CORVEY, Abbazia di

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1994)

CORVEY, Abbazia di

L. Speciale

(Corbeia Nova nei docc. medievali)

Abbazia benedettina situata in prossimità della città di Höxter nel Nordrhein-Westfalen (Germania), sorta all'inizio del sec. 9° sulle rive del Weser, in una zona da poco annessa all'impero franco. Fondazione imperiale di Adalardo e Wala, cugini di Carlo Magno ed entrambi abati di Corbie, dedicata inizialmente a s. Stefano, C. dovette la sua rapida fioritura agli ampi privilegi concessi da Ludovico il Pio e alla propria collocazione stradale lungo lo Hellweg.Dettagli sulla fondazione di C. sono forniti da fonti quali la Vita Adalhardi e la Vita Walae di Pascasio Radberto, l'anonima Historia translationis sancti Viti e la Vita sancti Anskarii di Rimberto. Di notevole importanza sono anche i privilegi imperiali del sec. 9°, in primo luogo l'atto di fondazione con il quale si garantiva il trasferimento di alcuni possedimenti dal monastero di Corbie a quello di C. e un atto di immunità, promulgati entrambi nell'823 da Ludovico il Pio (Codex diplomaticus, 1851, pp. 5-7, nrr. IV-V), che trasferì a C. alcune reliquie di s. Stefano dalla Cappella Palatina di Aquisgrana. Nell'833 C. ottenne anche il riconoscimento di Markt e il diritto a battere moneta; l'edificio abbaziale venne consacrato sotto l'abate Bovo I nell'885 dal vescovo Liutardo di Paderborn.Filiazione più importante del monastero di Corbie, C. ebbe una funzione primaria nell'opera di conversione delle tribù sassoni; l'Historia translationis testimonia della immediata devozione di cui furono oggetto le reliquie di s. Vito, consacrato patrono dei Sassoni, giunte a C. nell'836.Centro religioso, culturale e artistico della Sassonia nei secc. 9° e 10°, C. fu particolarmente vicina alla politica degli Ottoni, perdendo ogni privilegio in seguito all'opposizione alla riforma lotaringia che Enrico II applicò nel 1014; soltanto nel sec. 12°, con l'abate Vibaldo (1146-1159), conobbe una nuova fioritura.L'esiguità delle sopravvivenze archeologiche e l'ambiguità delle fonti hanno sollevato il problema della preminenza fra C. e Höxter, la cui definizione come civitas o urbs è tuttora priva di una risolutiva interpretazione (Krüger, 1930-1931). Rave (1958) ha proposto l'identificazione dell'alte Weg, che collegava in origine i due centri, con l'antica strada del Weser, il cui tracciato arrivava all'abbazia attraverso la torre principale delle mura per giungere sino all'atrio posto davanti al Westwerk. L'impianto carolingio del complesso monasteriale è sostanzialmente sconosciuto, anche se appare probabile la scelta di racchiuderne l'area in un rettangolo cinto da mura, con un sistema di fossati che si estendeva a E sino al corso del Weser, con l'abbazia posta al centro. Essa venne parzialmente trasformata sotto Vibaldo e uno schizzo di Johannes Letzner (Hannover, Landesbibl., XXII 1349, c. 4), al tempo dell'abate Teodoro di Beringhausen (1585-1616), assieme a una pianta del 1663 (Höxter, Fürstliche Bibl. Corvey, 9) documentano lo stato dell'edificio prima che gli ingenti lavori di ricostruzione nel sec. 17° gli conferissero l'attuale veste barocca.I risultati degli scavi condotti nel dopoguerra hanno chiarito definitivamente l'esistenza di due distinte fasi costruttive nell'ambito del 9° secolo. La prima, denominata C. I, relativa all'edificazione dell'abbazia a opera di Wala (822-844), ricostruisce un impianto trinave con navata centrale più larga e coro, posto sul suo prolungamento, a pianta rettangolare con una piattaforma quadrata ridotta, accessibile attraverso sei gradini. Lo spazio residuo formava un corridoio di accesso a una cappella, terminante forse in una piccola abside e con copertura piana decorata da un tralcio dipinto (Claussen, 1977). La fase denominata C. II testimonia, prima dell'edificazione del Westwerk, iniziato nell'873, una modifica radicale della zona del coro, che divenne parte di un transetto con