cloncmanoise, fondato intorno alla metà del sec. 6° da s. Kieran era un complesso, difeso da mura e torri di guardia, abitato da ca. 1500 persone che svolgevano non solo attività agricola, ma anche artigianale, la pesca e la navigazione professionale, mentre l'a. di Kildare si costituiva non solo come rifugio per gli abitanti del circondario, ma anche come luogo di deposito dei loro tesori per i re vicini (Prinz, 1980). Queste a. dunque, costituendosi come comunità di vita e di lavoro sia per monaci, sia per laici, stabilmente innestate nell'organizzazione del potere, anticiparono la struttura e l'articolazione dei grandi monasteri che si costituirono in seguito nel regno dei Franchi, soprattutto nell'idea di città monastica, poi espressa dal c.d. Piano di San Gallo.

È peraltro ben noto il ruolo svolto dal monachesimo irlandese, anche se in quel momento esso era ancora basato su regole derivate insieme da quelle orientali e di tipo mediterraneo-provenzale di Lérins e Marsiglia, rappresentate queste ultime dal nome di Giovanni Cassiano; esso ebbe infatti un ruolo importante nella genesi e nello sviluppo del monachesimo occidentale, soprattutto in Gallia e nel mondo germanico, spingendosi fino in Italia con s. Colombano che fondò nel 612 l'a. di Bobbio. Alla nascita del monastero diede il suo consenso anche il re longobardo Agilulfo che, sebbene ariano, non ne contrastò la fondazione a opera di un fiero avversario dell'arianesimo; essa godette subito di grande prosperità economica, estendendo le sue filiazioni fino alla Liguria, dopo la conquista della regione da parte di Rotari, e svolgendo un'importante attività di dissodamento nei territori padani, dove i monaci di Bobbio godevano anche del diritto di libera navigazione sul Po e sul Ticino.

L'a. di Bobbio fu anche centro di irradiazione culturale di primaria importanza, avendo trasmesso, grazie a un'intensa attività scrittoria, una quantità notevole di opere sia della cultura classica, sia di quella cristiana antica.

Dell'a. altomedievale, eccettuati alcuni notevoli frammenti di scultura architettonica - una lunetta, alcune lastre e dei capitelli, peraltro databili tra i secc. 8° e 9° - nulla è superstite a darci un'idea del suo impianto. Anche le rare testimonianze iconografiche pertinenti ad alcuni precoci insediamenti non restituiscono immagini di strutture di vita monastica formalmente organizzate; è il caso dell'illustrazione del centro monastico di Vivarium, fondato nel sec. 5° da Cassiodoro presso Copanello, in Calabria, contenuta nel manoscritto delle Cassiodori Institutiones (Bamberga, Staatsbibl., Patr. 61 HJ.IV.15, c. 29v), copia del sec. 8° di un manoscritto più antico (Courcelle, 1938).

Nel cap. XXIX, De positione monasterii Vivariensis sive Castellensis (PL, LXX, coll. 1143-1144), Cassiodoro descrive il monastero, diviso in due parti distinte, di cui una riservata a periodi di vita eremitica. La miniatura raffigura sulla riva del mare un bacino a doppia uscita pieno di pesci, la cui presenza diede nome al complesso; al di sopra una chiesa a due torri, indicata come S. Martino, i cui resti sono ancora visibili presso Copanello, e di fronte, separata da un corso d'acqua, una chiesa più piccola, individuata dalla scritta come Sanctus Januarius. Manca ogni indicazione delle strutture abitative della comunità vivariense.

Anche gli scavi archeologici di alcuni insediamenti monastici non aiutano di più l'indagine sulle forme e sulle reciproche relazioni intercorrenti tra i diversi edifici di queste prime strutture monastiche, lasciando a livelli estremamente ipotetici le possibilità di individuare in tali redazioni una 'versione' concepita ab origine secondo un lucidus ordo mentale di schietta matrice latina: "il che significa non solo e non tanto forme latine quanto una struttura centrica razionalmente distribuita e organizzata ad unum" (Romanini, 1987).

E ciò anche perché molte delle prime comunità benedettine, almeno in Italia, si insediarono sapientemente in strutture classiche, adattandole e modificandole ai propri bisogni. È il caso di Montecassino, dove, sull'acropoli di Casinum, s. Benedetto si trasferì, intorno al 529, da Subiaco e dove organizzò la vita della comunità monastica secondo le norme della Regola, elaborata tra il 530 e il 560; qui due strutture classiche - il tempio e l'ara di Apollo - furono trasformate, secondo quanto tramanda Gregorio Magno, nelle chiese di S. Martino e di S. Giovanni Battista.

Le abitazioni dei monaci, ricavate in edifici preesistenti, sorgevano nella parte inferiore del complesso, presso il S. Martino, mentre la cella di s. Benedetto, sempre secondo Gregorio Magno, cronista delle prime fasi di vita dell'ordine, era ubicata in una torre.

