CLUNY, Abbazia di

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1994)

CLUNY, Abbazia di

H. Toubert

Abbazia benedettina borgognona situata sulle rive del fiume Grosne non lontano da Mâcon (dip. Saône-et-Loire).C. ebbe origine da una comunità di dodici monaci provenienti dal monastero di Baume-les-Messieurs, i quali fondarono la nuova abbazia per volontà del duca Guglielmo d'Aquitania. La scelta del luogo fu condizionata dall'ottima posizione: nel regno di Francia, ma vicino alla frontiera con l'impero e inoltre facilmente collegabile con Roma, attraverso il Rodano, e con i più attivi centri artistici della Francia, tramite la Senna. La nuova abbazia era destinata a crescere e a irradiare una vasta influenza; il suo fondatore l'aveva inoltre voluta esente da ogni giurisdizione civile o ecclesiastica e soggetta alla sola autorità del papa. All'appoggio di quest'ultimo, oltre che ai suoi primi abati, di cui alcuni furono in carica per periodi molto lunghi, si deve la straordinaria fortuna di questa istituzione. Al primo abate Bernone (910-927) seguì Oddone (927-942), che ottenne l'annessione a C. di alcune abbazie - ponendo così le fondamenta del futuro impero cluniacense -, alle quali impose una stretta osservanza della Regola benedettina. Aimardo (942-965) accrebbe notevolmente il potere temporale del monastero valendosi della collaborazione di Maiolo, che gli succedette e rimase in carica fino al 994. Brillante diplomatico, amico intimo di imperatori, consigliere di Ugo Capeto, Maiolo portò avanti la politica di espansione di Cluny. L'abate Odilone (994-1049) per oltre cinquant'anni assicurò, accogliendo innumerevoli donazioni in terre e rendite, un'enorme ricchezza all'abbazia. Riprendendo il progetto di s. Benedetto di Aniane, egli impose la riforma religiosa di C. ai sempre più numerosi monasteri affiliati che sottomise all'autorità diretta della casa madre (v. Cluniacensi). Il suo ruolo politico fu immenso - si recò nove volte a Roma, chiamato dal papa, e lanciò l'idea di una riconquista della Spagna dai musulmani -, tanto che per prestigio morale Odilone può essere considerato il vero fondatore della grandezza di Cluny.Ugo di Semur-en-Brionnais (1049-1109), dello stesso rilievo del predecessore, in sessant'anni fece di C. una capitale del mondo cristiano, una seconda Roma, da cui dipendevano ca. mille monasteri disseminati in tutta l'Europa e ca. diecimila monaci. Anch'egli grande politico - fu al fianco di papa Gregorio VII a Canossa nel 1077 -, fece eleggere monaci cluniacensi a capo delle nuove diocesi della Spagna e contribuì in ampia misura allo sviluppo del pellegrinaggio a Santiago de Compostela: due mezzi per ancorare saldamente all'Europa le terre della Reconquista. L'abbazia di C., che alla morte di s. Ugo era all'apice della sua potenza, mantenne il proprio prestigio sotto il governo, tumultuoso ma fecondo, di Ponzio di Melgueil (1109-1122) e soprattutto con Pietro il Venerabile (1122-1156), della casa di Montboissier, l'ultimo grande abate di Cluny. La sua ardente carità lo spinse a soccorrere Abelardo, condannato dalla Chiesa per iniziativa di s. Bernardo.Sebbene l'avvento di nuovi ordini - prima i Cistercensi poi i Mendicanti - avesse in parte eclissato i Benedettini, la fama e la fortuna dell'abbazia di C. rimasero a lungo intatte. La decadenza arrivò con la guerra dei Cento anni e soprattutto, dal sec. 16°, con il sistema della commenda - i cardinali Richelieu e Mazarino ebbero il titolo di abate di C. - e infine con le guerre di religione. Redditi ancora considerevoli permisero al priore Dom Dathoze verso il 1750 di ricostruire tutti gli edifici monastici anche se a C. erano rimasti una quarantina di monaci. Nel 1774 il Consiglio di stato pose C. sotto la giurisdizione del vescovo di Mâcon; con la Rivoluzione, infine, l'abbazia venne soppressa e fu messa in vendita come bene nazionale l'immensa chiesa, che a poco a poco fu smembrata. Dell'edificio rimane soltanto una minima parte a S.All'interno dell'abbazia si sono succedute tre chiese; di C. I