piccole ali munite di absidi poco profonde, sul quale si innestava un nuovo coro con terminazione absidata, provvisto di deambulatorio curvo con cappelle alle estremità e che conduceva, sull'asse dell'edificio, a una cripta cruciforme con bracci a terminazione rettilinea (Heitz, 1980).L'edificio è stato oggetto di divergenti restituzioni; un recente riesame (Lobbedey, 1977) differisce nella definizione dell'accesso occidentale a C. I e delle ali del transetto di C. II dalla ricostruzione (Esterhues, 1953) che attribuiva queste ultime a un intervento del 12° secolo. Stretti sono i confronti con la cripta bretone di Saint-Philbert-de-Grand-Lieu e con l'abbaziale di St. Walburga a Meschede (Vestfalia); l'impianto più vicino a C. II rimane comunque quello della cattedrale carolingia di Halberstadt in Sassonia, consacrata nell'859, dotata di cripta ugualmente cruciforme e di corridoi d'accesso (Heitz, 1980), esempio questo che costituirebbe un precedente dello schema di abside con cappelle radiali (Conant, 1959).All'edificio così definito venne aggiunto fra l'873 e l'885 il Westwerk, composto inferiormente da un piano di accesso, definito talvolta cripta, con nove volte a crociera su quattro colonne, recanti capitelli a foglie lisce e pulvino con cornice (Meyer, 1961), affiancato da corridoi laterali separati da arcate poggianti su pilastri e coperti da soffittature in legno. Al piano superiore l'ambiente centrale è circondato da due ordini sovrapposti di arcate che delimitano le logge corrispondenti all'atrio e ai corridoi del piano terreno posti sui quattro lati; l'arcata ovest (alta m. 4,5), con una luce superiore alle altre e senza colonna centrale, ha permesso in passato di ipotizzare nella loggia corrispondente, leggermente sporgente e in relazione con l'epigrafe di facciata ("Civitatem istam / tu circumda D(omi)ne et / angeli tui custo / diant muros eius"), la presenza di un trono riservato all'imperatore, cui recentemente si è preferita l'individuazione di un altare dedicato a s. Michele. Lungo il lato opposto l'ambiente si apriva sulla navata della chiesa con un diaframma di colonne e archi sovrapposti. Un recente riesame della decorazione pittorica del piano superiore del Westwerk ha mostrato come i pilastri principali del primo ordine e i piedritti delle arcate del secondo fossero sottolineati da membrature architettoniche dipinte - colonnine, capitelli e imposte di arco - ispirate a un repertorio compositivo classicheggiante cui si deve riferire anche la rappresentazione di Ulisse e Scilla nella loggia occidentale (Hanfmann, 1987; Claussen, Exner, 1990).Il Westwerk era completato probabilmente da una torre quadrata detta Helmhaus, che fu demolita già nel sec. 12° e sostituita dall'abate Vibaldo con torri angolari collegate da una cella campanaria ad arcate, nella cui costruzione furono reimpiegati numerosi materiali dell'ornato carolingio (Meyer, 1961; Heitz, 1980). La demolizione della torre quadrata e la costruzione di quelle angolari comportarono una sostanziale verticalizzazione dell'aspetto esterno del Westwerk e della facciata, originariamente caratterizzata dalla prospettiva di masse cubiformi (Kubach, 1972).L'impianto generale dell'edificio definitosi alla fine del sec. 9° mostra confronti con altri monumenti contemporanei della Vestfalia e della Sassonia, quali le cattedrali di Hildesheim e di Minden, le chiese di Cappel, Germerode, Lippoldsberg e Gandersheim (Heitz, 1980). È stata inoltre rilevata, più genericamente, l'influenza del modello architettonico dell'abbaziale di Centula/Saint-Riquier, della cui facciata in particolare C. sembra costituire la derivazione meglio conservata (Conant, 1959).Nelle vicinanze dell'abbazia sorgevano tre chiese parrocchiali, ora perdute (Rave, 1958): a S la Petrikirche, fondata prima dell'836 e definita nel 1265 "capellam sancti Petri ad suburbium", e la Paulikirche, cappella a pianta quadrata con pilastro centrale; a N-O la cappella dedicata alla Maddalena.