La distruzione dell'a., a causa dei bombardamenti durante la seconda guerra mondiale, ha consentito l'indagine sulle primitive strutture del monastero (Pantoni, 1973). Si è così rilevato che il S. Martino era una costruzione di piccole dimensioni che, dopo l'invasione longobarda (557-589), fu notevolmente ampliata dall'abate Petronace (717-750) e in seguito ancora rielaborata dall'abate Desiderio; il suo intervento fu concluso dal successore, l'abate Oderisio, che riconsacrò la chiesa nel 1090. L'oratorio del Battista, soprastante il S. Martino cui era collegato da una scala, era anch'esso un semplice vano rettangolare con un'abside orientata secondo l'asse dell'oriente estivo del 24 giugno, festa del Battista. All'intitolazione al Battista si affiancò quella a s. Benedetto, sepolto presso questo oratorio, dedicazione che a partire dal sec. 9° prese il sopravvento. La presenza della tomba determinò così la storia successiva dell'edificio; l'abate Gisulfo (797-817) lo ristrutturò, edificando una prima monumentale chiesa abbaziale a tre navate con transetto continuo che insisteva sul sepolcro nel chiaro recupero di modelli paleocristiani che nello stesso periodo veniva attuato anche nelle abbaziali di Saint-Denis (754-775) e Fulda (791-819).

Ma nulla ci è peraltro noto del resto degli edifici abbaziali e delle mutue relazioni che intercorrevano tra loro. Il prendere forma di strutture unitariamente articolate intorno a un ben preciso punto di snodo è documentariamente attestabile solo nella Gallia, a partire dal sec. 7°, da quelle fondazioni monastiche che nel loro crescere dovevano segnare l'età aurea delle grandi a., aprendo nuovi capitoli della storia politica, della committenza e del mecenatismo e nelle quali è effettivamente evidente lo sforzo di prendere forma di una tipologia che si è voluta direttamente dedotta dalla villa rustica romana (De Angelis d'Ossat, 1961).

Le abbazie carolinge e il Piano di San Gallo. - L'a. di Corbie, fondata da monaci colombaniani provenienti da Luxeuil tra il 657 e il 661 per iniziativa di s. Batilde, vedova del re Clodoveo I, si articolava dall'inizio su due poli cultuali, uno dedicato ai ss. Pietro e Paolo, l'altro a s. Stefano; prima della metà del sec. 9° se ne aggiunse un terzo dedicato a s. Giovanni Evangelista, secondo uno schema già presente a Saint-Riquier, Saint-Vaast e Saint-Bertin chiaramente allusivo alla Trinità. È infatti il numero tre a dominare sia la struttura architettonica, sia la vita interna dell'a. di Centula o Saint-Riquier, presso Abbeville, fatta erigere dall'abate Angilberto, genero di Carlomagno tra il 790 e il 799, che al culto della Trinità impronta tutta la struttura dell'a. "quia igitur plebs fidelium sanctissimam atque inseparabilem Trinitatem confiteri, venerari et mente colere firmiterque credere debet, secundum huius fidei rationem [...] tres ecclesias principales cum membris ad se pertinentibus in hoc sancto loco [...] fundare studuimus" (De ecclesia Centulensis libellus, I; MGH. SS, XV, 1, 1887). Sull'esempio di Benedetto d'Aniane - il riformatore del monachesimo occidentale al quale si deve la completa diffusione della Regola di s. Benedetto e che nel 782 aveva dedicato la chiesa del suo monastero alla Trinità, facendo costruire l'altare maggiore con una grande lastra (ut... unitas credatur) sostenuta da tre cippi affiancati (significans Trinitatem) - a Centula vennero costruiti tre edifici; il più imponente era la grande chiesa del Salvatore e di Saint-Riquier, gli altri erano la chiesa intitolata a s. Benedetto e la cappella a pianta circolare dedicata alla Vergine e agli Apostoli, edifici che si collocavano ai vertici di un irregolare triangolo, i cui lati erano determinati da portici ad arcate, forse di legno (longaniae).

A Centula sono inoltre ricordati tre ciboria, sui tre altari più importanti, ubicati due nella chiesa maggiore e uno nella cappella dedicata alla Vergine, tre torri, di cui due nella chiesa principale e l'altra che si innestava sull'impianto centrico della chiesa mariana, tutte sormontate da un tristegum a tre piani, cioè una copertura a tripla elevazione, probabilmente in legno. Nell'a. si contavano inoltre trenta altari, dei quali ventisette complessivamente nelle tre chiese e gli altri tre nelle tre cappelle dedicate agli arcangeli, che affiancavano l'atrio occidentale della chiesa. Anche il numero dei monaci era rigidamente previsto: trecento, divisi in tre gruppi ai quali afferivano, ugualmente divisi in tre gruppi, i novantanove allievi della schola; ne derivava un complesso di 399 persone che si alternavano nel canto della laus perennis.

La chiesa abbaziale, la "fulgentissima ecclesia omnibusque illius temporis ecclesiis praestantissima" (Ariulfo, Chronicon Centulense, in Hariulf, Chronique de l'abbaye de Saint Riquier (V siècle-1104), a cura di F. Lot, Paris 1894, p. 54), era caratterizzata sia in pianta, sia in alzato da due 'transetti' sporgenti di uguali dimensioni che serravano all'interno il vano longitudinale a tre navate; queste parti erano entrambe fiancheggiate da due piccole torri scalari e si imperniavano sulle due grandi torri. La parte occidentale dell'edificio comprendeva al piano terreno la crypta sancti Salvatoris, dove si conservava la capsa maior contenente le reliquie più importanti dell'a., e al piano superiore il 'trono' del Salvatore, cioè un altare dedicato al Cristo, con una soluzione analoga a quella di Corvey, l'unica a. ancora in grado di restituire compiutamente l'idea e l'interna articolazione di questo avancorpo caratteristico delle chiese carolinge (Westwerk) e che nelle grandi a. assumeva anche funzioni cerimoniali legate alla presenza, in particolari occasioni, del sovrano.