non sono rimaste testimonianze. C. II, iniziata da Aimardo e Maiolo tra il 955 e il 960 e consacrata nel 981, sorgeva nel sito corrispondente all'angolo nordorientale dell'od. chiostro. Di essa è nota la pianta, grazie anche agli scavi di Conant (1968). Il coro con navatelle si concludeva con un'abside e due absidiole in spessore di muro e aveva due ambienti di pianta rettangolare annessi; uno stretto transetto era preceduto da un corpo longitudinale a tre navate di sette campate. C. II aveva per la sua epoca dimensioni notevoli (m. 55 di lunghezza con una navata centrale ampia m. 7). Intorno al Mille Odilone aggiunse a O un nartece a tre campate (galilea) preceduto da un atrio e, contemporaneamente, ricostruì il chiostro e il dormitorio. Assai più difficile è una ricostruzione precisa per quanto riguarda l'alzato, poiché le conoscenze si fondano unicamente sulla descrizione piuttosto generica delle Consuetudines di Farfa, della prima metà del sec. 11° (PL, CL, coll. 1193-1300), e sulle misure ivi indicate. È tuttavia verosimile che la chiesa abbia avuto un transetto basso, con l'incrocio sormontato da un alto campanile su pianta oblunga - come più tardi nell'abbaziale di Chapaize -, un coro fin dall'origine coperto da volte, una navata centrale a soffitto piano - venne voltata soltanto al tempo di Odilone - e infine due campanili che segnavano l'ingresso della galilea. La navata di C. II fu demolita poco dopo il 1118 da Ponzio di Melgueil per ingrandire il chiostro, mentre il coro, il transetto, la galilea e l'atrio scomparvero nel sec. 18° in seguito alla ricostruzione di Dom Dathoze. È probabile che C. II abbia esercitato una certa influenza sull'architettura intorno all'anno Mille nelle regioni circostanti; ciò non può essere tuttavia affermato in modo definitivo, dal momento che di questo importante edificio si hanno certezze soltanto per ciò che riguarda la pianta.C. III fu voluta dall'abate Ugo, che ne pose le fondamenta nel 1088; l'edificio venne però terminato solo per la consacrazione solenne del 25 ottobre 1130, mentre la costruzione del nartece, intrapresa in seguito, si protrasse nel 13° e 14° secolo. C. III fu la più grande chiesa del Medioevo (m. 187 di lunghezza compreso il nartece). Il corpo longitudinale suddiviso in tredici campate aveva cinque navate; tra i due transetti, di diversa ampiezza, sormontati da quattro campanili impostati su cupole, erano comprese due campate di coro a cinque navate e, al di là del piccolo transetto, a E, il coro proseguiva con una campata a tre navate, seguita da un deambulatorio più stretto con cinque cappelle radiali. Dell'edificio, che venne quasi interamente distrutto, sono visibili oggi, di fronte alle due arcate del sec. 12° che segnano l'ingresso del monastero, i recenti scavi del nartece, di cui si è conservato il muro sud nonché, sullo stesso lato, la base del piedritto del portale che dava accesso alla navata. Questa è scomparsa insieme al coro, ma ne resta il muro d'ambito a partire dalla Porte Galilée, situata nella quinta campata, fino al grande transetto, di cui è conservato il braccio meridionale, mentre della navatella esterna sud restano la campata adiacente al transetto e un'altra, voltata. Sul braccio del transetto si aprono due cappelle orientate, la destra di epoca romanica, l'altra ricostruita nel sec. 14°; la campata mediana è coperta da una cupola sulla quale s'imposta il Clocher de l'Eau bénite. Nell'angolo sud-ovest del braccio del transetto, una torretta scalare conduce in cima a un piccolo oratorio dedicato a s. Gabriele. Oltre il grande transetto, verso E, si conserva ancora il muro d'ambito del coro fino al piccolo transetto; di quest'ultimo rimangono la campata sud-est con la sua absidiola orientata e, alla testata, la cappella del cardinale Borbone, del 15° secolo.Il resto dell'edificio è noto in pianta, grazie a documenti e agli scavi di Conant (1968) e sulla scorta di alcuni disegni per ciò che riguarda l'alzato e l'articolazione delle membrature.Una corretta analisi del braccio sud del grande