Bibl.:

Fonti. - Codex diplomaticus historiae Westfaliae, in Regesta historiae Westfaliae, a cura di H.A. Erhard, II, Münster 1851; Pascasio Radberto, Vita Adalhardi abbatis Corbeiensis, a cura di G. Pertz, in MGH. SS, II, 1829, pp. 524-532; id., Vita Walae abbatis Corbeiensis, ivi, pp. 533-569; Historia translationis sancti Viti, ivi, pp. 576-585; Rimberto, Vita sancti Anskarii, a cura di D.C.F. Dahlmann, ivi, pp. 683-725; Notitiae fundationis monasterii Corbeiensis, a cura di O. Holder-Egger, ivi, XV, 2, 1888, pp. 1043-1045.

Letteratura critica. - W. Effmann, Die Kirche der Abtei Corvey, Paderborn 1929; H. Krüger, Höxter und Corvey. Ein Beitrag zur Stadtgeographie, Westfälische Zeitschrift 87, 1930, 2, pp. 1-108; 88, 1931, 1, pp. 1-93; F.J. Esterhues, Zur frühen Baugeschichte der Corveyer Abteikirche, Westfalen 31, 1953, pp. 320-335; H. Claussen, Spätkarolingische Umgangskrypten im sächsischen Gebiet, in Karolingische und ottonische Kunst, Wiesbaden 1957, pp. 118-140: 130-132; F.J. Esterhues, Zur Rekonstruktion der ersten Corveyer Klosterkirche, Westfälische Zeitschrift 108, 1958, pp. 387-394; W. Rave, Corvey, Münster 1958; K.J. Conant, Carolingian and Romanesque Architecture: 800 to 1200 (The Pelican History of Art, 13), Harmondsworth 1959 (1987⁴), pp. 25-26; R. Meyer, Karolingische Kapitelle in Westfalen und ihr Verhältnis zur Spätantike. I. Corvey und Obermarsberg, Westfalen 39, 1961, pp. 181-210; F. Kreusch, Beobachtungen an der Westanlage der Klosterkirche zu Corvey, Köln-Graz 1963; H. Wiesermeyer, La fondation de l'abbaye de Corvey à la lumière de la Translatio Sancti Viti. Interprétation d'une source en bas-latin du IXe siècle, in Corbie, Abbaye Royale. Volume du XIIIe centenaire, Lille 1963, pp. 105-133; id., Corbie et le développement de l'école monastique de Corvey du IXe au XIIe siècle, ivi, pp. 211-222; H. Thümmler, Karolingische und ottonische Baukunst in Sachsen, in Das erste Jahrtausend. Kultur und Kunst im werdenden Abendland an Rhein und Ruhr, a cura di V.H. Elbern, III, Düsseldorf 1964, pp. 867-897: 873-875; A. Fuchs, Das Westwerk in Corvey - keine Kaiserkirche?, Westfalen 43, 1965, pp. 153-160; W. Stüwer, Die Geschichte der Abtei Corvey, in Kunst und Kultur im Weserraum 800-1600, cat. (Corvey 1966), Corvey-Münster 1966, I, pp. 5-18; H. Busen, Kloster und Klosterkirche zu Corvey, ivi, pp. 19-42; F. Möbius, Westwerkstudien, Jena 1968; G. Dehio, Handbuch der deutschen Kunstdenkmäler, nuova ed. a cura di E. Gall, III, 2, Westfalen, München-Berlin 1969, pp. 240-246; H.E. Kubach, Architettura romanica (Storia universale dell'architettura, 5), Milano [1972]; U. Lobbedey, Neue Ausgrabungsergebnisse zur Baugeschichte der Corveyer Abteikirche, Westfalen 55, 1977, pp. 285-297; H. Claussen, Karolingische Wandmalereifragmente in Corvey, ivi, pp. 298-308; C. Heitz, L'architecture religieuse carolingienne. Les formes et leurs fonctions, Paris 1980, pp. 148-156; K. Honselmann, Corvey als Ausgangspunkt der Hirsauer Reform in Sachsen, Westfalen 58, 1980, pp. 70-81; H.H. Kaminsky, s.v. Corvey, in Lex. Mittelalt., III, 1986, coll. 295-296; G.M.A. Hanfmann, The Scylla of Corvey and Her Ancestors, DOP 41, 1987, pp. 249-260; H. Claussen, M. Exner, Abschlussbericht der Arbeitsgemeinschaft für frühmittelalterliche Wandmalerei, Zeitschrift für Kunsttechnologie und Konservierung 4, 1990, pp. 261-290; D. Ganz, Corbie in the Carolingian Renaissance (Beihefte der Francia, 20), Sigmaringen 1990, pp. 28-29; H.W. Schüpp, s.v. Höxter, in Lex. Mittelalt., V, 1990, col. 143.A. Bonanni