Caratteristica nuova e di particolare interesse per la genesi di tutto un nuovo concetto di a. è proprio la sua apertura anche a ospiti laici di particolare riguardo con conseguenti nuove esigenze non solo dal punto di vista abitativo e quindi con la creazione di nuovi edifici di per sé estranei alla vita monastica, ma anche con l'elaborazione all'interno dell'a. di particolari itinerari e di particolari cerimonie.

Se il Westwerk appare ancora oggi come l'elemento architettonico più monumentale elaborato in funzione di questa 'dicotomia abitativa', sia pure saltuaria, che si creava nell'a., sono da ricordare anche altri interventi architettonici effettuati all'interno della chiesa in funzione di esigenze diverse, come per es. la separazione tramite un recinto del coro dei monaci dalla navata, documentata già nell'826 a Corbie nella narrazione della sepoltura di Adalardo fatta da Pascasio Radberto (Heitz, 1980), e probabilmente anche il grande sviluppo in profondità del coro di queste a., sviluppo determinato però anche dalle esigenze di liturgie processionali estremamente complesse ed è il caso di quelle documentate a Centula.

Al di fuori della chiesa la presenza di ospiti, spesso numerosi per la visita dei sovrani e del loro seguito, prevedeva naturalmente adeguate strutture abitative; un esempio è il Palatium Regale ancora oggi superstite nell'a. di Farfa, raccordato alla chiesa abbaziale e al Westwerk presente probabilmente anche in questa a. da un cammino porticato (Whitehouse, 1985), ma documenti relativi a queste strutture abitative sono possibili per molte delle maggiori a. carolinge.

Uno dei documenti a tal proposito più eloquenti, così come per la descrizione delle complesse strutture afferenti a una a., è il Piano di San Gallo, la celebre pergamena oggi a San Gallo (Stiftsbl., 1092), che probabilmente Heito I, vescovo di Basilea dal 798 all'823 e abate di Reichenau, inviò a Gozberto, abate di San Gallo dall'816 all'836. Che si tratti di un piano del tutto utopistico oppure di un vero progetto, sia pure di massima, come dimostrerebbero gli scavi condotti da Sennhauser nell'attuale abbaziale che ne hanno dimostrato una certa credibilità, il Piano di San Gallo costituisce a tutt'oggi l'immagine più esaustiva di una 'città' monastica ed è di città che si deve parlare se si deve prestare fede a documenti scritti come l'inventario dell'831 di Centula che ricorda l'esistenza di ben 2500 mansiones di uomini secolari, cioè di una popolazione prevalentemente rurale, con una serie di attività artigianali interne, dislocate nei vici, per la produzione di tutti i beni di uso e consumo necessari (D'Onofrio, 1983). La meticolosa programmazione del Piano di San Gallo si impernia sulla chiesa, un monumentale edificio a due absidi contrapposte, con una netta predominanza però del blocco orientale, articolato anche per la presenza della cripta e del transetto. Due torri circolari, dedicate agli arcangeli, si innestano sul corpo occidentale; la loro forma potrebbe avere precedenti nelle cloic'teachers irlandesi, del tipo di quella contemporanea di Glendalough (Reinhardt, 1952), a ulteriore conferma del ruolo della cultura monastica irlandese nello sviluppo del monachesimo dell'Europa centrale; d'altronde Bischoff (1962) ha potuto dimostrare la provenienza insulare dello scriba che ha vergato la maggior parte delle scritte che commentano la pianta, nonché la lettera di accompagnamento a Gozberto scritta nella parte superiore della stessa pergamena. All'interno della chiesa sono indicate sia le posizioni dei vari altari, con le singole dedicazioni, sia quelle degli elementi di arredo liturgico, come i due leggii, l'ambone e il fonte battesimale. Pressoché inseriti nel blocco della chiesa sono, a sinistra dell'abside orientale, gli ambienti dello scriptorium al piano inferiore e della biblioteca al piano superiore, mentre in esatta corrispondenza, sul lato destro, al piano inferiore è la sacrestia e al piano superiore il deposito dei paramenti. Sul lato destro della chiesa si innestano le strutture del chiostro, al centro del quale sono schizzati sinteticamente i rami di un arbusto, savina, le cui bacche rosse ricordano il sacrificio di Cristo e di qui la ragione della sua presenza al centro del chiostro, sul cui lato orientale si dispongono al piano inferiore la sala comune riscaldata e al piano superiore il dormitorio dove sono attentamente disegnati settantasette letti, le cui dimensioni sono in perfetto rapporto modulare con il sistema matematico che è alla base del disegno. Al dormitorio si collegano i bagni e le latrine. Sul lato meridionale del chiostro si dispone il refettorio, collegato alla cucina e di qui alla panetteria; l'ala occidentale del chiostro è invece contigua all'edificio che ha al piano inferiore il cellarium e al piano superiore il lardarium, una sorta di dispensa.