transetto permette di individuare il procedere dei lavori: il muro occidentale, sottile e concepito per sostenere la travatura di un transetto continuo, appartiene, fin oltre le finestre basse - spostate rispetto all'asse della campata sotto cupola -, alla prima fase costruttiva. Il muro d'ambito del corpo longitudinale, conservato su cinque campate, è connesso al transetto e da ciò è possibile dedurre che - come spesso avveniva nel Medioevo - la chiesa era stata subito impiantata sull'intero perimetro determinato dalla messa in opera di alcuni corsi murari. Ben presto tuttavia si adottò nel braccio sud un secondo progetto, che prevedeva un alzato a due livelli e una volta a botte alta m. 26. Ai muri furono poi addossati quattro pilastri con colonne incassate per sostenere una cupola su trombe connessa alla volta a botte ma realizzata dopo qualche tempo. Nel coro e nel corpo longitudinale - innalzati contemporaneamente a strati orizzontali, procedimento impiegato in seguito anche per il nartece - venne adottata una terza soluzione, che prevedeva un alzato a tre livelli e una volta a botte alta m. 30; è così possibile spiegare la presenza dei sostegni spezzati lungo i muri della navata centrale. Il raccordo con il braccio sud del grande transetto, già quasi ultimato, fu fatto a prezzo di inevitabili alterazioni nella struttura architettonica, giacché la volta di m. 30 della campata a N non poteva armonizzarsi con la cupola, legata alla volta più bassa della campata sud.Per la consacrazione, avvenuta il 25 ottobre del 1095, il coro non era stato ancora completato. Papa Urbano II consacrò l'altare maggiore e l'altare dell'ufficio mattutino mentre i prelati del suo seguito consacravano tre altari secondari. Ciò non prova tuttavia che i lavori fossero a uno stato avanzato, poiché non vi fu alcuna dedicazione con unzioni sui muri: essa venne effettuata soltanto il 25 ottobre 1130.Dalle fonti si deduce quali difficoltà avesse comportato reperire i dieci fusti di marmo, di due pezzi ciascuno, da utilizzare nel deambulatorio. Alla fine ne furono messi in opera soltanto otto, due dei quali in pietra locale, circostanza che determinò l'irregolarità della volta del deambulatorio. Tutto ciò accadeva intorno al 1118, poco prima che Gilone descrivesse il coro ultimato (Vita s. Hugonis abbatis Cluniacensis; PL, CLXXIII, coll. 1387-1390) e poco prima che Ponzio di Melgueil facesse demolire quasi tutta C. II per ingrandire il chiostro, che divenne contiguo alla cappella dell'abate consacrata nel 1118.È quindi possibile datare anche gli otto capitelli del coro pervenuti in stato frammentario, che furono inizialmente conservati nella cappella Borbone, poi al Mus. Ochier e sono attualmente esposti al Mus. Lapidaire du Farinier su colonne che richiamano nella loro disposizione quella originaria, ma secondo un ordine che non trova alcun riscontro nelle fonti. A questi sono stati inoltre aggiunti nell'attuale sistemazione museale due capitelli addossati a pilastri, estranei al programma iconografico absidale e di cui non si conosce l'originaria collocazione all'interno della chiesa, raffiguranti l'uno il Sacrificio di Abramo, di fattura molto mediocre, l'altro il Peccato originale, di esecuzione più accurata e con un forte sentimento della natura.Il programma iconografico dell'abside, prescindendo dal primo capitello che ricalca il corinzio romano, era chiaramente ispirato al principio quaternario tradizionale nel pensiero cristiano come esplicazione dell'universo. Così sul settimo capitello sono raffigurati quattro musicisti identificati - in base ai versi leonini incisi sul bordo delle mandorle - con i primi quattro toni del canto fermo, mentre sull'ottavo capitello si trovano altri quattro musici, in pessimo stato di conservazione, recinti da una fascia trasversale che reca alcune iscrizioni, che rappresentano gli ultimi quattro toni. Il sesto capitello mostra sulle facce e agli spigoli due serie quaternarie: i quattro alberi e i quattro fiumi del paradiso. Il quarto capitello è problematico: le