Manoscritti

La storia dei libri di C. si delinea in parallelo alla primissima fase di vita dell'abbazia, che mantenne, soprattutto nei primi decenni, un forte legame con la comunità d'origine; negli anni che immediatamente seguirono l'insediamento furono trasferiti da Corbie monaci, suppellettile liturgica e probabilmente libri.Il rapido accrescimento della comunità - intorno alla metà del sec. 9° l'abbazia contava una cinquantina di monaci - lascia tuttavia sospettare che il monastero possa aver ospitato abbastanza presto un'officina grafica. Sulla base di questa considerazione la critica ha spesso attribuito a C. il più noto esemplare carolingio delle commedie di Terenzio, il Terentius Vaticanus (Roma, BAV, Vat. lat. 3868), contenente le firme di uno scriba e di un miniatore, Hrodegarius e Aldericus, identificati con due monaci omonimi che il Catalogus abbatum Corbeiensium ricorda tra i fondatori della filiazione sassone.Il momento di massima espansione culturale dell'abbazia sembra tuttavia intervenire qualche tempo più tardi, quando C., grazie al trasferimento delle reliquie di s. Vito, divenne uno dei più importanti santuari dell'Europa centrale. Già in questa fase C. doveva ospitare una rilevante attività di copia, in special modo di manoscritti liturgici: la Vita sancti Anskarii di Rimberto testimonia che nel corso della sua attività apostolica, condotta tra Amburgo e Brema, il vescovo avrebbe fatto ricorso in più occasioni ai fondi librari dell'abbazia. In questo stesso periodo risulta con sicurezza documentata la formazione di una scuola monastica, nella quale si insegnavano le discipline del trivio e del quadrivio. Dovrebbe appartenere a questa fase (Wiesermeyer, 1963b; ma si veda Bischoff, 1981) la confezione di un'importante copia degli Annales di Tacito (Firenze, Laur., Plut. 68.1); di un radicato interesse per gli studi storici è testimonianza, poco meno di un secolo più tardi, la composizione delle Res gestae Saxonicae, compilate dal monaco Vitichindo intorno al 967-968. I legami con il mondo francese restarono intensi anche nella tarda età carolingia; nell'847 le Notitiae fundationis monasterii Corbeiensis registrano una cospicua donazione di libri, offerti da un alto prelato della corte di Ludovico il Pio accolto nella comunità.Della notevole attività culturale che caratterizzò il primo secolo di vita di C. sopravvive poco o nulla. I codici copiati in questo periodo non sembrano tuttavia discostarsi di molto dalla produzione libraria corrente dell'area franco-sassone, caratterizzata da motivi di origine insulare e generalmente priva di inserti illustrati. Una produzione miniata di notevole livello artistico segna invece il momento di massima prosperità nella vita dell'abbazia nell'arco della seconda metà del sec. 10°, quando lo scriptorium di C. sembra assumere una fisionomia stilistica definita. Il formulario decorativo di matrice tardocarolingia che accomuna le più antiche testimonianze della scuola, come per es. un evangeliario databile intorno al 900 (Londra, BL, Egert. 