Lungo il fianco sinistro della chiesa è ubicata la zona per così dire residenziale: a blocchi allineati si susseguono infatti l'edificio dei servizi comprendente la panetteria, la birreria, la cantina e la cucina, poi l'edificio riservato agli ospiti di rango con la relativa divisione interna che prevede stanze per gli ospiti, i loro servitori e stalle per i cavalli; segue la scuola costituita da due aule più grandi e dodici più piccole; l'ultimo edificio di questa ala del monastero è la dimora dell'abate, cinta sui lati orientale e occidentale da portici e separata dal passaggio verso la chiesa da "saepibus in gyrum ductis". L'edificio a due piani prevede al piano terreno sale e un dormitorio per gli ospiti ecclesiastici dell'abate, munito di servizi igienici - requisitum naturae, così la scritta posta sul piccolo ambiente a N collegato all'edificio da un corridoio - mentre al piano superiore sono poste altre stanze e un solarium.

La zona orientale dell'a., al di là dell'abside, è occupata sulla sinistra dalla zona riservata all'abitazione del medico e al giardino medicinale, poi dal blocco costituito dall'infermeria e dal noviziato, separati tra di loro lungo l'asse longitudinale dalla chiesa e internamente articolati a loro volta con un piccolo chiostro, dormitorio, refettorio e altre sale.Sulla destra di questo importante edificio è ubicato uno spazio a duplice funzione: imperniato su una grande croce è il cimitero/frutteto con precise indicazioni scritte delle varie specie di piante previste. Indicazioni precise sono anche poste a indicare diciotto specie diverse di ortaggi nello spazio dell'orto affiancato dalla casa del giardiniere.Il lato destro dell'a. appare invece pressoché totalmente riservato alle attività artigianali e agricole; vi si susseguono infatti: la grangia con al centro il cortile "in qua triturantur grana et paleae"; le varie officine di cordonai, sellai, orefici, fabbri, gualcherai e, anche se può apparire strano per un monastero, di "emundatores vel politores gladiorum" e di scutarii, raggruppate in un unico edificio; il mulino, l'essiccatoio per la frutta, i granai, la fabbrica delle botti, il blocco rettangolare delle scuderie e delle stalle; affiancata alla torre circolare di s. Gabriele è la residenza dei pellegrini con la relativa cucina.Infine la parte anteriore dell'a., a fianco dell'ingresso principale, è costituita da altri blocchi di edifici: perse le indicazioni relative all'edificio sulla destra, per il riutilizzo della pergamena con la scrittura di un testo successivo, rimangono invece le indicazioni della serie di edifici posti a destra della via di ingresso che li qualificano come abitazioni dei servi e stalle riservate ad agnelli, capre, porci, bovini e giumente.

Una pianificazione dunque totale, un progetto forse ideale, ma anche pronto per essere realizzato dal momento che esso è organizzato sulla base di una rigida modularità che governa ogni particolare del piano, dai minimi ai massimi: la base modulare è data dal quadrato base del transetto, che è di 40 piedi; identica è la misura della navata centrale, mentre ogni navata laterale misura 20 piedi; 200 piedi è invece la misura "ab oriente in occidentem" della chiesa. Un modulo maggiore di 160 piedi, ma evidentemente generato dalla moltiplicazione per quattro di quello base, serve a determinare la misura totale dell'a., 640 piedi in lunghezza (160 x 4) e 480 in larghezza (160 x 3), in un rapporto di 4:3, che è un rapporto musicale (Heitz, 1980) che si ritrova alla base, insieme con il concetto di modulo, dell'architettura cistercense. Un modulo minore infine, di 2,5 piedi, derivato dalla divisione successiva per quattro della misura di 40 piedi, dà la base su cui sono stati per es. disegnati i letti del dormitorio dei monaci, progettati sulla base di tre moduli in lunghezza e uno in larghezza. Heito, che aveva inviato a Gozberto questa pianta, aveva avuto modo di applicare questa stessa metodologia costruttiva tra il 700 e l'816 nella costruzione dell'a. di Mittelzell nella Reichenau; l'a. era stata fondata nel 724 e fu poi modificata dagli abati successivi. Due altre a. sono nella Reichenau, l'insula felix del monachesimo e della cultura carolingia e ottoniana; Oberzell fu fondata nell'823 sempre da Heito che, abbandonata la carica episcopale, si ritirò in questo luogo come eremita; l'edificio attuale va però attribuito all'abate Heito III (888-913). L'altro centro di questa isola di cultura monastica, Niederzell, fu fondato nel 799 dal vescovo di Verona Egino, la cui chiesa - uno spazio a navata unica conclusa da una semplice abside semicircolare - è conosciuta grazie agli scavi di Erdmann e Zettler (Heitz, 1980); la chiesa attuale è invece della fine del sec. 11° e del primo quarto del 12°; in questo caso tracce degli edifici monastici sono state individuate in direzione N, verso il lago, ma nulla di più è per ora dato sapere sulla loro articolazione. Lo schema progettuale del Piano di San Gallo, che soprattutto nel rapporto tra chiesa e chiostro costituisce la costante di molte a. successive, non è peraltro l'esito di una tipologia omogenea di a., né sembra avere determinato in modo assoluto lo strutturarsi delle a. coeve. Come precedente dell'articolarsi del rapporto tra chiesa, edifici abitativi e chiostro proposto dal Piano è stato giustamente indicato il gruppo episcopale della cattedrale di Metz che, tra la fine del sec. 8° e gli inizi del 9°, a cura di Crodegango, assunse il suo aspetto definitivo con una serie di cappelle e di ambienti come il dormitorio, la caminata, cioè la stanza riscaldata, il refettorio, la cucina e altre mansiones destinate ai malati e ad alcuni canonici dispensati dal dormire in comune, disposti intorno al chiostro collegato al fianco destro della cattedrale precedente (Heitz, 1980), la cui individuazione è suffragata anche dal fatto che ben 31 articoli della Regula Canonicorum elaborata appunto da Crodegango (PL, LXXXIX, coll. 1057-1098), furono inseriti nella regola benedettina al momento della sua adozione per il monachesimo carolingio da parte di Benedetto d'Aniane, nel Capitulare Monasticum, proposto all'assemblea degli abati riuniti ad Aquisgrana e a Inden nell'816-817 (PL, CIII, col. 393 ss.).