tre figure femminili conservate, entro mandorle a profilo esagonale, potrebbero essere identificate con le tre virtù teologali, mentre l'ultima, scomparsa, non è certo che rappresentasse la Giustizia. Sul terzo capitello l'unico dei quattro personaggi conservato pressoché intatto, quasi nudo con il corpo semicoperto da una clamide all'antica, non rappresenta un apicultore - come è stato affermato -, ma probabilmente uno dei quattro geni dei venti che stringe la parte superiore di un singolare recipiente per chiuderlo; potrebbe essere tuttavia interpretato anche come personificazione dell'Aria nella serie dei quattro elementi. Del tutto misteriosa resta l'iconografia del secondo capitello, sui cui spigoli si è creduto di riconoscere quattro uomini, fra cui un discobolo, dediti a giochi di palestra; tale interpretazione si è rivelata tuttavia priva di fondamento a un più attento esame dei particolari; l'atteggiamento di due personaggi è inoltre assolutamente statico. Per quanto riguarda il quinto capitello, il più bello, si è creduto erroneamente che le iscrizioni scolpite o dipinte identificassero le quattro figure femminili inscritte nelle mandorle. Sulla base infatti del verso leonino, le cui lettere sono d'altronde ripartite sul bordo molto irregolarmente, la prima di queste figure, una vergine guerriera, andrebbe identificata come la Prudenza, ma nel Medioevo questa virtù non è mai stata raffigurata; si potrebbe piuttosto pensare alla Retorica, una delle arti liberali, spesso rappresentata in questa maniera. La seconda figura, che impugna una frusta per punire un bambino di cui resta un piede, è senza dubbio la Grammatica, anche se l'iscrizione dipinta, di lettura molto incerta, riprendendo quella della figura precedente in cattivo latino, identifica pure questo personaggio con la Prudenza. Nella terza figura è stata individuata la Primavera, ma il libro che ha in mano non è pertinente con la rappresentazione di una stagione; anche questa graziosa immagine potrebbe essere dunque una delle arti liberali. L'ultima figura è stata identificata sulla base dell'inaffidabile iscrizione, di cui pare che solo la parte finale sia incisa, con l'Estate, ma l'attributo che l'accompagnava, ora scomparso, non sembra che potesse essere interpretato come una falce. Restano dunque dubbi sulla sua identità e non va esclusa l'ipotesi che si tratti anche in questo caso di una delle arti liberali. Il capitello si inserirebbe così coerentemente nel programma generale, presentando una serie quaternaria tratta dal trivio e dal quadrivio.La discordanza tra figure e leggende, palese in almeno tre casi, non si riscontra per i toni del canto fermo, nonostante il verso leonino relativo al primo contenga un grossolano errore di prosodia, che si spiega con la confusione dovuta allo sfasamento cronologico fra ideazione ed esecuzione della decorazione plastica. Il programma, previsto originariamente per dieci colonne, fu certamente ridotto quando, intorno al 1118, una trentina d'anni dopo l'inizio dei lavori, si decise di impiegarne solo otto. Non tutte le raffigurazioni previste furono realizzate e alcuni dei versi leonini preparati furono alterati e attribuiti, sul quinto capitello, ad allegorie cui non si addicevano.Di poco anteriori al 1120, come indica anche un esame dell'architettura - e non del 1095, datazione questa priva di fondamento -, i capitelli del coro sono caratterizzati da una straordinaria perizia tecnica - molte parti sono modellate a tutto tondo -, da una grande capacità compositiva, dalla naturalezza delle pose e dei gesti, dalla perfezione del modellato e dall'armonia tra figura umana e decorazione fitomorfa estremamente variata. Essi preludono al rigoglio della scultura borgognona, in particolare ai portali interni di Vézelay (Yonne), dove, dopo il 1120, si ritrova lo stesso stile in forme più grandiose.Il portale occidentale, distrutto nel 1810, è noto unicamente attraverso una descrizione piuttosto dettagliata del 1792 (Parigi, BN, nouv.acq.fr. 4336; Conant, 1968, pp. 23-36), qualche