768), si arricchì di motivi orientaleggianti ispirati alle contemporanee stoffe bizantine e islamiche. La vastità e la ricchezza di spunti originali che distinguono questo nuovo vocabolario decorativo hanno suggerito l'ipotesi che tale stile possa essere maturato per diretta suggestione di manufatti orientali (Mayr-Harting, 1991). È ipotesi verosimile che a C. possa essere confluita una parte degli oggetti suntuari di provenienza orientale che le fonti ricordano offerti in dono alla corte imperiale e l'evidente prestigio del quale l'abbazia sembra godere presso gli Ottoni trova conferma anche in altre testimonianze. Libri liturgici confezionati a C., soprattutto evangeliari, risultano presenti in molte fondazioni monastiche legate alla famiglia imperiale. Tra questi documenti è il caso di ricordare tre codici della metà del sec. 10°: uno proveniente da Quedlinburg (New York, Pierp. Morgan Lib., M. 755), un secondo da Klus (Wolfenbüttel, Herzog August Bibl., Guelf. 84.3 Aug. 2°) e un terzo di provenienza ignota (Wolfenbüttel, Herzog August Bibl., Guelf. 436 Helmst.). La decorazione di quest'ultimo manoscritto rappresenta bene l'elevato livello qualitativo raggiunto dall'officina grafica di C. nella seconda metà del sec. 10°, giustificando l'accostamento del volume ad alcuni degli episodi più alti della miniatura ottoniana, in special modo ai codici eseguiti nello scriptorium episcopale di Hildesheim per il vescovo Bernoardo (Bauer, 1977). Una cifra stilistica altrettanto singolare rivela quasi negli stessi anni la rada, ma sceltissima compagine di testi figurativi del sec. 10° maturo provenienti da C.; tra gli altri un isolato Cristo in maestà e quattro evangelisti, inseriti in un libro di pericopi evangeliche (New York, Public Lib., Astor 1), una Crocifissione in un sacramentario (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 10077), una seconda Crocifissione e un S. Gregorio in meditazione in un mutilo sacramentario (Lipsia, Universitätsbibl., Rep. I 4° 57a, già Stadtbibl., CXC) e alcuni frammenti di un vangelo illustrato (Helsinki, Suomen kansallismus.; Lipsia, Universitätsbibl., Rep. I 4° 57, già Stadtbibl., foglio staccato). Spiccano in questo insieme alcuni disegni a penna: un Cristo in maestà (Kassel, Gesamthochschul-Bibl., Kassel Landesbibl., 2° theol. 60, c. 12r) e un ciclo dell'Infanzia di Cristo abbinato alle tavole dei canoni di un vangelo (Wolfenbüttel, Herzog August Bibl., Guelf. 16.1 Aug. 2°). Il corpus riflette nitidamente l'influsso di modelli della tarda età carolingia, da collegare a una tradizione del disegno a penna toccato a colore assai diffusa nell'area del Reno. Centro d'irradiazione di questo stile sembra essere stata, a partire dalla seconda metà del sec. 9°, l'officina grafica dell'abbazia di Fulda, alla quale la stessa C. risulta profondamente legata per ragioni storiche e geografiche.Dal sec. 18° la biblioteca di C. vide gravemente impoverito il suo patrimonio librario, oggi in larga parte disperso. Ciò in qualche misura spiega l'alterna fortuna critica che ha caratterizzato il ruolo di C. nella storia della miniatura ottoniana; a una migliore valutazione della scuola si è arrivati solo in anni relativamente recenti (Kunst und Kultur im Weserraum, 1966). Resta ancora da valutare nei suoi risvolti più significativi l'influsso che la miniatura di C. avrebbe esercitato sulla nascente produzione libraria boema. All'origine di questa influenza contribuirono quasi certamente motivi politico-religiosi connessi alla diffusione del culto di s. Vito. A Praga è conservato ab antiquo un evangeliario di probabile origine francese proveniente dall'abbazia sassone (Praga, Kapitulní Knihovna, Cim. 2); presente a C. già nel sec. 9°, il codice avrebbe lasciato una nitida impronta nello stile dei più antichi manoscritti decorati prodotti nel monastero.