Peraltro la stessa a. di Inden (Kornelimünster), l'a. teatro delle assemblee che elaborarono le basi del Piano di San Gallo, fondata proprio nell'816 dallo stesso Benedetto d'Aniane e consacrata nell'817 poco prima della fine del concilio, ha rivelato al momento degli scavi del 1959 (Hugot, 1977-1978) un piccolo edificio a tre navate più larghe che lunghe, con transetto emergente e tre absidi, di cui la centrale molto profonda e a profilo nettamente semicircolare, preceduto da un portico prospiciente su di un vasto atrio rettangolare affiancato da vari edifici. Manca dunque in questa a. il definirsi di quell'insieme costituito da chiesa/chiostro/edifici abitativi e di servizio che fa del chiostro il punto di snodo di quasi ogni momento della vita del monaco, pur essendovi ben documentabili quei sistemi modulari di costruzione peraltro attestati da varie a. carolinge, oltre che dal Piano di San Gallo.

Mentre l'articolarsi degli spazi delle chiese abbaziali si fece sempre più complesso, anche per le esigenze di elaborate liturgie e di continui richiami simbolici, l'impianto delle 'città monastiche' si adeguò, anche se con varianti spesso imposte dalla natura dei luoghi e dalle dimensioni degli insediamenti, allo schema proposto nella pergamena di San Gallo e il seguire passo passo la storia delle a. significherebbe ripercorrere in pratica la storia stessa dell'architettura medievale europea.

Il secondo momento-chiave, dopo quello segnato dal Piano di San Gallo, nella storia dell'a. può essere senza dubbio individuato tra la fine del sec. 11° e la prima del sec. 12°, quando le premesse e l'organizzazione date al monachesimo benedettino in epoca carolingia arrivarono a un momento cruciale, insieme di splendore e di radicale contestazione; gli edifici delle a., teatro di questi diversi momenti, ne sono documenti di singolare evidenza.

A Montecassino dopo l'incursione saracena dell'883, con l'incendio delle chiese cassinesi e la fuga dei monaci, la vita monastica riprese solo nel 949 e, a partire dal 1066, l'abate Desiderio diede il via alla ricostruzione della chiesa abbaziale che fu consacrata da Alessandro II nel 1071. Le forme di questo edificio, in parte distrutto da un terremoto nel 1349, rinnovato tra i secc. 17° e 18°, oltre che per le tracce rinvenute dopo le distruzioni dell'ultima guerra e la successiva ricostruzione (Pantoni, 1973), sono note sulla base delle descrizioni del Chronicon Monasterii Casinensis (PL, CLXXIII, coll. 441-1146) e dei disegni dei Sangallo (Firenze, Uffizi, 1276, A r e 182r).

La chiesa, orientata sull'asse dell'oriente primaverile (21 marzo, festa di s. Benedetto) in chiara glorificazione del fondatore, mantiene l'idea di origine carolingia della giustapposizione del transetto continuo al corpo delle navate già applicata nella precedente abbaziale di Montecassino, eretta dall'abate Gisulfo (797-817), idea che viene chiaramente vista come un tramite per il recupero ideale dei tipi paleocristianicostantiniani.'

Testo bilingue' è stata definita la nuova a. (Carbonara, 1979) per il tentativo che vi viene messo in atto di comporre armonicamente antico e moderno, cioè schemi di matrice paleocristiana, scanditi da abbondante materiale di spoglio portato da Roma, con una decorazione di tipo moderno affidata a maestranze chiamate da Costantinopoli.

L'edificio della chiesa, di tipo basilicale, con tre absidi, presbiterio rialzato su otto colonne al di sopra della tomba di s. Benedetto e transetto, era scandito all'interno da dieci colonne portate da Roma e doveva risultare estremamente luminoso sia per l'abbondante numero di finestre aperte nella navata, nell'abside e nel transetto, sia per la ricca decorazione pittorica e musiva.

A esso si accedeva tramite l'atrio o paradysus, sui cui angoli occidentali si ergevano modo turrium due oratori dedicati a s. Pietro, custode del paradiso, e a s. Michele, suo difensore e difensore della chiesa; una scalinata di ventiquattro gradini consentiva a sua volta l'accesso all'atrio.