disegno antico di scarsa qualità e alcuni frammenti. In esso era rappresentato Cristo in gloria all'interno di una mandorla sostenuta da due angeli, circondato dai simboli degli evangelisti, dei quali l'aquila è conservata al Louvre; altri due angeli si piegavano verso gli apostoli allineati sull'architrave, i cui frammenti (Mus. Ochier) di grande bellezza mostrano, in particolar modo nel trattamento delle vesti, quanto questo stile si differenziasse da quello dei capitelli del coro. È probabile che il portale, previsto e impostato quasi contemporaneamente al perimetro della chiesa, sia stato eseguito soltanto alla fine dei lavori, intorno al 1130.L'abside era decorata nel semicatino da una pittura su fondo oro, raffigurante Cristo in gloria, di cui resta qualche frammento non databile (Conant, 1968). Questa decorazione è stata accostata senza fondamento ai celebri dipinti di stile italo-bizantino di Berzé-la-Ville, di datazione controversa. È comunque possibile che il semicatino di C. III, la cui costruzione fu impostata intorno al 1118, sia stato dipinto per ordine di Ponzio di Melgueil, che in quell'anno faceva consacrare la cappella dell'abate decorandola con pitture che vennero reputate le più belle della Borgogna.Se vastissima è stata l'importanza di C. nella vita religiosa, politica e intellettuale del Medioevo, la sua influenza artistica fu sicuramente più limitata. È difficile valutare, data la perdita dell'edificio, quanto C. II sia stata determinante per le chiese realizzate intorno al Mille, come per es. le abbaziali svizzere di Payerne o Romainmôtier (entrambe nel cantone di Vaud). Più riconoscibile è l'influsso di C. III nella sua ultima fase. La chiesa di Paray-le-Monial (Saône-et-Loire), per es., è una copia ridotta della grande chiesa; la cattedrale di Saint-Lazare ad Autun (Saône-et-Loire) ne ha ripreso l'alzato a tre piani e l'illuminazione diretta al di sotto di una volta a botte, come anche l'uso dei pilastri scanalati all'antica; l'influenza di C. si ritrova inoltre nelle arcate del corpo longitudinale della cattedrale di Vienne (Isère) e nella cattedrale di Langres (Haute-Marne). La struttura di C. III è ancora ripresa dall'abbaziale di La Charité-sur-Loire (Nièvre), da Saint-Andoche a Saulieu (Côte-d'Or), da Notre-Dame a Beaune (Côte-d'Or), da Saint-Hilaire a Semur-en-Brionnais (Saône-et-Loire). Non c'è mai stata tuttavia una scuola cluniacense, giacché ogni abbazia o priorato affiliati erano liberi di costruire a modo proprio. L'abbaziale di Vézelay, pure legata a C. da vincoli molto stretti, nell'architettura è esente dalla sua influenza, visibile solo parzialmente nella decorazione plastica, laddove ad Autun la geniale personalità di Gisleberto se ne affrancò completamente.La città che si è sviluppata intorno all'abbazia di C. è ancora ricca di costruzioni medievali, tra cui un certo numero di case romaniche e parte dei bastioni con le porte di Saint-Odile e di Saint-Mayeul. Di epoca romanica è anche la chiesa di Saint-Marcel, che si distingue per lo svelto e alto campanile, mentre la chiesa di Notre-Dame è un bell'edificio goticoborgognone del 13° secolo. L'abbazia possedeva una propria cinta muraria, di cui rimangono la Tour des Fromages, la Tour Fabry e la Tour du Moulin, adiacente al Farinier del 13° (od. Mus. Lapidaire du Farinier), mutilato nel 18° secolo.Nella zona occidentale del recinto monastico sorgono le residenze abbaziali di Giovanni di Borbone, del 1460 ca. (od. Mus. Ochier), e di Jacques d'Amboise, del 1500 ca. (od. palazzo comunale). A quest'ultimo abate si deve la costruzione a Parigi dell'edificio che ospita attualmente il Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny. Davanti all'abbazia si estende un edificio della fine del sec. 11° di cui sono stati rimaneggiati i vani di apertura: si tratta dell'antica foresteria, che aveva le scuderie al piano terreno. All'abbazia del sec. 18° (od. Ecole des Arts et Métiers) si accede attraverso la facciata detta di papa Gelasio, che risale al sec. 14° ma che ha subìto molti restauri.