Bibl.:

Fonti. - Pascasio Radberto, Vita Adalhardi abbatis Corbeiensis, a cura di G. Pertz, in MGH. SS, II, 1829, pp. 524-532; id., Vita Walae abbatis Corbeiensis, ivi, pp. 533-569; Historia translationis sancti Viti, ivi, pp. 576-585; Rimberto, Vita sancti Anskarii, a cura di D.C.F. Dahlmann, ivi, pp. 683-725; Catalogus abbatum Corbeiensium, a cura di O. Holder-Egger, ivi, XIII, 1881, p. 275; Notitiae fundationis monasterii Corbeiensis, ivi, XV, 2, 1888, pp. 1043-1045.

Letteratura critica. - A. Goldschmidt, Die deutsche Buchmalerei, I, Die karolingische Buchmalerei, Firenze-München 1928, pp. 19, 23-24, 35-36, 61-64, tavv. 17-18, 81-86; A. Boeckler, Abendländische Miniaturen bis zum Ausgang der romanischen Zeit, Berlin-Leipzig 1930, p. 51; H. Swarzenski, The Role of Copies in the Formation of the Styles of the Eleventh Century, in Romanesque and Gothic Art. Studies in Western Art, "Acts of the Twentieth International Congress of the History of Art, New York 1961", Princeton 1963, I, pp. 7-18; F. Mütherich, Ottonian Art: Changing Aspects, ivi, pp. 27-39: 30-35; H. Wiesermeyer, La fondation de l'abbaye de Corvey à la lumière de la Translatio Sancti Viti. Interprétation d'une source en bas-latin du IXe siècle, in Corbie, Abbaye Royale. Volume du XIIIe centenaire, Lille 1963a, pp. 105-133; id., Corbie et le développement de l'école monastique de Corvey du IXe au XIIe siècle, ivi, 1963b, pp. 211-222; J. Daoust, Dom Martène à Corbie et à Corvey (1713-1718), ivi, pp. 381-391; B. Bischoff, Hadoard und die Klassikerhandschriften aus Corbie, in Mittelalterliche Studien. Ausgewählte Aufsätze zur Schriftkunde und Literaturgeschichte, I, Stuttgart 1966, pp. 49-65: 60-61; Kunst und Kultur im Weserraum 800-1600, cat. (Corvey 1966), 2 voll., Corvey-Münster 1966; W. Stüwer, Die Geschichte der Abtei Corvey, ivi, I, pp. 5-18; K.H. Usener, Buchmalerei bis 1200, ivi, II, pp. 464-469, 472-488, tavv. 158-173; W. Milde, Mittelalterliche Handschriften der Herzog August Bibliothek, Frankfurt a. M. 1972, pp. 37-44; G. Bauer, Corvey oder Hildesheim? Zur ottonischen Buchmalerei in Norddeutschland, 2 voll., Hamburg 1977; B. Bischoff, Die Schriftheimat der Münchener Heliand-Handschrift, in Mittelalterliche Studien (cit.), III, Stuttgart 1981, pp. 112-119; H. Hoffmann, Buchkunst und Königtum im ottonischen und frühsalischen Reich, in MGH. Schriften, XXX, 1986, pp. 127-129, tavv. 1-26; H. Mayr-Harting, Ottonian Book Illumination. A Historical Study, New York 1991, I, pp. 42-43, 84, 88, 91, 102-112, 209; II, pp. 159-174.L. Speciale

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