I tentativi di ricostruzione delle rimanenti parti dell'a. iniziati già alla fine del secolo scorso con il disegno proposto da Schlosser nel 1889, proseguirono soprattutto grazie a Conant la cui ultima proposta, pubblicata nel 1976, tiene conto anche dei risultati delle indagini archeologiche di Pantoni (1973) e propone lo stato dell'a. intorno al 1100. Vi appare un monumentale edificio dominato dall'asse longitudinale determinato dall'allineamento chiesa-portico e che sembra imporre lo stesso privilegiato orientamento anche a buona parte degli edifici monastici, in particolare ai due più importanti, cioè il refettorio, che risulta tangente per buona parte alla parete esterna dell'atrio, e il dormitorio, il cui blocco all'estremità destra dell'a. sorpassa ampiamente i limiti del chiostro; il lato orientale del chiostro è invece solo parzialmente occupato da uno dei lati lunghi dell'edificio del capitolo che ha andamento ortogonale a quello della chiesa. Ne risultano notevoli varianti rispetto alla disposizione degli ambienti previsti dal piano sangallese, soprattutto evidenti nell'ubicazione del dormitorio in posizione non tangente alla chiesa, ubicazione che invece appare accettata, anche per evidente funzionalità ai ritmi della preghiera monastica, per es. negli edifici abbaziali di Mittelzell nella Reichenau e ancora prima in quelli di Fontenelle, durante i lavori dell'abate Angesis (822-823), la cui cronaca ricorda anche la presenza e l'ubicazione della sala capitolare, sul lato orientale del chiostro, al di sotto del dormitorio, in una posizione che sembra determinarsi con certezza solo dagli inizi del sec. 11° e che, a partire poi dagli esordi dell'architettura cistercense, diventò immutabile (Braunfels, 1969); nella descrizione di Fontenelle sono peraltro molte le varianti rispetto al Piano di San Gallo, ripreso invece con buona fedeltà solo a partire dall'a. di Cluny con il chiostro del sec. 11° di Odilone, da alcune a. del Poitou della fine del sec. 11° e degli inizi del 12°, come l'a. di Airvault, quella di Saint-Benoît alle porte di Poitiers e quella di Saint-Jouin-des-Marnes e soprattutto dalle a. cistercensi a cominciare da Fontenay.

L'abbazia tra 11° e 12° secolo. - È essenzialmente lo spirito e l'essenza della concezione monastica, e dunque anche il tipo di spazio architettonico previsto, a entrare in gioco nella prima metà del sec. 12° con una serie di opposte proposte che nella loro capacità di radicale eversione segnarono pesantemente la storia architettonica delle a., nonostante un talora apparente adeguarsi a impianti precedenti.

Al filone rappresentato dalle a. di Cluny e di Saint-Denis, giunte allora alla loro versione definitiva, si opposero infatti i due diversi, ma allo stesso modo radicalmente nuovi per il pensiero che li sottende, casi delle a. certosine e cistercensi che mutarono radicalmente il concetto di città monastica, aperta a tutte le componenti sociali, per riportare il monachesimo a un integralismo primitivo in una visione di immediato impatto sulla dimensione architettonica dell'abitato.

Cluny, al termine della prima metà del sec. 12°, appare come la più completa immagine di una grande città monastica; la sua storia, iniziata con la fondazione dell'a. nel 909, vide rapidamente susseguirsi una serie di costruzioni e ricostruzioni che interessarono non solo la chiesa, ma tutto il complesso monastico; la c.d. Cluny II, l'abbaziale voluta da s. Maiolo e consacrata nel 981, ebbe il suo aspetto definitivo anche per quanto riguarda il chiostro e gli edifici monastici per opera di Odilone, abate dal 994 al 1049, che poteva vantarsi a proposito del monastero "invenisse se ligneum et relinquere marmoreum" (Vita Sancti Odilonis, auctore Jotsaldo Sylviniacensis Monacho; PL, CXLII, col. 908).

L'a. di Cluny II appare sostanzialmente costituita da tre unità distinte, di dimensioni diverse, racchiuse nel profilo pressoché pentagonale del recinto abbaziale: al blocco frontale delle stalle, delle abitazioni dei fratelli conversi e delle strutture per l'assistenza ai poveri, al di là di un'ampia corte, fa seguito il grande insieme unitario costituito dalla chiesa, dal chiostro, dalla sala capitolare e dagli edifici per la vita comune di monaci e novizi, nonché dalle officine che sia a S che a N affiancano il grande blocco abbaziale; la terza unità è composta più a E dal blocco degli edifici dell'infermeria. Gli edifici per gli ospiti costituiscono a N il lato della corte posta davanti alla chiesa.

Rispettando sostanzialmente questa partizione di massima, a partire dal 1088 ca. si diede il via a una nuova redazione dell'a. che, giunta in pochi anni a ospitare oltre mille monaci, alla fine si presentò come la più grande a. dell'Europa medievale, suscitando la viva ammirazione dei contemporanei (De Gallica Petri Damiani Profectione et eius ultramontano itinere, verso il 1063, MGH. SS, XXX, 2, 1934, p. 1043). La nuova a. fu consacrata da Innocenzo II nel 1130; il suo impianto sarebbe stato delineato con funi da s. Pietro, s. Paolo e s. Stefano, che sarebbero apparsi in sogno a Gunzo, abate di Beaume, ritiratosi come semplice claustralis a Cluny, per incitarlo a intervenire presso l'abate Ugo, dal momento che "angustias basilicae nostrae fratrum multitudo ferre vix potest" (Bibliotheca Cluniacensis, a cura di M. Marrier, A. Quercetanus, Paris 1614, rist. Matiscone 1915, col. 457).