Bibl.:

Fonti inedite. - F. de Guilhermy, Description des localités de la France, Parigi, BN, nouv.acq.fr. 6099.

Fonti edite. - M. Marrier, A. Du Chesne, Bibliotheca Cluniacensis, 2 voll., Paris 1614; N.X. Willemin, Monuments français inédits, I, Paris 1825; P. Lorain, Essay historique sur l'abbaye de Cluny, Dijon 1839 (18452); J.H. Pignot, Histoire de l'Ordre de Cluny depuis la fondation de l'abbaye jusqu'à la mort de Pierre-le-Vénérable (909-1157), 3 voll., Autun-Paris 1868; A. Penjon, Cluny, la ville et l'abbaye, Cluny 1872; A.J. Bernard, A. Bruel, Recueil des chartes de l'abbaye de Cluny (Collection de documents inédits sur l'histoire de France), 6 voll., Paris 1876-1903.

Letteratura critica. - A. Bruel, Cluny. Album historique et archéologique, Mâcon 1910; Millénaire de Cluny, 2 voll., Mâcon 1910-1913; Dr. Pouzet, Notes sur les chapiteaux de l'abbaye de Cluny, RevAC 55, 1912, pp. 1-17, 104-110; V. Terret, La sculpture bourguignonne aux XIIe et XIIIe siècles, ses origines et ses sources d'inspiration. Cluny, Autun-Paris 1914; R. Graham, A.W. Clapham, The Monastery of Cluny. 910-1155, Archaeologia 80, 1930, pp. 143-178; G. de Valous, Le monachisme clunisien des origines au XVe siècle. Vie intérieure des monastères et organisation de l'ordre (Archives de la France monastique, 39-40), 2 voll., Paris 1935 (19702); A. Talobre, J. Talobre, La construction de l'abbaye de Cluny, Mâcon 1936; A. Chagny, Cluny et son empire, Lyon-Paris 1938; A Cluny, "Congrès scientifique, Cluny 1949", Dijon 1950; K.J. Conant, Cluny. Les églises et la maison du chef d'ordre, Cambridge (MA)-Mâcon 1968; F. Salet, Cluny III, BMon 126, 1968, pp. 235-292; A. Erlande-Brandeburg, Iconographie de Cluny III, ivi, pp. 293-322; G. Lodolo, L'arte a Cluny: l'architettura (problemi e ricerche), in Il Romanico, "Atti del Seminario di studi, Varenna 1973", a cura di P. Sanpaolesi, Milano 1975, pp. 76-90; Cluny III. La maior ecclesia, Mâcon 1988; F. Salet, Les sculpteurs clunisiens (in corso di stampa).F. Salet

Miniatura

A giudicare dai manoscritti conservati - rare vestigia di una produzione probabilmente abbondante -, lo scriptorium di C. ebbe, tra la fine del sec. 11° e gli inizi del successivo, una particolare importanza per la storia della miniatura. Sulla base di fonti scritte, quali le Consuetudines di Farfa, della prima metà del sec. 11° (PL, CL, coll. 1193-1300), e l'Ordo Cluniacensis del monaco Bernardo di C. (fine sec. 11°), si può pensare che lo scriptorium fosse organizzato nel chiostro, ove i monaci copisti, sotto la guida di un armarius, lavoravano al tempo stesso per la cancelleria e per la biblioteca. Tralasciando in questa sede i dati codicologici (Garand, 1978; 1979; 1985; Aniel, 1990) per soffermarsi sulle principali caratteristiche della decorazione dei manoscritti, occorre segnalare subito la loro semplicità. Durante il sec. 10° e nella prima metà del successivo la decorazione miniata era costituita essenzialmente da iniziali, assai spesso rubricate od ornate, raramente istoriate - con una tavolozza cromatica limitata al bruno e all'arancio, talvolta ravvivata, alla fine del sec. 11°, da qualche altro colore -, che mostrano un repertorio decorativo corrente, con il ripetersi soprattutto di due tipi di lettere, quelle c.d. pomettate e quelle a rigonfiamenti (Aniel, 1990). Tuttavia intorno alla metà del sec. 11° e senza dubbio per l'influenza dell'abate Ugo di Semur-en-Brionnais (1049-1109), fecero la loro comparsa lettere ornate derivate dalle iniziali ottoniane. Vanno menzionati alcuni manoscritti risalenti a quest'epoca, testimonianza di una pratica illustrativa che si rifaceva a due stili ben caratterizzati, l'uno influenzato dall'arte ottoniana, l'altro da una corrente italo-bizantina. Così il manoscritto del De virginitate di s. Ildefonso (Parma, Bibl. Palatina, 1650) - attribuito allo scriptorium di C. (Nordenfalk, 1958) e realizzato forse per Alfonso VI di Castiglia (1030-1109; Schapiro, 1964), le cui pagine di testo sono preziosamente incorniciate d'oro, d'argento, di porpora o di bande ornamentali - contiene trentacinque miniature di formato diverso che presentano soprattutto i ritratti dei profeti e dei patriarchi menzionati da s. Ildefonso contro gli infedeli e gli ebrei. Tali immagini, al pari delle iniziali, sono caratterizzate da uno stile romanico d'ispirazione ottoniana - lo stesso che si ritrova nel frammento con s. Pietro (Parigi, BN, lat. 1087, c. 75v) -, mentre il colofone, decorato dai ritratti dello scriba Gomez e del vescovo di Le Puy, Godescalco, mostra lo stesso stile di derivazione italo-bizantina che si può osservare anche nel lezionario conservato a Parigi (BN, nouv.acq.lat. 2246). Dell'apparato illustrativo di questo manoscritto - generalmente datato intorno al 1100 come il precedente, ma posto da alcuni studiosi verso il 1130 (Cames, 1964) - non si conservano che sei miniature (Annunciazione, Crocifissione, S. Marco, Pentecoste, S. Pietro con le catene spezzate, Dormizione), che presentano aspetti iconografici di origine diversa (Cames, 1964); se infatti le iniziali in oro e argento campite di verde o blu su fondo porpora richiamano i modi ottoniani, lo stile delle immagini del lezionario si avvicina a quello delle celebri pitture murali dell'oratorio di Saint-Hugues a Berzé-la-Ville (di datazione controversa) e si ritrova anche nel c.d. s. Luca del foglio di Cleveland (Mus. of Art, J. H. Wade Fund 68.190). Köhler (1941) vi ha individuato quegli influssi bizantini che si ritrovano in Occidente alla fine del sec. 11° e che, per quanto concerne C., vengono generalmente spiegati attraverso i rapporti dell'abbazia con Roma o con Montecassino (Mercier, 1931; Nordenfalk, 1958; Schapiro, 1964; Avril, in Avril, Barral i Altet, Gaborit-Chopin, 1982-1983, I, pp. 171-176, 203) oppure con la Lombardia (Wettstein, 1968; 1971) e inoltre attraverso la conoscenza diretta di opere costantinopolitane (Cochetti Pratesi, 1977-1978). La presenza a C. di Albertus di Treviri, Petrus armarius e Opizo (senza dubbio un italiano), che collaborarono all'esecuzione di una bibbia (oggi perduta) completata poco dopo la morte di Ugo, benché nessuno di essi sia citato come miniatore - e sarebbe quindi azzardato attribuire loro opere conservate -, è comunque una testimonianza dell'effettivo convergere a C. di diversi apporti e della possibilità per i pittori locali di una formazione eclettica.L'importanza della produzione dei manoscritti miniati a C. all'epoca dello sviluppo dell'abbazia si potrebbe misurare anche attraverso l'influsso che tali opere esercitarono su altri scriptoria (Avril, in Avril, Barral i Altet, Gaborit-Chopin, 1982-1983, II, pp. 196-197), come nel caso di quello di Limoges (Gaborit-Chopin, 1969).Tra le opere prodotte a C. va ricordata la Bibbia di s. Odilone, detta anche Bibbia di Franco, dal nome del copista (Parigi, BN, lat. 15176), la quale, decorata intorno alla metà del sec. 11° con iniziali ornate che preludono appena a quelle di tipo ottoniano, fu arricchita alla fine del 12° da figure di apostoli eseguite nello stile della Bibbia di Souvigny (Moulins, Bibl. Publique, 1; Nordenfalk, 1964). Per il periodo successivo si può citare la raccolta del priorato cluniacense di Saint-Martin-des-Champs (Parigi, BN, lat. 17716), eseguita intorno al 1190, che prosegue in maniera modesta la tradizione del lezionario (Les manuscrits, 1954, nr. 296).