Al di là della monumentale nuova abbaziale, costruita più a N dei vecchi edifici per gli ospiti e articolata su cinque navate con doppio transetto a cappelle e il grande coro radiale con cinque cappelle, sistema che faceva del coro di Cluny III una delle strutture plasticamente più monumentali e visivamente imponenti del Medioevo occidentale, l'intervento si concentrò in vari punti, lasciando inalterata in pratica sul lato est del chiostro soltanto la sala capitolare e gli spazi vicini, riservati al parlatorio e alla sala comune dei monaci, e sul lato opposto i vani della cucina e delle dispense. Gli spazi per gli ospiti furono notevolmente ampliati con la creazione di un vero e proprio palazzo, prossimo all'edificio precedente dei fratelli conversi; il chiostro venne esteso verso N occupando lo spazio della navata della precedente abbaziale di cui fu tenuto in vita solo il coro; il dormitorio e il refettorio che "largum reficiendis fratribus prebet consessum" (MGH. SS, XXX, 2, 1934, p. 1043) furono ricostruiti, così come la zona dell'infermeria trasformata in un monumentale edificio.

Il transetto meridionale è oggi l'unica parte superstite dell'a. la cui ricostruzione è possibile grazie agli scavi e alle indagini di Conant. Restano anche documenti scultorei, come i celebri capitelli dedicati ai modi del canto gregoriano, scolpiti tra il 1088 e il 1095, che nei tituli apposti sulle mandorle che includono le figure rivelano la conoscenza della musica e dei testi biblici, ma che denotano invece nello scultore una conoscenza vaga del modo di suonare i singoli strumenti.

Sono queste le forme per le quali "fulget ecclesia in parietibus", ma anche "in pauperibus eget! Suos lapides induit auro et suos filios nudos deserit", ma anche per le quali "magis mirantur pulchra quam venerantur sacra" e che insieme con le "oratoriorum immensas altitudines, immoderatas longitudines, supervacuas latitudines, sumptuosas depolitiones, curiosas depictiones" provocano la violenta reazione che s. Bernardo esprime con la splendida prosa della Apologia ad Guillelmum (PL, CLXXXII, coll. 914-916) e che però già aveva trovato precedenti sul finire del sec. 11° nella radicale contrapposizione di vita proposta nel 1084 da s. Brunone e poi nel 1098 da Roberto di Molesme. Alla base di due tra i movimenti monastici più radicalmente tesi al recupero della primigenia integrità e austerità dell'Ordine benedettino, rispettivamente Certosini e Cistercensi, essi e i loro successori attuarono il totale ribaltamento, anche se in forme diverse, delle forme dell'abbazia.

Meno apparentemente radicale da un punto di vista planimetrico, ma totaliter aliter per quanto riguarda essenza e forma architettonica fu la rivoluzione operata dai Cistercensi; se infatti la disposizione degli ambienti rispetto a quanto visto precedentemente rimase pressoché inalterata - salvo significative varianti, espressione della nuova dimensione di vita monastica, come l'inserimento degli edifici riservati alla vita dei conversi nello spazio interno del chiostro a esprimere la loro effettiva condizione di membri, anche se con funzioni diverse, della realtà della comunità monastica - quello che cambiò radicalmente fu proprio il modo di pensare l'architettura.

All'insegna della ratio e di un pensiero astratto - perché non più alimentato da immagini, dalla diversarum formarum varietas che si fa deformis formositas ac formosa deformitas - insieme pragmaticamente attivo, l'architettura cistercense presenta edifici abbaziali obbedienti a un impianto fisso e determinato, misurati e misurabili sulla base di un rigido principio modulare che si fa, come era stato proposto già nel Piano di San Gallo, norma di tutte le cose, ma che nel caso delle a. cistercensi esce dal recinto abbaziale per rendersi misura anche dell'ambiente circostante e delle opere tecniche e degli edifici con cui esso viene modellato.

Così ad a. che in pochi anni coprirono buona parte dell'Europa con un rigido impianto planimetrico che le rende immutabili - salvo la variante costituita dal disporsi del chiostro e degli edifici monastici a destra o a sinistra del chiostro, e ciò solo in funzione delle diverse situazioni di approvigionamento idrico - si affiancarono edifici costruiti per il lavoro e le sue diverse esigenze, da quello agricolo a quello minerario, elaborati ugualmente su basi modulari estese anche alla pianificazione agricola del territorio controllato.

Le a. cistercensi, "città contadine modello", architetture "spogliate da qualsiasi elemento che non sia forza statica o fonte di luce [...] per l'enucleazione e la massima eloquenza di una figura vista come senso ultimo dell'universo e ragion d'essere dell'opera d'arte" (Romanini, 1987), dispongono intorno al chiostro, punto di snodo dei vari momenti della vita comunitaria, e in tangenza al muro esterno del braccio del transetto, la sacrestia e l'armarium, dove erano conservati i libri della comunità; poi, aperto da un'ampia porta inquadrata da due finestre per consentire anche ai conversi, privi del diritto di voto, la partecipazione alle decisioni, l'ambiente della sala capitolare, luogo di grande rilevanza nella vita di un'a. cistercense, anche per il fatto che, a differenza di quanto accadeva nell'ambito di Cluny e delle sue fondazioni, ogni a. cistercense è totalmente autonoma e governata su base elettiva.

A essa seguono il passaggio che raccorda il chiostro all'esterno e la sala comune dei monaci; al piano superiore di questa ala del chiostro è posto il dormitorio collegato da una scala direttamente con il transetto. Sul lato meridionale sono ubicati il calefactorium, cioè l'ambiente riscaldato, il refettorio, al quale corrisponde, generalmente sull'altro lato della galleria del chiostro, la fontana per le abluzioni dei monaci, poi la cucina.