Bibl.:

Fonti. - Bernardo di Cluny, Ordo Cluniacensis, in Vetus disciplina monastica, a cura di Marquard Herrgott, Paris 1726, pp. 133-364; L. Delisle, Inventaire des manuscrits de la Bibliothèque Nationale. Fonds de Cluny, Paris 1884.

Letteratura critica. - F. Mercier, Les primitifs français. La peinture clunysienne en Bourgogne à l'époque romane. Son histoire et sa technique, [Paris] 1931; W. Köhler, Byzantine Art in the West, DOP 1, 1941, pp. 61-87; Les manuscrits à peintures en France du VIIe au XIIe siècle, cat., Paris 1954, pp. 101-102; C. Nordenfalk, L'enluminure, in A. Grabar, C. Nordenfalk, La peinture romane du onzième au treizième siècle, Genève 1958, pp. 188-190; id., Miniature ottonienne et ateliers capétiens, Art de France 4, 1964, pp. 44-59; G. Cames, Recherches sur l'enluminure romane de Cluny, CahCM 7, 1964, pp. 145-159; M. Schapiro, The Parma Ildefonsus. A Romanesque Illuminated Manuscript from Cluny and Related Works (Monographs on Archaeology and Fine Arts, 11), New York 1964; J. Wettstein, Les fresques bourguignonnes de Berzé-la-Ville et la question byzantine, Byzantion 38, 1968, pp. 243-266; D. Gaborit-Chopin, La décoration des manuscrits a Saint-Martial de Limoges et en Limousin du IXe au XIIe siècle, Paris-Genève 1969, pp. 110-140; J. Wettstein, La fresque romane. Italie-France-Espagne. Etudes comparatives I (Bibliothèque de la Société française d'archéologie, 2), Paris-Genève 1971, pp. 92-93; J. Vézin, Un martyrologe copié à Cluny à la fin de l'abbatiat de saint Hugues, in Hommages à André Boutemy (Collection Latomus, 145), Bruxelles 1976, pp. 404-412; L. Cochetti Pratesi, Il Lezionario di Cluny, Berzé-la-Ville ed il problema degli influssi italo-bizantini, Annali della Scuola speciale per archivisti e bibliotecari dell'Università di Roma 17-18, 1977-1978, pp. 172-193; M.C. Garand, Copistes de Cluny au temps de saint Mayeul (948-994), BEC 136, 1978, pp. 5-36; id., Une collection personnelle de saint Odilon de Cluny et ses compléments, Scriptorium 33, 1979, pp. 163-180; L. Cochetti Pratesi, Il ''Parma Ildefonsus'', Cluny e la pittura catalana, Arte lombarda, n.s, 1979, 52, pp. 21-30; F. Avril, X. Barral i Altet, D. Gaborit-Chopin, Le monde roman. 1060-1220, I, Les temps des Croisades; II, Les Royaumes d'Occident, Paris 1982-1983 (trad. it. Il mondo romanico. 1060-1220, 2 voll., Milano 1984); M.C. Garand, Giraldus levita, copiste de chartes et de livres à Cluny sous l'abbatiat de saint Odilon (†1049), in Calames et cahiers. Mélanges de codicologie et de paléographie offerts à Léon Gilissen (Publications de Scriptorium, 9), Bruxelles 1985, pp. 41-48; N. Stratford, Visite de Berzé-la-Ville, in Le gouvernement d'Hugues de Semur a Cluny, "Actes du Colloque scientifique international, Cluny 1988", Cluny 1990, pp. 33-56; J.P. Aniel, Le scriptorium de Cluny aux Xe et XIe siècles, ivi, pp. 265-281.H. Toubert

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