Sul lato occidentale del chiostro si trovano al piano terreno il cellarium e al piano superiore il dormitorio dei conversi che, tramite un passaggio posto quasi in prossimità della facciata, accedono alla chiesa e al coro dei conversi, posto nella navata centrale, ma ben distinto da quello dei monaci che avanza invece fino alla linea di innesto del transetto.

All'esterno di questo "complesso omogeneo fondato sull'equivalenza e moltiplicabilità delle parti" (Romanini, 1987), si collocano come blocchi a sé stanti l'infermeria e la grangia insieme con eventuali altri edifici di lavoro, come mulini e officine; il complesso monastico e tutti questi altri edifici sono serviti da un elaborato sistema di canalizzazione sia per la conduzione delle acque chiare, sia per la raccolta di quelle scure; l'acqua, o, per usare le parole della S. Bernardi abbatis Claraevallensis vita prima, liber I, auctore Guillelmo (PL, CLXXXV, col. 285), "in omni domo subterraneis canalibus deductus rivus ultro ebulliens; et demum, congruis ministeriis per omnes officinas expletis, purgata domo, ad cardinalem alveum reverterentur quae diffusae fuerant aquae, et flumini propriam redderent quantitatem" con una abilissima complessa regolamentazione che dovette colpire molto anche i contemporanei se l'autore della Descriptio monasterii Claraevallensis (PL, CLXXXV, coll. 569-573) si dilunga diffusamente a descrivere il percorso sub divo e quello sotterraneo delle canalizzazioni dell'acqua del fiume Aube all'interno dell'a. di Clairvaux.

Testimonianze superstiti di queste poderose opere di idraulica sono ancora oggi ben visibili a Fontenay, a Maubuisson, a Royaumont, solo per citare alcuni esempi (Righetti Tosti-Croce, 1983).L'altro filone di rinnovamento delle a. è costituito dai Certosini, il cui fondatore s. Bruno nel 1084 diede vita alla Grande Chartreuse presso Grenoble; la struttura originale fu distrutta già nel 1132 da una valanga, ma è ricostruibile sulla base della descrizione che ne dà verso il 1114 Guiberto di Nogent nel De vita sua libri tres (PL, CLVI, col. 854): l'elemento che più sembra sorprendere l'autore è forse il chiostro satis idoneum per questa comunità di monaci che ebbero una regola scritta solo con le Consuetudines elaborate da Guigo tra il 1121 e il 1127 e che vivevano con un sistema cenobitico, "sed non claustraliter, ut coeteri, cohabitantes". Infatti "habent quippe singuli cellas per gyrum claustri proprias, in quibus operantur, dormiunt ac vescuntur".

Il tipico impianto dell'a. certosina, sintesi di esperienze e strutture monastiche orientali come la laura ("more antiquo Aegyptiorum monachorum", così Pietro il Venerabile nel 1126 definisce il sistema di articolazione degli spazi della Grande Chartreuse) e del cenobitismo benedettino e insieme espressione di questa esperienza definita di eremitismo collettivo (Dimier, 1964), è dominato anche visivamente dal 'grande chiostro' o galilea maior intorno al quale si dispongono le abitazioni dei singoli monaci, la cui esperienza comune si riduce solo alla preghiera nell'ambito della chiesa; essa è raccordata a questo chiostro ed è costituita da un edificio a navata unica in cui si dispongono in successione il coro dei fratelli conversi, lo jubé che si pone come netta separazione fisica dal resto dell'edificio sacro, poi il coro dei monaci e la zona dell'altare, rialzata di qualche gradino.

Ciò che invece nei testi certosini viene definito come claustrum è un 'piccolo chiostro' intorno al quale si dispongono i locali di servizio e le abitazioni dei fratelli conversi o donati, impiegati per le esigenze interne dell'a. e che si pongono come tramite tra il mondo esterno e i monaci.

Ai conversi dediti alle varie attività esterne all'a. è invece riservata una seconda struttura che costituisce un'altra novità dell'architettura certosina, la domus inferior, programmaticamente ubicata a una quota più bassa, sulla strada di accesso alle certose, poste generalmente in strette valli; essa risulta costituita da edifici abitativi e di servizio e da una cappella. Esempi interessanti di domus inferiores sono quelli di S. Bartolomeo di Trisulti nel Lazio e di Casotto in Piemonte, entrambi però duecenteschi.

A differenza dell'architettura cistercense, gli schemi di quella certosina sono però molto variabili e la reciproca disposizione di chiesa, grande e piccolo chiostro fu sottoposta a un grande numero di varianti derivate anche dalla sempre difficile situazione orografica di insediamento (Aniel, 1983).Sulle nuove esperienze di a. messe in atto da Cistercensi e Certosini si chiude il capitolo medievale dell'a. e a concluderlo vale forse il vivace disegno dell'a. di Canterbury (Cambridge, Trinity College, R.17.1,cc. 284v-285r), in realtà progetto elaborato in funzione di un nuovo sistema di approvvigionamento delle acque per i vari ambienti della grande a. al tempo del priore Wiberto (1151-1167), che ci fornisce una sorprendente immagine a volo d'uccello dell'a., del suo recinto e delle sue pertinenze esterne.

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